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sabato 15 novembre 2014

Erdogan: «l'America? l'hanno scoperta i musulmani»...

Non deve essere un bel periodo per Barack Obama. Il simpatico presidente americano è uscito con le ossa rotte dalle recenti elezioni di medio termine che hanno consegnato ai democratici il minor numero di seggi degli ultimi 85 anni, e come se non bastasse, viene snobbato da Rohani, che ignora le sue accorate missive - a quanto pare, l'Amministrazione USA vuole portare a casa almeno un risultato dal Medio Oriente; per quanto tragicamente sciagurato possa essere l'imprimatur americano alla bomba atomica degli ayatollah.
Non sono migliori i rapporti con gli altri stati musulmani dell'area: l'Egitto ha voltato le spalle ad Obama, avendo preferito Al Sisi al fratello musulmano Mohammed Morsi, e la Turchia fa di tutto per indispettire l'alleato americano, nonostante Obama abbia interceduto a favore di Erdogan, a proposito dei fatti della Mavi Marmara. Risultato? un marinaio "yankee" qualche giorno fa è stato spintonato, strattonato e minacciato da un gruppo di facinorosi turchi. Fra alleati, devono essere scambi di cortesie abituali...

mercoledì 9 novembre 2011

Così va il mondo...


Purtroppo la rivelazione del rapporto dell'Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica (AIEA) non serve a niente. Certifica che l'Iran ha lavorato in questi anni alla bomba atomica, che dovrebbe essere pronta nel 2012. Ammette che Teheran ha raggiunto il punto di non ritorno: il regime produce uranio arricchito al 20%. Ciò permette di arrivare con relativa facilità al 90% negli stessi impianti.
Frustrazione e rammarico per aver prestato ascolto ad el Baradei (che ora da candidato alla presidenza dell'Egitto attacca Israele), quando per dodici anni è stato il mite direttore dell'AIEA, sostenendo la natura civile del nucleare iraniano; alla Francia, che tramite Areva - quella che doveva costruire le centrali nucleari italiane - forniva tecnologia e mezzi all'Iran, e che ha confermato le sue simpatie per Gerusalemme votando a favore dell'ingresso della palestina nell'UNESCO; e alla Russia, i cui scienziati hanno lavorato attivamente al progetto di Ahmadinejad, e che ora manifesta minaccioso dissenso all'idea di un attacco agli impianti nucleari iraniani che appare una mossa drammaticamente suicida. Come in passato, il lavoro sporca l'Occidente lo lascia ad Israele. Ma questa volta non bastano alcuni F16 a rimuovere la minaccia di un incubo: la bomba atomica in mano agli ayatollah.

L'Iran nelle ultime ore si dice pronto ad avviare negoziati con il resto del mondo sulla questione nucleare. Un modo per guadagnare ancora un po' di tempo che qualche ingenuo sicuramente si berrà. Facile prevedere che andrà come le altre volte. Con la bomba atomica in mano ad Ahmadinejad che diventerà realtà fra sei mesi. Il Mondo è avvisato, ma ancora una volta si volta dall'altra parte, incapace di assumersi le proprie responsabilità. Un atteggiamento deplorevole che ricorda i proclami del 1939: «vale la pena morire per Danzica?»

E a proposito: Oggi ricorre la "notte dei cristalli": nella notte fra il 9 e il 10 novembre 1938 i negozi degli ebrei in Germania furono distrutti e dati alle fiamme, le sinagoghe furono bruciate e gli ebrei furono uccisi, arrestati e condotti nei campi di concrentramento. Questo evento fu denunciato dai giornali dell'epoca, ma ciò non impedì a nazisti pochi anni dopo di praticare la Soluzione Finale.

Difficile contare questa volta su un pieno appoggio degli Stati Uniti. La politica estera di Obama si è rivelata sotto molti aspetti (non tutti, ma molti) fallimentare:

- ha teso la mano al regime iraniano, e Teheran tempo sei mesi si doterà di quattro bombe atomiche;
- contro l'evidenza ha mantenuto buoni rapporti con il regime siriano, e Assad ha trucidato 3500 persone;
- sorvola sull'oltranzismo turco, ed Erdogan si avvicina sempre più alla Siria, modificando gli aerei forniti dagli USA in modo che possano colpire i suoi alleati;
- balbetta frasi possibiliste nei confronti dei palestinesi, e quelli lo prendono alla lettera e mandano al macero gli Accordi di Pace di Oslo del 1993;
- pronuncia un discorso male inteso al Cairo, e favorisce il rovesciamento di un regime filo-occidentale a favore degli integralisti islamici dei Fratelli Musulmani;
- scatena una guerra contro la Libia, armando i rivoltosi (si dice) provenienti da Al Qaeda, e favorisce l'instaurazione di una polveriera a due passi da casa nostra;
- si compiace della primavera araba inaugurata in Tunisia, e osserva la vittoria di un partito filo-islamico che proclama la shaaria, e indigna una comunista anticapitalista sfegatata come la Sgrena.



E non parliamo dei risultati della politica economica, che stanno facendo rimpiangere a molti convinti sostenitori della prima ora la presidenza amministrazione: quando Bush ha lasciato (dopo 13 mesi di recessione), il tasso di disoccupazione era del 7.2%. Oggi è del 9.0%, nonostante un boom della spesa pubblica; rispetto ad allora, ci sono tre milioni di occupati in meno, e un numero ancora più elevato di sotto-occupati e lavoratori part-time loro malgrado. Il bilancio dello stato era in ordine: il deficit era del 4.8%; oggi è dell'8.5%;
il debito federale era pari al 76% del PIL; oggi raggiunge il 100%, e ha fatto perdere agli USA la "tripla A".

L'unica buona notizia del giorno proviene da New York: è ormai appurato che il Consiglio di Sicurezza dell'ONU rigetterà la richiesta di Abu Mazen di membership alle Nazioni Unite. Non è stato raggiunto il quorum di 9 voti su 15, e gli Stati Uniti non dovranno opporre il loro diritto di veto. Rimane l'oltraggio dell'adesione concordata dall'UNESCO, ma il popolo palestinese non sta meglio di prima. E la dirigenza di Abu Mazen è sempre più traballante.
Ci si mette anche Ankara, che sostiene con maggiore convinzione la dirigenza di Hamas. Erdogan ha appena staccato un assegno da 2 milioni di dollari a favore di Ismail Haniyeh, "primo ministro" di Gaza. Il governo turco e le organizzazioni private - come la famigerata IHH, affiliata ad Al Qaeda e organizzatrice del tentativo di forzatura del blocco navale al largo delle coste di Gaza, versano annualmente 48 milioni di dollari al governo di Hamas. Non a caso a Gaza sempre più spesso si vedono sventolare le bandiere turche e le effigi di Erdogan.

venerdì 4 novembre 2011

Immagini drammatiche della crisi umanitaria a Gaza



Di fronte a queste immagini, la tragedia del Darfur, lo sterminio sistematico e quotidiano dei siriani da parte di Assad, la condizione di assoluta sottomissione della donna nei paesi arabi (persino Luciana Sgrena - sì, proprio lei - sul manifesto riconosce che gli estremisti islamici stanno prendendo il sopravvento in Tunisia, cancellando ogni basilare diritto dell donne), l'eliminazione della problematica presenza degli omosessuali in Iran proclamata da Ahmadinejad, che ora può occuparsi indisturbato della bomba atomica iraniana; tutte queste cose e tante altre, insomma, passano in secondo piano.

Nel frattempo due imbarcazioni sono partite dalla Turchia alla volta di Gaza, con l'evidente intento di forzare il blocco navale israeliano al largo delle coste, che anche le Nazioni Unite hanno riconosciuto essere pienamente legittimo.
Gli Stati Uniti hanno contattato il governo turco, che ha fornito rassicurazioni: non saranno inviate navi da guerra a minaccioso supporto delle due navi, contenenti 27 militanti provenienti da Canada, Australia, Irlanda e Stati Uniti, oltre ad una ridotta quantità di farmaci di dubbia utilità. Ankara concorda sul fatto che non sarebbe una buona idea contribuire ad aumentare la tensione nell'area. D'altro canto, sarebbe grottesco mostrare i muscoli ad Israele, nel momento in cui un corposo contingente dei suoi cittadini continua a scavare fra le macerie del terremoto che ha funestato la Turchia pochi giorni fa, alla ricerca dei corpi delle vittime della sciagura.

martedì 13 settembre 2011

La tensione fra Turchia e Israele rimane elevata



Secondo YNetnews, che cita un giornale turco, Ankara doterà i suoi F16 di fabbricazione americana di un sistema radar di propria elaborazione che consentirà di colpire facilmente le città israeliane.
Il sistema originario era dotato di un meccanismo che impediva di colpire anche accidentalmente gli stati considerati "amici", come Israele. Il nuovo sistema, sviluppato da un'azienda turca, permette di bypassare questo meccanismo di protezione, e di poter colpire indifferentemente stati ritenuti "alleati" o "nemici".
Forse anche per questo l'amministrazione americana ha respinto la richiesta del governo Erdogan di fornitura di aerei "droni" senza pilota, o di implementazione dei "Predator" presso le basi turche. Malgrado i labili sforzi di Washington e di Bruxelles, la Turchia non accenna a ridurre i toni nei confonti di Israele. E' significativo rilevare come il segretario generale della NATO Anders Rasmussen abbia sottolineato come un attacco nei confronti di Israele avrebbe "gravi conseguenze" per i legami militari di Ankara con la stessa NATO e con gli Stati Uniti.

Erdogan in visita in Egitto...



"Fossi in voi pretenderei le scuse e una richiesta di indennizzo" (agli israeliani, NdR)

Fonte: Haaretz.

lunedì 12 settembre 2011

Cosa si nasconde dietro i toni forti di Erdogan

Ankara sta per mandare tre navi da guerra nel Mediterraneo Orientale "per proteggere future spedizioni a Gaza, e per assicurare la navigazione in acque internazionali alle navi turche".
Aumenta dunque la retorica del governo di Erdogan. Insoddisfatto della risposta dell'ONU, che ha dichiarato legale e legittimo il blocco navale israeliano al largo delle coste di Gaza, con cui si impedì l'anno scorso l'attracco della Freedom Flottilla; non pago del rincrescimento di Gerusalemme, non accompagnato da scuse formali e consistenti indennizzi per le famiglie dei militanti turchi rimasti uccisi nello scontro con l'IDF; Erdogan aumenta ulteriormente i toni e minaccia di inviare presto tre navi da guerra nel Mediterraneo Orientale. Ufficialmente per proteggere future (eventuali) missioni umanitarie a Gaza, malgrado il rapporto Palmer abbia precisato che non vi sia alcuna emergenza umanitaria. Ed inoltre, per proteggere la navigazione delle navi turche "nelle acque internazionali".



Adesso tutto si chiarisce. La Turchia vuole mettere le mani su fonti di energia su cui non può vantare alcun diritto!
Il fatto è che alla fine del 2010 è stato rinvenuto un enorme giacimento di gas naturale proprio nel Mediterraneo Orientale; in parte in acque territoriali israeliane, in parte in acque internazionali, in parte in acque territoriali cipriote. Si tratta di uno dei più grandi rinvenimenti off-shore dell'ultimo decennio. La Turchia non può vantare alcuna aspirazione a questi giacimenti. Se non fosse che da quasi quarant'anni occupa la parte nord-orientale di Cipro, stato membro dell'Unione Europea, in spregio al diritto internazionale. La "Repubblica Turca di Cipro del Nord" non è riconosciuta da alcuno stato al mondo, eccezion fatta per la stessa Turchia. Che pertanto in ragione di questa occupazione vanta crediti e diritti nei confronti dei giacimenti di gas rinvenuti in parte al largo delle coste cipriote.
Il giacimento rappresenta un valore potenziale di decine di miliardi di dollari, e farebbe di Israele - per la parte di sua competenza - un esportatore netto di energia, potendosi così affrancare dalle costose e ora rischiose importazioni dall'estero. Per inciso questa energia - pulita - farebbe comodo anche all'Italia, costretta ad importare petrolio da Iran e Siria per l'embargo ONU sul greggio libico.
Questo spiega l'ulteriore prova retorica nazionalista del governo di Erdogan, e chiarisce la posizione ufficiale del governo di Gerusalemme, che su questa questione non transige, al punto da dichiarare che è pronta sin d'ora a difendere con tutti i mezzi i giacimenti in questione.
Ci si chiede quale sarà la posizione degli Stati Uniti nel momento in cui Israele - suo alleato storico - dovesse incrociarsi militarmente con la Turchia, membro della NATO. Erdogan sarà prossimamente in Egitto per una visita che verosimilmente servirà a stringere ulteriormente i legami con il regime provvisorio del Cairo che presto cederà il testimone ad un governo influenzato dall'integralismo dei Fratelli Musulmani. L'Egitto è in pace con Israele ufficialmente dal 1979, dopo aver sottoscritto il Trattato di pace a Camp David.

mercoledì 7 settembre 2011

Israele poteva scegliersi meglio i suoi vicini, no?



L'ascesa dei Fratelli Musulmani in Egitto e la minaccia di rivedere il trattato di pace; la politica repressiva di Assad in Siria; i continui e quotidiani attacchi palestinesi dalla Striscia di Gaza e la retorica antisionista a Ramallah; ora Erdogan che alza i toni dopo lo smacco subito con il rapporto ONU redatto da Sir Palmer, che ha confermato la piena legittimità del blocco navale al largo di Gaza, negando che vi sia alcuna emergenza umanitaria, e sottolineando la natura tutt'altro che pacifica dei militanti della Freedom Flottilla (organizzata dall'IHH - affiliata ad Al Qaeda - e sponsorizzata proprio dalla Turchia). Non si può certo dire che sia un momento sereno per Israele, che al pari dei parenti non ha facoltà di scelta dei propri vicini.
Grottesco il comportamento di Erdogan, che sta cancellando la laicità dello stato fortemente voluta da Ataturk, ridimensionando il contro-potere dei militari e mettendo a tacere ogni opposizione, anche quella letteraria e culturale. La Turchia occupa da quasi quarant'anni metà di uno stato membro dell'Unione Europea, si vanta di trucidare centinaia di curdi mediante invasioni vere e proprie dello spazio aereo iraqeno, non ha nulla da dire a proposito del genocidio degli armeni; e si permette di dare voti al comportamento del governo israeliano, pretendendo richieste di scuse (e di cospicui indennizzi) per l'incidente provocato della Mavi Marmara.
Sullo sfondo una ONU sempre più autoreferenziale, svuotata di ogni autorevolezza, a maggioranza musulmana. Difficile fornire credibilità ad una istituzione oramai nobile decaduta, dove i dittatori di mezzo mondo sono liberi di guadagnare la ribalta globale con farneticazioni antisemite, e dove gli stati della peggiore specie siedono nelle commissioni per i diritti umani e delle donne, salvo mutilare, lapidare, torturare e segregare le medesime a casa propria.