mercoledì 4 novembre 2015

Tesoro, mi si sono ristretti gli insediamenti!

Il profilo minaccioso di un insediamento ebraico.
Per qualche istante abbiamo temuto che Haaretz, il quotidiano arabo stampato in Israele in lingua ebraica ed inglese, avesse cambiato mission, sotto i colpi degli hacker che ieri hanno preso possesso del suo profilo Twitter. Ma una rapida occhiata ha confermato il mantenimento dello status quo: permane l'atmosfera di acredine, di sentimenti antisionisti, di manipolazione della verità, di vagheggiamenti elitari e proliferano le ospitate di odiatori di Israele.
Non c'era bisogno che un gruppo di buontemponi alterasse la home page di Twitter: bastava lasciarvi le considerazioni di Lara Friedman e Hagit Ofran, attiviste di Peace Now, che ivi riversavano tutta la loro frustrazione per le recenti dichiarazioni del primo ministro israeliano il quale, dati alla mano, ha dimostrato come l'attività edilizia nei territori contesi del West Bank non possa essere la causa delle violenze palestinesi, poiché la costruzione degli insediamenti in realtà si è ridotta durante il mandato di Netanyahu, rispetto a quello dei sui predecessori (laburisti inclusi).
Peace Now tentava in modo invero un po' scomposto di argomentare come le statistiche prodotte dal governo non tenessero in debito conto dell'attività edilizia nei quartieri orientali di Gerusalemme. Bizzarro contestare la costruzione di nuovi alloggi nella periferia della capitale, ma sorvolando su questo aspetto non marginale, di quanti palazzi stiamo parlando? lo rivela il solito puntuale Elder of Ziyon: 6. Sei case costruite nel sobborgo di Silwan, a maggioranza araba. Davvero sei casi sono una minaccia per il futuro stato palestinese? davvero gli attivisti ProPal si fanno gioco dell'intelligenza dei lettori, sostenendo che ogni fabbricato, costruito in base a regolare licenza edilizia, e acquistato - in blocco o in parte - da residenti israeliani (fosse anche in uno stato "straniero"), costituisce un "insediamento"?
Nel tentativo di manipolare le statistiche a proprio vantaggio, le colonne di Haaretz erano costrette a subire un ulteriore stupro: l'approvazione di nuovi progetti edilizi era confusa con la costruzione di abitazioni. Case disegnate sulla carta, e che probabilmente non saranno mai costruite, rappresentano un ostacolo alla pace e alla pacifica convivenza. Nella realtà l'avvio di nuovi cantieri edili nel West Bank è congelato da tempo, come lo stesso Saab Erekat, capo negoziatore dell'OLP, ha rivelato a John Kerry: strano che a Peace Now non ne siano al corrente.
Prima che un solo mattone sia posato sulla terra, possono necessitare otto distinte approvazioni a vari livelli, e non sempre le ruspe sono alfine convocate. Peace Now cita il caso di Ramat Shlomo, un sobborgo di Gerusalemme densamente popolato che rimarrà in Israele sotto qualunque piano di pace; omettendo come qui in più di dieci anni non sia stata costruita nemmeno una capanna. E sì che di emergenza abitativa in Israele si parla da tempo: la lamentano tanto i cittadini ebrei quanto quelli arabi.
Dati alla mano, gli insediamenti ebraici hanno conosciuto uno stop da oltre vent'anni. Ciò non impedisce agli attivisti di arrampicarsi sugli specchi, rivelando ai media che Gerusalemme si stia inesorabilmente espandendo, nel tentativo di compiacere i finanziatori internazionali. Ma il tono irritato e le argomentazioni scomposte e infondate rivelano chiaramente una frustrazione originata da mancanza di argomentazioni: questa volta Netanyahu ha ragione, e i professatori di verità un tanto al chilo devono sforzarsi di svelare le vere motivazioni dell'ondata di odio che sta colpendo i cittadini israeliani da più di un mese.

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