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domenica 10 settembre 2017

Da quale pulpito scese la predica...

Danske Bank è il più grande istituto di credito di Danimarca. Nel 2014 la banca danese assecondò le istigazioni del movimento internazionale di boicottaggio di Israele, inserendo Bank Hapoalim nell'elenco di compagnie con cui non avrebbe più avuto relazioni di ogni sorta. La decisione, fu reso noto tre anni fa, era dettata dall'attività di finanziamento degli insediamenti ebraici in West Bank da parte della banca israeliana. Coerentemente, in precedenza Danske Bank aveva troncato ogni rapporto con Elbit Systems e Danya Cebus: rinomate aziende dello stato ebraico.
Quale nobiltà d'animo! quale profonda adesione ai genuini principi del politicamente corretto. Un campione di moralità, esemplare per il resto del mondo...

venerdì 24 febbraio 2017

Il mondo accademico strizza l'occhio ad Israele (ma l'Italia si astiene)

Dal 2000 la spesa in R&D si attesta in Israele a non meno del 4% del prodotto interno lordo
L'impegno israeliano per l'istruzione, la ricerca post-universitaria, l'innovazione e lo sviluppo, sono noti in tutto il mondo, e tutto il mondo beneficia della ricerca applicata prodotto nel piccolo stato ebraico. L'ecosistema realizzato in questo lembo di Medio Oriente fa sì che qui si registri la maggior concentrazione di società tecnologiche al mondo, dietro la Silicon Valley americana. La società di ricerca e consulenza KPMG calcola in nove le società israeliane inclusa nel ranking delle 100 FinTech più promettenti al mondo; erano otto nel 2015.
In termini omogenei di "parità dei poteri d'acquisto", Israele impiega in ricerca e sviluppo il 4.1% del PIL; è il secondo stato al mondo, dietro alla Corea del Sud (4.3% del PIL) e davanti a Giappone, Singapore, Finlandia, Svezia e Danimarca. L'Italia, in questo classifica cruciale per la crescita economica di lungo periodo, si attesta 28esimo posto. Come è stato ampiamente dimostrato, un impegno costante su questo fronte garantisce opportunità di impiego qualificato alla popolazione, e crescita economica e benessere generalizzati.

sabato 30 gennaio 2016

Con amici così, chi ha bisogno di nemici?


Nel giorno della commemorazione dell'Olocausto, ha fatto notizia la visita del presidente Obama all'ambasciata israeliana a Washington. Obama ha riconosciuto l'avanzata globale dell'antisemitismo e ha dichiarato solenne: «siamo tutti ebrei». Una dichiarazione forte, importante, che di solito si pronuncia dopo una carneficina; come fummo tutti americani dopo l'11 settembre, o tutti francesi dopo l'attentato a Charlie Hebdo.
Peccato che alle dichiarazioni di principio, seguano fatti che vadano in direzione opposta. Due episodi sono rivelatori dell'atteggiamento ipocrita delle autorità, pronte a compiangere gli ebrei morti, e al contempo ad ignorare la minaccia arrecata a quelli vivi.
Ieri mattina è stato rivelato un programma segreto di monitoraggio dell'attività dei droni israeliani da parte dei servizi segreti britannici ed americani. L'intrusione non autorizzata nell'architettura informatica degli aerei senza pilota di Gerusalemme, veniva condotta dalle basi militari a Cipro, e puntava a conoscere anzitempo le operazioni militari a Gaza, i propositi di attacco all'Iran, e a sorvegliare una tecnologia abbastanza raffinata da essere esportata nel resto del mondo.
Il governo di Gerusalemme si è dichiarato «amareggiato ma non sorpreso». Sono cose che si fanno, fra governi amici. Il monitoraggio delle attività militari di uno stato sovrano è sempre esistito, indigna ma non costituisce uno scoop.

lunedì 26 gennaio 2015

Gaza e il boicottaggio che non c'è


Ha fatto sorridere in molti la grottesca esternazione di Imad al-Baz, di professione funzionario del ministero dell'Economia di Gaza, che domenica ha annunciato trionfante la rimozione del bando alle merci che entrano nell'enclave palestinese dal vicino Israele. Il povero (si fa per dire) al-Baz è l'unico a non sapere che nella Striscia di Gaza, dal valico "sionista" di Kerem Shalom, entrano quasi tutti i giorni bevande analcoliche, snack dolci e salati, gelati, caffé e cioccolato, abiti e altri generi di prima e seconda necessità: da almeno cinque anni. Chissà quante patatine in sacchetto avranno ingurgitato i suoi figli, promessi alla guerra di stermino promossa da Hamas.

lunedì 31 marzo 2014

Il boicottaggio europeo dei prodotti israeliani poggia su argomentazioni viziate

di Timon Dias*

In un mondo turbolento, governi e compagnie europee cercano ancora di boicottare i prodotti realizzati dalle società israeliane nel cosiddetto "West Bank". I boicottatori poggiano le loro argomentazioni sul fatto che il West Bank è un territorio occupato e che la presenza israeliana è un ostacolo ad una pace duratura. Entrambe le tesi sono completamente infondate.
In Occidente, si fa riferimento alla cosiddetta "Green Line" quando si discute del processo di pace. Alcuni sono soliti affermare che Israele dovrebbe ripiegare al di qua della Linea Verde, onde mantenere un profilo di legittimità e legalità. La Linea Verde è citata a proposito dei "confini del 1967"; ma si tratta di un'argomentazione errata. Sostenendo che la Linea Verde coincide con i confini del 1967, si fornisce l'impressione che questa linea sia stata varcata per porre in essere un'operazione militare espansionistica. La verità invece è opposta: la Green Line altro non è che la linea armistiziale del 1949; il punto dove la guerra di sterminio promossa dagli arabi si interruppe e dove Israele alla fine riuscì a neutralizzare il tentativo di genocidio del proprio popolo.
Anche la locuzione "territori occupati" sebbene non sia corretta, è sufficiente a mettere in difficoltà il sostenitore delle tesi di Israele, e ad esaltare progressisti e musulmani. È il caso di soffermarsi sulla fondatezza legale del termine "occupato", con riferimento al West Bank.

lunedì 24 giugno 2013

Una pillola difficile da mandar giù

Amatori acciaccati dalla vita sedentaria e da una cucina ipercalorica, gioite! adesso per soddisfare la/le vostra/e partner, non sarà più necessario dilapidare i risparmi faticosamente accantonati; ne' ricorrere a quelle truffaldine farmacie online che vi promettono Viagra o Cialis a basso costo, recapitandovi delle pasticchette di solfato di calcio (gesso) o di idrossido d'alluminio (che fa bene quantomeno a chi soffre di acidità).
La buona notizia è che adesso è disponibile in Europa una versione generica, "non brandizzata" della famosa pillola blu che solleva le prestazioni sessuali dei maschietti. Il brevetto della Pfizer è infatti scaduto nel Regno Unito, in Germania, in Italia, in Svizzera e Olanda, fra gli altri. Così, il farmacista potrà proporre la versione più costosa del Viagra, o quella meno costosa, contenente lo stesso principio attivo. A voi la scelta.

giovedì 31 gennaio 2013

Effetti collaterali sgraditi

La pace a modo loro: Ramallah ha reso noto che l'Autorità Palestinese boicotterà tutti i prodotti israeliani. Tutti: non solo quelli realizzati nei territori contesi, ma anche quelli prodotti nello stato ebraico.
Brutte notizie per gli 800 dipendenti palestinesi della Soda Stream, il produttore di kit domestici per la generazione di acqua carbonata venduti in tutto il mondo (in Italia sono commercializzati al prezzo di circa 100 euro e a Natale sono andati a ruba): rischiano di andare a casa, disoccupati, per la chiusura degli impianti. I boicottatori saranno contenti; i palestinesi, meno.

giovedì 18 ottobre 2012

Palestinesi: in Israele c'è lavoro (e sesso) per tutti!

La repubblica israeliana ha di recente visto confermato il suo merito di credito da parte delle agenzie di rating americane. E' l'unico stato occidentale ad aver beneficiato di un upgrade nel rating negli ultimi cinque anni. Esempio di democrazia, di crescita economica, di benessere diffuso, di progresso civile e tecnologico, di un sistema giudiziario che funziona egregiamente (al punto da mettere sul banco degli imputati un ex presidente della repubblica ed un ex primo ministro). Insomma, un esempio per il resto del Medio Oriente. Forse è anche per questo che il mondo arabo manifesta nei suoi confonti una crescente verbosità, se non vera e propria aggressività.
Non che l'Occidente faccia qualcosa per mitigare questi sentimenti. L'UNRWA, l'agenzia speciale dell'ONU per i "rifugiati" (e relativi discendenti) palestinesi si è vista opporre un secco rifiuto da parte dei docenti giordani, davanti alla proposta di introdurre nei corsi di insegnamento la tragedia immane dell'Olocausto: «danneggerebbe la causa palestinese, e altererebbe la visione degli studenti circa il principale nemico: l'occupazione israeliana», è stata la sconcertante risposta di un corpo docente, pagato dall'Occidente, e al servizio di 122 mila studenti frequentanti le 172 scuole presenti in una diecina di campi profughi in Giordania. L'UNRWA tace.
Malgrado questa ostilità, Israele continua a promuovere lo sviluppo delle economie degli stati arabi circostanti. In particolare nei confronti dell'Autorità Palestinese. Alla fine di settembre i permessi di lavoro rilasciati ai palestinesi sono stati incrementati di 5000 unità a 46.450, per un incremento del 49% rispetto ad un anno e mezzo fa. Oltre ai palestinesi che lavorano in Israele, altri 24660 palestinesi sono occupati in Giudea e Samaria, percependo un salario pari a due volte la retribuzione media corrisposta dalle aziende arabe del West Bank.

Come però fa rilevare Rights Reporter, il boicottaggio minacciato o praticato nei confronti delle aziende israeliane che operano nei territori contesi minaccia il posto di lavoro di diecine di migliaia di palestinesi. Le rimesse degli arabi che lavorano in Israele contribuiscono al 35% del PIL palestinese. Sciaguratamente però questo aspetto sfugge a chi professa, comodamente dal divano di casa propria, l'ostracismo nei confronti di un'economia e di uno stato che distribuisce benessere alle popolazioni vicine.
Si ricorre a tutti i mezzi; alcuni davvero rocamboleschi, per non dire ridicoli. Adesso si alimenta l'accusa di "molestie sessuali". Il blog "Bugie dalle gambe lunghe" riporta la curiosa denuncia di un quotidiano arabo, secondo cui i lavoratori palestinesi in Israele sarebbero vittima di molestie sessuali da parte delle provocatorie donne israeliane. Non è esplicitata la modalità di questa provocazione, che riguarderebbe addirittura il 77% dei lavoratori palestinesi, secondo la denuncia del sindacato di categoria, che ammette la presenza di circa 55 mila palestinesi.
Nell'immaginario collettivo, la donna disponibile era di origine scandinava. Non più. Secondo l'istituto di statistica palestinese, ci sono datrici di lavoro letteralmente infoiate in Israele, che addescano i malcapitati palestinesi mostrando loro una caviglia scoperta, o un polso voluttuoso, o magari un capello sale e pepe che è il massimo del messaggio erotico. Secondo questa accusa, la maggiore disponibilità di permessi di lavoro sarebbe strumentale al soddisfacimento di bisogni carnali di diaboliche infedeli.
Stendiamo su tutto ciò un velo pietoso. Possibilmente, molto spesso. In modo da non lasciar trapelare nulla alla visione dei poveri lavoratori.

mercoledì 27 giugno 2012

Niente cocomeri palestinesi per i sudafricani

E' una stagione eccezionale per il cocomero palestinese. No, non è un modo per denigrare la dirigenza di Ramallah o di Gaza, già impegnata nel torchiare i già tanti dissidenti e oppositori del regime (tale è un governo che perdura dopo l'esaurimento del suo mandato).
Si parla proprio del succoso frutto estivo, giunto a maturazione e pronto per essere consumato. Jenin, una città famosa per un "massacro" rivelatosi successivamente un falso d'autore, è la capitale del cocomero: quest'anno si prevedono circa 25 mila tonnellate di angurie, delle quali una buona parte sarà destinata all'esportazione. Le famiglie israeliane sono naturalmente le prime consumatrici del cocomero prodotto nella cittadina del West Bank: 6 angurie su 10 consumate provengono dall'area di Jenin. Buona parte di questo frutto è destinata all'esportazione.
Bene. Se non fosse che molti di questi frutti non arriveranno a destinazione. Di sicuro non in Sudafrica, dove il mese scorso il governo ha varato un provvedimento di legge che obbliga i commercianti locali a specificare se i prodotti Made in Israel provengono eventualmente dai territori palestinesi contesi di Giudea e Samaria. Poiché l'onere della prova spetta ai commercianti, la minaccia di sanzioni pecunarie indurrà loro a rinunciare all'importazione di prodotti agricoli provenienti da Jenin e dalle altre città agricole palestinesi.
Nel caso del povero cocomero, si tratta di un profitto potenziale stimato quest'anno in circa 65 milioni di Shekel: oltre 13 milioni di euro, in buona parte destinati alle tasche dei coltivatori.
Molte famiglie palestinesi si guadagnano da vivere coltivando cocomeri destinati all'esportazione, con l'ausilio del District Coordination and Liaison Office, un'agenzia del governo israeliano che collabora con il municipio di Jenin e che coordina le operazioni sanitarie e doganali. Il boicottaggio posto in essere dal governo sudafricano finisce così per danneggiare la parte più debole. Marciranno al sole i cocomeri palestinesi e le speranze di affrancarsi da un triste destino.