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martedì 22 maggio 2012

La malafede allontana la pace


Il judoka palestinese qualificato all'Olimpiade
E senza aiutini: «È una pagina storica»

Per quale motivo il Comitato Organizzatore delle Olimpiadi di Londra 2012 invita "per onor di bandiera" atleti palestinesi, e non usa lo stesso metro generoso nei confronti di atleti kurdi, del Kossovo, dell'Ossezia del Sud e di Cipro del Nord?
Perché, dal momento che la Palestina non esiste, se non come entità geografica, non certo come stato?
Pazienza per lo spirito olimpico andato in frantumi, e pazienza per le popolazioni degli altri non-stati, figli di un dio minore. Pazienza per le deroghe, lo sport ha smesso da tempo di essere un gioco, e non sarà un problema per nessuno fornire ospitalità a cinque giovani arabi che forse non hanno mai messo il naso fuori dalle loro scomode città. Poco fa ho evidenziato un bellissimo quanto microscopico gesto di integrazione fra arabi ed ebrei, fra palestinesi ed israeliani, che rappresenta un timido germoglio di pacifica convivenza. Ma l'ottusità e la malafede lo ha già spazzato via.
Diversi atleti palestinesi, residenti nel West Bank, si allenano da tempo e in armonia in Israele. Si potrebbe argomentare che la montagna di milioni di dollari che arrivano dall'Occidente sono inghiottiti dalla corruzione dilagante dell'Autorità Palestinese, al punto che non ci sono soldi nemmeno per comprare un pallone, quando si potrebbero costruire interi stadi. Lo stesso Maher Abu Rmeileh, che apprendiamo ha conquistato per meriti l'accesso alle Olimpiadi, è di Gerusalemme Est. Una città che non esiste. Esiste Gerusalemme, che è la capitale di Israele, per cui Abu Rmeileh è un arabo israeliano, come un milione di arabi residenti felicemente nello stato ebraico. Che senso ha fare confusione? calcolo politico?
Forse è per questo che, come sottolinea compiaciuto il perfido Battistini, Londra si è rifiutata di ricordare, anche solo per un minuto, le undici vittime della strage perpetrata nel 1972 a Monaco dai terroristi palestinesi dell'OLP di Arafat - di cui, ricorda il Corriere, era consigliere Jibril Rajoub, oggi a capo dello sport nei Territori, "che ormai crede più nei judoka che nei jihadisti". Undici atleti, israeliani, che avevano conquistato le Olimpiadi per meriti e per pacifica appartenenza alla comunità internazionale, il cui sogno fu spezzato dai kalashnikov dei terroristi di Settembre Nero. Non tanto perché ormai sono passati quarant'anni - 'che altrimenti la commemorazione dei defunti dovrebbe essere stata cancellata da tempo dal calendario; ma «per non imbarazzare gli arabi».
Assurdo. Raccappricciante. Inquietante: come se si evitasse di stigmatizzare il nazismo davanti alla signora Merkel, nel timore di disturbarla. Come se gli arabi possano avere qualcosa in contrario nel commemorare le vittime del terrorismo. Come se si avallasse la tesi secondo cui i residenti arabi di Londra simpatizzino indistintamente per i criminali. Come se gli arabi e i musulmani siano tutti terroristi. No, caro Battistini: non è solo Israele a voler ricordare le vittime di una carneficina premeditata. A volerlo è tutto il mondo civile. A cui Lei non è degno di appartenere.

sabato 18 giugno 2011

Come è caduto in basso il Corriere...



Spiace constatate come si sia ridotto il (una volta) glorioso Corriere della Sera...

In un articolo apparso ieri, Dario Di Vico - che fino a due anni fa era addirittura il vicedirettore del Corriere - cita il "parlamento" di Tel Aviv.
Ora, va bene che si parlava di federalismo, e che questo scivolone forse è fatto inconsciamente per piacere la Lega, che il suo parlamento lo reclama da tempo; ma a quanto mi risulta a Tel Aviv un parlamento non c'è mai stato.
Forse si riferiva alla Knesset, il parlamento israeliano che in effetti si trova a Gerusalemme, capitale di Israele.

lunedì 18 aprile 2011

Neanche buoni per pulircisi il sedere



- muore un ragazzo di 16 anni in seguito alle ferite al capo riportate dopo che lo scuolabus su cui si trovava è stato colpito da un razzo teleguidato palestinese (teleguidato al laser: si intendeva proprio colpire lo scuolabus che lo ospitava; e per puro caso poco prima erano scesi quasi tutti i passeggeri), e sui giornali non c'è traccia;
- due palestinesi confessano di aver massacrato nel sonno una famiglia israeliana, aggiungendo che inizialmente non s'erano accorti della bimba di tre mesi, poi mentre stavano fuggendo la piccola ha incominciato a piangere e nel timore di essere scoperti sono tornati sui loro passi, sgozzando anche lei ("anche neonata, è ebrea anche lei", hanno confessato); e anche di questo i giornali questa mattina non parlano;
- eruttano feccia invece per farci sapere che saranno tenuti funerali "di stato" (di uno stato che non esiste) di un tizio che prendeva per il culo mezzo mondo - io appartengo all'altra metà - con la storiella del "restiamo umani", e nel frattempo si compiaceva di vedere morire i dirimpettai; forse perché coerentemente con il suo credo erano ritenuti non umani, ma "diabolici", o "ratti";
- e se non bastasse la stampa, ci (mi) trafiggono le immagini di una mamma che non ha nemmeno una lacrima per il figlio morto, ma soltanto sete di sangue. Di un sangue ben preciso...

Ho rimosso da due giorni il Corriere della Sera dai Preferiti dell'Explorer. Ripugnante.

P.S.: "Gli israeliani non hanno mai voluto Arrigoni da vivo", dice la mamma Egidia Beretta. Vero. Ma prima o poi si dovrà rendere conto che quegli altri l’hanno voluto morto" (Christian Rocca).
Questione di punti di vista, c'è chi ama la vita, e chi osanna la morte. Specie quella degli altri.

sabato 16 aprile 2011

La guerra sbagliata del "pacifista" nemico di Israele



Purtroppo questo intervento del vicedirettore del Corriere compensa soltanto in parte la sbandata antisionista di ieri, con l'intervento ancora una volta scomposto di Battistini. Ho lo stomaco in subbuglio per la retorica da quattro soldi spesa per un amichetto dei terroristi che chiamava ratti gli israeliani (anzi, i "sionisti"), e che se la faceva tutti i giorni con gli sgherri di Hamas. Malgrado i tentativi patetici dei filopalestinesi di respingere la nemesi che ha colpito il loro caro, non riesco a provare nemmeno una umana pietà.

Si stenta persino a capire in quali abissi di bestialità possano essere piombati gli uomini che hanno trucidato Vittorio Arrigoni a Gaza. Quali giustificazioni può avere l’enormità disumana del loro gesto? E invece il fanatismo folle ha questo di peculiare: il trattare gli esseri umani come oggetti da torturare, se la Causa lo impone. Il sacrificare gli innocenti, se il sangue versato può essere utile alla guerra santa. Perciò il corpo martoriato di Arrigoni suscita pietà due volte. Pietà per il rito cruento che lo ha barbaramente annientato. Pietà per lo sgomento e la disillusione che Arrigoni deve aver provato negli ultimi momenti della vita, prima di essere ucciso da chi era stato il destinatario, ingrato, del proprio impegno e del proprio aiuto. Eppure l’efferatezza dell’esecuzione di Arrigoni ha una sua logica, un’allucinata ma coerente sequenza politica e ideologica in grado di ispirare un gesto così vigliacco. Arrigoni aveva consacrato se stesso alla causa palestinese, con un’adesione totalizzante, assoluta, mistica, senza riserve, dubbi, sfumature. Una causa che ai suoi occhi si identificava con un odio altrettanto assoluto nei confronti dello Stato di Israele, descritto e demonizzato nel suo blog come l’espressione di ogni nefandezza, la manifestazione di uno scandalo storico che non ammetteva mediazioni e non concedeva nulla, ma proprio nulla, alle ragioni del Nemico. «Demonizzazione» , in questo caso, è più di una metafora. Nel suo blog Arrigoni invocava la dannazione per i «demoni sionisti» che agitavano gli orrori dello «Stato ebraico» . Aveva trattato Roberto Saviano, colpevole di aver aderito a una manifestazione a difesa di Israele, come un «propagandista dei crimini» . Definiva il sionismo «disgustoso» . Scomunicava al Fatah come una centrale di «venduti alla causa di Israele» . Condannava Shimon Peres come un mostro che «bruciava bambini con il fosforo bianco» . Non aveva mezze misure, chiaroscuri, sfumature. Ha detto una volta: «Io i libri di Yehoshua, Grossman e Oz non li leggo perché sono sporchi di sangue» . Proprio così: «Sporchi di sangue» . Oggi dobbiamo provare pietà per come lo hanno ucciso, ma Arrigoni non aveva pietà per Gilad Shalit, il giovane israeliano ostaggio da oltre 1700 giorni dei carcerieri di Hamas, e diceva che gli appelli per Shalit «intasano l’etere» , moleste e ripetitive invocazioni per salvare una vita. «Restiamo umani» , amava dire Arrigoni. Ma certe volte il fanatismo ideologico ispira ineluttabilmente parole disumane. E troppa disumanità ha macchiato un conflitto interminabile come quello che da decenni impegna il Medio Oriente. Lui con le ragioni di Hamas si identificava in toto. E gli era difficile immaginare che un gruppo terroristico ancora più oltranzista, feroce, sanguinario avrebbe potuto scavalcare in fanatismo chi incarnava le ragioni del «popolo palestinese» . La sua furia per ciò che riteneva il Bene supremo e non negoziabile era tale, da non riconoscere come centrale dell’identità storica contemporanea il Male che si era abbattuto sugli ebrei, vittime di un crimine enorme e imprescrittibile. Oggi, all’indomani di un omicidio tanto barbaro, sarebbe tuttavia disonesto, in primo luogo per il rispetto dovuto alla memoria di Arrigoni, offrire per la vittima del fanatismo un ritratto angelicato, falso, edulcorato. Sarebbe un’impostura, come quella di chi ha addirittura proposto il premio Nobel con cui insignire post mortem il militante filo-palestinese assassinato: perché Vittorio Arrigoni non era un pacifista, era un fiero e coraggioso combattente di una guerra per la quale si era generosamente speso con tutto se stesso. Era il combattente di una guerra sbagliata, ma questo non può diminuire l’ammirazione per la sua dedizione. Oggi, nei siti filo-palestinesi intossicati da un complottismo irriducibile, circola ovviamente la leggenda della responsabilità di Israele (e della Cia e del Mossad) per il rapimento e l’assassinio di Arrigoni. La spregiudicatezza falsificatrice di queste ricostruzioni grottesche è pari alla cronica incapacità di scorgere che anche nella parte da loro considerata «giusta» possa annidarsi il virus della violenza cieca e bestiale, del fanatismo disumano di chi conosce solo il linguaggio del Terrore. Israele è il colpevole di tutto, per definizione, e dunque anche del massacro di Arrigoni. È il Male, per definizione, e dunque è solo la sua malvagità ad aver armato la mano degli assassini. «Restiamo umani» , invocava Arrigoni nei suoi scritti. Purché nell’umanità di chi ne rivendica l’eredità la menzogna sistematica non prenda il posto della saggezza. E un nuovo fanatismo metta a tacere la pietà per un uomo strozzato da mani che forse credeva amiche. Una tragedia, che i complottisti non hanno il diritto di ridurre a una farsa.