martedì 13 dicembre 2011

Una scomoda verità



Newt Gingrich potrà risultare pungente e geniale ad alcuni; antipatico e addirittura "razzista" ad altri. Ma una cosa è certa: non le manda a dire a nessuno, e difficilmente può essere contestato di ignoranza. Al contrario, è molto preparato, e per questo temuto.
L'altro giorno ha catturato l'attenzione generale, scavalcando in questo il rivale alla nomination repubblicana Mitt Romney (che finora si è limitato a giudicare filoaraba la politica estera di Obama, senza denunciarne apertamente il tendenziale antiisraelismo), rimarcando l'inesistenza di una "popolazione palestinese", dal punto di vista storico. Di fatto, i palestinesi sono nati in tempi recenti: dal 1977. Molti palestinesi sono di fatto giordani, siriani, libanesi. l’Enciclopedia Britannica del 1911 descrive la popolazione palestinese come mescolata in ondata di lontana e vicina emigrazione-immigrazione, parlante non meno di cinquanta lingue, e sottolinea la loro grande mescolanza con gli egiziani e altre etnie (Cit. Fiamma Nirenstein).
Infine, la risoluzione ONU del 1947 che partizianava in due stati l'ex mandato britannico in Palestina, amministrato da Sua Maestà dopo la dissoluzione dell'Impero Ottomano, assegnava parte agli ebrei, e parte agli arabi (n.b.: arabi; non palestinesi, allora inesistenti e sconosciuti come etnia).

La parola fine a questa disputa è offerta da una fonte sicuramente di parte: palestinese. Zahir Muhsein, membro del Comitato Esecutivo dell'OLP, questo affermava in un'intervista del 1977 ad un quotidiano olandese:
"Il popolo palestinese non esiste. La creazione di uno stato palestinese è solo un mezzo per continuare la nostra battaglia contro lo stato di Israele. Parliamo oggi di un popolo palestinese solo per motivi politici e tattici. E' chiaro che la Giordania, uno stato sovrano con confini ben definiti, non può accampare pretese su Haifa o Jaffa. Ma come palestinese, posso pretendere queste città e anche Beer-Sheva e persino Gerusalemme. Ma nel momento in cui tutte le nostre richieste saranno esaudite, non esiteremo un attimo ad unificare la Palestina con la Giordania".

venerdì 9 dicembre 2011

La propaganda filo-araba di Reuters



Se vi stanno simpatici i palestinesi e in generale gli arabi; se ritenete che non sia definibile "terrorismo" il lancio di razzi teleguidati verso la popolazione civile (se israeliana), l'attentato a scuolabus e lo sgozzamento di una famiglia inerme colta nel sonno; se invece vi stanno sulle scatole Israele, gli ebrei e quelli che solidarizzano con loro, il consiglio è di tenervi informati con le news di Reuters.
Uno studio accademico rivela la copertura sistematicamente deformata, parziale e in malafede degli eventi in Medio Oriente: in barba al codice deontologico interno, le tesi arabe sono offerte sotto una buona luce, quelle israeliane sempre e comunque distorte e sovente false.
Per fortuna le agenzie Reuters sono distribuite da diversi media, per cui le immagini, le notizie e i dispacci ci sono propinati anche dai comuni TG e giornali, per cui non c'è il rischio che l'opinione pubblica non sia alla fine deformata da questa agenzia partigiana. Il cui operato è stato ritenuto tale da meritarsi la nomination a "Dishonest Reporter" da parte dell'organizzazione Honest Reporting, che monitora e denuncia il comportamento fraudolento e deformante dei media internazionali.

giovedì 8 dicembre 2011

A Gaza l'economia è in boom (grazie anche ad Israele)



Malgrado la Freedom Flotilla non abbia consegnato nel 2010 il suo "prezioso" carico agli abitanti di Gaza, e nel 2011 non sia nemmeno partita; l'economia della Striscia si accinge a chiudere l'anno con un boom economico, di cui i media occidentali hanno imbarazzo di rendere conto (forse perché contrasta con l'antico cliché della "crisi umanitaria" nella "prigione a cielo aperto", così efficacemente smentita dagli innumerevoli centri commerciali, alberghi a cinque stelle e concessionarie di auto lussuose che sistematicamente si aprono).
Grazie alla collaborazione commerciale con il vicino stato israeliano - attento a distinguere la lotta con gli integralisti islamici di Hamas e le esigenze vitali della sfortunata popolazione civile - il PIL della Striscia di Gaza crescerà quest'anno di uno spettacolare 30%, contribuendo a sopprimere il tasso di disoccupazione ai livelli più bassi degli ultimi dieci anni.
Nei primi tre trimestri del 2011, in media sono entrati a Gaza quasi 4500 camion israeliani ogni mese. Generi alimentari, medicinali, materiali da costruzione e beni di prima necessità hanno consentito e agevolato la crescita economica di una zona ancora martoriata dal regime estremista islamico.
Il governo di Gerusalemme ha di recente approvato un incremento delle forniture di 3 milioni di metri cubi di acqua verso Gaza, in aggiunta ai 5 milioni già trasferiti verso la Striscia.

mercoledì 7 dicembre 2011

Presto, una spedizione umanitaria per i concessionari auto di Gaza!



Bisogna organizzare immediatamente una spedizione di soccorso a favore dei rivenditori di auto palestinesi nella Striscia di Gaza. Causa le diecine di auto importate e che entrano regolarmente attraverso il valico israeliano, e quelle introdotte illegalmente attraverso i tunnel clandestini al confine con l'Egitto, i prezzi stanno precipitando; in alcuni casi, i concessionari sono costretti a praticare sconti anche di 8000 dollari per vettura.
I rivenditori di auto inoltre lamentano la tariffa del 50% recentemente varata da Hamas sui veicoli importati.

Per una volta, c'è davvero chi a Gaza sta soffrendo...

P.S.: Sconto di 8000 dollari? e quanto costa un auto nella Striscia? evidentemente la crisi da quelle parti non è affatto avvertita...

martedì 6 dicembre 2011

"Israele non ha alcun diritto di esistere"



«Israele si sbaglia di grosso se pensa che soltanto Hamas (che governa Gaza dopo il colpo di stato del 2007 con cui ha esautorato completamente Al Fatah, dopo le elezioni dell'anno precedente successive allo sgombero totale di Israele dalla Striscia, NdR) lo detesti: anche Al Fatah (che esprime l'Autorità Palestinese che governa la Cisgiordania) non ha alcun rispetto per Israele». Sono le parole pronunciate dal rappresentante diplomatico dell'AP in India, Adli Sadeq, riportate sul quotidiano ufficiale di Ramallah e opportunamente tradotte da PalWatch. E più avanti, giusto per spiegarsi meglio, l'"ambasciatore" palestinese in India precisa che entrambe le fazioni negano ogni diritto all'esistenza di Israele: «è ovvio che i palestinesi riconoscano la presenza di Israele, ma il suo riconoscimento fisico è qualcosa di completamente diverso dal riconoscere il suo diritto di esistere».

E' difficile pensare che in Medio Oriente possa "scoppiare" la pace, se entrambe le fazioni palestinesi disconoscano addirittura - e per bocca di autorità ufficiali - il diritto all'esistenza di uno stato legittimamente fondato nel 1948, e riconosciuto da tutto il mondo.

Gaza, la nuova capitale del lusso



A Gaza sì che se la sanno spassare: le immagini del nuovo lussuosissimo albergo aperto a Gaza di recente. Bellissimo! ci vorrei tanto andare...

30 camere singole, 30 camere doppie e una suite. Per non parlare del ristorante internazionale, con ogni possibile bendiddio!

Non c'è dubbio: i palestinesi sanno godersi tutti i piaceri della vita. Beati loro!

lunedì 5 dicembre 2011

L'antisemitismo non è mai duro a morire



E' bufera sul presidente Obama e sul responsabile della diplomazia americana in Belgio.
La scorsa settimana l'ambasciatore degli USA a Bruxelles, ad una conferenza di fronte a parlamentari ebrei, ha sostenuto che occorre effettuare una distinzione fra l'antisemitismo, da condannare sempre e comunque, e l'odio dei musulmani nei confronti degli ebrei, che a suo dire sarebbe alimentato dallo storico conflitto israelo-palestinese; e che, sottintende, verrebbe meno qualora gli israeliani acconsentissero a tutte le richieste del mondo arabo, inclusa quella di gettare a mare tutti gli abitanti non musulmani situati fra il Giordano e il Mediterraneo.
Howard Gutman, attuale ambasciatore degli Stati Uniti in Belgio, ha raccolto mezzo milione di dollari per la campagna elettorale che ha portato all'elezione di Barack Obama a fine 2008. La Casa Bianca si è affrettata a smentire le dichiarazioni di Gutman, precisando che l'antisemitismo va stigmatizzato in tutte le sue forme, compresa quella apparentemente più accettabili dell'antisionismo: "non c'è alcuna giustificazione per il pregiudizio nei confronti degli ebrei o degli abitanti dello stato di Israele".
Ma ciò non ha impedito alle proteste di montare vibrantemente, con diversi esponenti politici di primo piano che hanno chiesto l'immediata rimozione dall'incarico dell'ambasciatore in Belgio.

venerdì 25 novembre 2011

La lenta agonia dell'Autorità Palestinese


Succedono cose strane, in questo mondo. Ci sono territori in Cisgiordania contesi fra palestinesi e israeliani - circa il 3% del West Bank (l'area ad ovest del fiume Giordano). Territori non vitali per la costituzione di uno stato palestinese, ma la cui esistenza è continuamente denunciata dal governo di Ramallah come condizione la cui esistenza impedisce il dialogo con Gerusalemme.
Bizzarrro come l'Autorità Palestinese lamenti la presenza di israeliani in una porzione minuscola della Cisgiordania, e al tempo stesso lamenti il blocco dell'attività di riscossione dei tributi che lo stato israeliano effettua per conto dei palestinesi. Mancando di una struttuta amministrativa - malgrado i giganteschi finanziamenti ricevuti negli ultimi 18 anni - l'embrione dello stato palestinese ha ottenuto che questa attività fosse svolta da Gerusalemme, la quale ha ben accondisceso in ossequio agli Accordi di Oslo del 1993, che hanno previsto fra le altre cose la nascita dell'AP e la disponibilità dell'Occidente a finanziare generosamente questo processo.
Ma la scellerata decisione di Abu Mazen di chiedere il riconoscimento unilaterale all'ONU lo scorso mese di settembre ha sancito di fatto l'abrogazione di quegli accordi. Il leader palestinese, a capo di un Esecutivo di fatto scaduto da oltre tre anni e mai rinnovato per il timore di perdere le elezioni a vantaggio dei rivali di Hamas, si è consolato di recente con l'adesione all'UNESCO, agenzia ONU di stanza a Parigi e specializzata nella cancellazione delle tracce archeologiche ebraiche nel Vicino Oriente. Non sorprende che queste misure abbiano indotto il governo Nethanyahu a congelare i tributi riscossi e usualmente girati a Ramallah: circa 100 milioni di dollari al mese.
Ma questa cifra è irrisoria, di fronte all'ingente fabbisogno finanziario di Al Fatah, il partito che rappresenta l'Autorità Palestinese, e che non esita ad erogare 5000 dollari di bonus ai criminali rilasciati dalle carceri israeliane in cambio della liberazione del caporale Gilad Shalit, sequestrato nel 2006 da Hamas in territorio israeliano. La triste realtà è che la sciagurata decisione di Abu Mazen è stata censurata da tutto il mondo occidentale, che osserva con disappunto la soluzione di ripiego di accettare l'abbraccio mortale proprio dei rivali di Hamas, che amministrano Gaza dal 2007 dopo un sanguinoso colpo di stato con cui è stata esautorata proprio la fazione rivale. Stati Uniti, Canada, Australia e naturalmente Israele hanno cessato di erogare sovvenzioni; diversi stati arabi hanno ridotto i finanziamenti verso l'entità palestinese, e l'Unione Europea ha chiarito che verranno meno gli aiuti, se l'Autorità Palestinese accetterà di formare un governo unitario con una fazione che non risconosce Israele, non riconosce i trattati di pace precedentemente sottoscritti, e non accetta di rinunciare alla lotta armata.
E' notizia di oggi che l'incontro al Cairo fra gli emissari delle due fazioni palestinesi si è risolto in un nulla di fatto: l'accordo sottoscritto a maggio è rimasto lettera morta. Così, l'Autorità Palestinese, sforzo di buona (e dispendiosa) volontà per garantire al popolo palestinese uno stato, sta per chiudere i battenti per fallimento. Grazie all'ottusa insipienza della leadership palestinese.

martedì 22 novembre 2011

L'ex occupante ritorna in Cisgiordania


Il re di Giordania - lo stato che dal 1948 al 1967 ha occupato militarmente gli attuali territori palestinesi e i quartieri orientali di Gerusalemme - è in visita in questi giorni proprio a Ramallah, capitale del futuro (?) stato di Palestina. Il leader dell'ANP, arroccato a Ramallah dopo la sconfitta in seno alle Nazioni Unite, sta meditando di accettare la corte interessata della fazione rivale di Hamas, il cui leader Khaled Mashaal si incontrerà con il re Abdullah ad Amman nelle prossime settimane.
L'abbraccio fra Al Fatah e Hamas, oltre a radicalizzare ulteriormente la dirigenza palestinese, rimuovendo la parvenza di "moderazione" che vantava l'amministrazione di Abu Mazen, sancirà con ogni probabilità un ulteriore allontanamento di una prospettiva di pace. Non a caso l'amministrazione Obama e la comunità internazionale giudicano negativamente la possibilità di un governo unitario: non prima che siano accettate le tre fondamentali istanze del riconoscimento dei trattati precedentemente sottoscritti fra Israele e palestinesi, la rinuncia alla lotta armata e il riconoscimento dello stato di Israele.
Non sorprende che il sovrano giordano - purtroppo parente diretto ma lontano erede di quel re Hussein che coraggiosamente sottoscrisse gli accordi di pace con Israele, pur senza precondizioni o riconoscimenti territoriali di sorta - pressato dalla rivolta nella vicina Siria, appoggi il proposito palestinese di ottenere il riconoscimento internazionale in spregio agli Accordi di Oslo e addirittura con la pretesa di una capitale a Gerusalemme "Est". La visita a Ramallah, per la prima volta dopo 11 anni, allenta le pressioni interne, le scarica all'esterno, ma poco potrà per una soluzione definitiva del conflitto fra Israele e palestinesi.

lunedì 21 novembre 2011

Abu Mazen sempre più nelle spire di Hamas



Dopo il rifiuto della "road map" di pace proposta dal Quartetto in seguito all'insuccesso dell'iniziativa unilaterale alle Nazioni Unite, Abu Mazen si sta prevedibilmente appiattendo sulle posizioni radicali di Hamas, che governa la Striscia di Gaza dopo il colpo di stato successivo allo sgombero ordinato da Sharon nel 2005.
Hamas e Al Fatah (l'organizzazione da cui proviene Abu Mazen) si incontreranno nei prossimi giorni al Cairo, per dare seguito agli accordi di unificazione sottoscritti sei mesi fa, ma rimasti da allora lettera morta. La decisione unilaterale di chiedere il riconoscimento all'ONU, in spregio agli Accordi di Oslo del 1993 (che hanno fatto piovere a Ramallah massicci finanziamenti internazionali) ha provocato da parte di diversi paesi occidentali il blocco dei trasferimenti di denaro verso una Autorità Palestinese sempre più orientata verso il collasso; politico, prima che economico. Così, Abu Mazen sta facendo buon viso a cattiva sorte, convergendo verso un abbraccio nei confronti dei rivali di Gaza che sancirà il probabile esautoramento della leadership "moderata" in Cisgiordania.
Il radicalismo sarà ancor più esaperato dalla decisione della Jihad Islamica di correre alle prossime elezioni generali palestinesi, che si dovrebbero tenere nella prossima primavera, e che porteranno ad un ulteriore isolamento internazionale dei territori palestinesi.

venerdì 11 novembre 2011

E adesso per Abu Mazen si mette male




Il bluff di Abu Mazen non ha funzionato. Il Consiglio di Sicurezza dell'ONU non ha raggiunto una maggioranza qualificata di 9 voti favorevoli su 15, necessaria per concedere la membership all'Autorità Palestinese. La richiesta sarebbe stata comunque cassata, poiché in caso di raggiungimento del quorum gli Stati Uniti avrebbero opposto il veto; collocandosi in una posizione che a detta dei palestinesi avrebbe messo a disagio la presidenza Obama.
Non è stato necessario esercitare il diritto di veto: non ci sarà alcun voto, poiché una sotto-commissione ha preso atto del fallimento dell'iniziativa. Che adesso rischia di ritorcersi pesantemente contro il leader dell'AP, il cui mandato peraltro, scaduto da oltre tre anni, non è stato ancora rinnovato in assenza di elezioni legislative, che a Ramallah non si tengono appunto dall'inizio del 2009. Il goffo tentativo di Abu Mazen - che ha scavalcato l'Assemblea Generale dell'ONU, dove non avrebbe avuto bisogno di una maggioranza qualificata, salvo ottenere lo status meno prestigioso di "osservatore" - segue la vittoria politica di Hamas, che gode di maggiore popolarità a Gaza dopo la liberazione di Gilad Shalit, sequestrato in Israele cinque anni fa e rilasciato in cambio della liberazione di oltre mille terroristi, in buona parte appartenenti proprio ad Al Fatah, il movimento politico di cui fa parte Abu Mazen.

Elezioni generali nei territori palestinesi sarebbero a questo punto un suicido per l'OLP, il movimento fondato da Arafat e che dopo gli Accordi di Pace di Oslo ha prodotto l'Autorità Palestinese, embrione del futuro stato. Alcuni ritengono che l'iniziativa di Abu Mazen potrebbe preludere all'estinzione dell'Autorità Palestinese, con Abu Mazen che di fatto "darebbe le chiavi" della Cisgiordania al governo israeliano, il quale peraltro ha amministrato efficacemente quest'area dal 1967 al 1993, con un incremento degli standard di vita per i suoi abitanti.
Il rammarico per l'ennesima occasione sfumata è forte: la leadership palestinese avrebbe potuto accogliere la proposta di pace del "Quartetto" (ONU, Stati Uniti, Europa e Russia), sottoscritta immediatamente dal governo di Gerusalemme. Ma i palestinesi ci hanno abituati a rispondere sempre di no; sempre e comunque, "a prescindere". E hanno prima indugiato, poi richiesto un nuovo blocco dell'attività edilizia in Israele, dopo un'analoga richiesta assecondata per dieci mesi lo scorso anno, poi addirittura avanzato pretese sui quartieri orientali di Gerusalemme.
L'arroganza di Abu Mazen ha danneggiato anche l'UNESCO, privata di importanti fonti di finanziamento dopo l'adesione palestinese. La buona notizia è che la rinuncia ad alcuni importanti assegni ha indotto gli amministratori dell'agenzia ONU di stanza a Parigi a trovare ben 35 miliardi di dollari di risparmi. Facile interrogarsi sull'opportunità delle spese sostenute prima di questo taglio.
Ma la buona volontà nella gestione delle proprie finanze non ha impedito all'UNESCO di rivolgere ancora una volta i suoi strali contro Israele. Il quotidiano Haaretz, da sempre ferocemente anti-governativo al punto da poter essere considerato filo-arabo (e spesso in aperta polemica con Gerusalemme a causa delle diffusione di notizie militari riservate) ha pubblicato una vignetta satirica in cui il Primo Ministro e il ministro della Difesa, in uniformi da combattimento, davano istruzioni all'esercito intento ad organizzare la distruzione delle armi nucleari iraniane. Nella vignetta Nethanyahu invitava l'aviazione a colpire le sedi dell'UNESCO a Ramallah di ritorno dalla missione.
Evidente l'intento polemico di Haaretz nei confronti del governo di Gerusalemme. Ma l'agenzia ONU ha ritenuto opportuno convocare l'ambasciatore israeliano per esprimere tutto il proprio disappunto. L'iniziativa ha suscitato ampia ilarità per l'atteggiamento grottesco dell'organizzazione parigina.

P.S.: Il Borghesino non sarà aggiornato per una diecina di giorni. Tornerà lunedì 21 novembre.