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domenica 21 agosto 2016

Le dieci principali calunnie nei confronti di Israele

di Alan Baker*

Ogni giorno Israele è bersagliato da risoluzioni a senso unico, dichiarazioni di principio, "piani di pace" e raccomandazioni formulate da governi, organizzazioni internazionali, capi di stato e di governo, sedicenti esperti e soggetti di vario tipo della comunità internazionale.
La maggior parte di queste assunzioni, nei confronti dello stato ebraico, dei suoi leader, del governo di Gerusalemme, benché ampiamente condivise; si rivelano dopo rapida verifica false e/o erronee. È per questo motivo che oggi diventa inderogabile affrontarle una ad una, smascherando la mistificazione e la calunnia.


1) «Il ritiro dai territori di Giudea e Samaria garantirà ad Israele sicurezza e accettazione internazionale»: FALSO.

Prima della conquista di questi territori da parte di Israele dopo la guerra subita nel 1967, gli stati arabi commisero tutti gli sforzi per indebolire diplomaticamente e militarmente lo stato ebraico. I tentativi arabi e iraniani di confutare le radici ebraiche in Israele e a Gerusalemme, e la legittimità dello stato ebraico, ancora oggi risuonano nella comunità internazionale; con l'UNESCO che fa da cassa di risonanza.
I palestinesi nel frattempo sono impegnati a creare un loro stato su tutta la Palestina mandataria britannica, indottrinando i loro bambini in questo senso.

martedì 3 novembre 2015

I 36 stati che non riconoscono Israele


Ostentando una abbondante dose di ingenuità, l'opinione pubblica generalmente ritiene che sarebbe sufficiente sottoscrivere un accordo definitivo fra israeliani e palestinesi per conseguire addirittura la pace in Medio Oriente. Obiettivo tanto ambizioso quanto irrealistico, in un'area martoriata da guerre civili ed estremismo islamico in cui il piccolo stato ebraico non c'entra per nulla. Ma tant'é: si indicano gli accordi con l'Egitto (1979) e con la Giordania (1994) come testimonianze della possibilità di voltare pagina in quest'area.
Ma c'è un "ma": gli accordi di pace sottoscritti fra Gerusalemme e Il Cairo e poi Amman, presupponevano una condizione preliminare cogente: il mutuo riconoscimento. E questo è uno degli aspetti tuttora latitanti: sia il governo di Ramallah di Abu Mazen, sia il governo di Hamas a Gaza, si rifiutano di riconoscere la legittimità dello stato di Israele. Fino a spingersi in enunciazioni grottesche: come quando l'altro giorno "Abu Mazen" ha sostenuto che la presunta occupazione israeliana perdura dal 1948; sottintendendo che non di West Bank si tratti, ma di tutto il territorio compreso fra il Giordano e il Mediterraneo. Allineandosi così' alle ambizioni più estremiste, che vorrebbero cancellare Israele con un tratto di penna, e con la complicità occidentale.

domenica 11 ottobre 2015

Cinque miti storici su Israele da sfatare

di Ryan Bellerose*

È in atto un tentativo in atto di negare la storia e quasi la stessa esistenza del popolo ebraico. Farebbe ridere se non fosse così condiviso. Oggi mi soffermerò su alcuni di questi miti, apparentemente innocui, ma in realtà molto pernicioso e minaccioso.


MITO NUMERO 1: Israele sarebbe stato creato da colonialisti.

La verità è che gli ebrei hanno combattuto all'ultimo sangue per la terra dei loro avi. Mentre il Regno Unito aprì la porta con gli Accordi di Sanremo, e quindi con la Dichiarazione Balfour, il successivo piano di partizione e il mandato palestinese assegnarono i 3/4 della terra promessa (si perdoni il gioco di parole) al neocostituito regno ascemita, che avrebbe preso il nome di Giordania: il che dimostra che l'appoggio britannico non fu in realtà così amichevole. Se poi si considera l'embargo delle armi che agì soltanto nei confronti del neonato stato israeliano, il fatto che Londra armò e addestrò la legione giordana, e i limiti allora imposti all'immigrazione ebraica, mentre al contempo si incoraggiava l'immigrazione araba, si ottiene un quadro ben preciso del presunto favore britannico.
È piuttosto divertente che le persone che sostengono che Londra abbia "creato" Israele, sono le stesse che indicano il bombardamento del King David (in cui a seguito di attentato perirono 28 inglesi, noncurante dell'allarme lanciato prima dell'esplosione, NdT) come prova della cattiveria degli ebrei. Va detto che, in primo luogo il King David era il quartier generale del governo DI OCCUPAZIONE britannico. Soprattutto, non si chiedono mai come mai gli ebrei combattessero la gente che secondo essi avrebbe dato vita allo stato di Israele. È un perfetto esempio del motivo per cui dobbiamo ridimensionare la retorica colonialista. Naturalmente non mancherà chi giurerà che senza il sostegno coloniale, gli ebrei non sarebbero riusciti nel loro intento, quando nella realtà essi combattevano i colonialisti. Ovviamente gli inglesi maldigeriscono questa vicenda.

martedì 16 giugno 2015

I dieci modi con cui Israele è discriminato

di David Harris*

È sconcertante osservare come Israele sia trattato con un metro di paragone assolutamente diverso da quello adottato per altri stati. Ovviamente, lo stato ebraico è sottoponibile a giudizio; come tutti gli altri, d'altro canto. Ma meriterebbe pari trattamento, non diverso.
Tanto per incominciare, Israele è l'unico stato della comunità internazionale di cui è continuamente messa in discussione lo stesso diritto ad esistere.
Malgrado il fatto che Israele impersonifichi un antiche legame con il popolo ebraico, come ripetutamente citato nel libro più letto al mondo: la Bibbia, che sia stato istituito con una risoluzione ONU del 1947, e che sia membro pieno effettivo delle Nazioni Unite dal 1949; persiste un implacabile gruppetto di nazioni, istituzioni e soggetti che ne negano la legittimità politica.
Nessuno oserebbe discutere il diritto ad esistere di tutti gli altri stati, la cui legittimazione storica e legale è decisamente più discutibile: inclusi gli stati istituiti dopo atti di forza, occupazione o creati a tavolino. Diversi stati arabi, per dire, rientrano in almeno una di queste categorie. Perché allora soltanto nei confronti di Israele è continua caccia aperta? non ha niente a che fare con il fatto che trattasi di uno stato con maggioranza ebraica al mondo?

venerdì 24 aprile 2015

Che avranno in Israele da essere così felici?

È stato appena pubblicato il terzo World Happiness Report: la prima edizione risale al 2012, e da allora misura - per conto delle Nazioni Unite - la felicità e il benessere degli stati che aderiscono al progetto. Il sondaggio si avvale della collaborazione tecnica di Gallup e riguarda 156 nazioni di tutto il mondo. Per ciascuno di essi sono ponderate otto variabili:
1) il reddito pro-capite, normalizzato mediante l'approccio della "parità dei poteri d'acquisto" (PPP);
2) l'accessibilità al sostegno sociale da parte di parenti, amici e conoscenti in caso di bisogno;
3) l'aspettativa di vita;
4) la possibilità di determinare il proprio destino, di scegliere la propria vita;
5) la disponibilità ad effettuare donazioni ad organizzazioni benefiche o caritatevoli;
6) la percezione di corruzione da parte del tessuto imprenditoriale o del mondo politico;
7) la capacità di provare emozioni positive che generano felicità, ilarità e divertimento;
8) la presenza di stati d'animo negativi derivanti da preoccupazione, tristezza o irritazione.

venerdì 23 gennaio 2015

In Israele hanno già inventato l'auto che va ad acqua

Phinergy è una start-up israeliana attiva dal 2008 nello sviluppo di tecnologie energetiche sostenibili a zero emissioni ed elevatissime performance, basate su speciali batterie in metallo (alluminio e zinco) e aria. La batterie utilizzate assorbono aria dall'ambiente per liberare l'energia contenuta nei metalli: un concetto fantascientifico e incredibile, che però ha superato i test di laboratorio e ora le prove su strada.
Nel video le batterie montate su un auto producono energia basandosi sull'interazione fra alluminio, aria dell'ambiente e acqua: l'auto, così alimentata, è riuscita a percorrere oltre 300 chilometri a consistente velocità; senza emissione alcuna di sostanze tossiche, e con l'utilizzo di materiali interamente riciclabili e non dannosi per l'ambiente.
La tecnologia sviluppata può essere applicata a svariati campo: mobilità, immagazzinamento di energia, difesa ed elettronica di consumo. Fa sfuggire un sorriso di compatimento, ma di fatto tutto ciò che richiede questa tecnologia... è fare il pieno di acqua prima di partire.

lunedì 5 maggio 2014

La scomoda verità


Fino a stasera in Israele si celebra lo Yom haZikaron (Giorno del Ricordo), con cui si commemorano le oltre 25 mila vittime militari, e i 2500 civili periti per mano del terrorismo palestinese, e a causa delle guerre scatenate dagli stati arabi circostanti. Nello stato ebraico ieri sera sono risuonate strazianti le sirene, che hanno invitato tutti ad un minuto di silenziosa commemorazione.
È un peccato che l'onorevole Vendola abbia dovuto lasciare il Medio Oriente così presto. Avrebbe partecipato ad un momento toccante di vita israeliana, che in modo toccante passa dalla celebrazione del ricordo e del dolore; a quella - stasera - del festeggiamento dell'indipendenza nazionale; in un passaggio simbolico dalla morte alla vita.
Ci prendiamo la licenza di pubblicare una lettera aperta, inviata da Angela Polacco, Cecilia Nizza e  Giovanni Quer, al leader di SEL - per il tramite de l'Unità - che negli ultimi giorni ha avuto parole assurde e sconcertanti nei confronti di Gerusalemme; sperando di non urtare la legittima suscettibilità degli autori.

mercoledì 12 marzo 2014

Perché i palestinesi non riconoscono Israele?

Fornendo ancora una volta chiara conferma di quel vecchio ma efficace adagio secondo cui «I palestinesi non perdono mai occasione di perdere un'occasione», Mahmoud Abbas - meglio noto con il nome di battaglia di Abu Mazen, sta per silurare definitivamente i pre-negoziati che avrebbero dovuto condurre ad un definitivo processo di pace fra israeliani e palestinesi. In ciò inserendosi nel solco dei suoi predecessori, che esclamarono a Khartoum un rumoroso «No, no e no!» alla proposta israeliana del 1967 di sottoscrivere accordi di pace in cambio della restituzione integrale del West Bank, si ripeterono nel 2000 a Camp David («Preferisco essere ucciso dal proiettile di un israeliano che mi considera un nemico, anziché dal proiettile di un palestinese che mi condanna come un traditore», sospirò l'anziano leader, sacrificando - usando le parole di un Magdi Allam adesso irriconoscibile «l'ideale nazionale dello Stato palestinese alla sua brama di potere personale»), e ribadirono il loro totale disinteresse per la pace nel 2008, quando respinsero una generosissima proposta dell'allora primo ministro di Gerusalemme Olmert, che lasciò sconcertato e trovò spiazzato lo stesso Abu Mazen.
Il quale si è lavato pilatescamente le mani in questi ultimi giorni, fiutando il calare del sipario sullo sterile lavoro diplomatico di John Kerry, appoggiando lo sfogo del suo "capo negoziatore" Saeb Erekat, che ha invitato il capo dell'OLP, dell'ANP e del Fatah ad abbandonare anzitempo il tavolo - scaricando ovviamente le responsabilità sulla controparte israeliana. Parlando alla sezione giovanile del Fatah, il partito che comanda nel West Bank, Abu Mazen ha precisato che un eventuale accordo di pace sarebbe sottoposto ad approvazione popolare mediante referendum: bizzarro slancio democratico, per un despota che non tiene elezioni a Ramallah e dintorni da più di quattro anni (da tanto sono scaduti presidenza e "parlamento"). Un referendum oltretutto esteso ai palestinesi di tutto il mondo: inclusi verosimilmente quelli che nella vicina Siria sono macellati quotidianamente da Assad fra l'indifferenza generale, e che in Libano, Giordania ed Egitto - nonché nella stessa Gaza e territori palestinesi - sono confinati in luridi campi profughi; senza diritti, senza possibilità di lavorare, o di essere elettori passivi ne' tantomeno attivi.

mercoledì 19 febbraio 2014

Palestinesi: un popolo inventato

di Y.K. Cherson*


«La storia del popolo palestinese risale fino al...». A questo punto gli storici arabi non trovano l'accordo: alcuni sostengono che il "popolo palestinese" vanta 4.000 anni di storia; altri si spingono fino a 10.000 anni, c'è chi parla di 30.000 anni e non manca chi spara addirittura 100.000 anni di storia: il che renderebbe l'uomo di Neanderthals piuttosto giovanile a confronto dell'"uomo palestinese". Ma sebbene gli storici arabi non concordino sulla data di nascita del palestinese, su un aspetto sono unanimi: è comparso sulla Terra molto prima degli ebrei, dei romani o dei greci. C'è solo un problema: di tutta questa millenaria storia, non si trova alcuna traccia.
Nel 721 a.C., gli assiri conquistarono il Regno di Israele. È un fatto storico accertato che nessuno contesta. Magari il glorioso "popolo palestinese" avrà combattuto eroicamente contro l'aggressore, cagionando pesanti perdite? non proprio: non c'è una sola testimonianza che sia una, che fa menzione di questo popolo. Può essere che centinaia di migliaia di "palestinesi" abbiano combattuto eroicamente contro gli assiri, senza che questi se ne siano accorti? allo stesso tempo, però, i resoconti storici riportano diffusamente le battaglie contro gli israeliani. Insomma gli assiri notarono benissimo gli israeliano, ma non scorsero nemmeno un "palestinese".
Perché gli assiri non si imbatterono in nemmeno un palestinese? forse perché il re Sargon II era sionista. E che dire dei babilonesi? lo stesso mistero ci attende quando iniziamo a leggere i resoconti babilonesi circa la conquista del Regno di Giudea, avvenuta fra il 597 e il 582 a.C. Gli ebrei si scorgono in ogni pagina. E i palestinesi? niente, nemmeno una citazione isolata. Neanche i babilonesi si sono imbattuti in essi.

giovedì 7 novembre 2013

Belle e brave


Leah e Lara, sorelle gemelle, italiane, sono emigrate in Israele e si sono immediatamente arruolate nell'IDF, l'esercito difensivo dello stato ebraico.
Come si dice in questi casi, mazel tov!

mercoledì 30 ottobre 2013

È sempre il solito Israele che disturba i vicini

In Siria è ripreso il massacro degli oppositori, con la lista di vittime della repressione di Assad che torni ad allungarsi; in Libia è il caos. In Libano Hezbollah condiziona sempre più sensibilmente il governo, con le forze democratiche capitolate di fronte all'intransigenza degli estremisti sciiti di Hezbollah, partner privilegiato di Damasco. In Egitto la defenestrazione di Morsi avvenuta a luglio non ha placato i Fratelli Musulmani, e scontri fra islamici e militari, e fra simpatizzanti degli uni e degli altri, si susseguono a ritmo quotidiano. L'Iran adotta un politica del doppio binario: da un lato accarezza il pelo dell'Occidente, dall'altro lavora alacremente all'obiettivo della sua bella bomba atomica islamica, e secondo un ex esponente dell'AIEA mancherebbero addirittura soltanto un paio di settimane prima che l'ordigno nucleare sia terminato. A Gaza Hamas è sempre più in crisi, travolta da un lato dal crollo delle entrate (230 milioni di dollari al mese) conseguente alla distruzione dei tunnel illegali che la collegavano all'Egitto, fatti saltare in aria o allagati con liquami fognari dall'esercito del Cairo; dall'altro messa in ombra dal successo apparente di Abu Mazen, che in queste ore sta stringendo le mani sporche di sangue di vittime innocenti dei 26 terroristi palestinesi rilasciati da Gerusalemme, come seconda lacerante "prova di buona volontà" dopo quella di agosto.

lunedì 24 giugno 2013

Una pillola difficile da mandar giù

Amatori acciaccati dalla vita sedentaria e da una cucina ipercalorica, gioite! adesso per soddisfare la/le vostra/e partner, non sarà più necessario dilapidare i risparmi faticosamente accantonati; ne' ricorrere a quelle truffaldine farmacie online che vi promettono Viagra o Cialis a basso costo, recapitandovi delle pasticchette di solfato di calcio (gesso) o di idrossido d'alluminio (che fa bene quantomeno a chi soffre di acidità).
La buona notizia è che adesso è disponibile in Europa una versione generica, "non brandizzata" della famosa pillola blu che solleva le prestazioni sessuali dei maschietti. Il brevetto della Pfizer è infatti scaduto nel Regno Unito, in Germania, in Italia, in Svizzera e Olanda, fra gli altri. Così, il farmacista potrà proporre la versione più costosa del Viagra, o quella meno costosa, contenente lo stesso principio attivo. A voi la scelta.

giovedì 21 febbraio 2013

I palestinesi meritano uno stato?

di Dan Calic*

Con il presidente Obama atteso presto in Israele, mi permetto di formulare quella che per molti è una domanda retorica: ma i palestinesi, lo meritano uno stato autonomo? Obama e buona parte della comunità internazionale ritengono di sì. Ma se diamo un'occhiata da vicino alla situazione, scopriamo diversi aspetti che non vanno ignorati. Ad esempio, si tratterebbe di un vicino pacifico per Israele? migliore risposta non può che sopravvenire esaminando alcune linee guida dell'OLP e del Fatah, il partito dominante di cui Mahmoud Abbas è presidente.
Dallo stato dell'OLP in effetti apprendiamo: "...la fondazione dello stato di Israele è illegale" (articolo 19); "gli ebrei non costituiscono un singolo stato con un'identità autonoma" (articolo 20). Nello stato di Fatah leggiamo: "...la completa liberazione della Palestina, e lo sradicamente dell'esistenza economica, politica, militare e culturale sionista" (articolo 12); "la rivoluzione popolare armata è il metodo ineluttabile per liberare la Palestina" (articolo 17); "la lotta non si esaurirà fino a quando lo stato sionista sarà demolito, e la Palestina liberata completamente" (articolo 19). Sono questi obiettivi e finalità di uno stato pacifico?

venerdì 8 febbraio 2013

Difficile la vita dei giornalisti mediorientali

Che tristezza fanno i giornalisti italiani che si occupano di Medio Oriente. Lesti a celebrare prematuramente i fasti di una "primavera araba", salvo tacere imbarazzati ora che gli stessi arabi manifestano il loro dissenso nei confronti della nuova leadership islamica e salafita che ha preso il posto dei dittatori nazionalisti panarabi, in una riedizione in chiave moderna della Fattoria degli animali.
Quando poi dal Nord Africa ci si sposta propriamente verso il Mediterraneo Orientale, non può essere trattenuto il sorriso di commiserazione. Si tengono elezioni in Israele? bene, cioé male: anziché celebrare il rinnovo periodico degli organismi democratici, unico esempio nel Medio Oriente, si individuano gli elementi di colore, rimanendo spiazzati quando il parlamento si sposta verso il cento anziché verso la temuta destra. Israele compie passi da gigante nell'economia - è l'unica economia avanzata ad aver beneficiato negli ultimi cinque anni di un upgrade da parte dell'agenzia di rating Standard&Poor's - ha visto il reddito pro-capite dei cittadini (di tutti: anche quelli arabi) salire mediamente del 21.6% negli ultimi otto anni, passando da 18800 a 22900 dollari; compie progressi eccezionali nella desalinizzazione delle acque, nelle biotecnologie, nella ricerca sulle cellule staminali, nella medicina; ma in Italia i giornali si accorgono indignati soltanto della procace scollatura della signora Netanyahu, o della ragazzina prodigio che canta malgrado il parere contrario dei religiosi. Insomma, non potendo criticare il successo economico e sociale dello stato ebraico, si scende ai livelli di Cronaca Vera. E pazienza se qualche lettore si indigna e cerca di repirire altrove l'informazione.

martedì 4 dicembre 2012

Provo vergogna per il mio Paese

di Giulio Meotti*

Il 29 settembre 1938, lo stato cecoslovacco fu frammentato e privato dei confini difendibili sulla base degli "Accordi di Monaco". Sei mesi più tardi, abbandonato dagli alleati Francia e Regno Unito, e aggredito da Hitler, la Cecoslovacchia cedette e fu annientata. Al pari di come si fa oggi con Israele, i cecoslovacchi furono accusati di "intransigenza" e di essere "nemici della pace". E furono così scoraggiati, che alla fine scelsero di non combattere e di arrendersi. "Pace" era un modo per dire capitolazione. La stessa situazione che si presenta oggi.
La situazione della Cecoslovacchia del 1938 infatti è del tutto simile a quella di Israele nel 2012. Come l'IDF israeliano, i cechi all'epoca vantavano uno degli eserciti più efficienti d'Europa. Come Israele, la Cecoslovacchia era una nazione molto giovane ed effervescente. E come oggi molto occidentali premono su Israele affinché ceda a favore degli arabi, così allora i nazisti pretesero l'annesione dei Sudeti, in cui vivevano tre milioni di tedeschi.

domenica 19 agosto 2012

Israele: un totale cambio di prospettiva

La percezione di Israele è radicalmente mutata negli ultimi anni, grazie anche alle testimonianze dirette e alle cronache riportate da siti informativi e blog personali, come - molto, molto modestamente - questo. L'opinione pubblica, per anni falsamente orientata da media appiattiti su posizioni filo-arabe, sta lentamente mutando il giudizio sullo stato ebraico e sulla gente che vi vive (fra cui, è bene ricordarlo, 1/5 è arabo). Opera faticosa, ma che di tanto in tanto beneficia di una fresca ventata come quella apportata da queste quattro giovani turiste italiane. Le quali, giunte in Israele con il fardello di pregiudizi in dotazione all'italiano medio, hanno scoperto una terra vivace, brillante, aperta, tollerante e ospitale. Il contrario di quanto molti si affannano a propagandare in Occidente. A dirla tutta, questa testimonianza - che ci permettiamo di riportare, sperando di non contrariare alcuno - fa venire davvero voglia di preparare le valigie e prendere il primo biglietto per Tel Aviv...

Sono partita con due mie amiche per scoprire i segreti di questa terra così contrastata, e dipinta così erroneamente dai giornali. Siamo state tre giorni a Tel Aviv, abbiamo visitato il museo del design di Ron Arad a Holon, che definire spettacolare è poco (siamo tre architetti). Le spiagge sono grandi e piene di vita, piene di giovani, ma durante la settimana non troppo affollate. Le zone Bauhaus di tel Aviv sono molto belle e ben conservate, la città è viva e vibrante, sembra una NYC del medioriente, in alcune zone un pò decadente, ma viva, moderna, e umana, non ci siamo mai sentite in pericolo o sole.
Gli israeliani a Tel Aviv sono vulcanici, ospitali, coinvolgenti, li paragonerei agli spagnoli, ma con qualcosa di mitteleuropeo nella mentalità lavorativa, gente in gamba. Ci sono locali etero e gay, ristoranti di ogni genere, cinema, anche un sapore nordeuropeo in alcuni locali ricchi di cultura, una bellissimo museo di arte contemporanea e moderna, una bella opera house.
Siamo poi state in Galilea in un villaggio (moshav) che si chiama Ein Hod, fondato nel 1939 da immigrati polacchi e ungheresi, un luogo incantato, gallerie d'arte e di artigiani, persone accoglienti, serene, che credono veramente nella pace, bambini piccoli dappertutto, e soprattutto ciò che ci ha colpito è che definiscono gli arabi israeliani vicini di casa "i nostri fratelli di galilea". Non ho sinceramente rilevato tutto questo astio e quest'odio, anzi. Le verdi colline della Galilea, che guardano il mare, sono piene di villaggi arabi, ebraici o drusi.
Siamo poi state sul lago di Tiberiade sulle orme di Gesù, vedendo paesaggi mozzafiato, le chiese e i luoghi cristiani sono conservati benissimo, molto commovente la vista dal monte Tabor, i colori sono indescrivibili. Siamo state mezza giornata a Sfat, la città dei grandi cabbalisti, suggestiva, certo nella periferia c'è un pò di cemento di troppo, ma non quanto ne ho visto in Libano o Giordania, gli israeliani mi sembra ci tengano molto di più ai paesaggi e alla natura nelle città.
Nazareth è stata molto diversa da come ce l'aspettavamo, molto calda e gioiosa, ha una popolazione completamente araba, quindi le strade sono disordinate, c'è un'atmosfera più caotica, meno curata, e la chiesa è in cima in cima e non è ciò che ti aspettaresti dalla città natale di Gesù, l'ho trovata trascurata. Siamo riuscite a parlare con un assistente del sindaco, da sempre a Nazareth ci sono sindaci arabi, che ci ha spiegato che la popolazione araba ha sempre costruito senza un piano regolatore e gli ebrei vorrebbero imporgli più ordine e loro si battono per costruire spontaneamente senza logica.
Siamo poi state a Gerusalemme, la città dei mille contrasti, la città vecchia è un luogo che ti cambia la vita, divisa in quattro quartieri, c'è tutto il peso della storia, ci sono gli ebrei ortodossi, quelli laici, gli armeni, i musulmani, un luogo magico, con la cupola d'oro della grande moschea della roccia che riflette il rosa delle pietre. Siamo rimaste deluse perchè all'entrata della spianata delle moschee una delle nostre amiche che si chiama Rachele non è stata fatta passare da alcuni guardiani mussulmani perchè pensavano che fosse ebrea, e ci hanno detto che non vogliono che gli ebrei salgano sulla spianata. Allora nessuna di noi è salita, siamo rimaste molto male di questo, abbiamo chiesto spiegazioni e non ce le hanno date.
Il quartiere cristiano è molto suggestivo, anche se gli abitanti non sono molto socievoli, e all'interno del Santo Sepolcro ci sono tensioni religiose fra le varie denominazioni cristiane. Non esito a dire che la Gerusalemme vecchia è uno dei luoghi più fatati al mondo. La sera a Gerusalemme abbiamo trovato molto carini i locali della città nuova, cibo buono, gente gentile, atmosfera molto Europea, ci sentivamo a casa, gli israeliani sono informali, anche troppo diretti, ma sostanzialmente accoglienti, certo più spartani degli europei, ma la matrice europea si sente, ed è piacevole. E' veramente un crogiuolo di razze, provenienze, ormai mischiate dopo 4 generazioni, il popolo ebraico è all'avanguardia ma allo stesso tempo racchiude una storia che traspare dagli occhi.
Quello che più ci ha fatto piacere è che nessuno in 10 giorni ci ha chiesto se fossimo ebree o meno, non mi è sembrato un paese in cui la religione abbia un peso reale, almeno noi non abbiamo sentito alcuna differenza, più che altro ci chiedevano se eravamo single o meno! Una famiglia che abbiamo conosciuto in un ristorante ci ha invitate per la cena dello shabbat, il sabato ebraico, a casa loro. E' stata un'esperienza magica, canti, candele, inni di pace per tutta la terra (si lo so sembra ironico), cibo buono e soprattutto un'accoglienza calorosa di gente con il cuore in mano, e quando il padrone di casa ha saputo che eravamo cristiane ha letto un passo di un loro testo sacro che parlava del saggio Gesù e delle radici comuni, ci siamo commosse.
Siamo poi state sul Mar Morto a farci un giorno di fanghi e abbronzatura, l'autobus da Gerusalemme è diretto e molto semplice da utilizzare, abbiamo dormito al kibbuts Ein Gedi, e ci siamo chieste come gli israeliani siano stati capaci di fare letteralmente fiorire il deserto. Piante, serre, giardini, sorti sul deserto dal niente, la Giordania, che pure è bellissima, dall'altra parte del mar morto non ha una macchia verde, un giardino, e ci ha incuriosito molto il fenomeno.
Come in Giordania, in Israele abbiamo visto due città Nabatee nel deserto del Neghev e il cratere di Mitzpe Ramon con il suo incredibile paesaggio lunare, al tramonto il cielo s'infuoca, e si può fare un giro in jeep nel cratere, sembra di essere su un altro pianeta. Abbiamo dormito in un kibbutz molto spartano ma carino, dove vivono ingegneri che studiano sistemi innovativi per il fotovoltaico, e anche qui siamo finite a cena con delle famiglie poco abituate ai turisti, ma che ci hanno offerto da bere e mangiare a volontà. Israele è stata una felice scoperta, credo che una settimana basti per vedere bene il paese, la gente è davvero preziosa, tutto il contrario di cio' che si dice abitualmente, i giovani sono davvero di esempio per i nostri ragazzi, si laureano presto, lavorano in modo indefesso, sono giustamente ambiziosi e escono di casa a 18 anni. Il sogno di tutti è una famiglia, un lavoro, e la pace con i palestinesi.
Un paese moderno, un misto di archeologia e di alta tecnologia, dove la vita è più spartana, più semplice, ci sono meno fronzoli ma più sostanza a mio avviso. Non abbiamo incontrato povertà, non c'è neanche una grande ricchezza, non si notano molte differenze nei ceti sociali. Non abbiamo visto una sola macchina di lusso, tutte auto giapponesi, le donne si vestono come noi ci vestiamo al mare, gonne, magliette, top, informali, e alcuni uomini vanno addirittura a lavorare in bermuda! Un paese libero, aldilà del conflitto, un paese che è partito da zero e oggi è una vera oasi di vita. Consiglio questo viaggio a tutti.

Fonte: Turisti per caso.

lunedì 30 luglio 2012

Alla fine è stato osservato il silenzio

Sollievo per la decisione del CIO di osservare un momento di silenzio in occasione della cerimonia inaugurale della XXX Edizione delle Olimpiadi moderne. Rincrescimento per il fatto che non è stato fatto in memoria delle undici vittime dell'attentato terroristico palestinese che insanguinò le Olimpiadi di Monaco del 1972.
Slate riporta che in due momenti la cerimonia inaugurale è stata interrotta: per ricordare le vittime delle due guerre mondiali e degli altri conflitti combattuti sulla terra (legittime le proteste dei familiari delle vittime del cielo, dello spazio e degli abissi marini); e per "coloro che non possono essere qui in questo momento".
Smentito il principio ipocrita della presidenza Rogge, secondo cui la cerimonia non si prestava alla rimembranza. Il CIO si è ritagliato due momenti per ricordare. Per ricordarci quanto i morti possano essere differenti. Specie se vittime di un terrorismo che gode ancora di giustificazioni e coperture.
Dal presidente di un organismo internazionale, immortalato con i vessilli palestinese, era proprio quello che ci si poteva aspettare.

La pavida BBC, timorosa di indispettire una parte dell'utenza araba (mi rifiuto di credere che TUTTI gli arabi siano fiancheggiatori del terrorismo. Sono sicuro che diversi arabi avrebbero approvato un momento di rispetto per le vittime della brutalità e dell'odio), continua a rimestare la cloaca dell'ipocrisia e del politically correct. La famosa scheda informativa dello stato israeliano è stata ancora una volta emendata: la superficie è immutata: 22072 chilometri quadrati: quanto una regione italiana come la Puglia o il Piemonte (e questa dovrebbe essere la minaccia per il mondo arabo?!). Ma adesso campeggia una precisazione: quest'area include la capitale Gerusalemme e le alture del Golan, strappate alla Siria dopo la Guerra dei Sei Giorni. Ho controllato la scheda dell'Italia, attendendomi una simile precisazione a proposito della capitale Roma, strappata allo stato del Vaticano nel 1870, e di Trento e Trieste, notoriamente vinte all'Austria dopo un sanguinoso conflitto; senza successo. Fiducioso che giungerà puntuale la precisazione nei prossimi giorni. O vogliamo irritare i neoborbonici e non solo essi, che da sempre denunciano l'annesione forzosa del Mezzogiorno d'Italia da parte del regno sabaudo?

(H/t: Israellycool.com)

Malgrado l'ottuso rifiuto del CIO, le iniziative a sostegno della commemorazione delle vittime del brutale attentato a Monaco si sono andate moltiplicando nei giorni: domenica la delegazione italiana alle Olimpiadi di Londra ha ricordato i caduti dell'attentato terroristico palestinese del 1972 davanti alla sede israeliana presso il villaggio olimpico di Londra, mentre giovedì il capitano e i membri dell'equipaggio di un volo Easy Jet diretto a Tel Aviv, hanno osservato in volo un minuto di silenzio in onore degli atleti israeliani trucidati quarant'anni fa.

domenica 3 giugno 2012

Che ci fa Israele fra i paesi felici?

Il mondo è bello perché bizzarro, imprevedibile e spesso inspiegabile secondo la logica e la razionalità. Uno si aspetterebbe che la felicità risieda negli stati ricchi, con cittadini ricchi, dotati di servizi sociali efficienti, di materie prime abbondanti, di stati confinanti amichevoli e non belligeranti. E quasi sempre è così. Ma non sempre.
Alla candida domanda "quali sono gli stati al mondo più felici?" ti aspetteresti una risposta ovvia, scontata. Ed in effetti, secondo la classifica elaborata dall'OCSE sulla base del benessere economico, dei rapporti interpersonali e della salute ti ritrovi fra i primi dieci Danimarca, Svezia, Norvegia e Finlandia; Canada e Australia; Svizzera e Austria; ma, clamorosamente, al sesto posto Israele!
Ma come, subiscono attacchi tutti i giorni da nord (Hezbollah, in Libano) e da sud (Hamas, a Gaza); il West Bank è meno minaccioso da quando l'intifada è stata ridimensionata con la barriera difensiva; da ovest di tanto in tanto si affaccia qualche imbarcazione con armi e munizioni per i terroristi di Hamas, con la scusa di portare viveri e alimentari (scaduti) alla popolazione palestinese. E che ti combinano questi ebrei? si mostrano felici, anzi, felicissimi, come nessuno stato mediterraneo o se è per questo mondiale.
A Gerusalemme avranno di che esserne orgogliosi. Nei paesi arabi confinanti, avranno di che essere invidiosi. E si vede.

L'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) ha classificato diverse diecine di stati, sulla base di parametri legati al livello di istruzione, alla salute (aspettativa di vita e qualità delle prestazioni sanitarie) e all'occupazione. Malgrado la costante minaccia subita, il tasso di omicidi è in linea con la media OCSE, e il 70% degli israeliani si dichiara tranquillo quando la sera rincasa.
In un'altra classifica appena resa nota sulla competitività delle prime 59 economie al mondo, gli Stati Uniti si collocano al secondo posto, dietro la città-stato di Hong Kong; i soliti paesi nordici svettano in testa; la Germania si classifica al nono posto, l'Olanda è 11esima mentre Israele, 19esimo, precede di diverse lunghezze Irlanda, Austria, Corea del Sud, Cina, Giappone, Francia (29esima), Turchia, Spagna ed Italia, rispettivamente al 38°, 39° e 40° posto. Un grande traguardo per un'economia considerata "emergente" fino ad un paio di anni fa, e ora esempio per tutto il Medio Oriente e per il mondo industrializzato. La buona notizia, che spinge molti a praticare l'aliyah, è che benessere economico si associa qui a felicità e gioia di vivere.

domenica 27 maggio 2012

Ancora si parla di apartheid?

L'accusa di apartheid, che ancora oggi viene da taluni mossa nei confronti di Israele, fa ridere chi abbia un minimo di conoscenza della storia. Grottesco che si accusi lo stato ebraico di discriminazioni verso le minoranze; verso i neri: in uno stato che con le operazioni «Salomone» e «Mosé» è andato a prendersi i suoi neri in Etiopia e in Sudan; verso gli arabi, che rappresentano oltre il 20% della popolazione israeliana, e che partecipa pienamente e attivamente alla vita civile, politica e sociale di Israele.
Questa accusa, tanto superficiale quanto infame, poggia su una sciagurata risoluzione ONU del 1975, che considerava il Sionismo una forma di razzismo. Tale risoluzione è stata revocata dalle Nazioni Unite nel 1991; ma dopo più di vent'anni, quell'assurdo principio trova ancora ospitalità nelle menti di persone in malafade; sempre meno, onestamente. Ma sempre rumorose. Per questo, un paio di appunti possono giovare ad integrare quanto già detto in passato in questa sede.


di Dan Calic

Il termine "stato di apartheid", applicato ad Israele, ha guadagnato notorietà soprattutto dopo la pubblicazione nel 2006 del libro dell'ex presidente USA Jimmy Carter "Israele: pace, no apartheid". Il termine si riferisce alla condizione esistita in Sudafrica, dove una minoranza bianca pari al 20% della popolazione controllava la maggioranza nera attraverso un regime brutale e aggressivo, che includeva leggi segregazioniste e una polizia che sistematicamente picchiava e uccideva i neri godendo di impunità. I neri non godevano di diritto di voto e non potevano gestire attività commerciali.
Chi ha parlato di apartheid per Israele non ha colto il significato di questo termine, mancando di rilevare circostanze così fondamentali nel comparare queste realtà, che l'uso di questo termine risulta seriamente discutibile. Come si spiega il fatto che tutti i popoli chiamano "patria" la loro nazione, ma questo è giudicato razzismo se a farlo sono gli ebrei?
Un altro fatto taciuto riguarda gli arabi che vivono in Israele: ben contenti di farlo. Essi votano, hanno proprietà e attività commerciali, e non sanno cos'é la segregazione. Vivere in Israele è così allettante che in un paio di occasioni, quando l'Autorità Palestinese ha minacciato di annettere i quartieri orientali di Gerusalemme, l'ufficio israeliano per l'immigrazione è stato sommerso da richieste di arabi per ottenere la cittadinanza israeliana: nel timore di poter diventare cittadini arabi (palestinesi, NdT) dalla sera alla mattina.
Di converso, i neri del Sudafrica di sicuro non facevano la fila presso gli uffici governativi, costretti alla disperazione di essere soggiogati sotto il regime di apartheid. Qui l'apartheid era una escrescenza del Commonwealth britannico. Lo scopo era quello di garantire il controllo da parte dei bianchi. Nel caso di Israele la sua istituzione è stata garantito da un voto favorevole del 72% dei membri delle Nazioni Unite. Gli arabi nel frattempo avevano già ricevuto quasi il 90% delle terre originariamente ritagliato dal mandato britannico per farne la patria del popolo ebraico. Ma lungi dall'accettare una partizione estremamente vantaggiosa, gli arabi respinsero la proposta, e attaccarono Israele 24 ore dopo la proclamazione dello stato.

Da allora, la distruzione di Israele è stata l'ossessione del mondo arabo. Gruppi come l'OLP, Hamas, Fatah e Hezbollah sono stati costituiti, ciascuno con l'imperativo di distruggere Israele e sradicare il Sionismo, ben impresso nei rispettivi statuti. Da quando è stato proclamato lo stato ebraico, attacchi terroristici sono stati scagliati nei confronti delle famiglie israeliane. Fra il 1948 e il 1999, circa 2.000 israeliani hanno perso la vita per mano dei terroristi, per una media di 43 omicidi all'anno. Per sopperire a questo stillicidio, nel 2000 è stata avviata la costruzione della barriera di sicurezza: fu l'anno in cui partì la "seconda Intifada". Quell'anno vide una impennata delle morti di civili, da una media di 43 a 288 all'anno, fino al 2003, quando il primo stadio della costruzione della barriera di sicurezza fu portato a termine. Sembra che i detrattori di Israele trascurino questa escalation di uccisioni quando puntano il dito contro il "muro dell'apartheid"...
Oggi la barriera di protezione è completa per quasi il 70%, e il numero di attentati si è drasticamente ridotto. Ciò malgrado, i leader arabi continuano a lodare come eroi gli assassini, intitolando strade e piazze a loro nome. Quando una figura di spicco come il leader palestinese Mahmoud Abbas onora pubblicamente i terroristi omocidi, fa meraviglia che lo stato ebraico prenda contromisure per proteggere le proprie famiglie costruendo una barriera di sicurezza?
Nel tentativo di assicurare la sopravvivenza dell'unico stato al mondo per il popolo ebraico, di fronte agli arabi che sono teologicamente, politicamente e culturalmente impegnati nella sua distruzione, Israele è stato etichettato come "stato di apartheid". Per inciso, anche coloro che formulano questa accusa a loro volta si può dire che possano essere analogamente etichettati: come anti-semiti.

Fonte: Yedioth Ahronoth

mercoledì 28 marzo 2012

Hamas si prepara ad aggredire Israele



Secondo il giornale libanese al-Mustaqbal, vicino alle posizioni dell'ex premier di Beirut Saad Hariri, defenestrato per le pressioni di Hezbollah, timorosa di un giudizio negativo da parte del tribunale speciale per il Libano, che indaga sull'assassinio dell'ex primo ministro libanese, padre di Saad Hariri; lo scopo della recente visita di Ismail Haniyeh in Iran è stato quello di concordare una strategia fra Hamas e la repubblica islamica in caso di strike israeliano sulle installazioni nucleari iraniane. Lo rivela il quotidiano Yediot Ahronot nella sua versione online.
Hamas, l'organizzazione terroristica palestinese che governa Gaza dal 2006, ha perso posizioni dopo la crisi siriana. Dopo aver sgomberato da Damasco per timore di essere colpita dal collasso del regime di Assad, Hamas ha cercato invano una nuova sede definitiva, trovando ospitalità nel Qatar. Ci sono stati stridenti tensioni con l'Iran, che chiedeva all'enclave palestinese il pieno appoggio della brutale politica repressiva di Assad, ma il massacro di palestinesi nei dintorni di Damasco ha indotto Hamas a ritirare la sponsorizzazione del responsabile di oltre 9.000 morti (stime ONU). Così, Hamas ha perduto preziosi fondi, e la possibilità di una intesa con i rivali dell'ANP non ha migliorato la situazione finanziaria, vista anche la minaccia dell'Occidente di ritirare il supporto finanziario in caso di matrimonio fra l'entità nata dagli Accordi di Oslo e i terroristi che governano la Striscia.
Così, Hamas si è recata due volte in visita a Teheran, ottenendo subito preziosi fondi (33 milioni di dollari, tanto per incominciare), e concedendo l'impegno a trafugare a Gaza armi e munizioni, da impiegare nei confronti di Israele qualora lo stato ebraico dovesse decidere nelle prossime settimane di passare all'azione, superando i tentennamenti americani. Ma c'è tensione allo stesso interno dell'organizzazione terroristica: mentre Khaled Mashaal sostiene la strada diplomatica, ed esclude il ricorso alla ritorsione nei confronti di Israele, Ismail Haniyeh sono orientati ad accettare il legame con l'Iran e conseguentemente con la Siria; questo, anche per non essere scavalcati dagli ultrafondamentalisti della Jihad Islamica, che comincia a prendere piede nella Striscia, anche nel tentativo di cavalcare il crescente malcontento della popolazione, stremata dalla crisi energetica aggravata proprio dall'intransigenza di Hamas, che a Gaza fa entrare soltanto il combustibile di provenienza egiziana - su cui fa una lucrosa cresta - snobbando il gasolio provieniente da Israele, su cui non può imporre alcun pedaggio.