Malgrado gli Accordi di Pace del 1994, i rapporti fra Israele e Giordania sono sempre stati altalenanti. Da qualche mese la prospettiva di una partnership strategica basata sulla fornitura di gas naturale da Gerusalemme ad Amman, è stata messa in discussione dalla costante opera di disturbo del partito ideologico palestinista, ostile alla prospettiva di una definitiva normalizzazione fra i due stati bagnati dal Giordano.
Schizofrenia e alti e bassi non sono venuti meno di recente. Nelle ultime ore sono sopraggiunte due notizie fra esse contrastanti. Una testata giornalistica rivela come lo scorso 12 aprile Maher Abu Tair, autorevole editorialista del quotidiano giordano Al-Dustour, abbia stigmatizzato l'atteggiamento gelido da parte degli stati arabi nei confronti del regno hashemita. Al punto da spingere la Giordania nelle braccia di Israele: «la pura verità è che la Giordania non vanta più alcun alleato arabo, e al giorno d'oggi l'unico partner è Israele. Se gli arabi avessero voluto una Giordania forte, autonoma rispetto ad Israele, non l'avrebbero economicamente abbandonato, assediandolo politicamente al punto che la sua politica estera è diventata evanescente.
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martedì 28 aprile 2015
Israele e Giordania: amici o nemici?
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martedì 17 settembre 2013
Il regno di Giordania non si vende al Qatar
Notizia passata inosservata (anzi: non pubblicata, in Italia. Siamo affetti da "benaltrismo": abbiamo ben altro a cui pensare). Il Qatar (proprietario di Al Jazeera, del Paris Saint Germain, di Harrod's, sponsor del Barcellona, organizzatore dei Mondiali di Calcio 2022, eccetera) ha offerto centinaia di milioni di dollari al Regno di Giordania affinché ospitasse la sede ufficiale di Hamas.
Hamas è un'organizzazione terroristica palestinese che fino ad un paio di anni fa risiedeva non a Gaza, che pur governa; ma in Siria. Poi il genocidio di Assad, con migliaia di palestinesi trucidati, ha convinto gli estremisti a smontare le tende, trovando sede temporanea prima nello stesso Qatar, e poi in Egitto.
Siccome tutti simpatizzano per i terroristi, ma nessuno è disposto a tenerseli in casa, Hamas è ancora alla ricerca di una sede. E siccome la Corea del Nord è troppo lontana, il Venezuela pure, e in Iran non tutti i gerarchi sono d'accordo nell'andarvi, si sono rivolti ai generosi finanziatori qatarioti; che hanno formulato la proposta al re di Giordania. Il quale ha sdegnatamente rifiutato.
Hamas è un'organizzazione terroristica palestinese che fino ad un paio di anni fa risiedeva non a Gaza, che pur governa; ma in Siria. Poi il genocidio di Assad, con migliaia di palestinesi trucidati, ha convinto gli estremisti a smontare le tende, trovando sede temporanea prima nello stesso Qatar, e poi in Egitto.
Siccome tutti simpatizzano per i terroristi, ma nessuno è disposto a tenerseli in casa, Hamas è ancora alla ricerca di una sede. E siccome la Corea del Nord è troppo lontana, il Venezuela pure, e in Iran non tutti i gerarchi sono d'accordo nell'andarvi, si sono rivolti ai generosi finanziatori qatarioti; che hanno formulato la proposta al re di Giordania. Il quale ha sdegnatamente rifiutato.
mercoledì 29 agosto 2012
L'ipocrisia dei "filo-palestinesi"
di Hisham Jarallah
Un centinaio di attivisti "filo-palestinesi", provenienti da diversi paesi, sono atterrati in Giordania negli ultimi giorni. Gli attivisti:
- non sono arrivati in Giordandia visitare o aiutare i profughi palestinesi o siriani, che vivono in condizioni deprimenti al confine fra Giordania e Siria;
- ne' per raccogliere informazioni di prima mano sui massacri quotidiani che si registrano nella vicina Siria. Fosse stato questo il loro intento, i "filo-palestinesi" avrebbero potuto intervistare diecine di siriani e palestinesi che hanno subito la violenza del regime siriano, ascoltando storie terrificanti su come l'esercito di Assad macella i civili, inclusi donne e bambini;
- ne' per prostare contro la politica ufficiale del regno di Giordania di discriminazioni ai danni dei palestinesi: un argomento che solleva dure condanne dagli stessi giordani;
- ne' per manifestare contro la recente decisione del governo di imporre dure restrizioni alla libertà di informazione;
- ne' per apprendere delle dure condizioni in cui versano i palestinesi nei campi profughi in Giordania;
- ne' per protestare contro la decisione del governo giordano di revocare la cittadinanza a diecine di migliaia di palestinesi;
- ne' per apprendere come migliaia di palestinesi siano stati espulsi negli ultimi anni dall'Arabia Saudita e da altri stati arabi;
- ne' per protestare contro la condizione dellla sotto il regime di Hamas nella Striscia di Gaza;
- ne' per protestare contro il trattamentto riservato dall'Autorità Palestinese a giornalisti e blogger.
E non sono atterrati in Giordania perché hanno programmato una visita in Libano, per accertarsi delle condizioni di apartheid in cui vivono i palestinesi, e delle restrizioni che impediscono loro di accedere a diverse professioni.
Al contrario, questi militanti hanno speso centinaia di migliaia di dollari in una missione il cui unico obiettivo e di provocare Israele; disinteressandosi dei palestinesi.
Gli attivisti sono arrivati in Giordania nell'ambito del programma "Benvenuti in palestina", con cui si chiede il "diritto al ritorno" per milioni di palestinesi ai villaggi e alle città in cui hanno vissuto i loro nonni e bisnonni.
Sono arrivati in Giordania sapendo che Israele non avrebbe consentito loro di attraversare l'Allenby Bridge per entrare nel West Bank. Ciononostante, sono volati in Giordania per poter poi accusare Gerusalemme di aver loro impedito di esprimere solidarietà ai palestinesi.
Gli organizzatori di queste campagne ostili nei confronti di Israele sostengono che il loro intento è quello di donare oggetti di cancelleria ai bambini palestinesi. Ma chi ha mai detto loro che i bambini del West Bank siano privi di zainetti, matite e righelli? nemmeno l'Autorità Palestinese o l'UNRWA ha mai denunciati la carenza di questi oggetti.
Ancora una volta, risulta evidente che alcuni americani ed europei che sostengono di essere "filo-palestinesi" sono in realtà solamente odiatori di Israele. Questi attivisti hanno un conto aperto con Israele. Per essi, la questione palestinese è solo un mezzo per vomitare il loro odio verso Israele, ossia verso gli ebrei. E' il vecchio antisemitismo adeguato ai tempi moderni.
Per molti di essi, i leader palestinesi come Mahmoud Abbas e Salam Fayyad sono traditori, poiché affermano di credere nella soluzione "due stati per due popoli", sforzandosi di cooperare con il governo israeliano.
I palestinesi hanno bisogno del supporto di persone che credono nella democrazia, nella moderazione e nella coesistenza con Israele. E' giunta l'ora che i "filo-palestinesi" lascino in pace i palestinesi, e cerchino un altro pretesto per avanzare il loro messaggio di odio e di violenza.
Fonte: Gatestone Institute
Un centinaio di attivisti "filo-palestinesi", provenienti da diversi paesi, sono atterrati in Giordania negli ultimi giorni. Gli attivisti:
- non sono arrivati in Giordandia visitare o aiutare i profughi palestinesi o siriani, che vivono in condizioni deprimenti al confine fra Giordania e Siria;
- ne' per raccogliere informazioni di prima mano sui massacri quotidiani che si registrano nella vicina Siria. Fosse stato questo il loro intento, i "filo-palestinesi" avrebbero potuto intervistare diecine di siriani e palestinesi che hanno subito la violenza del regime siriano, ascoltando storie terrificanti su come l'esercito di Assad macella i civili, inclusi donne e bambini;
- ne' per prostare contro la politica ufficiale del regno di Giordania di discriminazioni ai danni dei palestinesi: un argomento che solleva dure condanne dagli stessi giordani;
- ne' per manifestare contro la recente decisione del governo di imporre dure restrizioni alla libertà di informazione;
- ne' per apprendere delle dure condizioni in cui versano i palestinesi nei campi profughi in Giordania;
- ne' per protestare contro la decisione del governo giordano di revocare la cittadinanza a diecine di migliaia di palestinesi;
- ne' per apprendere come migliaia di palestinesi siano stati espulsi negli ultimi anni dall'Arabia Saudita e da altri stati arabi;
- ne' per protestare contro la condizione dellla sotto il regime di Hamas nella Striscia di Gaza;
- ne' per protestare contro il trattamentto riservato dall'Autorità Palestinese a giornalisti e blogger.
E non sono atterrati in Giordania perché hanno programmato una visita in Libano, per accertarsi delle condizioni di apartheid in cui vivono i palestinesi, e delle restrizioni che impediscono loro di accedere a diverse professioni.
Al contrario, questi militanti hanno speso centinaia di migliaia di dollari in una missione il cui unico obiettivo e di provocare Israele; disinteressandosi dei palestinesi.
Gli attivisti sono arrivati in Giordania nell'ambito del programma "Benvenuti in palestina", con cui si chiede il "diritto al ritorno" per milioni di palestinesi ai villaggi e alle città in cui hanno vissuto i loro nonni e bisnonni.
Sono arrivati in Giordania sapendo che Israele non avrebbe consentito loro di attraversare l'Allenby Bridge per entrare nel West Bank. Ciononostante, sono volati in Giordania per poter poi accusare Gerusalemme di aver loro impedito di esprimere solidarietà ai palestinesi.
Gli organizzatori di queste campagne ostili nei confronti di Israele sostengono che il loro intento è quello di donare oggetti di cancelleria ai bambini palestinesi. Ma chi ha mai detto loro che i bambini del West Bank siano privi di zainetti, matite e righelli? nemmeno l'Autorità Palestinese o l'UNRWA ha mai denunciati la carenza di questi oggetti.
Ancora una volta, risulta evidente che alcuni americani ed europei che sostengono di essere "filo-palestinesi" sono in realtà solamente odiatori di Israele. Questi attivisti hanno un conto aperto con Israele. Per essi, la questione palestinese è solo un mezzo per vomitare il loro odio verso Israele, ossia verso gli ebrei. E' il vecchio antisemitismo adeguato ai tempi moderni.
Per molti di essi, i leader palestinesi come Mahmoud Abbas e Salam Fayyad sono traditori, poiché affermano di credere nella soluzione "due stati per due popoli", sforzandosi di cooperare con il governo israeliano.
I palestinesi hanno bisogno del supporto di persone che credono nella democrazia, nella moderazione e nella coesistenza con Israele. E' giunta l'ora che i "filo-palestinesi" lascino in pace i palestinesi, e cerchino un altro pretesto per avanzare il loro messaggio di odio e di violenza.
Fonte: Gatestone Institute
lunedì 28 maggio 2012
Una soluzione per i profughi palestinesi
E' in discussione al Senato americano un disegno di legge la cui approvazione definitiva farebbe cambiare sensibilmente la questione mediorientale e i rapporti fra mondo arabo e Israele.
Come è noto, alla fine del 1947 le Nazioni Unite ripartirono l'ex protettorato britannico palestinese - ricevuto in consegna dopo la dissoluzione dell'impero ottomano di inizio anni '20 - in due stati: uno arabo, e uno ebraico. Gli ebrei accettarono la partizione, e l'anno successivo proclamarono lo stato di Israele. Gli arabi non accettarono la decisione storica, e convinsero gli arabi che vivevano nel neonato stato a riparare negli stati confinanti, prima di scatenare un conflitto che si risolse l'anno successivo in una bruciante sconfitta.
Gli arabi che ripararono in Egitto, in Libano, in Siria, in Giordania e in Iraq furono sistemati in campi profughi nei quali hanno vissuto per lunghi decenni. Senza diritti, senza cittadinanza - unico caso al mondo - senza possibilità di integrarsi nella società, di frequentarne le scuole, di praticarne le istituzioni. Cittadini di serie B a tutti gli effetti. I 6-700 mila arabi del 1948 sono diventati milioni. Così tanti, che l'ONU ha previsto una apposita agenzia: l'UNRWA. Un gigante burocratico che amministra fondi e li versa ai profighi palestinesi. Caso eclatante: a differenza dei profughi di tutti gli altri stati al mondo, i figli e i figli dei figli hanno conservato lo status di rifugiato.
Ma le più nobili intenzioni ad un certo punto si scontrano con la dura realtà. Mantenere 5 milioni di palestinesi costa. Un'impresa impossibile. I figli dei figli a loro volta si riproducono, e il conto delle bocche da sfamare e degli impiegati necessario per tenere il conto si moltiplica a perdita d'occhio. E' per questo che un senatore dell'Illinois ha presentato una proposta di legge che distingue fra gli arabi che lasciarono Israele nel 1946-48, e tutti coloro che sono nati successivamente. Il consistente contributo americano all'UNRWA (più di un miliardo di dollari) sarebbe da prevedersi soltanto per i primi. Ma in questo caso, l'investimento umanitario si ridimensionerebbe sensibilmente: a 30 mila dollari annui. I discendenti di chi si fece convincere dagli stati arabi belligeranti dovrebbero convincere gli stati ospitanti - come la Giordania, dove un terzo della popolazione vanta lo status di rifugiato - a concedere finalmente la cittadinanza a tutti gli effetti. Non a caso, Amman sta premendo sul Senato americano, in compagnia del Dipartimento di Stato, affinché la legge non venga promulgata.
Si tratterebbe di una svolta epocale. I profughi palestinesi non potrebbero essere più impiegati come arma nei confronti di Israele. Mancando un importante fonte di reddito, essi sarebbero indotti ad integrarsi negli stati arabi che da decenni ne ospitano la discendenza, senza riconoscere loro cittadinanza, a differenza di quanto si fa in ogni stato al mondo nei confronti dei figli degli emigranti. Il cosiddetto "diritto al ritorno", ancora oggi sbandierato dalla dirigenza palestinese come pre-condizione all'instaurazione di negoziati bilaterali, cesserebbe d'un tratto, e finalmente si potrebbe discutere di mutuo e pieno riconoscimento, di confini e - perché no? - di collaborazione economica e sociale.
Auguriamoci che la proposta di legge conosca una rapida approvazione. Dopo decenni di umiliazioni - l'Autorità Palestinese ha chiarito in passato che i profughi ospitati nei suoi campi (come quello di Betlemme, mostrato nella foto) non diventeranno mai suoi cittadini, nemmeno quando un giorno nascerà lo stato di Palestina, accanto a quello di Israele - di privazioni, di rinunce, forse il prossimo futuro farà assistere alla cessazione di questa vergognosa strumentalizzazione.
Come è noto, alla fine del 1947 le Nazioni Unite ripartirono l'ex protettorato britannico palestinese - ricevuto in consegna dopo la dissoluzione dell'impero ottomano di inizio anni '20 - in due stati: uno arabo, e uno ebraico. Gli ebrei accettarono la partizione, e l'anno successivo proclamarono lo stato di Israele. Gli arabi non accettarono la decisione storica, e convinsero gli arabi che vivevano nel neonato stato a riparare negli stati confinanti, prima di scatenare un conflitto che si risolse l'anno successivo in una bruciante sconfitta.
Gli arabi che ripararono in Egitto, in Libano, in Siria, in Giordania e in Iraq furono sistemati in campi profughi nei quali hanno vissuto per lunghi decenni. Senza diritti, senza cittadinanza - unico caso al mondo - senza possibilità di integrarsi nella società, di frequentarne le scuole, di praticarne le istituzioni. Cittadini di serie B a tutti gli effetti. I 6-700 mila arabi del 1948 sono diventati milioni. Così tanti, che l'ONU ha previsto una apposita agenzia: l'UNRWA. Un gigante burocratico che amministra fondi e li versa ai profighi palestinesi. Caso eclatante: a differenza dei profughi di tutti gli altri stati al mondo, i figli e i figli dei figli hanno conservato lo status di rifugiato.
Ma le più nobili intenzioni ad un certo punto si scontrano con la dura realtà. Mantenere 5 milioni di palestinesi costa. Un'impresa impossibile. I figli dei figli a loro volta si riproducono, e il conto delle bocche da sfamare e degli impiegati necessario per tenere il conto si moltiplica a perdita d'occhio. E' per questo che un senatore dell'Illinois ha presentato una proposta di legge che distingue fra gli arabi che lasciarono Israele nel 1946-48, e tutti coloro che sono nati successivamente. Il consistente contributo americano all'UNRWA (più di un miliardo di dollari) sarebbe da prevedersi soltanto per i primi. Ma in questo caso, l'investimento umanitario si ridimensionerebbe sensibilmente: a 30 mila dollari annui. I discendenti di chi si fece convincere dagli stati arabi belligeranti dovrebbero convincere gli stati ospitanti - come la Giordania, dove un terzo della popolazione vanta lo status di rifugiato - a concedere finalmente la cittadinanza a tutti gli effetti. Non a caso, Amman sta premendo sul Senato americano, in compagnia del Dipartimento di Stato, affinché la legge non venga promulgata.
Si tratterebbe di una svolta epocale. I profughi palestinesi non potrebbero essere più impiegati come arma nei confronti di Israele. Mancando un importante fonte di reddito, essi sarebbero indotti ad integrarsi negli stati arabi che da decenni ne ospitano la discendenza, senza riconoscere loro cittadinanza, a differenza di quanto si fa in ogni stato al mondo nei confronti dei figli degli emigranti. Il cosiddetto "diritto al ritorno", ancora oggi sbandierato dalla dirigenza palestinese come pre-condizione all'instaurazione di negoziati bilaterali, cesserebbe d'un tratto, e finalmente si potrebbe discutere di mutuo e pieno riconoscimento, di confini e - perché no? - di collaborazione economica e sociale.
Auguriamoci che la proposta di legge conosca una rapida approvazione. Dopo decenni di umiliazioni - l'Autorità Palestinese ha chiarito in passato che i profughi ospitati nei suoi campi (come quello di Betlemme, mostrato nella foto) non diventeranno mai suoi cittadini, nemmeno quando un giorno nascerà lo stato di Palestina, accanto a quello di Israele - di privazioni, di rinunce, forse il prossimo futuro farà assistere alla cessazione di questa vergognosa strumentalizzazione.
martedì 22 novembre 2011
L'ex occupante ritorna in Cisgiordania
Il re di Giordania - lo stato che dal 1948 al 1967 ha occupato militarmente gli attuali territori palestinesi e i quartieri orientali di Gerusalemme - è in visita in questi giorni proprio a Ramallah, capitale del futuro (?) stato di Palestina. Il leader dell'ANP, arroccato a Ramallah dopo la sconfitta in seno alle Nazioni Unite, sta meditando di accettare la corte interessata della fazione rivale di Hamas, il cui leader Khaled Mashaal si incontrerà con il re Abdullah ad Amman nelle prossime settimane.
L'abbraccio fra Al Fatah e Hamas, oltre a radicalizzare ulteriormente la dirigenza palestinese, rimuovendo la parvenza di "moderazione" che vantava l'amministrazione di Abu Mazen, sancirà con ogni probabilità un ulteriore allontanamento di una prospettiva di pace. Non a caso l'amministrazione Obama e la comunità internazionale giudicano negativamente la possibilità di un governo unitario: non prima che siano accettate le tre fondamentali istanze del riconoscimento dei trattati precedentemente sottoscritti fra Israele e palestinesi, la rinuncia alla lotta armata e il riconoscimento dello stato di Israele.
Non sorprende che il sovrano giordano - purtroppo parente diretto ma lontano erede di quel re Hussein che coraggiosamente sottoscrisse gli accordi di pace con Israele, pur senza precondizioni o riconoscimenti territoriali di sorta - pressato dalla rivolta nella vicina Siria, appoggi il proposito palestinese di ottenere il riconoscimento internazionale in spregio agli Accordi di Oslo e addirittura con la pretesa di una capitale a Gerusalemme "Est". La visita a Ramallah, per la prima volta dopo 11 anni, allenta le pressioni interne, le scarica all'esterno, ma poco potrà per una soluzione definitiva del conflitto fra Israele e palestinesi.
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giovedì 1 settembre 2011
Le iniziative dell'AP di settembre danneggeranno i rifugiati
Sebbene l'impressione fra molto israeliani sia che il mondo arabo sostenga il piano dell'Autorità Palestinese di dichiarare unilateralmente uno stato arabo nei territori di Giudea, Samaria e Gerusalemme, forzando una ratifica ONU in tal senso, la verità è che molti stati arabi di fatto si oppongono a questo piano. E fra questi a gran voce si colloca la Giordania, che arriva a minacciare un voto contraria quando l'assemblea generale dell'ONU si esprimerà in merito.
Secondo un giornale saudita di martedì, la Giordania ha confermato la sua opposizione al piano dell'AP, con il re Abdullah II che d'altro canto ha più volte espresso il suo parere difforme al leader dell'AP Mahmoud Abbas; inutilmente, dal momento che Abbas continua ad ignorare la posizione in merito di Abdullah, con grande irritazione di questi.
La Giordania sostiene che l'approvazione da parte dell'ONU di uno stato palestinese in assenza di negoziazioni con Israele farebbe perdere ai discendenti dei profughi del 1948 ogni possibilità di ritornare nelle case delle loro famiglie, o di ricevere per esse una ricompensa: "i rifugiati sono gli unici che soffriranno", ha rimarcato Abdullah in un recente messaggio, recapitato ad Abbas mediante un diplomatico di un altro stato arabo.
Israele non intende discutere su questo punto, alla luce della violazione degli Accordi di Oslo da parte dell'AP, e ciò libera lo stato degli ebrei da ogni impegno ulteriore nei confronti dei palestinesi: è questa la tesi sostenuta da Abdullah. "I rifugiati sono la cosa più importante, ed essi perderebbero ogni diritto se l'AP dovesse arrivare a dichiarare unilateralmente uno stato".
In un'intervista alla radio israeliana, il vice primo ministro Moshe Ya'alon ha rilevato come la Giordania non sia l'unico stato arabo ad opporsi ai piani dell'AP: "nelle prossime settimane sono sicuro che sentiremo altre voci di condanna dell'operato di Abbas. L'unica strada percorribile è quella di un ritorno al tavolo dei negoziati".
Circa i due terzi della popolazione della Giordania è composta da palestinesi: un numero superiore ai beduini che inizialmente popolarono lo stato e alla famiglia dei hascemiti. I palestinesi cercarono di conquistare la Giordania nel 1970 (il cosiddetto Settembre Nero), ma la famiglia regnante respinse l'offensiva con pugno di ferro.
Fonte: Israel National News
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