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giovedì 25 gennaio 2018
Voltiamo pagina: basta parlare di "soluzione dei due stati"
Abu Mazen ha ragione: è tempo di cestinare gli Accordi di Oslo del 1993, che per la prima volta nella storia hanno generato un embrione di stato palestinese, oltre ad un vistoso solco nelle casse statali delle democrazie mondiali: febbrilmente impegnate a foraggiare copiosamente un nuovo stato, mai nato, in buona parte per la cinica riluttanza del ceto dirigenziale palestinese.
Quegli Accordi, che contemplavano alfine la creazione di uno stato palestinese, come punto di arrivo di negoziati bilaterali; hanno generato aspettative malriposte da ambo le parti, frustrazione, lutti, arricchimenti dei clan legati prima ad Arafat, poi ad Abu Mazen; copiosi investimenti in sicurezza da parte di Gerusalemme, e fiumi e fiumi di stantia retorica nel resto del mondo.
La diplomazia deve realizzare il mutamento avvenuto sul campo. Isolato e privo di argomenti, Abu Mazen è sempre più determinato ad avventurarsi lungo il sentiero integralista di Hamas, rivendicando tutto Israele, partendo dalla negazione dei legami fra la sua capitale e la storia trimillenaria degli ebrei, e arrivando ad inventare di sana pianta una "storia del popolo palestinese", ignorando l'assenza di qualsivoglia testimonianza vagamente storicizzata che risalga a prima del 1967.
Si potrà dubitare della buona fede della dirigenza israeliana, qualsiasi colore politico si sia avvicendato alla guida dello stato ebraico; ma è innegabile che tutte le offerte provenute da Gerusalemme - incluse quelle generosissime, imperdibili del 2000-2001 e del 2007-2008 - sono state fermamente rimandate al mittente. Paradossalmente, siamo giunti alla conclusione che gli israeliani potrebbero consegnare ai palestinesi le chiavi di tutte le rispettive case, ottenendone uno sgarbato diniego, derivante dalla consapevolezza che il giorno successivo per la corrotta burogerontocrazia palestinese non ci sarà più alcuna offensiva da scatenare.
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giovedì 23 novembre 2017
Trump: ai palestinesi non basta concedere il 99%
I palestinesi se la sono menata di nuovo. Stavolta, perché pare che l'amministrazione Trump non ha sposato la loro tesi a proposito del conflitto arabo-israeliano. Sono adirati perché sospettano che l'amministrazione Trump non intenda costringere Israele ad accettare tutte le loro richieste.
La faccenda è postas in questi termini: «se non sei con noi, sei contro di noi. Se non accetti integralmente le nostre rivendicazioni, se un nostro nemico; pertanto, di te non ci possiamo fidare, e non ti riconosciamo come arbitro imparziale nella controversia».
La settimana scorsa sono trapelate voci secondo cui il presidente Trump sta lavorando ad un piano di pace organico in Medio Oriente. Ignoti sono al momento i dettagli del piano. Tuttavia, è certo che il progetto non accoglie tutte le richieste palestinese. D'altro canto, nessun piano di pace lo potrebbe.
Le richieste palestinesi sono quanto mai irrealistiche: includendo, tra l'altro, la richiesta che milioni di "rifugiati" palestinesi (in realtà i superstiti fra coloro che lasciarono Israele nel 1948 sono oggi circa 30 mila, NdT) siano accolti in Israele, e che lo stato ebraico rinunci a territori a favore di un futuro stato palestinese, arroccandosi all'interno di confini indifendibili, che collocherebbero Tel Aviv nel mirino di Hamas.
L'autorità palestinese e il suo leader, l'82enne Mahmoud Abbas, ora giunto al dodicesimo anno di presidenza del suo mandato quadriennale; continua ad insistere che non accetteranno nulla che non contempli uno stato palestinese, sovrano ed indipendente, con i quartieri orientali di Gerusalemme adibiti a capitale, e con i territori strappati da Israele alla Giordania dopo la Guerra dei Sei Giorni del 1967, che rientrino nella giurisdizione palestinese. Anche nell'improbabile ipotesi che Abbas firmi un qualche accordo, sussiste la concreta possibilità che un domani non troppo lontano un altro capo gli subentri, stracciando l'accordo e dichiarandone la nullità; poiché sottoscritto da un presidente irregolare.
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domenica 19 novembre 2017
I palestinesi non l'hanno presa bene, e ora minacciano gli USA
Non l'hanno presa granché bene.
Come è noto, ieri l'amministrazione Trump ha annunciato il mancato rinnovo della licenza che consente all'OLP di mantenere negli Stati Uniti un ufficio di rappresentanza. Un modo diplomatico per prendere le distanze da un'organizzazione responsabile del rifiuto di tutte le proposte di pace pervenute da Gerusalemme negli ultimi decenni.
In un video pubblicato su Twitter Saab Erekat, capo negoziatore e segretario generale dell'OLP ha adottato toni fermi ma minacciosi, dichiarando «inaccettabile» la decisione americana, e aggiungendo: «se chiuderanno ufficialmente la nostre sede di Washington DC, cesseremo tutti nostri contatti diplomatici con l'amministrazione americana».
Pochi giorni prima, il Congresso USA aveva approvato una legge che vincola le sovvenzioni americane all'eliminazione di ogni forma di supporto a favore delle famiglie dei terroristi palestinesi. Ancora oggi, difatti, malgrado le rassicurazioni di facciata, una larga fetta dei contributi internazionali è impiegata per sussidiare i palestinesi - e relative famiglie - che compiano atti di terrorismo ai danni dei civili israeliani.
venerdì 25 agosto 2017
Clamoroso: la Casa Bianca accantona la "soluzione dei due stati"
Clamorosa dichiarazione del Dipartimento di Stato USA.
Senza mezzi termini o giri di parole, il portavoce della diplomazia USA, Heather Nauert, ha dichiarato che la "soluzione dei due stati per due popoli" non è l'obiettivo della corrente amministrazione della Casa Bianca. Frustrata e indisposta dalle menzogne seriali di Abu Mazen, dal continuo incoraggiamento del terrorismo palestinese, dall'impiego di ingenti fondi internazionali per sovvenzionare gli attentatori suicidi; la presidenza Trump ha compreso che il massimo obiettivo correntemente conseguibile, è un accordo di pace fra le parti (israeliani e palestinesi, NdR), che non necessariamente conduca ad un riconoscimento statuale.
Abu Mazen a Washington ha fatto una pessima impressione, non fornendo mai la sensazione che fosse vagamente disposto a mettere da parte l'incitamento alla violenza. Nella capitale americana hanno realizzato che l'obiettivo dei "due stati" non è condiviso nemmeno da Ramallah, che nei fatti, nelle dichiarazioni e persino nei documenti ufficiali, persegue un solo obiettivo: uno stato unico, palestinese, a danno dell'esistente stato ebraico, di cui persino si disconosce l'esistenza e la legittimità. Ha colpito gli osservatori la sconsolata affermazione della Nauert, secondo cui il perseguimento della soluzione dei "due stati", «dopo diversi decenni, è fallito».
Senza mezzi termini o giri di parole, il portavoce della diplomazia USA, Heather Nauert, ha dichiarato che la "soluzione dei due stati per due popoli" non è l'obiettivo della corrente amministrazione della Casa Bianca. Frustrata e indisposta dalle menzogne seriali di Abu Mazen, dal continuo incoraggiamento del terrorismo palestinese, dall'impiego di ingenti fondi internazionali per sovvenzionare gli attentatori suicidi; la presidenza Trump ha compreso che il massimo obiettivo correntemente conseguibile, è un accordo di pace fra le parti (israeliani e palestinesi, NdR), che non necessariamente conduca ad un riconoscimento statuale.
Abu Mazen a Washington ha fatto una pessima impressione, non fornendo mai la sensazione che fosse vagamente disposto a mettere da parte l'incitamento alla violenza. Nella capitale americana hanno realizzato che l'obiettivo dei "due stati" non è condiviso nemmeno da Ramallah, che nei fatti, nelle dichiarazioni e persino nei documenti ufficiali, persegue un solo obiettivo: uno stato unico, palestinese, a danno dell'esistente stato ebraico, di cui persino si disconosce l'esistenza e la legittimità. Ha colpito gli osservatori la sconsolata affermazione della Nauert, secondo cui il perseguimento della soluzione dei "due stati", «dopo diversi decenni, è fallito».
giovedì 5 maggio 2016
Ucciso attivista palestinese. La sua colpa: collaborava con gli israeliani
Baha Nabata, era un'attivista palestinese di 31 anni. Marito, e padre di due figli. È stato ucciso lunedì sera nel campo profughi di Shuafat, alla periferia di Gerusalemme, raggiunto da una pioggia di proiettili esplosa da sicari dileguatisi poi in sella ad una motocicletta.
La comunità locale piange una persona onesta, seria, e coraggiosa. Perché ha avuto l'ardire di tentare di migliorare le condizioni di vita degli ospiti del discusso campo profughi situato fra la periferia orientale della capitale israeliana, e il West Bank. Meir Margalit, ex consigliere del partito di estrema sinistra Meretz, e collaboratore di Baha Nabata, ha rivelato che l'attivista palestinese temeva per la sua vita, a causa delle numerose minacce subite: era accusato di tradimento, di collaborazionismo con il nemico. La sua colpa consisteva nei contatti che aveva istituito con la municipalità di Gerusalemme, con cui lavorava nel tentativo di risolvere i problemi del campo profughi, migliorando le condizioni di vita dei palestinesi ivi residenti: costruendo strade e via d'accesso, istituendo un pronto intervento sanitario e addestrando la popolazione a fronteggiare un'eventuale incendio, in collaborazione con i vigili del fuoco di Gerusalemme.
La comunità locale piange una persona onesta, seria, e coraggiosa. Perché ha avuto l'ardire di tentare di migliorare le condizioni di vita degli ospiti del discusso campo profughi situato fra la periferia orientale della capitale israeliana, e il West Bank. Meir Margalit, ex consigliere del partito di estrema sinistra Meretz, e collaboratore di Baha Nabata, ha rivelato che l'attivista palestinese temeva per la sua vita, a causa delle numerose minacce subite: era accusato di tradimento, di collaborazionismo con il nemico. La sua colpa consisteva nei contatti che aveva istituito con la municipalità di Gerusalemme, con cui lavorava nel tentativo di risolvere i problemi del campo profughi, migliorando le condizioni di vita dei palestinesi ivi residenti: costruendo strade e via d'accesso, istituendo un pronto intervento sanitario e addestrando la popolazione a fronteggiare un'eventuale incendio, in collaborazione con i vigili del fuoco di Gerusalemme.
venerdì 19 febbraio 2016
I palestinesi hanno abortito il processo di pace
In un curioso annuncio del "ministro degli Esteri" dell'autorità palestinese Riyad Malki, reso ad una conferenza stampa a Tokyo il 15 febbraio scorso, nell'ambito di una visita di Mahmoud Abbas in Giappone; Malki ha affermato, stando a quanto riportato da Times of Israel, che «non torneremo più indietro per sederci al tavolo dei negoziati diretti fra israeliani e palestinesi».
Molti dipingerebbero questa affermazione come ennesimo esempio della solita propaganda ed arroganza palestinese, nel momento in cui il mondo è in una certa misura stanco di assistere a questi continui tira e molla dei palestinesi, nel tentativo di orientar l'opinione pubblica globale a proprio favore.
Ciò appare evidente quando, al contempo, la leadership palestinese si mostra categoricamente indisposta a ritornare al tavolo dei negoziati, preferendo prodigarsi nello sforzo di aggirare il processo negoziale.
In aggiunta, la leadership palestinese continua sfacciatamente e ad un certo punto anche orgogliosamente a sostenere e incoraggiare la campagna delegittimatoria del BDS contro Israele nei campi commerciali e culturali, impegnandosi in un incitamento quotidiano che produce violenza e morte di ebrei ed israeliani.
Molti dipingerebbero questa affermazione come ennesimo esempio della solita propaganda ed arroganza palestinese, nel momento in cui il mondo è in una certa misura stanco di assistere a questi continui tira e molla dei palestinesi, nel tentativo di orientar l'opinione pubblica globale a proprio favore.
Ciò appare evidente quando, al contempo, la leadership palestinese si mostra categoricamente indisposta a ritornare al tavolo dei negoziati, preferendo prodigarsi nello sforzo di aggirare il processo negoziale.
In aggiunta, la leadership palestinese continua sfacciatamente e ad un certo punto anche orgogliosamente a sostenere e incoraggiare la campagna delegittimatoria del BDS contro Israele nei campi commerciali e culturali, impegnandosi in un incitamento quotidiano che produce violenza e morte di ebrei ed israeliani.
lunedì 14 settembre 2015
Davvero gli insediamenti israeliani sono un ostacolo alla pace?
di Alan Dershowitz*
Davvero la politica israeliana finalizzata alla costruzione di edifici ad uso residenziale in un'area nota come West Bank, è il motivo principale per cui non si raggiunge una pace definitiva fra Gerusalemme e palestinesi? la risposta a questa domanda, nonostante tutto il clamore sollevato a proposito dei cosiddetti "insediamenti" è: NO. Gli insediamenti israeliani nel West Bank non sono il principale ostacolo ad un accordo di pace. Il collocare la questione in un contesto storico lo chiarirà appieno.
Per due decenni prima del giugno 1967, il West Bank - inclusa parte di Gerusalemme - è ricaduto sotto il controllo della Giordania. Durante questo arco di tempo, durante il quale Israele non ha detenuto alcun insediamento, si sono consumati diversi attentati terroristici contro lo stato nazione del popolo ebraico. In altre parole, i palestinesi hanno compiuto attacchi terroristici nei confronti di Israele, quando non esisteva alcun insediamento; e hanno continuato su questa strada, quando ci sono stati gli insediamenti. Se domani Israele si ritirasse da tutti gli insediamenti nel West Bank, è molto improbabile che le cose cambierebbero. Infatti, se la storia è maestra, il terrorismo ai danni di Israele aumenterebbe.
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mercoledì 18 marzo 2015
Il ruolo dell'Autorità Palestinese nel successo di Netanyahu
di Alan M. Dershowitz*
Chi in questo momento è contrariato per l'affermazione elettorale del primo ministro Benjamin Netanyahu su Campo Sionista, dovrebbe attribuire buona parte del merito della svolta a destra di Israele ai legittimi responsabili: l'Autorità Palestinese (AP).
Israele ha offerto ai palestinesi almeno due volte, negli ultimi quindici anni, straordinarie condizioni per pervenire alla soluzione dei "due stati". La prima volta nel 2000-2001, quando Ehud Barack e Bill Clinton offrirono ai palestinesi più del 90% del West Bank e l'intera Striscia di Gaza, con Gerusalemme capitale (dello stato palestinese, NdT). Yasser Arafat response l'offerta e avviò la Seconda Intifada, che provocò 4000 vittime. Questa ferita autoinflitta dal capo dell'AP contribuì in modo significativo all'indebolimento dello schieramento pacifista israeliano, e in modo particolare del Labor Party di Barak. La coalizione che ha sfidato il Likud, emanazione di questo Labor Party, ha continuato a soffrire di questa sindrome.
Di nuovo nel 2007. Ehud Olmer offrì ai palestinesi una soluzione ancora più generosa, alla quale Mahmoud Abbas fallì nel corrispondere. Questa debacle contribuì ancora di più all'indebolimento dello schieramento progressista in Israele, e al rafforzamento della Destra.
Chi in questo momento è contrariato per l'affermazione elettorale del primo ministro Benjamin Netanyahu su Campo Sionista, dovrebbe attribuire buona parte del merito della svolta a destra di Israele ai legittimi responsabili: l'Autorità Palestinese (AP).
Israele ha offerto ai palestinesi almeno due volte, negli ultimi quindici anni, straordinarie condizioni per pervenire alla soluzione dei "due stati". La prima volta nel 2000-2001, quando Ehud Barack e Bill Clinton offrirono ai palestinesi più del 90% del West Bank e l'intera Striscia di Gaza, con Gerusalemme capitale (dello stato palestinese, NdT). Yasser Arafat response l'offerta e avviò la Seconda Intifada, che provocò 4000 vittime. Questa ferita autoinflitta dal capo dell'AP contribuì in modo significativo all'indebolimento dello schieramento pacifista israeliano, e in modo particolare del Labor Party di Barak. La coalizione che ha sfidato il Likud, emanazione di questo Labor Party, ha continuato a soffrire di questa sindrome.
Di nuovo nel 2007. Ehud Olmer offrì ai palestinesi una soluzione ancora più generosa, alla quale Mahmoud Abbas fallì nel corrispondere. Questa debacle contribuì ancora di più all'indebolimento dello schieramento progressista in Israele, e al rafforzamento della Destra.
giovedì 29 gennaio 2015
Gaza: la prossima guerra passa dagli abusi su minori
Sono 20 in totale le risoluzioni di condanna di Israele adottate dall'assemblea generale dell'ONU (UNGA) nel corso della sessione 2014-2015; e soltanto 3, le risoluzioni adottate nei confronti di tutti gli altri stati al mondo: Siria, dove la guerra civile degli ultimi quattro anni ha mietuti circa 250.000 vittime, Corea del Nord e Iran. Risoluzioni peraltro sempre sussurrate e balbettanti. Non una singola parola di condanna è stata espressa per gli abusi sistematicamente commessi in Cina, a Cuba, in Egitto, nel Pakistan, in Russia, nell'Arabia Saudita, nel Sudan, nello Yemen e in diecine di stati dove i diritti umani sono calpestati, dove le minoranze sono ostracizzate, dove le donne sono emarginate, dove i gay sono malmenati, dove gli oppositori sono incarcerati, dove i giornalisti sono intimiditi, dove i bambini sono sfruttati e educati all'odio e alla guerra.
domenica 28 dicembre 2014
Il conflitto israelo-palestinese, in poche parole
Un'associazione israeliana ha organizzato una visita in Israele e nel West Bank per 37 bambini palestinesi che hanno perso un genitore questa estate durante la Guerra di Gaza. I bambini, i cui padri erano perlopiù appartenenti all'organizzazione terroristica Hamas, caduti nel tentativo di uccidere gli israeliani, avrebbero dovuto incontrarsi con coetanei israeliani in comunità residenti nei pressi del confine con la Striscia di Gaza, avrebbero dovuto visitare uno zoo, e per essi era prevista un'audizione a Ramallah al cospetto del presidente dell'Autorità Palestinese. Il governo di Gerusalemme aveva rilasciato i permessi di ingresso per i bambini e per cinque accompagnatori adulti, e la visita era stata coordinata con le autorità israeliane.
Stamattina, mentre le associazioni israeliane attendevano i bambini con regali e dolcetti, il gruppo è stato bloccato poco prima della frontiera da Hamas, che ha sostenuto di aver disposto la revoca del viaggio perché esporrebbe i bambini a "normalizzazione"; un modo per definire il mutuo riconoscimento e la comprensione fra israeliani e palestinesi.
«Questi bambini un giorno potrebbero governare Gaza. A quel punto avrebbero ricordato questo viaggio e compreso che potremmo vivere in pace, fianco al fianco», ho sospirato uno degli organizzatori. «Questo viaggio avrebbe potuto rappresentare un enorme abbraccio per essi».
L'odiosa crudeltà di Hamas - che non risparmia i bambini orfani dei padri ad essi affiliati - è sconcertante, ma non sorprendente. La differenza fra noi ed essi non potrebbe essere più lampante.
Dalla pagina Facebook di Avi Mayer.
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martedì 9 settembre 2014
Le notizie che non interessano a nessuno
Hamas non doveva scomodarsi nel dettare ai giornalisti internazionali le linee guida sul corretto comportamento da assumere a Gaza: i media sono già sbilanciati di loro, e non farebbero nulla - salvo poche lodevoli eccezioni - per mettere in cattiva luce i fondamentalisti islamici che dal 2007 detengono il potere a Gaza. Inutile cercare prove della loro condotta riprovevole su stampa e TV, che praticano sistematicamente una sorta di autocensura preventiva.
Così, dopo averci frantumato i benedetti sui danni collaterali provocati dai bombardamenti israeliani a Gaza durante la Guerra dei 50 giorni; si apprende oggi - e la fonte è decisamente credibile: le Nazioni Unite! - che gli strike dell'aviazione israeliana hanno vantato precisione chirurgica nel colpire le installazioni terroristiche; risparmiando le strutture civili circostanti. Meno del 5% del territorio è stato interessato dai bombardamenti dell'IAF, mentre le zone più popolose di Gaza e dintorni sono risultate sorprendentemente intatte o danneggiate in misura trascurabile. Un resoconto asciutto e incontestabile; eppure, non trova menzione sulla stampa ufficiale.
Così, dopo averci frantumato i benedetti sui danni collaterali provocati dai bombardamenti israeliani a Gaza durante la Guerra dei 50 giorni; si apprende oggi - e la fonte è decisamente credibile: le Nazioni Unite! - che gli strike dell'aviazione israeliana hanno vantato precisione chirurgica nel colpire le installazioni terroristiche; risparmiando le strutture civili circostanti. Meno del 5% del territorio è stato interessato dai bombardamenti dell'IAF, mentre le zone più popolose di Gaza e dintorni sono risultate sorprendentemente intatte o danneggiate in misura trascurabile. Un resoconto asciutto e incontestabile; eppure, non trova menzione sulla stampa ufficiale.
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mercoledì 14 maggio 2014
Kerry e Indyk hanno spinto Abbas fra le braccia di Hamas
di Harold Rhode e Joseph Raskas*
I palestinesi sostengono che per i musulmani, i territori palestinesi si estendono dal fiume (Giordano) al mare (Mediterraneo): includendo tutto l'attuale Israele. Secondo il loro punto di vista, Tel Aviv sarebbe un territorio illegalmente occupato, al pari degli insediamenti ebraici nel West Bank. Questa visione è corroborata dalla visione musulmana, profondamente radicata nella giurisprudenza islamica denominata Waqf, secondo cui ogni territorio una volta sotto il controllo dei musulmani, deve essere per sempre controllato da musulmani. Secondo il diritto islamico, «Se una persona rende qualcosa "Waqf", essa cessa di essere di proprietà di quella persona, e ne' egli ne' chiunque altro può donarla o venderla ad altre persone».
Sfortunatamente, la premessa sulla quale si poggiavano i negoziati promossi dagli americani - capeggiati dal Segretario di Stato John Kerry e dall'inviato speciale Martin Indyk - è in completa antitesi con la premessa sulla quale si basano i negoziati in Medio Oriente. Gli americani sembrano credere che tutti i problemi siano risolvibili: se non si consegue una soluzione, vuol dire che non si è provato abbastanza. Generalmente, sono preparati a raggiungere un compromesso su alcuni temi, per conseguire aspetti specifici a cui sono maggiormente interessati. Quando ambo le parti raggiungono l'intesa, gli americani generalmente sono pronti a mettere da parte i vecchi accordi. Fornendo concessioni, nessuna delle parti rischia di compromettere la propria reputazione. Ma in Medio Oriente non funziona così: questa concezione è inammissibile in una logica da "chi vince si prende tutto" che domina in questa parte del mondo.
I palestinesi sostengono che per i musulmani, i territori palestinesi si estendono dal fiume (Giordano) al mare (Mediterraneo): includendo tutto l'attuale Israele. Secondo il loro punto di vista, Tel Aviv sarebbe un territorio illegalmente occupato, al pari degli insediamenti ebraici nel West Bank. Questa visione è corroborata dalla visione musulmana, profondamente radicata nella giurisprudenza islamica denominata Waqf, secondo cui ogni territorio una volta sotto il controllo dei musulmani, deve essere per sempre controllato da musulmani. Secondo il diritto islamico, «Se una persona rende qualcosa "Waqf", essa cessa di essere di proprietà di quella persona, e ne' egli ne' chiunque altro può donarla o venderla ad altre persone».
Sfortunatamente, la premessa sulla quale si poggiavano i negoziati promossi dagli americani - capeggiati dal Segretario di Stato John Kerry e dall'inviato speciale Martin Indyk - è in completa antitesi con la premessa sulla quale si basano i negoziati in Medio Oriente. Gli americani sembrano credere che tutti i problemi siano risolvibili: se non si consegue una soluzione, vuol dire che non si è provato abbastanza. Generalmente, sono preparati a raggiungere un compromesso su alcuni temi, per conseguire aspetti specifici a cui sono maggiormente interessati. Quando ambo le parti raggiungono l'intesa, gli americani generalmente sono pronti a mettere da parte i vecchi accordi. Fornendo concessioni, nessuna delle parti rischia di compromettere la propria reputazione. Ma in Medio Oriente non funziona così: questa concezione è inammissibile in una logica da "chi vince si prende tutto" che domina in questa parte del mondo.
sabato 10 maggio 2014
In Medio Oriente occorre ora realismo
di Emanuele Ottolenghi*
L'ennesimo tentativo di Obama di persuadere Israele e Autorità Palestinese (ANP) a raggiungere uno storico accordo di pace è svanito. Prevedibilmente, adesso è iniziato il gioco del rimpallo di responsabilità. Aggiungendo un altro capitolo all'arcinoto copione di insuccessi in Medio Oriente, stavolta l'amministrazione Obama ha scelta di sposare la reazione istintiva dell'alleato europeo puntando il dito contro Gerusalemme, nel momento in cui Israele ha pubblicamente biasimato il segretario di Stato USA Jon Kerry.
Senza dubbio ogni tentativo ha le sue qualità peculiari: il consueto mix di tempistica scellerata, scontro di personalità ed eventi esogeni imponderabile che rendono ogni round di negoziati argomento di riflessioni, dibattiti, resoconti e recriminazioni. Tuttavia ci sono degli elementi che accomunano questi tentativi, se si prescinde da nomi e date: oggi l'inviato speciale USA Martin Indyk, in passato George Mitchell; ma dinamiche, opposizioni e conclusioni sono sempre le medesime.
L'ennesimo tentativo di Obama di persuadere Israele e Autorità Palestinese (ANP) a raggiungere uno storico accordo di pace è svanito. Prevedibilmente, adesso è iniziato il gioco del rimpallo di responsabilità. Aggiungendo un altro capitolo all'arcinoto copione di insuccessi in Medio Oriente, stavolta l'amministrazione Obama ha scelta di sposare la reazione istintiva dell'alleato europeo puntando il dito contro Gerusalemme, nel momento in cui Israele ha pubblicamente biasimato il segretario di Stato USA Jon Kerry.
Senza dubbio ogni tentativo ha le sue qualità peculiari: il consueto mix di tempistica scellerata, scontro di personalità ed eventi esogeni imponderabile che rendono ogni round di negoziati argomento di riflessioni, dibattiti, resoconti e recriminazioni. Tuttavia ci sono degli elementi che accomunano questi tentativi, se si prescinde da nomi e date: oggi l'inviato speciale USA Martin Indyk, in passato George Mitchell; ma dinamiche, opposizioni e conclusioni sono sempre le medesime.
mercoledì 7 maggio 2014
I palestinesi non hanno mai inteso perseguire la pace

La "politica del salame" - tagliarne una fetta sottile alla volta, fino a farne rimanere poco o niente - ha consegnato a Ramallah diverse diecine di criminali, liberati dalla carceri di Gerusalemme e glorificati al loro ritorno in patria, oltre a molte cambiali in bianco sottoscritte in questi mesi da un ingenuo Occidente. Era puerile credere che l'intesa strategica annunciata fra Al Fatah e gli estremisti di Hamas fosse maturata nel giro di poche ore: quelle successive al rifiuto di Abu Mazen di prolungare i negoziati agli sgoccioli, in cambio della disponibilità israeliana di liberare l'ultima tranche di detenuti. Da buon giocatore di poker, il presidente eletto nove anni fa alla presidenza dell'ANP e mai più sottopostosi al giudizio degli elettori, giocava su due tavoli: ad uno fingeva di discutere con le controparti, cercando di aumentare ad ogni giro la posta per prendere tempo; all'altro concordava l'intesa con gli integralisti islamici che governano col terrore dal 2007 la Striscia di Gaza.
domenica 4 maggio 2014
Brevi dal Medio Oriente
Le speranze di pace fra israeliani e palestinesi sono state cinicamente affossate dall'intransigenza di Abu Mazen, che da un lato ha disatteso gli impegni dello scorso anno aderendo ad una serie di organizzazioni internazionali, e dall'altro ha imposto nuove irricevibili condizioni per continuare sterilmente a discutere con Gerusalemme. Ma ciò non impedisce al piccolo stato ebraico di cimentarsi in piccoli gesti quotidiani di buona volontà.
Un giovane palestinese questa mattina è stato soccorso dalla polizia di frontiera, dopo essersi procurato una frattura nel tentativo di entrare illegalmente in Israele scavalcando la recizione di confine. Il tentativo maldestro, compiuto da altezza considerevole, è finito male: con una gamba rotta e una copiosa emorragia, provvidenzialmente contenuta dal pronto intervento di un medico dell'esercito israeliano. L'intervento ha salvato la vita al giovane, che cercava di raggiungere Gerusalemme per cercare lavoro.
Un giovane palestinese questa mattina è stato soccorso dalla polizia di frontiera, dopo essersi procurato una frattura nel tentativo di entrare illegalmente in Israele scavalcando la recizione di confine. Il tentativo maldestro, compiuto da altezza considerevole, è finito male: con una gamba rotta e una copiosa emorragia, provvidenzialmente contenuta dal pronto intervento di un medico dell'esercito israeliano. L'intervento ha salvato la vita al giovane, che cercava di raggiungere Gerusalemme per cercare lavoro.
domenica 6 aprile 2014
Abbattuto il processo di pace, Abu Mazen tenta il bluff. Ma ci casca solo Kerry...
Benché manchino ancora alcune settimane alla data che sancirà la conclusione dei negoziati fra israeliani e palestinesi - sponda Washington; nessuno crede davvero che il processo di pace possa mai (ri)partire, dopo l'affondamento provocato da Abu Mazen con la decisione di iscrivere l'ANP ad una serie di organismi e trattati internazionali, disattendendo i pre-accordi concordati lo scorso luglio prima di questa ennesima occasione per perdere tempo, e per dis-perdere anidride carbonica nell'atmosfera. Al povero Kerry, frustrato, e smanioso più di apparire finalmente come qualcosa di più del "marito della signora Heinz", che di realmente conseguire un Premio Nobel per la Pace in verità sbiadito da qualche anno; non resta che fare marcia indietro evitando ulteriori figuracce. Mancando anche l'obiettivo minimo di una "pace in Medio Oriente" a cui alla vigilia non credeva nessuno che conosce un pochino le faccende che ruotano attorno al Fiume Giordano. È un nuovo smacco per l'amministrazione Obama - ma questa volta il più scaltro Barack Hussein ha mantenuto una posizione defilata, evitando un diretto coinvolgimento che avrebbe appannato ulteriormente il suo prestigio: dopo il discorso del Cairo che ha aperto le porte al fondamentalismo islamico in Egitto (peraltro mai seriamente aberrato da Obama, il quale al contrario ha reagito con stizza alla defenestrazione di Morsi; e sì che vanta rapporti perlomeno indiretti con l'estremismo sunnita); dopo aver assistito impotente a diversi quanto beffardi varchi della mitica "linea rossa" a Damasco, dove Assad è stato libero di continuare a sterminare i siriani dopo aver "visto" il bluff della Casa Bianca; dopo aver accantonato la linea dura con Teheran, concedendo agli ayatollah la prerogativa di coltivare l'ambizione atomica, coniugando quella massima della diplomazia secondo cui "se non puoi combatterli, unisciti a loro" (ed infatti la Boing è stata autorizzata a vendere parti di ricambio per aerei all'Iran, dietro la vaga garanzia di non impiegarli per finalità militari); dopo aver dovuto prendere atto passivamente dell'annessione della Crimea da parte della Russia di Putin, sfibrando nel frattempo solide alleanze con l'Arabia Saudita, l'Egitto e lo stesso Israele; alla fine la montagna-USA ha cercato di partire il topolino di una "storica" pace fra Israele e palestinesi, dal sapore più simbolico che reale (in Siria sono morti in tre anni il quadruplo di tutti gli arabi periti nei conflitti con Israele dal 1948 in poi), non riuscendo a conseguire nemmeno questo obiettivo minimo.
sabato 5 aprile 2014
Guida ai falliti negoziati israelo-palestinesi
Malgrado i resoconti di intensi sforzi da parte americana di incoraggiare negoziati fra Israele e palestinesi, pare dalla stampa e dalle affermazioni pubbliche di esponenti dell'amministrazione Obama, che l'estenuante negoziato durato ormai quasi nove mesi si stia avviando a fallimento.
LE PARTI HANNO NEGOZIATO PER MESI: E ORA CHE SUCCEDE?
A luglio 2013 il segretario di Stato USA John Kerry annunciò il ripristino di negoziati diretti fra israeliani e palestinesi, dopo tre annni di silenzio, con l'obiettivo di raggiungere un accordo di pace entro nove mesi.
Ogni parte concordava su una serie di condizioni - inclusa quella di evitare di discutere in pubblico circa l'andamento dei negoziati - che prevedevano da ambo le parti la concessione di gesti di buona volontà: Israele si impegnava a scarcerare in quattro tranche 104 terroristi palestinesi ospitati presso le sue carceri; i palestinesi accettavano di congelare il proposito di aderire a diverse organizzazioni internazionali, rimandando il riconoscimento come stato indipendente.
Dopo alcuni mesi, la diplomazia USA ha riconosciuto che sarebbe stato improbabile da parte dei due contendenti il raggiungimento di un accordo definitivo entro aprile 2014, così gli Stati Uniti hanno incoraggiato le parti a sviluppare un "accordo quadro", che avrebbe rappresentato un punto di partenza per un successivo accordo; prolungando i negoziati fino alla fine del 2014, inizio 2015. Si prevedeva che ambo le parti avrebbero aderito, sebbene non mancassero riserve su specifici aspetti.
Per buona parte del 2014, i negoziati sembrano animati dal tentativo di definire questo accordo quadro, che includeva previsioni sulle misure di sicurezza, sui confini, e sulla definizione di Israele come "stato ebraico".
giovedì 3 aprile 2014
E anche questi colloqui di pace ce li siamo levati dai piedi
Anche questo avventuroso processo di pace può essere archiviato, in abbondante compagnia degli episodi precedenti. Il povero Pollard resterà in carcere: presumibilmente per poco più di un anno, quando sconterà i 30 anni di pena detentiva che solitamente rimpiazzono il carcere a vita. I 78 criminali palestinesi rilasciati in tre tranche continueranno a festeggiare e ad essere festeggiati a Ramallah e dintorni; privi della compagnia dei 26 detenuti residui che Gerusalemme non ha rilasciato, a fronte dell'indisponibilità di Abu Mazen a prolungare i colloqui oltre la scadenza naturale della fine del mese ('che in così poco tempo non si ricompone nemmeno un dissidio condiminiale; figurarsi un conflitto secolare). John Kerry smetterà di spargere anidride carbonica con le sue continue quanto velleitarie spole da e per il Medio Oriente: si accontenterà della riconoscenza neanche troppo convinta di Obama, che si terrà stretto il suo Premio Nobel.
lunedì 31 marzo 2014
Il boicottaggio europeo dei prodotti israeliani poggia su argomentazioni viziate
di Timon Dias*
In un mondo turbolento, governi e compagnie europee cercano ancora di boicottare i prodotti realizzati dalle società israeliane nel cosiddetto "West Bank". I boicottatori poggiano le loro argomentazioni sul fatto che il West Bank è un territorio occupato e che la presenza israeliana è un ostacolo ad una pace duratura. Entrambe le tesi sono completamente infondate.
In Occidente, si fa riferimento alla cosiddetta "Green Line" quando si discute del processo di pace. Alcuni sono soliti affermare che Israele dovrebbe ripiegare al di qua della Linea Verde, onde mantenere un profilo di legittimità e legalità. La Linea Verde è citata a proposito dei "confini del 1967"; ma si tratta di un'argomentazione errata. Sostenendo che la Linea Verde coincide con i confini del 1967, si fornisce l'impressione che questa linea sia stata varcata per porre in essere un'operazione militare espansionistica. La verità invece è opposta: la Green Line altro non è che la linea armistiziale del 1949; il punto dove la guerra di sterminio promossa dagli arabi si interruppe e dove Israele alla fine riuscì a neutralizzare il tentativo di genocidio del proprio popolo.
Anche la locuzione "territori occupati" sebbene non sia corretta, è sufficiente a mettere in difficoltà il sostenitore delle tesi di Israele, e ad esaltare progressisti e musulmani. È il caso di soffermarsi sulla fondatezza legale del termine "occupato", con riferimento al West Bank.
In un mondo turbolento, governi e compagnie europee cercano ancora di boicottare i prodotti realizzati dalle società israeliane nel cosiddetto "West Bank". I boicottatori poggiano le loro argomentazioni sul fatto che il West Bank è un territorio occupato e che la presenza israeliana è un ostacolo ad una pace duratura. Entrambe le tesi sono completamente infondate.
In Occidente, si fa riferimento alla cosiddetta "Green Line" quando si discute del processo di pace. Alcuni sono soliti affermare che Israele dovrebbe ripiegare al di qua della Linea Verde, onde mantenere un profilo di legittimità e legalità. La Linea Verde è citata a proposito dei "confini del 1967"; ma si tratta di un'argomentazione errata. Sostenendo che la Linea Verde coincide con i confini del 1967, si fornisce l'impressione che questa linea sia stata varcata per porre in essere un'operazione militare espansionistica. La verità invece è opposta: la Green Line altro non è che la linea armistiziale del 1949; il punto dove la guerra di sterminio promossa dagli arabi si interruppe e dove Israele alla fine riuscì a neutralizzare il tentativo di genocidio del proprio popolo.
Anche la locuzione "territori occupati" sebbene non sia corretta, è sufficiente a mettere in difficoltà il sostenitore delle tesi di Israele, e ad esaltare progressisti e musulmani. È il caso di soffermarsi sulla fondatezza legale del termine "occupato", con riferimento al West Bank.
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lunedì 24 marzo 2014
Da Khartoum a Washington: i "tre no" dei palestinesi
Era il mese di settembre 1967. Israele era uscito trionfante dalla Guerra dei Sei Giorni, scatenatagli contro tre mesi prima da Egitto, Siria e Giordania. Le speranze di Gerusalemme - di nuovo riunita, dopo l'occupazione giordana durata 19 anni - erano di indurre gli stati arabi confinanti ad una pace duratura, riconsegnando i territori conquistati a giugno. Ma le potenze arabe, riunitesi a Khartoum, in Sudan, decretarono un secco no: no alla pace con Israele, no al riconoscimento di Israele, no a trattative con Israele. Era l'inizio di un'intransigenza che non sarebbe stata smantellata dalla successiva Risoluzione ONU n. 242, che delineava una cornice fra arabi e israeliani, prevedendo il ritiro dello stato ebraico DA (si noti l'enfasi sulla preposizione semplice, e non articolata: non DAI territori, ma DA territori; ovvero, da parte dei territori, e non necessariamente dalla loro interezza) territori occupati durante il conflitto, in cambio della cessazione delle ostilità, del riconoscimento reciproco e del mutuo diritto a vivere in pace entro confini sicuri e riconosciuti.
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