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martedì 7 febbraio 2017

Gli "insegnanti" dell'UNRWA ricascano nella celebrazione dell'antisemitismo

In Occidente ancora oggi c'é chi crede che l'UNRWA, l'agenzia ONU creata appositamente per i "profughi" palestinesi (sarebbero 30.000 oggi i superstiti del 1948; ma per una norma ad personam il numero è stato inflazionato a diversi milioni), serva ad alleviare le sofferenze di un popolo che ha pagato prima la persuasione perfida e strumentale delle nazioni arabe; e oggi l'indifferenza e il disprezzo delle medesime. Nella migliore delle ipotesi, insomma, l'UNRWA -  United Nations Relief and Works Agency for Palestine Refugees in the Near East - è un carrozzone tanto inutile quanto faraonicamente costoso. Nella peggiore delle ipotesi, è l'organizzazione tristemente nota per aver offerto ospitalità nel 2014 agli sgherri di Hamas e al loro arsenale bellico; per ammissione ufficiale quanto tardiva delle stesse Nazioni Unite.
Nel mezzo, fra una guerra e l'altra, l'UNRWA si diletta nella propaganda antisemita. Eroga lauti compensi al personale assunto, sulla carta per prestare insegnamento ai bambini palestinesi; nella realtà non di rado per fornire odiosi precetti antisemiti. È la denuncia scaturita da UN Watch, un "cane da guardia" che monitora minuziosamente l'operato delle agenzie collegate al Palazzo di Vetro, e che domenica ha pubblicato un nuovo, desolante rapporto.

mercoledì 30 novembre 2016

L'improbabile "diritto al ritorno" millantato dai palestinesi

Famiglia ebrea residente in Iran nel 1880 circa

Secondo le Nazioni Unite, nel 1948 si contavano circa 710 mila arabi che lasciarono il neonato Israele o furono indotti a farlo in conseguenza dello scoppio della Guerra di Indipendenza (seguita all'attacco degli stati arabi che rifiutarono la risoluzione ONU che dava vita a due stati - uno ebraico e uno arabo - in luogo della Palestina mandataria britannica, NdT). All'epoca - siamo immediatamente dopo la cessazione delle ostilità del secondo conflitto mondiale, c'erano circa 50 milioni di rifugiati in tutto il mondo. Ma tutti, nel tempo, trovarono una nuova dimora. Al contrario la questione palestinese, grazie al contributo onusiano, è peggiorato nel tempo, e oggi si calcolano ben 5 milioni di palestinesi che rivendicano lo stato di rifugiato.

domenica 18 ottobre 2015

Le Nazioni Unite alleate del terrorismo palestinese?

Secondo un rapporto pubblicato da UN Watch di Ginevra, almeno dieci diversi dipendenti dell'ONU stanno usando la legittimazione della loro posizione ufficiale per incoraggiare i palestinesi ad accoltellare e colpire gli ebrei israeliani; uno di essi sulla sua pagina Facebook incita a «pugnalare i cani sionisti». UN Watch è un'organizzazione internazionale il cui mandato conferitole dal Palazzo di Vetro, consiste nel monitorare il rispetto dello statuto istitutivo da parte dell'Organizzazione delle Nazioni Unite.
UN Watch ha sottoposto il documento all'attenzione del segretario generale Ban Ki-moon, del direttore dell'UNRWA Pierre Krähenbühl e dell'ambasciatore americano all'ONU Samantha Power. Gli Stati Uniti, con 400 milioni di dollari annui, sono il principale finanziatore dell'UNRWA.
Dichiara Hillel Neuer, direttore esecutivo di UN Watch: «L'ONU e i finanziatori principali dell'UNRWA come gli Stati Uniti, dovrebbero porre immediatamente fine al rapporto con i propri impiegati che incitano ad attività delittuose e criminali, e che si abbandonano ad atti di antisemitismo, incoraggiando gli attacchi palestinesi contro gli israeliani, che hanno tolto la vita a uomini, donne e bambini innocenti».

sabato 28 febbraio 2015

La questione dei rifugiati palestinesi

Lei è una rifugiata palestinese del campo profughi di Jabalya, nella Striscia di Gaza. Questo foto è stata scattata al funerale di suo zio, membro delle Brigate dei Martiri di Al Aqsa (braccio armato di Al Fatah, NdT), colpito dall'aviazione israeliana.
Non si può negare la rabbia e la frustrazione che avranno motivato suo zio. Nessuno può negare che i rifugiati palestinesi a Gaza e nel West Bank, in Libano e in Siria stiano soffrendo. Ma chi vuole risolvere la crisi dei rifugiati, deve prima realizzare come questa gente ha conseguito lo stato di profugo, e cosa stia perpetuando oggi le loro sofferenze.
Definiamo anzitutto il termine "rifugiato". Secondo le Nazioni Unite un rifugiato è una persona che «manifestando il fondato timore di essere perseguitato, si trovi al di fuori dello stato di sua nazionalità». Come fa la gente a diventare rifugiato? Diventano rifugiati a causa di guerre e conflitti, in conseguenza dei quali la gente è spostata con la forza, o fugge dal pericolo.


Mia nonna divenne profuga, fuggendo dalla Romania dopo la Seconda Guerra Mondiale. Per tre anni non ebbe alcun domicilio permanente, ma alla fine trovò ospitalità in Israele nel 1948, e al pari di altre centinaia di migliaia di rifugiati ebrei, trovò dimora definitiva nello stato ebraico.
Occupiamoci dunque dei rifugiati palestinesi. Ci sono due orientamenti che intervengono a tal proposito. Il presidente dell'Autorità Palestinese Mahmoud Abbas ha scritto un editoriale nel 2011 sul New York Times, in cui sosteneva che dopo il voto di partizione delle Nazioni Unite del 1947, con cui si istituiva uno stato ebraico e uno stato arabo, «le forze sioniste espulsero gli arabi palestinesi per garantirsi una maggioranza ebraica decisiva nel futuro stato di Israele, e a quel punto intervennero gli eserciti arabi. Seguirono guerra e ulteriori espulsioni». In parole povere, ciò che afferma è che gli ebrei espulsero i rifugiati palestinesi, gli eserciti arabi intervennero in difesa di essi, e la guerra che seguì è responsabilità di Israele.

martedì 3 febbraio 2015

A.A.A.: Cercasi comparse per prossimo film di Pallywood

L'inverno si sta rivelando particolarmente rigido a Gaza, quest'anno. Al solito, se Hamas, che governa la Striscia dal 2007, si fosse preoccupata di impiegare i miliardi di dollari piovuti da tutto il mondo per costruire case e infrastrutture, anziché rampe di lancio e tunnel del terrore; a quest'ora nessuno avrebbe sofferto il freddo e la fame nell'enclave palestinese. Ma il tempo delle recriminazioni è passato: con i 5 miliardi di dollari in arrivo per la ricostruzione a Gaza le condizioni di vita miglioreranno. O forse no.
Sta di fatto che Chris Gunness, il portavoce dell'UNRWA - l'agenzia ONU specializzata nel (non) risolvere la questione dei rifugiati palestinesi - che sul sul profilo Twitter riporta subdolamente la gigantografia della desolazione del campo profughi di Yarmouk, in Siria, spacciandolo implicitamente per oggetto di responsabilità israeliane; è all'opera per produrre una nuova spettacolare bufala made in Hollywood.

giovedì 6 novembre 2014

L'educazione delle giovani generazioni palestinesi


Zuhair Hindi è un giovane insegnante. Presta servizio presso una scuola dell'UNRWA, l'agenzia ONU concepita esclusivamente per i rifugiati palestinesi. Non tutti gli edifici dell'UNRWA sono impiegati come deposito di armi e munizioni, o per ospitare le riunioni esecutive di Hamas: presso il campo profughi di Jabalya, a nord della Striscia di Gaza, il nostro Hindi si occupa di allevare e formare le giovani menti dei palestinesi. Un nobile intento che viene perseguito con scrupolosa dedizione e amorevole attaccamento alla causa. Quella di Hamas.

lunedì 1 settembre 2014

Rivedere le immunità garantite all'UNRWA

di Einat Wilf*

Ironia della sorte, durante i combattimenti a Gaza l'IDF è stato colpita da installazioni dell'U.N. Relief and Works Agency (UNRWA), ed ha dovuto rispondere al fuoco. Ma ora che le ostilità sono cessate, è giunto il momento per Israele di fare ciò che andava fatto già alcuni decenni fa: rimuovere lo strato di immunità e legittimazione concesa all'UNRWA. Israele dovrebbe riconoscere l'UNRWA per ciò che è: un'organizzazione palestinese ostile che perpetua il mito del ritorno dei rifugiati palestinesi in Israele, agendo conseguentemente.
La politica di Israele verso l'UNRWA è dettata dall'establishment della Difesa. È basata sulla premessa secondo cui "l'UNRWA è il minore dei mali", come un dirigente del ministero della Difesa mi riferì una volta: «l'UNRWA è una merda, ma Hamas lo è ancora di più». Ma questa è una visione parziale della questione. Anche se l'UNRWA in quanto tale non colpisce direttamente Israele, si assicura che ci sia sempre qualcuno che lo farà. Sotto un sottile velo di attivismo umanitario, l'UNRWA agisce con una evidente agenda politica, finalizzata a perpetrare la condizione dei rifugiati palestinesi, e alimentando il mito del "ritorno in Israele". Ecco come l'UNRWA costruisce le basi ideologiche delle prossime generazioni di militanti anti-israeliani.

lunedì 19 maggio 2014

Che brutta giornata, per i palestinisti...

È un brutto momento per i "palestinisti"; insomma, non per i palestinesi in quanto tali, che non da oggi devono subire un regime intento più ad autoperpetrarsi e a tendere ad Occidente il braccio con il palmo della mano rivolto verso l'alto, che non a impiegare l'oceano di liquidità su cui galleggiano per risolvere i problemi della popolzione; ma per tutti quelli che ammiccano, adulano e sponsorizzano questo mondo. Ilblogdibarbara ha proposto un interessante testo, che documenta le conseguenze nefaste e le distorsioni al sistema provocati degli "aiuti finanziari" alle popolazioni dell'Africa. Non si fa fatica a credere che l'approccio paternalistico adottato dal Dopoguerra ad oggi nei confronti della questione dei "profughi" palestinesi - nel frattempo moltiplicatisi dai 500 mila originari ai 5-6 milioni di oggi - abbia esacerbato la questione, anziché risolverla. Ma stiamo sul leggero...

martedì 22 ottobre 2013

Venticinque volte il Piano Marshall

Non si smorza l'indignazione per la recente scoperta del tunnel costruito da Hamas fra la Striscia di Gaza e l'Israele meridionale. Realizzato in cemento made in Israel, e lungo quasi due chilometri, la galleria avrebbe condotto i terroristi alle soglie dell'asilo infantile di un kibbutz ben all'interno del territorio israliano, con una diramazione scoperta successivamente, che doveva prendere alle spalle una postazione dell'esercito israeliano.
Una circostanza prevista. Nel 2010 l'intelligence israeliana avvisò il governo di Gerusalemme circa i pericoli derivanti da un "uso improprio" del cemento da parte dell'organizzazione terroristica che governa l'enclave palestinese dal 2007. Ciò malgrado, a novembre 2011 il ministero della Difesa autorizzò l'invio di cemento a Gaza, destinato originariamente alla costruzione di 75 complessi scolastici gestiti dall'UNRWA, la facoltosa agenzia ONU che si dovrebbe occupare dei discendenti dei "profughi palestinesi" (gli arabi superstiti che furono persuasi dalle nazioni belligeranti vicine a lasciare Israele nel 1948 sono secondo le stime circa 35 mila).

domenica 22 settembre 2013

Urge una immediata riforma dell'UNRWA

di Timon Dias*

Secondo un recente studio, il popolo palestinese ha ricevuto, in termini reali aiuti pari a 25 volte quelli ricevuti dagli europei delle nazioni devastate dalla II Guerra Mondiale sotto il Piano Marshall. Secondo lo studio, la maggior parte di questi fondi sono stati veicolati verso il popolo palestinese tramite la United Nations Relief and Work Agency for Palestine Refugees in the Near East (UNRWA). Si tratta dell’unica agenzia delle Nazioni Unite concepite specificatamente per una sola popolazione; l’unica che definisce come rifugiati coloro che hanno vissuto per almeno due anni in una specifica area nel momento in cui è scoppiata la guerra arabo-israeliana del 1948. E si tratta anche dell’unica agenzia che identifica i discendenti degli originari rifugiati come anch’essi rifugiati, sebbene il 90% di quelli che l’UNRWA originariamente definì come tali che non si sono mai allontanati dal luogo di origine.
L’UNRWA, inoltre, viola la convenzione dei rifugiati dell’UNHCR, continuando a considerare rifugiati due milioni di persone (il 40% dei beneficiari delle erogazioni dell’UNRWA) che godono di piena cittadinanza in Giordania, Siria e Libano, incoraggiando loro oltretutto a pretendere un fantomatico “diritto al ritorno”.

lunedì 2 settembre 2013

La dura battaglia contro la disinformazione

Simpatico botta e risposta fra la redazione del Daily Telegraph, quotidiano britannico che ha la sventura di ospitare la penna di Robert Tait, ex giornalista del Guardian; e CifWatch, organizzazione no-profit impegnata nella lotto contro la disinformazione, la mistificazione, l'omissione in mala fede e non di rado l'invenzione di sana pianta di fatti che inevitabilmente mirano a gettare ombra e discredito su Israele. Ce ne siamo occupati qualche giorno fa. Nel tentativo di fornire appoggio alla cosiddetta "causa palestinese", il Telegraph ha gonfiato a dismisura il numero di rifugiati e profughi palestinesi; per tali intendendosi non coloro i quali furono persuasi dagli stati arabi belligeranti nel 1948 a lasciare Israele, dietro la promessa che vi sarebbero tornati ben presto a guerra (vinta) conclusa; bensì il numero degli arabi, e di tutta la loro discendenza, che può accedere ai generosi benefici dell'iscrizione all'UNRWA, un'agenzia delle Nazioni Unite che da decenni perpetra se' stessa dietro questo comodo e largo paravento. Si potrà obiettare che in questo momento ci sono emergenze umanitarie che richiederebbero almeno una parte del ricco budget messo a disposizione dell'UNRWA; ma non digrediamo.

mercoledì 28 agosto 2013

Chi finanzia i campi dell'odio a Gaza?

di Paul Alster*

Sin dalla tenera età di 5 anni i bambini palestinesi apprendono l'odio per gli ebrei, l'esaltazione del martirio e il sostegno per la jihad; e, secondo un recente studio, un'agenzia dell'ONU finanziata dai contribuenti sostiene lo sforzo.
La United Nations Relief and Works Agency (UNRWA) ospita i campi estivi in cui i bambini palestinesi sono indottrinati: stando al documentario dal titolo "Camp Jihad: Inside UNRWA Summer Camp Season 2013”. Oltre ad apprendere espressioni di odio, ai bambini è insegnato che Israele è cosa loro: «i bambini apprendono i nomi di molti villaggi, e non solo delle grandi città come Gerusalemme», afferma Amina Hinawi, identificata dal documentario come responsabile di un campo UNRWA a Gaza. «In questo modo ogni bambino è motivato a fare ritorno al proprio villaggio».
L'indottrinamento dei piccoli palestinesi non è nulla di nuovo, ma il documentario ha suscitato il biasimo degli israeliani a causa del ruolo attivo rivestito dalle Nazioni Unite. Secondo lo stesso sito dell'UNRWA, gli Stati Uniti sono il maggior finanziatore di questa attività, con una elargizione di 232 milioni di dollari soltanto nel 2012; seguono l'Unione Europea (204 milioni) e il Regno Unito (68 milioni).

mercoledì 21 agosto 2013

Gonfiato il numero dei "rifugiati" palestinesi


Secondo le stime ufficiali, la guerra fra Israele e stati arabi del 1948-49 ha prodotto circa 711 mila rifugiati arabi palestinesi. Per mettere questo dato in prospettiva, si consideri che dal 1948 all'inizio degli anni Settanta si contano circa 850 mila rifugiati ebrei, in uscita dagli stati arabi.
Un pertinente documento dell'assemblea generale delle Nazioni Unite, datato 23 ottobre 1950, così si esprime a proposito del problema dei rifugiati palestinesi: «la stima degli esperti di statistica, ritenuta attendibile, indica che i rifugiati in uscita dai territori controllati dagli israeliani, ammonti a circa 711.000 unità».
Se da un lato si stima che qualcosa come 30-50 mila arabi palestinesi siano ancora viventi, rispetto a questo dato; la UNRWA (United Nations Relief and Works Agency) consente a figli, nipoti, pronipoti e discendenza all'infinito dei rifugiati effettivi di continuare a fregiarsi di tale titolo. Per cui, sulla base di questa pratica (unica al mondo: in nessun altro stato al mondo i discendenti dei rifugiati conservano lo status dei loro genitori, NdT), si calcolano oggi ufficialmente 4.9 milioni di palestinesi che possono vantare la condizione di "rifugiato", accedendo ai relativi benefici.

mercoledì 5 giugno 2013

Quella discriminazione a favore dei palestinesi

di Yoni Dayan*

È giunto il momento di ammettere la verità: il mondo si preoccupa molto più della vita di un palestinese che di quella di un siriano, un sudanese, un keniota, un colombiano o un congolese.
Si tratta, molto semplicemente, di un principio avvalorato giorno dopo giorno sin dal 1949, quando le Nazioni Unite decisero di dividere in due l'agenzia globale per i profughi creandone una speciale con il compito di prendersi cura soltanto dei profughi palestinesi. Ancora oggi la comunità internazionale ha due agenzie che operano per i profughi: l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) e l'UNRWA (United Nations Relief and Works Agency per i profughi palestinesi nel Vicino Oriente).
Uno sguardo appena un po' approfondito su queste due agenzie rivela quanto sia profondo l'atteggiamento discriminatorio della comunità internazionale verso tutti i profughi del mondo rispetto a quelli palestinesi.
L'Alto Commissariato, che si prende cura di 33,9 milioni di profughi e sfollati interni in più di 125 paesi di tutto il mondo, dispone in tutto di un budget di 3 miliardi di dollari. L'UNRWA, che si occupa di cinque milioni di profughi e discendenti di profughi palestinesi, dispone di un budget di più di un miliardo di dollari: vale a dire 88,50 dollari a testa per i profughi e sfollati di tutto il mondo, e 200 dollari a testa per profughi e discendenti di profughi palestinesi.

venerdì 17 maggio 2013

Pollo fritto a Gaza e altre tragedie meno serie

Scoppia la mania del fast food a Gaza. Beh, "fast" è un modo di dire, dal momento che il pollo fritto della KFC deve attraversare i tunnel clandestini scavati al confine fra l'Egitto e la Striscia di Gaza - quelli che il governo di Morsi fa saltare in aria con l'aviazione, o allaga con l'esercito - per giungere a destinazione. Il cibo così tanto occidentale arriva alle case dei palestinesi dopo alcune ore, ma che importa? vale la pena di aspettare per gustare questa prelibatezza.
E pazienza se la consegna di un KFC Family Meal comporta un costo di 80 lire egiziane - quasi 10 euro: quel pasto li merita tutti. Il problema è che bisogna provvedere anche alle spese di consegna: ragionevolmente, vista la strada da percorrere e i rischi che si attraversano. In tutto fa l'equivalente di 18 sterline, annota solerte il Sun: ovvero, 21 euro. Ma non ci avevano detto una volta che a Gaza se la passavano male? ci deve essere non poca gente con il portafoglio gonfio, se si può permettere il lusso di farsi mandare il pollo americano al domicilio.

lunedì 22 aprile 2013

UNRWA, il nemico dei palestinesi

C’è un’Agenzia ONU che non è mai in crisi, un’agenzia costantemente sommersa di dollari, che si occupa di un gruppo esclusivo di rifugiati, nati e cresciuti nei loro luoghi di residenza, in alloggi e non in tende. Rifugiati che spesso hanno un lavoro e un reddito, che hanno regolare accesso alla sanità pubblica e all’istruzione. Ma qual è questa Agenzia prospera dal miliardo di dollari l’anno? Ma è l’UNRWA è ovvio! E i profughi sono quelli che non sono più tali da cinquant’anni: i “profughi” palestinesi. La Siria è distrutta, i siriani non hanno da bere acqua fresca, ma l’Unrwa non se ne preoccupa, loro “servono” esclusivamente i Palestinesi.
L’Unrwa, come sappiamo, è quell’organismo incaricato, dal 1948, di assegnare lo status di rifugiato a tutti i discendenti di quei Palestinesi che lasciarono Israele durante la prima guerra di aggressione sferrata contro lo Stato ebraico. Bastava aver risieduto due mesi in Eretz Israel per aver diritto ad uno status da lasciare in eredità ai propri figli e ai figli dei figli. Cosi’, quelli che nel 1949 non arrivavano a 700.000 unità, ora sono diventati cinque milioni. Neanche uno dei rifugiati originari è stato mai reinsediato dall’Unrwa. Secondo la sua definizione, i profughi rifugiati rimangono tali anche dopo l’acquisizione della cittadinanza di un altro paese.

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mercoledì 14 novembre 2012

Salvate i palestinesi dagli arabi!

E' motivo di tristezza constatare la difficile condizione in cui versano i rifugiati palestinesi nei paesi arabi. Siria, Libano, Egitto; lo stesso West Bank da decenni "ospitano" i discendenti - figli, nipoti e pronipoti - degli arabi che nel 1948 furono persuasi dagli stati confinanti con Israele, a lasciare lo stato ebraico, con la promessa che vi sarebbero tornati, più ricchi, una volta vinta la guerra che le potenze arabe si accingevano a scatenare contro il neonato stato. Le cose purtroppo per loro andarono diversamente. Ma per fortuna di una ipertrofica burocrazia, i rifugiati palestinesi sono diventati una fonte inesauribile di prebende, posti di lavoro, potere e ricchezza. Al punto da creare una agenzia specifica dell'ONU, diversa da quella istituita per gestire tutte le altre spinose situazioni simili.
E mentre i rifugiati di tutto il mondo - inclusi i 700 mila ebrei residenti nei paesi arabi, che furono brutalmente espulsi da stati in cui erano pienamente e attivamente integrati - si inserivano in nuove realtà, e diventavano cittadini di un nuovo stato a partire dalla prima discendenza; i rifugiati palestinesi sono rimasti tali per generazioni: gli stati ospitanti non hanno mai fornito loro la cittadinanza. Peggio: li hanno sempre trattati con disprezzo, negando i basilari diritti civili. Costretti in luridi campi profughi, privi della possibilità di accedere a lavori e a vantare qualsiasi diritto, i rifugiati palestinesi sono stati impiegati dalle nazioni arabe come arma di pressione contro il vicino Israele, dove gli arabi rimasti godono viceversa di tutti i diritti (incluso l'elettorato attivo e passivo).
L'Occidente si è reso complice di questo maltrattamento. Voltandosi dall'altro lato, ha concesso generosi finanziamenti alle istituzioni sovranazionali incaricate di gestire una situazione inizialmente provvisoria. Ma i nodi stanno venendo al pettine: i fondi scarseggiano, e l'UNRWA ha lanciato il suo grido di dolore. Del tutto inascoltato da chi prima di altri dovrebbe risultare sensibile: gli stati arabi, che negano ulteriori fondi. Mentre l'Europa ha già la sua crisi da risolvere...


Fonte: Elder of Ziyon*

Di recente il Commissario Generale dell'UNRWA Filippo Grandi ha fornito un discorso appassionato ad una sotto-commissione ONU circa la condizione critica in cui versano i rifugiati arabi palestinesi, e su quanto sia importante che l'UNRWA sia dotata di nuovi fondi. Nascosto fra le pieghe del discorso, Grandi a malincuore ha ammesso che le nazioni arabe hanno discriminato i rifugiati siriani di origine palestinese. Da notare la sua riluttanza ad ammettere esplicitamente quello che gli stati arabi stanno facendo, e la cautela nel criticarli per aver di fatto gettato i confratelli sotto un treno:
«Nell'ambito del Piano Regionale di Risposte, l'UNRWA chiede altresì 10 milioni di dollari per assistere i rifugiati palestinesi che stanno abbandonando la Siria per dirigersi in Giordania e Libano: allo stato attuale, rispettivamente 1600 e 8000 persone. La loro situazione, difficile come quella di tutti i profughi siriani, è aggravata dalla situazione preesistente. Malgrado il numero ristretto, la loro condizione critica tristemente conferma che, a prescindere da quanto tempo vivano negli stati ospitanti e quanto confortevolmente vi abbiano vissuto, essi restino estremamente vulnerabili ed esposti allo shock della crisi.
Apprezziamo molto che gli stati confinanti con la Siria ancora una volta si siano sobbarcati questo onere, ancora una volta senza il contributo internazionale. Voglio ricordare che i rifugiati palestinesi che abbandonano la Siria in cerca di una protezione temporanea, sono esposti agli stessi rischi e pericoli degli altri profughi. Purtroppo, però, l'UNRWA è al corrente di diversi casi di palestinesi a cui è stata negata questa protezione. Mi appello ancora una volta agli stati confinanti affinché sia rispettato un criterio umanitario nel trattare questi casi, senza distinguere fra diverse categorie di rifugiati, evitando qualunque maltrattamento fino a quando la crisi siriana sarà risolta».

Quello che sappiamo con certezza, è che Giordania e Libano, se da un lato hanno accettato molti profughi siriani, dall'altro stanno respingendo quelli di origine palestinese in Siria, dove affronteranno un futuro incerto, se non la morte. Quello che il Commissario non dice esplicitamente è che molti altri palestinesi scapperebbero dalla Siria, se fossero sicuri che Giordania e Libano accogliessero loro; ma così non è, evidentemente.
Grandi usa una enorme cautela per non inimicarsi le nazioni arabe, che stanno maltrattando le persone che egli desidererebbe proteggere.
Non è il momento di analizzare la situazione sotto una differente prospettiva? Nello specifico, l'UNRWA dovrebbe ritornare al suo mandato originario di integrare gli arabi palestinesi negli stati ospitanti.
Ho appena scoperto un documento, scritto da Lance Bartholomeusz, responsabile della divisione Diritto Internaizonale dell'UNRWA in occasione del 60esimo anniversario dele 2010. E' davvero sconvolgente, perché ammette che l'UNRWA ha un mandato di ricollocare i rifugiati: qualcosa che ha smesso di fare da tempo.

* Continua a leggere su Elder of Ziyon.

lunedì 29 ottobre 2012

La Striscia di Gaza scivola verso l'Islam sunnita

La Striscia di Gaza sta diventando sempre più un protettorato sunnita.
Si va dileguando la sfera di influenza sciita dell'asse Iran-Siria. L'isolamento internazionale del regime di Assad a Damasco, dove Hamas in passato aveva il suo quartier generale, e il supporto ancora oggi garantito ad un regime che ha ammazzato nell'ultimo anno e mezzo oltre 500 profughi palestinesi, hanno indotto l'organizzazione terroristica che governa la Striscia dal 2006/2007 (prima in coabitazione con gli uomini di Al Fatah, poi in solitudine dopo un sanguinoso colpo di stato) ad accettare sempre più il protettorato sunnita.
Non si dimentichi che Hamas è una costola storica dei Fratelli Musulmani che ora sono saliti al potere nel vicino Egitto. E mentre c'é chi sospetta una progressiva integrazione che possa arrivare a trasformare Gaza in una provincia dell'Egitto, il riconoscimento internazionale è sempre più evidente. La scorsa settimana l'emiro del Qatar è giunto qui in visita ufficiale, provocando l'irritazione dell'Autorità Palestinese che vede sfumare sempre più la propria legittimità (per la verità, messa in discussione dalla corruzione dilagante e dalla pesante sconfitta delle recenti elezioni amministrative). Ora si apprende che sta per visitare l'enclava palestinese il sultano del Bahrein, anch'egli sunnita, e acerrimo nemico dell'Iran (il che naturalmente non lo rende "amico" di Israele).
La visita, programmata per i prossimi giorni, è organizzata dall'UNRWA, l'agenzia ONU speciale per i "profughi" palestinesi di cui ci siamo occupati tanti volte.
Ciò implica che le Nazioni Unite stanno implicitamente riconoscendo il regime sanguinario di Hamas? si direbbe di sì. Resta da vedere come il Palazzo di Vetro reagirà al diniego opposto da Hamas, che fermamente condanna la decisione delle scuole gestite dall'UNRWA a Gaza di insegnare la tragedia dell'Olocausto, in quanto ritenuto lesivo delle rivendicazioni palestinesi e del loro presunto "diritto al ritorno" (non tanto dei 500 mila che spontaneamente lasciarono il neonato stato ebraico nel 1948, quanto dei loro milioni di discendenti).

giovedì 18 ottobre 2012

Palestinesi: in Israele c'è lavoro (e sesso) per tutti!

La repubblica israeliana ha di recente visto confermato il suo merito di credito da parte delle agenzie di rating americane. E' l'unico stato occidentale ad aver beneficiato di un upgrade nel rating negli ultimi cinque anni. Esempio di democrazia, di crescita economica, di benessere diffuso, di progresso civile e tecnologico, di un sistema giudiziario che funziona egregiamente (al punto da mettere sul banco degli imputati un ex presidente della repubblica ed un ex primo ministro). Insomma, un esempio per il resto del Medio Oriente. Forse è anche per questo che il mondo arabo manifesta nei suoi confonti una crescente verbosità, se non vera e propria aggressività.
Non che l'Occidente faccia qualcosa per mitigare questi sentimenti. L'UNRWA, l'agenzia speciale dell'ONU per i "rifugiati" (e relativi discendenti) palestinesi si è vista opporre un secco rifiuto da parte dei docenti giordani, davanti alla proposta di introdurre nei corsi di insegnamento la tragedia immane dell'Olocausto: «danneggerebbe la causa palestinese, e altererebbe la visione degli studenti circa il principale nemico: l'occupazione israeliana», è stata la sconcertante risposta di un corpo docente, pagato dall'Occidente, e al servizio di 122 mila studenti frequentanti le 172 scuole presenti in una diecina di campi profughi in Giordania. L'UNRWA tace.
Malgrado questa ostilità, Israele continua a promuovere lo sviluppo delle economie degli stati arabi circostanti. In particolare nei confronti dell'Autorità Palestinese. Alla fine di settembre i permessi di lavoro rilasciati ai palestinesi sono stati incrementati di 5000 unità a 46.450, per un incremento del 49% rispetto ad un anno e mezzo fa. Oltre ai palestinesi che lavorano in Israele, altri 24660 palestinesi sono occupati in Giudea e Samaria, percependo un salario pari a due volte la retribuzione media corrisposta dalle aziende arabe del West Bank.

Come però fa rilevare Rights Reporter, il boicottaggio minacciato o praticato nei confronti delle aziende israeliane che operano nei territori contesi minaccia il posto di lavoro di diecine di migliaia di palestinesi. Le rimesse degli arabi che lavorano in Israele contribuiscono al 35% del PIL palestinese. Sciaguratamente però questo aspetto sfugge a chi professa, comodamente dal divano di casa propria, l'ostracismo nei confronti di un'economia e di uno stato che distribuisce benessere alle popolazioni vicine.
Si ricorre a tutti i mezzi; alcuni davvero rocamboleschi, per non dire ridicoli. Adesso si alimenta l'accusa di "molestie sessuali". Il blog "Bugie dalle gambe lunghe" riporta la curiosa denuncia di un quotidiano arabo, secondo cui i lavoratori palestinesi in Israele sarebbero vittima di molestie sessuali da parte delle provocatorie donne israeliane. Non è esplicitata la modalità di questa provocazione, che riguarderebbe addirittura il 77% dei lavoratori palestinesi, secondo la denuncia del sindacato di categoria, che ammette la presenza di circa 55 mila palestinesi.
Nell'immaginario collettivo, la donna disponibile era di origine scandinava. Non più. Secondo l'istituto di statistica palestinese, ci sono datrici di lavoro letteralmente infoiate in Israele, che addescano i malcapitati palestinesi mostrando loro una caviglia scoperta, o un polso voluttuoso, o magari un capello sale e pepe che è il massimo del messaggio erotico. Secondo questa accusa, la maggiore disponibilità di permessi di lavoro sarebbe strumentale al soddisfacimento di bisogni carnali di diaboliche infedeli.
Stendiamo su tutto ciò un velo pietoso. Possibilmente, molto spesso. In modo da non lasciar trapelare nulla alla visione dei poveri lavoratori.

lunedì 28 maggio 2012

Una soluzione per i profughi palestinesi

E' in discussione al Senato americano un disegno di legge la cui approvazione definitiva farebbe cambiare sensibilmente la questione mediorientale e i rapporti fra mondo arabo e Israele.
Come è noto, alla fine del 1947 le Nazioni Unite ripartirono l'ex protettorato britannico palestinese - ricevuto in consegna dopo la dissoluzione dell'impero ottomano di inizio anni '20 - in due stati: uno arabo, e uno ebraico. Gli ebrei accettarono la partizione, e l'anno successivo proclamarono lo stato di Israele. Gli arabi non accettarono la decisione storica, e convinsero gli arabi che vivevano nel neonato stato a riparare negli stati confinanti, prima di scatenare un conflitto che si risolse l'anno successivo in una bruciante sconfitta.
Gli arabi che ripararono in Egitto, in Libano, in Siria, in Giordania e in Iraq furono sistemati in campi profughi nei quali hanno vissuto per lunghi decenni. Senza diritti, senza cittadinanza - unico caso al mondo - senza possibilità di integrarsi nella società, di frequentarne le scuole, di praticarne le istituzioni. Cittadini di serie B a tutti gli effetti. I 6-700 mila arabi del 1948 sono diventati milioni. Così tanti, che l'ONU ha previsto una apposita agenzia: l'UNRWA. Un gigante burocratico che amministra fondi e li versa ai profighi palestinesi. Caso eclatante: a differenza dei profughi di tutti gli altri stati al mondo, i figli e i figli dei figli hanno conservato lo status di rifugiato.

Ma le più nobili intenzioni ad un certo punto si scontrano con la dura realtà. Mantenere 5 milioni di palestinesi costa. Un'impresa impossibile. I figli dei figli a loro volta si riproducono, e il conto delle bocche da sfamare e degli impiegati necessario per tenere il conto si moltiplica a perdita d'occhio. E' per questo che un senatore dell'Illinois ha presentato una proposta di legge che distingue fra gli arabi che lasciarono Israele nel 1946-48, e tutti coloro che sono nati successivamente. Il consistente contributo americano all'UNRWA (più di un miliardo di dollari) sarebbe da prevedersi soltanto per i primi. Ma in questo caso, l'investimento umanitario si ridimensionerebbe sensibilmente: a 30 mila dollari annui. I discendenti di chi si fece convincere dagli stati arabi belligeranti dovrebbero convincere gli stati ospitanti - come la Giordania, dove un terzo della popolazione vanta lo status di rifugiato - a concedere finalmente la cittadinanza a tutti gli effetti. Non a caso, Amman sta premendo sul Senato americano, in compagnia del Dipartimento di Stato, affinché la legge non venga promulgata.

Si tratterebbe di una svolta epocale. I profughi palestinesi non potrebbero essere più impiegati come arma nei confronti di Israele. Mancando un importante fonte di reddito, essi sarebbero indotti ad integrarsi negli stati arabi che da decenni ne ospitano la discendenza, senza riconoscere loro cittadinanza, a differenza di quanto si fa in ogni stato al mondo nei confronti dei figli degli emigranti. Il cosiddetto "diritto al ritorno", ancora oggi sbandierato dalla dirigenza palestinese come pre-condizione all'instaurazione di negoziati bilaterali, cesserebbe d'un tratto, e finalmente si potrebbe discutere di mutuo e pieno riconoscimento, di confini e - perché no? - di collaborazione economica e sociale.
Auguriamoci che la proposta di legge conosca una rapida approvazione. Dopo decenni di umiliazioni - l'Autorità Palestinese ha chiarito in passato che i profughi ospitati nei suoi campi (come quello di Betlemme, mostrato nella foto) non diventeranno mai suoi cittadini, nemmeno quando un giorno nascerà lo stato di Palestina, accanto a quello di Israele - di privazioni, di rinunce, forse il prossimo futuro farà assistere alla cessazione di questa vergognosa strumentalizzazione.