sabato 29 settembre 2012

Nuovo "epic fail" del Guardian

Malgrado le pesanti perdite (44 milioni di sterline) sopportate nel 2011, e la prospettiva di dolorosi tagli al personale, la linea editoriale del britannico Guardian continua ad essere improntata ad una sistematica distorsione della realtà. Piuttosto che riportare i fatti, il quotidiano fornisce una propria visione, spesso poggiata su fonti parziali e piuttosto discutibili. Vistosa l'emorragia di lettori, ma ciò non sta impedendo di proseguire nella mistificazione della realtà.
L'atteggiamento del Guardian nei confronti della questione mediorientale è esemplare. Il quotidiano progressista non esita a prendere per buone le testimonianze di fonti smaccatamente filopalestinesi, negando alla controparte una replica che metterebbe in luce la discutibilità di quanto riportato. Talvolta però persone di buona volontà impongono una revisione dei contenuti, a cui segue la sofferta smentita.
Di recente il Guardian è stato costretto a chiarire un articolo dello scorso maggio, in cui sosteneva che l'equipaggio a bordo della Mavi Marmara, l'imbarcazione dell Freedom Flotilla (armata dall'IHH, un'organizzazione turca vicina all'ISM, a sua volta con profondi legami con i terroristi di Hamas) era disarmato, quando fu raggiunto dalle forze di sicurezza israeliane che intendevano impedire il tentativo di forzatura del blocco navale al largo delle coste di Gaza. Un blocco pienamente legittimo, secondo il diritto internazionale.

La commissione Palmer, istituita dalle Nazioni Unite, ha appurato che l'equipaggio a bordo della Mavi Marmara era in effetti armato di coltelli, bastoni metallici, catene e fionde. Filmati, diffusi dall'esercito israeliano, mostravano i militanti colpire violentemente i soldati israeliani una volta che questi salirono a bordo della Mavi Marmara. Ma queste evidenze furono taciute a maggio dal Guardian, che si è visto citare in giudizio da un lettore, assistito da una associazione americana per i diritti civili, la quale ha fatto appello al Press Complaints Commission, l'autorità britannica di controllo dell'operato equo della stampa.
La PCC ha riconosciuto che l'articolo in questione era "impreciso e fuorviante", evidenziando come non corrispondesse a realtà l'affermazione secondo cui i passeggeri della Mavi Marmara fossero disarmati: una affermazione che induceva il lettore a trarre conclusioni errate sull'andamento dei fatti. Il Guardian è stato così costretto a pubblicare una rettifica nella versione online del quotidiano.
Trattasi dello stesso quotidiano che di recente è stato colto in errore, quando ha indicato in Tel Aviv la capitale di Israele, salvo in seguito ritornare sui propri passi con analoghe modalità.

venerdì 28 settembre 2012

Bravi ragazzi

Grandi ragazzi, gli israeliani che servono nell'esercito. La minaccia esistenziale proveniente dagli stati confinanti e l'esiguità del territorio impongono una ferma prolungata di tre anni; e dopo il congedo i riservisti servono nell’esercito per un mese all’anno e fino al compimento del 50esimo anno di età.
Ma ciò non toglie che siano prima di tutto ragazzi. Ragazzini, verrebbe da dire. Come il caporale Gilad Shalit, sequestrato da terroristi palestinesi in territorio israeliano e imprigionato per più di cinque anni, prima del recente rilascio (in cambio della liberazione di oltre mille criminali). Quello stesso Gilad Shalit ora avversato da Hamas - l'organizzazione terroristica che governa la Striscia di Gaza - che ha imposto ai media locali di boicottare il Barcellona FC perché la formazione catalana ha invitato il giovane israeliano al prossimo match che giocherà in casa contro il Real Madrid.
O come il caporale Netanel Yahalomi, il soldato israeliano di 20 anni che qualche giorno fa ha perso la vita mentre pattugliava una squadra di operai intenti a costruire una barriera difensiva al confine meridionale fra Israele e il Sinai egiziano. Vittima, manco a dirlo, della brutale aggressione di un comando di terroristi intenzionato a invadere lo stato ebraico, armato come novelli Rambo.
Ma questi soldati sono prima di tutto ragazzi. Giovani con una enorme responsabilità: difendere poco meno di 8 milioni di cittadini dall'odio razziale, religioso, ideologico e politico che circonda lo stato di Israele. E allora ben venga un momento di spensieratezza. Come quella, contagiosa, che ha raggiunto Ron Bronstein, pur dopo aver prestato giuramento nell'Israeli Air Force. Bravo!

giovedì 27 settembre 2012

I palestinesi scendono per strada contro Hamas

Continuano le proteste dei palestinesi nei confronti del regime di Hamas che dal 2007 governa in solitudine la Striscia di Gaza, dopo le elezioni dell'anno precedente che sancirono un sostanziale testa a testa con la fazione rivale di Al Fatah (poi esautorata con un brutale colpo di stato).
Un bambino è morto e un'altra è gravemente ferita, per le ustioni riportate in seguito all'incendio che ha bruciato la loro casa a Bureij, nella Striscia di Gaza. La casa era illuminata con candele, una delle quali è caduta accidentalmente, alimentando il fuoco che ha devastato l'abitazione.
La famiglia al-Bogdadi è fra le tante che nella Striscia di Gaza vive priva di corrente. Come è noto Hamas prima si riforniva di combustibile dal governo egiziano, che passava la materia prima per la centrale elettrica a prezzi politici. Ciò permetteva una lucrosa cresta, che adesso è cessata perché il nuovo governo dei Fratelli Musulmani si rifiuta di fornire gasolio a prezzi diversi da quelli internazionali. Offerte di fornitura da parte del vicino Israele sono state più volte sdegnatamente respinte.
Così, da febbraio, la popolazione di Gaza riceve energia per sole sei ore al giorno. Ci si arrangia come possibile, ma chi non ha un generatore autonomo, è costretto a ricorrere a mezzi di fortuna. Purtroppo la fatalità è sempre dietro l'angolo.
Più di 500 palestinesi sono scesi per strada per protestare contro il regime di Hamas. Nulla di nuovo, ormai: le manifestazioni ostili all'organizzazione terroristica sono ormai all'ordine del giorno, e si teme meno che nel passato una reazione violenta. I manifestanti ieri urlavano «la gente vuole abbattere il regime»: uno slogan che ha scandito le ultime ore dei governi di Mubarak in Egitto e di Ben Alì in Tunisia. La primavera araba è dunque giunta anche nei territori palestinesi: prima nel West Bank, ora nella Striscia di Gaza. Ma nessuno si illude: pochi giornali ne parleranno, questa volta, in Europa.

mercoledì 26 settembre 2012

Hamas affama i palestinesi

Ancora una cocente delusione per i filopalestinesi, sempre più scottati da una realtà ben diversa da quella romanzata da una propaganda sempre più a corto di idee convincenti. Il "governo" di Hamas a Gaza ha sostanzialmente dimezzato le importazioni di frutta dal vicino Israele. Malgrado la sbandierata emergenza umanitaria, a cui giustamente non crede ormai più nessuno, Hamas ha bandito sette diversi tipi di frutto prodotti nel vicino Israele, di cui si vorrebbe colpire l'economia. Per motivi imprecisati sono esclusi dal bando mele e banane.
La decisione avrà però un immediato risultato: riducendo l'offerta sul mercato locale, il prezzo della frutta aumenterà vertiginosamente, sollecitando i contrabbandieri senza scrupoli ad impiegare i mille tunnel illegali che collegano la Striscia all'Egitto, e da cui Hamas ricava 1/4 delle proprie entrate. Qualche cinico fa notare che lo scopo reale è proprio questo: Israele non ha certo bisogno di un'economia ridotta come quella della vicina Striscia di Gaza per collocare la propria produzione agricola; ma Hamas ha bisogno di denaro, e la domanda di generi alimentari della propria popolazione stimolerà la fornitura per canali illegali. Un po' come avviene per il carburante, che qui scarseggia, ma che Hamas rifiuta dal vicino Israele.
Immediate le proteste dei grossisti palestinesi, che considerano il drastico taglio delle importazioni «irresponsabile e irrealistico», e lamentano l'impossibilità di soddisfare la domanda mediante un'autarchia che al momento si limita alla sovrabbondanza di guava, un frutto tropicale qui abbondante.
Da quando il bando è entrato in vigore, il prezzo delle pesche è raddoppiato, e altri frutti hanno conosciuto un simile rincaro.

martedì 25 settembre 2012

E' tempo di riconsiderare gli aiuti ai palestinesi

di Arsen Ostrovsky*

La politica di sostegno finanziario dell'UE nei confronti dei palestinesi, è ben descritta dalla definizione di follia fornita da Einstein: «fare la stessa cosa più volte ed aspettarsi che fornisca risultati differenti». La scorsa settimana, l'Unione Europea ha annunciato di aver raddoppiato per il 2012 gli stanziamenti per lo sviluppo palestinese e per l'ANP a 200 milioni di dollari. Dal 2004 l'UE ha stanziato almeno 5 miliardi di dollari in aiuti finanziari: è il donatore più generoso. Ma cosa ha ottenuto in cambio? molto poco: eccezion fatta per terrorismo, corruzione e un processo di pace interrotto.
Con l'Europa al centro di una crisi economica generazionale, è giunto il momento di chiedersi se l'UE deve ancora continuare a finanziare l'ANP. La maggior parte dei fondi sono destinati teoricamente al finanziamento di progetti umanitari nella Striscia di Gaza controllata da Hamas, in Cisgiordania, e dell'agenzia ONU per i rifugiati palestinesi (UNRWA). Ma l'UE sembra dimenticare che Hamas, che disconosce Israele ed è impegnata nella sua distruzione, è classificata come organizzazione terroristica dalla stessa Unione Europea. Le iniziative a sostegno dei palestinesi, per quanto nobili, finiscono per finanziare il regime terroristico che controlla la Striscia: l'UE non può accertarsi che il denaro inviato finisca nelle mani giuste.
Nel frattempo, l'UNRWA continua a rivelarsi un ostacolo importante alla pace in Medio Oriente, continuando a perpetrare la dipendenza dell'economia palestinese dagli aiuti finanziari internazionali e gonfiando in modo artificiale il numero dei legittimi rifugiati palestinesi, rendendo questo un problema insormontabile per il conseguimento della pace.


E poi c'è il presidente dell'ANP Mahmoud Abbas: un uomo che non pochi in Occidente considerano "moderato", ma che non disdegna di dialogare con Hamas per formare un governo unitario e che al contempo respinge gli inviti al dialogo di Netanyahu. Senza contare che sotto la leadership di Abbas l'AP ha fatto molto poco per contenere l'incitamento alla violenza sui media e nelle scuole dei territori palestinesi; piazze e strade continuano ad essere intitolati a terroristi, e il governo stronca la libertà di stampa arrestando e intimidendo giornalisti e blogger che osano criticare la leadership.
Nel frattempo la corruzione dilaga. Il mandato di Abbas è scaduto a gennaio 2009 ma le elezioni continuano ad essere dilazionate. In questi anni Abbas ha ammassato un'enorme fortuna personale, consolidando il suo gruppo di potere. Eccezion fatta per la kefia che non indossa, Abbas è identico ad Arafat in quanto a corruzione imperante nei terrotori palestinesi.
Chi si oppone al taglio dei finanziamenti rileva lo sforzo istituzionale di Salam Fayyad (primo ministro di Ramallah, NdT). Ma gli sforzi risulterebbero vani senza il sostegno attivo e la presenza israeliana. Se Israele si ritirasse del tutto dai territori contesi, la stabilità relativa del West Bank cederebbe il posto alle violenze e ad un nuovo scontro di potere fra Hamas e Fatah, come occorso nel 2006 nella Striscia di Gaza. L'economia collasserebbe.

In un rapporto diffuso questa settimana, la Banca Mondiale sostiene che i palestinesi affrotano una grave crisi finanziaria, e fa appello ai donatori internazionali affinché aprano i cordoni della borsa. Per cui la domanda è: dove finiscono tutti i soldi che sono spediti ad un territorio i cui abitanti risultano i primi beneficiari di aiuti al mondo pro-capite?
Forse l'Europa dovrebbe preoccuparsi del fatto che malgrado le implorazioni dell'AP circa il suo dissesto finanziario, si riescono comunque a trovare fondi (fino al 6% del bilancio annuale) per versare contributi ai terroristi palestinesi rinchiusi nelle carceri, o alle famiglie dei terroristi. I consistenti aiuti europei non sono serviti nemmeno a persuadere Abbas, e di recente Fayyad, a sedersi ad un tavolo per discutere di pace con Netanyahu.
I "fratelli arabi" dei palestinesi in Medio Oriente sono venuti già meno nel sostenere finanziariamente l'AP. E ora Abbas minaccia di voltare le spalle agli Accordi di Oslo, che rappresentano la spina dorsale dell'intero processo di pace, raggiunti sotto gli stessi auspici dell'Unione Europea.
Se l'Europa è davvero preoccupata nell'aiutare i palestinesi, dovrebbe seriamente chiedere che i leader rimuovano corruzione e tornino immediatamente a discutere di pace. E' giunto il momento di rivedere seriamente la politica di aiuti finanziari: chiedere conto di come il denaro viene impiegato sarebbe già un primo buon passo.

Fonte: The Commentator.

Sconfitto l'AIDS! (e le malattie di cuore. E la calvizie)

La TV italiana è talmente presa dalle beghe politiche locali, da non accorgersi che in Medio Oriente la ricerca di prominenti studiosi ha permesso di sconfiggere l'AIDS e l'infarto cardiaco. Merito della TV qatariota Al Jazeera quello di aver reso noto al mondo intero la figura di Abd Al-Majid Al-Zindani, clerico yemenita che ha appena depositato presso la World Intellectual Property Organisation (WIPO) il brevetto che gli varrà smisurate quanto meritate ricchezze, e a milioni di malati di tutto il mondo un accesso più spedito all'altro mondo.
Eh sì, perché la WIPO, una delle tante agenzie ONU, è sostanzialmente inefficace nella tutela del diritto di proprietà intellettuale: non esiste un "brevetto internazionale", ma tanti brevetti nazionali, o nel nostro caso, comunitari (per l'Europa è competente l'Ufficio Europeo dei Brevetti, con sede a Monaco di Baviera).
E chissà se importa a qualcuno che la WIPO a cui si è rivolto il pittoresco religioso musulmano, sia stata beccata qualche mese fa a spedire computer e materiale informatico a Corea del Nord e Iran, malgrado le "rigide" sanzioni disposte dalle stesse Nazioni Unite.
Sta di fatto che questo signore proclama di aver scoperto un'erba che fra le altre cose "elimina il virus dell'AIDS": lo provano i test di laboratorio (sorvoliamo pure sui diversi trial a cui i farmaci sono sottoposti nel mondo occidentale, prima della sperimentazione umana e della definitiva commercializzazione: sono cautele da infedeli), riuscitigli in esclusiva per grazia ed intercessione di Allah.
Al-Zindani nel corso del dibattito si infervora, e proclama di aver scoperto anche la cura per i malati di cuore, le cui uniche speranze erano finora riposte in infedelissime operazioni chirurgiche e di trapianto. Tutto quello che occorre è assumere questi preparati erboristici per un mese e 10 giorni, al massimo due mesi.
Aspettiamo fiduciosi la scoperta di un preparato galenico per la caduta dei capelli: indossare quei turbanti incomincia a provocare fastidiose irritazioni alla cute.

lunedì 24 settembre 2012

Palestinesi che arrestano palestinesi

Sei rinchiuso in un carcere in Medio Oriente e aspiri alla notorietà internazionale? scarse probabilità di successo se sei ospite del ministero della giustizia iraniano: sono "affari interni" in cui l'Occidente si guarda bene dal metterci il naso dentro. Qualche probabilità in più se sei un giovane palestinese, non importa se terrorista, meglio invece se calciatore. Rifiutare un buon pasto, limitandosi ai liquidi e ad integratori alimentari (lo chiamano "sciopero della fame"), attira di solito la commozione e solidarietà internazionali, specie se il carceriere è israeliano; a prescindere dalla piena regolarità del processo che ha sancito la detenzione.

Ma se sei un palestinese, povero te! Il mitico Challah hu Akbar rende nota una denuncia dell'Autorità Palestinese, che governa il West Bank, e secondo la quale la fazione rivale di Hamas - con cui pure sarebbero in corso discussioni per la costituzione di un governo unitario (e pazienza se Hamas a Gaza sta per proclamare l'indipendenza) - nei territori palestinesi gestisce delle prigioni segrete in cui detiene rivali di Al Fatah. Uno di questi bunker sarebbe stato rinvenuto nei pressi di Nablus. Hamas dalla Striscia di Gaza risponde indignata, ma in tutta risposta il governo di Abu Mazen ha arrestato nel corso della scorsa settimana un centinaio di sostenitori dell'organizzazione terroristica rivale.
Adesso aspettiamo fiduciosi la puntuale e decisa denuncia dei media occidentali. Speriamo soltanto di non invecchiare nel frattempo...

Qui si attenta alla pace nel mondo!

La pace nel mondo, ambizione di ogni aspirante Miss Italia, Miss Universo, Miss Stati Uniti e Miss coccia (nel senso che è davvero scocciante starle a sentire mentre tentano di provare la loro scarsa intelligenza), è seriamente messa a dura prova dalle imprese del cattivo stato ebraico; l'"entità sionista", come amano definire Israele i suoi nemici assetati di sangue e di astio, dimentichi di uno stato che da 64 anni fa pienamente parte della comunità internazionale.
Non bastavano gli squali sionisti che infestano le acque che bagnano le località costiere egiziane, facendo fuggire i turisti; o il punteruolo rosso diffuso sempre da agenti sionisti, facendo collassare le palme che adornano le patrizie ville degli adorabili arabi, o i jeans made in Israel che attentano all'efficacia riproduttiva dei giovanotti musulmani (e se sapessero che i PC portatili - in cui pulsano processori Intel concepiti in Israele - provocano lo stesso effetto spermicida...); adesso ci si mettono anche le pietre direttamente dipendenti dal Mossad.
Soldati iraniani hanno rinvenuto un sasso-spia nei pressi dell'impianto di arricchimento di uranio di Fordo, dove 3000 centrifughe lavorano alla produzione della prima bomba atomica iraniana. Lo hanno rivelato alle autorità locali, che l'hanno riferito al ministro della difesa, che l'ha comunicato alle agenzie di stampa, che hanno trasmesso la notizia raccolta poi dal Sunday Times di Londra, che viene citato dal Times of Israel. Se a questo punto si nutre qualche perplessità circa la fondatezza della notizia, si provi rincrescimento per il fatto che il sasso-spia è esploso prima di poter essere analizzato, distruggendo le informazioni raccolte e la stessa prova della sua esistenza.
Ma niente paura: il mitico Roberto Giacobbo sta già preparando una trasmissione esclusiva che rivelerà al mondo questo nuovo intrigante mistero targato Sion!

sabato 22 settembre 2012

Perché i palestinesi evitano il processo di pace?

di Robin Shepherd*

Forse l'osservazione più famosa attribuita ad un funzionario israeliano a proposito della indisponibilità palestinese a lavorare ad una pace duratura, risale al 1973, quando l'allora ministro degli Esteri di Gerusalemme affermò: «i palestinesi non perdono mai l'opportunità di perdere una opportunità». Allora come oggi, l'affermazione rasenta l'ovvietà. Avendo respinto il piano di partizione (del mandato britannico palestinese, NdT) delle Nazioni Unite del 29 novembre 1947, che invece fu accettato dagli ebrei, e che avrebbe dato vita a due stati - uno arabo e uno israeliano - i palestinesi hanno confidato nel cacciare gli israeliani attraverso la guerriglia, il terrorismo vero e proprio e le guerre di volta in volta scatenate dagli stati arabi confinanti.
Il negoziatore capo dell'Autorità Palestinese Saeb Erekat l'altro giorno ha fornito dettagli circa una proposta di riconoscimento di uno stato palestinese, da presentare all'assemblea generale dell'ONU alla fine di questo mese, tornando alle linee del 1967 (precedenti la Guerra dei Sei Giorni del 5-10 giugno 1967, NdT). Secondo il Jerusalem Post, egli sostiene che «nessuno parla di cancellare il processo di pace».

Che delusione. Gli israeliani sono giustamente timorosi di tutto ciò che provenga dall'assemblea generale dell'ONU, o da altre istituzioni ad essa affiliate (come l'UNESCO, per esempio, NdT). La convinzione è che esse accettano allegramente le condizioni per negoziati di pace imposte da stati massicciamente rappresentati e che sognano la distruzione di Israele.
In secondo luogo, le linee del 1967 sono indifendibili. E non si tratta nemmeno di confini: si tratta appunto di linee, armistiziali, su cui i soldati degli eserciti opposti si sono ritrovati ad un certo punto della Guerra di Indipendenza del 1948 (scatenata dagli stati arabi confinanti), quando fu accolto l'invito di cessare almeno provvisoriamente le ostilità.
Anche nell'ambito dello scambio di terre che accompagnerebbe nel mondo reale una soluzione in due stati, il concetto che le linee del 1967, anziché confini realmente difendibili, possano rappresentare la piattaforma di un negoziato di pace, è semplicemente ridicolo.

Ma torniamo al punto di partenza. Perché i palestinesi sono così intenti a coinvolgere qualcun'altro nel fissare i termini di un processo di pace in loro vece? dopotutto, Israele sta ripetutamente lanciando inviti al tavolo delle trattative, senza alcuna pre-condizione. Perché questo tavolo è accuratamente evitato dai palestinesi?
A prescindere da quanto sostiene Erekat, i palestinesi comprendono benissimo che gli sforzi di fissare i termini di un negoziato mediante le Nazioni Unite rende le discussioni piuttosto improbabili, se non impossibile. Per cui: cos'hanno in mente?
Tristemente, tutto si riconduce alla vecchia tecnica di respingere sempre, che i palestinesi hanno adottato sin da quando rifiutarono il piano di partizione dell'ONU del 1947. Quando c'è un'opportunità da cogliere, essi sono risoluti nel respingerla. Uno sconcertato Bill Clinton apprese questo comportamento nel 2000, quando al termine di estenuanti trattative di pace che avrebbero portato a due stati i quali avrebbero finalmente vissuto fianco a fianco; Yasser Arafat d'un tratto fece saltare il tavolo e tornò trionfante fra la sua gente. Ancora oggi ci si chiede perché sia stata respinta quella storica opportunità.

* Fonte: The Commentator

venerdì 21 settembre 2012

Territori palestinesi (opportunamente) "occupati"

In visita ufficiale a New York, il viceministro degli Esteri israeliano Danny Ayalon ha fornito un punto di vista interessante circa la questione dei territori contesi fra israeliani e palestinesi in Giudea e Samaria (West Bank o, come si diceva una volta, Cisgiordania). Bisogna ricordare che lo stato ebraico occupa l'1.5% di queste terre, spesso in aree (da secoli) densamente popolate da famiglie ebree o in prossimità di obiettivi militari strategici.
Ayalon ha rilevato che la stessa Autorità Palestinese, che reclama l'interezza di queste terre - che prima del 1967 appartenevano però alla Giordania, a cui casomai andrebbero restituite - non durerebbe un giorno di più, se l'esercito israeliano si ritirasse dalle aree B e C della Giudea e della Samaria. Il sanguinoso colpo di stato perpetrato nel 2006-2007 nella Striscia di Gaza da Hamas ai danni dei rivali di Al Fatah, che ancora governano il West Bank; si replicherebbe da queste parti. E ciò farebbe di esse una nuova piattaforma di lancio di missili e razzi verso lo stato ebraico.
Ayalon, in un'intervista ad Arutz Sheva, ha ricordato che l'Autorità Palestinese, sull'orlo della bancarotta, non esita però a spendere milioni di dollari per i numerosi viaggi della sua presidenza in giro per il mondo, ospite di lussuosi alberghi, mentre i dipendenti pubblici locali non ricevono lo stipendio da mesi.
Il bilancio dell'AP è sottoposto a cura dimagrante; ma si riescono sempre a trovare 12 mila shekel al mese (sei volte la retribuzione media di un dipendente palestinese) da versare ai terroristi rinchiusi dopo regolare processo nelle carceri israeliane, responsabili dell'assassinio di innocenti civili di ogni età.

giovedì 20 settembre 2012

Evviva: arriva la flottiglia!

Possiamo finalmente tirare un sospiro di sollievo! le popolazioni arabe che soffrono in Medio Oriente, potranno finalmente ricevere il conforto perlomeno morale degli occidentali. Era ora: la repressione in Siria ha fatto quasi 30.000 vittime e 100.000 feriti in un anno e mezzo, e 350 mila siriani risultano rifugiati. Diecine di migliaia di palestinesi sono stati brutalmente uccisi dall'esercito fedele ad Assad, il "macellaio di Damasco".
Non ho ancora controllato, ma sono sicuro che la Freedom Flotilla, in preparazione, sia destinata al soccorso di questa gente. Magari ricordo male. Forse è diretta in Egitto, dove i cristiani sono sempre più intimiditi, segregati, malmenati; dove le donne stanno perdendo il diritto di comparire in pubblico e di conseguire l'istruzione e il futuro che desiderano; o forse è diretta in Tunisia, dove il parlamento ha appena legiferato sul ruolo subalterno della donna rispetto all'uomo.
No, un momento, ho controllato: a quanto pare questi simpatici giovanotti sono diretti presso la Striscia di Gaza. Una terra dove il governo ha talmente a cuore la "questione palestinese" da apprestarsi a dichiarare l'autonomia. Dove i suoi dirigenti negano risolutamente che vi sia una "questione" di ogni tipo. Dove le spiagge e i centri commerciali sono affollati di turisti. Dove si contano ormai 600 milionari. Forse sono diretti a Gaza per protestare contro il processo-burla ai danni degli assassini - palestinesi - del povero Vittorio Arrigoni; forse per indignarsi nei confronti della stessa Hamas, che rifiuta il combustibile israeliano (ma accetta per i suoi dirigenti le più efficaci cure mediche dello stato ebraico) per acquistare quello sovvenzionato egiziano sul quale pratica una lucrosa cresta (e pazienza se la popolazione resta al buio e di tanto in tanto ci scappa il morto); o forse per solidarizzare con il popolo palestinese, da tempo ostile nei confronti di Hamas, di cui denuncia da tempo la corruzione dilagante e la repressione.
Escluderei che questi giovani, belli e ricchi crocieristi siano diretti a Gaza per manifestare contro il vicino stato israeliano, che si prodiga di fornire cure mediche ai gazani che ne facciano richiesta, che accolgono i palestinesi con sempre minore diffidenza, da qui si è ritirato nel 2005, e che ciò malgrado assiste quotidianamente l'enclave palestinese, malgrado i 15560 missili che da qui sono stati sparati dal 2001 ad oggi. In tal caso, sarebbe un viaggetto carico soltanto di malafede.

Degli iraniani ci si può fidare

Fereydoun Abbasi-Davani, il responsabile del progetto "bomba atomica" di Teheran, ha ammesso che le informazioni fornite all'AIEA circa il programma atomico iraniano erano false. Ci ha creduto El Baradei, l'ex direttore egiziano che per anni ha tranquillizzato il mondo circa la natura pacifica della corsa al Nucleare da parte degli ayatollah; non ci hanno creduto le persone dotate di un minimo di sostanza grigia.
La dichiarazione è stata rilasciata al quotidiano arabo stampato a Londra "al-Hayat", e riportata da Debka. Il capo del progetto nucleare iraniano ha riconosciuto che spesso le informazioni fornite hanno fatto sembrare la repubblica islamica indietro nella corsa all'ordigno nucleare, per guadagnare tempo nella difesa degli impianti e nell'accrescimento dell'uranio.
24 ore fa un'altra dichiarazione ha fatto il giro del mondo: il presidente russo Putin ha ammesso di apprezzare di più il candidato repubblicano alla Casa Bianca Mitt Romney che l'attale presidente: «almeno lui non le manda a dire», è stato il tenore della riflessione. Rincrescimento prevedibile da parte di Obama. E dire che a marzo il presidente in carica aveva assicurato al presidente russo Medvedev carta bianca circa le installazioni nucleari sovietiche russe puntate contro l'Europa: «potrete schierare i vostri missili contro tutta l'Europa, una volta superate le elezioni di novembre».

giovedì 13 settembre 2012

L'ultima follia di "Mel Brooks" Ahmadinejad

I satrapi mediorientali continuano a fornire materiale per i comici. Dopo i jeans venduti ai giovani egiziani che ne ridurrebbero la fertilità, dopo gli squali sionisti sguinzagliati nel Mar Rosso per far collassare il turismo costiero, dopo gli avvoltoi-spia al servizio del Mossad, dopo i polli israeliani che affamano gli egiziani; ecco un'altra geniale trovata di quella dannata macchietta che risponde al nome di Mahmoud Ahmadinejad.
Il presidente dell'Iran ha accusato l'Occidente di danneggiare il suo paese. Non con le sanzioni economiche che stanno mettendo in ginocchio l'economia di Teheran (al mercato nero il cambio è in caduta libera da diverse settimane; ma ciò non sta impedendo di portare avanti il programma atomico degli ayatollah); bensì con un sabotaggio delle nuvole che sorvolano i campi, inaridendone il prossimo raccolto.
La siccità colpirebbe i tre quarti delle piantagioni, denuncia il ministro della cultura, dopo aver benedetto la costruzione di un museo a Gaza in onore dei terroristi islamici. Più brillante la conclusione di Ahmadinejad, secondo cui l'Occidente prosciugherebbe le nuvole islamiche, per alimentare quelle che bagnano i raccolti di Europa e Stati Uniti.

Parlano i palestinesi: e ce l'hanno con la casta

Spassoso siparietto ieri sera sulla TV di stato dell'Autorità Palestinese, controllata dall'ufficio di presidenza dell'ANP; vale a dire, direttamente da Abu Mazen.
Un Sandro Ruotolo mediorientale ha allestato un talk show dal vivo, in cui la "ggente" era invitata a dire la sua sulla crisi che ha investito i territori palestinesi. Tutta colpa dell'odiato nemico sionista? macché! gli ospiti hanno più volte scacciato l'insinuazione sollevata dal conduttore, addossando le responsabilità al vertice dell'ANP: Salam Fayyad, primo ministro, e Abu Mazen, presidente.
Purtroppo "problemi tecnici" (sconsigliabile parlare di censura in una zona talmente democratica che le elezioni si tengono una sola volta e basta; e dove giornalisti e blogger che si azzardano di contestare l'autorità sono "invitati" a risiedere presso le patrie galere) di tanto in tanto hanno azzerato l'audio, impedendo che lo sdegno dei palestinesi arrivasse a destinazione. Ma il telespettatore ha capito benissimo quale idea hanno i palestinesi dei loro leader, e a chi addossare le responsabilità di fame, disoccupazione, corruzione, miseria e vessazione. E - sorpresa - non ce l'hanno affatto con Israele.

lunedì 10 settembre 2012

Turismo in Medio Oriente

Si arricchisce l'offerta turistica in Medio Oriente. I visitatori europei possono trovare confortevoli e lussuosi alberghi a Gaza, scintillanti parchi giochi per i loro bambini nel sud del Libano, ad uso e consumo degli emuli dei famosi terroristi arabi; mercatini ricchi di libagioni e centri commerciali straripanti di ogni merce. Ne' si deve avere timore ad ostentare la propria ricchezza: le strade dei territori palestinesi sono solcate da scintillanti Mercedes, oggetto sempre più ambito da parte delle centinaia di nuovi milionari dell'area. E pazienza se la benzina scarseggia: al mercato nero Hamas è ben felice di venderla ad un prezzo superiore a quello di mercato. In questo modo l'organizzazione terroristica che governa Gaza dal 2006-2007 si procura il 20% delle proprie entrate. Insomma, Gaza è ormai entrata a pieno titolo nel circuito del turismo internazionale. L'unica accortezza è di evitarla se omosessuali: a differenza del vicino Israele, assolutamente gay friendly, a quanto pare a Gaza si viene sgozzati se si professa amore per persone dello stesso sesso. Un nostro connazionale per questo motivo l'anno scorso ha perso la vita.

Ad arricchire l'offerta turistica per gli esigenti turisti occidentali, c'è il nuovo museo progettato a Gaza. Grazie all'interessamento dell'Iran, stato noto alle cronache internazionali per il disprezzo dei diritti umani, un nuovo museo sta per prendere vita nella Striscia per commemorare i terroristi palestinesi che hanno rinunciato alla vita nel tentativo di ammazzare i vicini (e alle volte nemmeno tanto vicini) sionisti, israeliani, o ebrei (che dir si voglia). Lo rende noto il blog Elder of Ziyon, che cita un quotidiano palestinese vicino ad Hamas. L'iniziativa culturale sarebbe frutto dell'intesa fra i "ministri della cultura" della Striscia di Gaza e l'omologo della repubblica islamica iraniana.
A questo punto aspettiamoci il patrocinio dell'UNESCO, a cui recentemente la "palestina" è stata affiliata. Simili iniziative meritano la massima visibilità. Qualcuno in Occidente, pur tardivamente, potrebbe rinsavire...

sabato 8 settembre 2012

I palestinesi ammazzati che non fanno notizia


Il regime di Assad continua a colpire. Suoi simili. Ieri un attacco dell'esercito siriano ha colpito il campo profughi di Yarmouk, vicino Damasco. Lo riporta l'agenzia Reuters. Sono riportati 10 morti e non meno di 70 feriti. Tutti palestinesi. Secondo alcune fonti, la brutale aggressione serviva per "ripulire" la zona e poter così più facilmente colpire gli oppositori al regime. Disperazione per le vittime. Rabbia per il silenzio oltraggioso dei movimenti "filo-palestinesi". Questi morti si aggiungono alle centinaia di vittime palestinesi della carneficina di Assad; ma poiché non possono essere imputati allo stato di Israele, essi non fanno notizia.

I palestinesi sono incazzati. Ma non con Israele...

I giornali occidentali, si sa, sono troppo impegnati in faccende scottanti e drammaticamente serie - dai gattini intrappolati sui rami alla pancia piatta delle starlette televisive; dai peccati fiscali del Merolone nostro alle disavventure pallonare - per analizzare le vicende di politica estera. Così, tutti i problemi del Medio Oriente discendono dal conflitto fra arabi e israeliani, ci hanno spiegato per anni: tagliate le unghie ai secondi, e tutto si risolverà.
Peccato che gli eventi degli ultimi diciotto mesi abbiano suggerito diversamente. La cosiddetta "primavera araba" (infelice espressione, visti i risultati) ha visto le piazze affollarsi di gente stanca per il malgoverno, per il malaffare, per la corruzione della classe dirigente locale; e mai sono state bruciate bandiere americane o israeliane. Casomai, il piccolo stato ebraico è stato visto come esempio da seguire di democrazia partecipativa e di benessere diffuso.
Ad una alla volta, le teste dei leader sono rotolate o minacciano di farlo (quanto prima in Siria e in Iran, si spera). I territori palestinesi sono rimasti intoccati da questo vento; ma solo perché i giornalisti europei non si sono mai presi la briga di comprare un biglietto per Ramallah per testimoniare il malcontento. E quando l'hanno fatto, si sono guardati bene dall'inviare le loro corrispondenze ai giornali. Visto anche il trattamento riservato a giornalisti e blogger locali che hanno osato contestare la dirigenza palestinese.
Ma i palestinesi, si sa, sono pazienti fino ad un certo punto. E mentre quelli di Gaza hanno animatamente manifestato contro la brutale uccisione dei loro fratelli, residenti nei campi profughi siriani, per mano del dittatore Assad (al punto da costringere Hamas ad abbandonare in fretta e furia il quartier generale di Damasco); non sono stati da meno i palestinesi del West Bank.

Negli ultimi giorni si sono intensificati i cortei di protesta: a Ramallah, a Nablus, a Betlemme e altrove migliaia di palestinesi hanno riempito le strade, bruciando copertoni e alcuni fantocci che raffiguravano l'attuale primo ministro dell'ANP Salam Fayyad. Le proteste hanno riguardato il rincaro del costo della vita e il congelamento delle retribuzioni ai (tanti) dipendenti pubblici. Il presidente dell'Autorità Palestinese getta acqua sul fuoco: raccomanda alla polizia di mantenere la calma, e proclama l'avvio della primavera araba anche nei territori da egli amministrati (buon pro gli faccia).
L'aspetto suggestivo, a giudicare dalle immagini, è che non si scorga alcuna bandiera israeliana bruciata: sono sventolate vessilli palestinesi, sono stati urlati slogan irripetibili all'indirizzo dei leader locali ma, no, non si direbbe proprio che i palestinesi ce l'abbiano con i vicini israeliani. Il tentativo di screditare lo stato vicino e di legittimare la propria esistenza, da parte dell'embrione malaticcio del futuro (?) stato palestinese, non sta funzionando: i palestinesi sono incazzati proprio con Abu Mazen, con l'OLP, e con un regime che si perpreta da decenni, mentre la gente è sempre più stanca di un conflitto che serve soltanto ad alimentare le satrapie.




H/t: Challah hu Akbar.

venerdì 7 settembre 2012

Per chi non è ancora partito per le vacanze...

...può valutare e apprezzare la proposta di oggi. Non siamo un'agenzia turistica, ma davanti a questo paradiso non si può fare a meno di lanciare il suggerimento. Si tratta di un lussuosissimo albergo di Gaza, una località sempre più di interesse per il turismo nel Mediterraneo: l'Al Mat'haf Hotel dispone di 34 ampie camere, incluse sei suite, dalle dimensioni comprese fra i 60 e i 150 metri quadri. Le tariffe partono da 75 dollari e includono TV LCD via satellite, connessione Internet ad alta velocità, frigo bar, aria condizionata, guardaroba e altri optional. Una ricca colazione internazionale a buffet è disponibile per camere a partire da 100 dollari.
Le recensioni degli ospiti internazionali che hanno soggiornato al Al Mat'haf (letteralmente: il museo) sono entusiaste. Leggiamo da Tripadvisor: «Hotel eccellente supervisiona il mare. Molto confortevole, ottimo servizio, Le camere sono semplicemente incantevole, ben decorate e lussuose con tutte le comodità moderne. I servizi sono estremamente impressionanti»; e: «Questo è semplicemente incredibile hotel a Gaza , mi piace Al-Mathaf Hotel :) , posizione tranquilla, vista sul mare, cibo squisito e servizi eccellenti».
Possibilità di organizzare meeting, riunioni e banchetti, grazie alla disponibilità di ampie sale. Qualora non doveste trovare disponibilità qua, nessun problema: ci sono tanti altri begli alberghi di lusso a Gaza.


I nemici di questa terra cercano ancora di convincere l'opinione pubblica che si tratti di una... come dicono? ah, sì: una "prigione a cielo aperto". Ma questa calunnia è smentita dall'evidenza dei fatti: a Gaza non mancano lussuosi alberghi, le strade sono sempre più affollate di auto di lusso, centri commerciali e parchi giochi per bambini sono inaugurati di continuo, e merci di ogni tipo abbondano sulle bancarelle, grazie al continuo flusso proveniente dal vicino stato di Israele, dal quale provengono i prodotti che arrivano alla Striscia mediante i valichi di Kerem Shalom e Eretz (mai chiusi nonostante le continue aggressioni da parte dei terroristi di Hamas, della Jihad Islamica, del FPLP, del PRC e di altre organizzazioni il cui scopo - state tranquilli, non vi riguarda... - è di annientare gli israeliani; preferibilmente, ebrei.

giovedì 6 settembre 2012

La primavera araba raggiunge i palestinesi

Centinaia di palestinesi ieri hanno manifestato negli ultimi giorni a Nablus, a Betlemme e a Ramallah, nel West Bank. Proteste per il rincaro dei generi alimentari e per l'aumento del costo della vita e della disoccupazione. Ma soprattutto si chiede virtualmente la testa di Salam Fayyad, primo ministro di Abu Mazen, presidente di un'Autorità sempre più corrotta e invisa alla popolazione: "non ci rappresentate", era l'urlo che campeggiava sul cartello di un manifestante. I vertici dell'AP hanno cercato di ribattere le responsabilità sul vicino Israele, e su una sua presunta occupazione (lo stato ebraico occupa ancora soltanto l'1.5% dei territori contesi dopo la Guerra dei Sei Giorni), nonché su una ventilata "giudeizzazione" della capitale ebraica.
Il rischio che l'Autorità Palestinese imploda, schiacchiata da corruzione, malaffare, inefficienza nella gestione della cosa pubblica e privazione dei basilari diritti civili, è sempre più concreto. Questo, mentre a Gaza Hamas sarebbe sempre più pronta a proclamare uno stato autonomo, che manderebbe definitivamente in frantumi la pretesa di uno stato palestinese: al posto di una Palestina, uno "stato della Striscia di Gaza" - satellite della repubblica islamica d'Egitto - che già alcuni chiamano Hamasstan.

mercoledì 5 settembre 2012

Auguri di Shanà Tovà per il Rosh HaShanah

Rende bene dedicarsi al terrorismo

I nemici dello stato ebraico sostengono la strampalata proposta dell'OLP di favorire il "ritorno" dei discendenti degli arabi che nel 1948 furono convinti dagli stati confinanti a lasciare Israele alla vigilia della guerra che avrebbero mosso contro il neonato stato israeliano. Nel frattampo i 6-700 mila arabi si sono decuplicati, e un "ritorno" dei loro figli, nipoti e pro-nipoti equivarrebbe all'annichilimento di Israele. Da questo punto di vista non c'è granché differenza fra la "mission" di Hamas, che dichiara questa volontà nel suo atto costitutivo, e quella dell'OLP, che mira di fatto allo stesso obiettivo, anche se ufficialmente solo con l'uso dell'arma demografica.
C'è da chiedersi però se questo intento sia condiviso dagli arabi che ancora oggi abitano in Israele: un quinto della popolazione complessiva. Secondo un recente sondaggio, reso noto dal Jerusalem Post, il 60% degli arabi israeliani dichiara di avversare un eventuale matrimonio delle loro figlie con palestinesi del West Bank; quasi uno su cinque (il 18% del campione intervistato) cambierebbe casa se il nuovo vicino di casa provenisse da Giudea o Samaria.

Lo scarso sostegno di cui la "causa palestinese" gode fra gli arabi israeliani deve aver indotto il governo di Abu Mazen a Ramallah a destinare le risorse finanziarie altrove. Inutile promuovere con una comunicazione efficace un programma in cui crede soltanto una dirigenza interessata ad auto-perpetrarsi in eterno. Meglio ricompensare adeguatamente chi si "sacrifica" contro l'odiato nemico.
Si apprende così che, malgrado la grave crisi finanziaria in cui versa l'Autorità Palestinese, i cui vertici sono in continuo pellegrinaggio alla ricerca di nuovi fondi, l'anno scorso il governo ha triplicato l'assegno mensile inviato alle famiglie dei palestinesi detenuti nelle carceri israeliane per atti di terrorismo, incluso quello suicida. I sussidi (un welfare state con i fiocchi - neri - non c'è che dire...) sono erogati non solo agli affiliati ad Al Fatah, il partito di Abu Mazen; ma anche ai criminali appartenenti agli odiati rivali di Hamas. Secondo un canale televisivo israeliano, che ha mostrato documenti firmati dal primo ministro dell'ANP, 11 milioni di dollari al mese sono spesi per sostenere le famiglie dei terroristi: il 6% del bilancio dello stato. La paga è commisurata agli anni di reclusione comminati dal tribunale, dal numero di figli a carico, e dalla "anzianità terroristica": Abdullah Barghouti, condannato a 67 ergastoli per l'uccisione di altrettanti israeliani, beneficia di un sussidio mensile di 1500 dollari: una sommetta niente male, in un'area dove il reddito mensile medio non supera i 600 dollari. Rende bene fare i terroristi, da queste parti...

martedì 4 settembre 2012

Salta in aria una casa a Gaza. Colpa dei sionisti!

Casa dolce casa. Casa mia casa mia, per piccina che tu sia... insomma, ognuno cerca di addobbare e abbellire la propria dimora come meglio crede. C'é chi si rifornisce all'Ikea, e chi ha la fortuna di disporre di risorse finanziarie che consentono l'acquisto di arredi costosi. Buon per loro.
Noi occidentali però facciamo ancora una po' di fatica - ma ci stiamo arrivando - a comprendere lo stile di vita mediorientale. Insomma, per quanto ci sforziamo e vantiamo di aver perlustrato i suk di Sharm el Sheik, per quanto dichiariamo il nostro amore sconsiderato per l'arredamento etnico (purché Made in China), non siamo avezzi a certe abitudini...
Prendi Gaza, per esempio: questa terra che una volta era definita occupata, e che ora, a sette anni dallo sgombero deciso unilateralmente da Israele, è relativamente florida (oltre 600 milionari, secondo le statistiche ufficiali), e tutt'altro che occupata, come ha riconosciuto l'altro giorno la stessa Hamas. Certo, il benessere non è diffuso e, si sa, un po' di impicci bisogna pur farli per portare a casa il denaro. Ma le donne si arrangiano come possono, e arredano le loro dimore con le risorse di cui dispongono.
Prendete questa casa a Gaza. Graziosamente adornata di esplosivo, tappezzata da polvere da sparo, pavimentata con cartucce per mitragliatori. Noi non ce ne capacitiamo, ma dovete sapere che da queste parti è normale conservare in casa un po' di armi e munizioni: lo prescrive il bon ton (islamico, naturalmente). Così, pazienza se di tanto in tanto qualche casa salta per aria. Come è successo sabato scorso: come riporta il blog di Challah hu Akbar, un'esplosione ha distrutto un'abitazione di due piani, dove vivevano quattro famiglie. Il padrone di casa è risultato ferito dalle schegge delle bombe "a fabbricazione domestica". Danneggiata una casa vicina e distrutto un allevamento di volatili. Qualche giorno prima un altro palestinese si è recato presso un ospedale locale per farsi curare dalle ferite riportate in seguito all'esplosione di un proiettile detenuto in una casa nei pressi della moschea di Khan Yunis, nella Striscia di Gaza.
La colpa di questi danni? di Israele, naturalmente. Che si decidano una volta buona a farsi saltare in aria. Che la smettano di opporsi al loro destino, e facciano la cortesia di essere annichiliti, come prescrive l'atto costitutivo di Hamas, che governa la Striscia di Gaza da 6-7 anni. E giacché si trovano, la prossima volta si dichiarino colpevoli al processo che questi sfortunati arredatori dinamitardi intenteranno loro per i danni riportati dall'esplosione accidentale di munizioni in casa propria...

domenica 2 settembre 2012

I milionari di Gaza

C'era una volta un lembo di terra, talmente sottile da essere definito "striscia": la Striscia di Gaza. Una terra povera, sotto la dominazione egiziana, fino a quando la Guerra dei Sei Giorni del 1967 comportò il passaggio della Striscia sotto la giurisdizione israeliana. L'economia e il tenore di vita migliorarono: gli insediamenti ebraici avviarono nuove e fiorenti attività commerciali, che diedero lavoro e benessere a diecine di migliaia di arabi. Dove c'era il deserto fiorirono serre e vivai. Questo fino al 2000, quando scoppiò la Seconda Intifada che esasperò il terrorismo palestinese nei confronti della popolazione civile israeliana. Nel 2005 lo sgombero da Gaza, nel 2007 l'ascesa al potere da parte dei fondamentalisti islamici di Hamas, che trasformarono serre in trincee, e edifici pubblici in piattaforme di lancio missilistiche. L'economia precipitò, le risorse finanziarie furono destinate all'acquisto di armi e munizioni, e la popolazione sprofondò nella miseria.
Le aggressioni pressoché quotidiane indussero le autorità di governo di Gerusalemme a correre ai ripari, istituendo un blocco navale al largo delle coste di Gaza, finalizzato ad impedire l'arrivo di nuovi armamenti. Ciò non ha impedito il potenziamento degli arsenali di Hamas e di altre formazioni terroristiche, grazie alle centinaia di tunnel illegali scavati al confine fra la Striscia e l'Egitto, ma ha nondimeno alimentato la retorica della "crisi umanitaria", sapientemente alimentata da media simpatizzanti per l'opera di annichilimento sionista portata avanti da Hamas. Due anni fa il colpo di scena: dopo una approfondita indagine, l'ONU ha riconosciuto in un rapporto dettagliato che a Gaza non vi è alcuna crisi umanitaria: generi alimentari, medicinali, materiali da costruzione, abiti e tessuti, prodotti high-tech e persino beni di lusso, pervengono periodicamente a Gaza per il tramite dei valichi israeliani di Kerem Shalom e di Eretz, che spesso hanno sopperito alla improvvisa chiusura del valico egiziano di Rafah. Anzi, di generi di lusso ne arrivano sospettosamente sin troppi...
Si scopre oggi che i milionari a Gaza abbondano: sono circa 600. I centri commerciali sono sempre più affollati di acquirenti e di mercanzia, le concessionarie d'auto di lusso, sono aperte anche al sabato, si aprono sempre più ristoranti e alberghi di lusso e i mercatini rionali straripano di prodotti. La "denuncia" proviene da una fonte insospettabile di partigianeria: è il quotidiano in lingua araba "Asharq Al-Awsat" a sostenerlo, con dovizia di particolari. Casomai, rivela il quotidiano che cita un ex alto ufficiale dell'Autorità Palestinese, le condizioni di vita dei residenti sarebbero molto migliori se non vi fosse il regime autoritario e temuto di Hamas, salita al potere con un colpo di stato con cui ha esautorato brutalmente i rivali di Al Fatah, e che da anni non tiene libere elezioni nel timore di perderle (a favore, peraltro, di organizzazioni ancora più radicali).
Hamas ottiene 1/4 delle entrate proprio dal commercio illegale al confine con l'Egitto: ogni auto che entra nella Striscia paga un dazio di 2000 dollari e una sovrattassa pari al 25% del prezzo. Dazi sono imposti anche su cemento, su sigarette e sui combustibili di ogni tipo. Si capisce bene perché il primo ministro Ismail Haniyeh avversi la decisione del neo-presidente egiziano Morsi di sigillare i tunnel clandestini. Si capisce meno perché ancora oggi qualche giornali si ostina a parlare di crisi umanitaria in una terra dove il denaro abbonda: casomai, è (molto) mal distribuito. In effetti i palestinesi si libererebbero ben volentieri di Hamas, e molti avversano la sua aggressività nei confronti del vicino Israele; ma purtroppo da queste parti la democrazia è talmente avanzata che non c'è bisogno di tenere libere elezioni più di una volta...