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giovedì 14 maggio 2015

Quello che non sappiamo del "giorno della nakba"

Venerdì 15 maggio è la data indicata dai capi palestinesi come "giorno della nakba", che commemorerebbe la "catastrofe" rappresentata per essi dalla fondazione di Israele. Sono previste marce, raduni e dimostrazioni. Non mancheranno le televisioni ma probabilmente esse ometteranno alcuni aspetti del conflitto arabo-israeliano, ignoti al grande pubblico. Ad esempio:

1) oltre 800.000 ebrei furono messi in fuga dalle loro abitazioni nei paesi arabi durante e dopo la Guerra di Indipendenza israeliana del 1948-49. È un dato equivalente se non superiore ai rifugiati arabi generato dal conflitto. Israele ha assorbito tutti gli immigrati mentre i rifugiati palestinesi sono stati segregati per decenni in campi profughi, e usati dai leader arabi come arma da usare nei confronti dello stato ebraico (cliccare qui per maggiori informazioni su questo tema).

2) Non esiste un "diritto al ritorno" preteso dai palestinesi. Chi lo invoca talvolta cita una risoluzione delle Nazioni Unite, la 194, approvata l'11 dicembre 1948. Si tratta di una risoluzione dell'assemblea generale, che pertanto non riveste un peso cogente nel diritto internazionale. Inoltre, gli stati arabi espressero parere contrario, proprio perché non sanciva alcun diritto al ritorno. Come rilevato in passato:

giovedì 29 maggio 2014

Signori, ecco a voi: Pallywood

Per i veri culturi della cinematografia, un'altra perla che impreziosirà le proprie collezioni.
Facciamo un passettino indietro. Tutti sanno che ogni anno si ripete questa stucchevole cerimonia del Nakba Day, che commemora per gli arabi la fondazione dello stato di Israele, e la prima di tante occasioni perse per i palestinesi per ottenere un proprio stato. La storia ricorda che gli arabi respinsero il piano di partizione dell'ONU, che per la prima volta prevedeva nell'ex mandato britannico in Medio Oriente uno stato arabo che avrebbe convissuto al fianco di uno ebraico. Così, ogni anno si ripete questa pantomima, con conseguente dispiegamento di forza pubblica, ore sottratte a lavoro e ozio, colonne di giornali sottratte alle foto delle prime starlette in costume da bagno, e via divagando.
Quest'anno i palestinesi hanno fatto le cose in grande. Nel tentativo di ripetere la messinscena dell'uccisione di Mohamed Al Dura, il ragazzino della cui apparentemente morte furono accusati naturalmente i palestinesi gli israeliani - poi, dopo aver dimostrato l'impossibilità balistica di una responsabilità dell'IDF, il ragazzino fu rinvenuto vivo e vegeto; malgrado fossero state avvistate non una, ma diverse lapidi che presidiavano i presunti resti - quell'industria dell'intrattenimento leggero nota ormai universalmente come Pallywood ha tentato con mezzi più modesti di simulare a Bitunia, nel West Bank, l'uccisione di due ragazzini; ovviamente da parte delle forze di sicurezza di Gerusalemme, accorse per sedare i disordini.

mercoledì 21 maggio 2014

Ai palestinisti non gliene va bene una

Non è davvero un buon momento per i filopalestinesi, popolari fino a quando non ne sono state svelate menzogne e omissioni. Mentre alle Nazioni Unite si discute il ridimensionamento dei generosi stanziamenti nei confronti dell'UNRWA, che a sua volta gestisce a Gaza e nel West Bank scuole in cui si insegna l'odio nei confronti degli ebrei; in buona parte del mondo arabo si riconosce lo splendore della democrazia israeliana, capace di mandare in galera persino un suo primo ministro. Non è un caso che aumenti in Israele la percentuale di arabi che non ci pensa proprio a rinunciare alla propria cittadinanza, in cambio del passaporto di un futuro, eventuale stato di Palestina.
In queste ore sta emergendo un nuovo caso "Al Durah". Succede che i disordini provocati dai palestinesi durante la ricorrenza della fondazione dello stato di Israele, inducono le forze di sicurezza israeliane - chiamate a garantire appunto l'ordine pubblico in larga parte del West Bank in ossequio agli Accordi di Oslo del 1993, sottoscritti anche dall'OLP - ad intervenire, disperendo la folla riottosa con mezzi non violenti. Una ONG filopalestinese diffonde un filmato, privo di diverse parti, che mostra due individui - appartenenti rispettivamente ad Hamas e al Fatah - accasciarsi improvvisamente al suolo; apparentemente, vittime di colpi di arma da fuoco. Immediate le accuse nei confronti dell'IDF, che rispedisce tutto al mittente, precisando che l'esercito ha in dotazione proiettili di gomma, e evidenziando le notevoli omissioni del filmato. Insomma, tutto fa pensare ad una messinscena, prontamente smascherata. L'IDF ha avviato un'indagine, ma lo scarso interesse indotto dalla denuncia di parte è rivelatore: alla propaganda di Pallywood e alle rivelazioni dei testimoni oculari dalle nostre parti non crede più nessuno.

lunedì 28 maggio 2012

Una soluzione per i profughi palestinesi

E' in discussione al Senato americano un disegno di legge la cui approvazione definitiva farebbe cambiare sensibilmente la questione mediorientale e i rapporti fra mondo arabo e Israele.
Come è noto, alla fine del 1947 le Nazioni Unite ripartirono l'ex protettorato britannico palestinese - ricevuto in consegna dopo la dissoluzione dell'impero ottomano di inizio anni '20 - in due stati: uno arabo, e uno ebraico. Gli ebrei accettarono la partizione, e l'anno successivo proclamarono lo stato di Israele. Gli arabi non accettarono la decisione storica, e convinsero gli arabi che vivevano nel neonato stato a riparare negli stati confinanti, prima di scatenare un conflitto che si risolse l'anno successivo in una bruciante sconfitta.
Gli arabi che ripararono in Egitto, in Libano, in Siria, in Giordania e in Iraq furono sistemati in campi profughi nei quali hanno vissuto per lunghi decenni. Senza diritti, senza cittadinanza - unico caso al mondo - senza possibilità di integrarsi nella società, di frequentarne le scuole, di praticarne le istituzioni. Cittadini di serie B a tutti gli effetti. I 6-700 mila arabi del 1948 sono diventati milioni. Così tanti, che l'ONU ha previsto una apposita agenzia: l'UNRWA. Un gigante burocratico che amministra fondi e li versa ai profighi palestinesi. Caso eclatante: a differenza dei profughi di tutti gli altri stati al mondo, i figli e i figli dei figli hanno conservato lo status di rifugiato.

Ma le più nobili intenzioni ad un certo punto si scontrano con la dura realtà. Mantenere 5 milioni di palestinesi costa. Un'impresa impossibile. I figli dei figli a loro volta si riproducono, e il conto delle bocche da sfamare e degli impiegati necessario per tenere il conto si moltiplica a perdita d'occhio. E' per questo che un senatore dell'Illinois ha presentato una proposta di legge che distingue fra gli arabi che lasciarono Israele nel 1946-48, e tutti coloro che sono nati successivamente. Il consistente contributo americano all'UNRWA (più di un miliardo di dollari) sarebbe da prevedersi soltanto per i primi. Ma in questo caso, l'investimento umanitario si ridimensionerebbe sensibilmente: a 30 mila dollari annui. I discendenti di chi si fece convincere dagli stati arabi belligeranti dovrebbero convincere gli stati ospitanti - come la Giordania, dove un terzo della popolazione vanta lo status di rifugiato - a concedere finalmente la cittadinanza a tutti gli effetti. Non a caso, Amman sta premendo sul Senato americano, in compagnia del Dipartimento di Stato, affinché la legge non venga promulgata.

Si tratterebbe di una svolta epocale. I profughi palestinesi non potrebbero essere più impiegati come arma nei confronti di Israele. Mancando un importante fonte di reddito, essi sarebbero indotti ad integrarsi negli stati arabi che da decenni ne ospitano la discendenza, senza riconoscere loro cittadinanza, a differenza di quanto si fa in ogni stato al mondo nei confronti dei figli degli emigranti. Il cosiddetto "diritto al ritorno", ancora oggi sbandierato dalla dirigenza palestinese come pre-condizione all'instaurazione di negoziati bilaterali, cesserebbe d'un tratto, e finalmente si potrebbe discutere di mutuo e pieno riconoscimento, di confini e - perché no? - di collaborazione economica e sociale.
Auguriamoci che la proposta di legge conosca una rapida approvazione. Dopo decenni di umiliazioni - l'Autorità Palestinese ha chiarito in passato che i profughi ospitati nei suoi campi (come quello di Betlemme, mostrato nella foto) non diventeranno mai suoi cittadini, nemmeno quando un giorno nascerà lo stato di Palestina, accanto a quello di Israele - di privazioni, di rinunce, forse il prossimo futuro farà assistere alla cessazione di questa vergognosa strumentalizzazione.

martedì 15 maggio 2012

Nakba: una ferita autoinflitta dai palestinesi

di Alan Dershowitz

I palestinesi commemorano in questi giorni la "nakba", il giorno del disastro, della catastrofe. Lo chiamano così perché a loro dire furono privati della madrepatria e furono resi profughi sin dalla nascita. Alcuni comparano questa catastrofe addirittura all'Olocausto. L'impressione generale è che questa sia una sciagura inflitta dagli israeliani. E' ora che questa falsità sia collocata nel contesto storico.
La nakba fu una catastrofe, ma in effetti fu una ferita auto-inflitta. Ciò fu la diretta conseguenza del rifiuto della leadership palestinese e in generale araba di accettare la soluzione dei due stati proposta dalle Nazioni Unite nel 1947-48. L'ONU divisa ciò che rimase della "palestina storica" (assegnata agli inglesi dopo la dissoluzione dell'impero ottomano all'inizio degli anni '20, NdT), dopo aver ricavato la Transgiordania, in due stati di dimensioni approssimativamente simili (gli israeliani ebbero una porzione di terra lievemente superiore, ma la terra concessa agli arabi era più coltivabile). Gli israeliani avrebbero controllato un territorio in cui gli ebrei erano largamente prevalenti, mentre i palestinesei avrebbero controllato un territorio in cui gli arabi erano maggioranza. Israele accettò la partizione dell'ONU e dichiarò lo stato. I palestinesi respinsero la delibera dell'ONU e attaccarono Israele con il supporto di tutti gli stati arabi confinanti.
La difesa dall'aggressione comportò ingenti perdite umane in Israele, dove un abitante su 100 perse la vita. Nella guerra che fu scatenata - un vero e proprio tentativo di genocidio - 700 mila palestinesi lasciarono le loro case, alcuni volontariamente, altri pressati dalla leadership araba, altri ancora costretti dagli eventi bellici. Fu invero una catastrofe per ambo le parti (che provocò negli anni successivi l'estirpazione violenta di 850 mila ebrei dagli stati arabi del nord Africa: una massa di rifigiati che incomprensibilmente non ha mai conquistato il dibattito pubblico, NdT); una catastrofe però provocata dall'intransigenza dei palestinesi e degli arabi.
Alla fine delle ostilità, la Giordania occupò il West Bank, mentre l'Egitto si impossessò della Striscia di Gaza. Non c'è mai stata una condanna di questa occupazione da parte delle Nazioni Unite, sebbene essa fu brutale e negò ai palestinesi autonomia e sovranità. Solo quando Israele occupò queste terre, in seguito ad una nuova guerra (dei Sei Giorni, 5-10 giugno 1967, NdT) scatenata da Giordania ed Egitto, l'occupazione diventò oggetto di attenzione da parte della comunità internazionale.
Questa è la verità storica. Il mondo riesce facilmente a comprendere come questa "catastrofe", da distinguersi da tragedie immani come l'Olocausto, avrebbe potuto essere facilmente prevenuta se i palestinesi avessero davvero desiderato un loro stato, più di quanto abbiano bramato la distruzione dello stato ebraico di Israele. I tedeschi non celebrano la catastrofe risultante dall'invasione della Polonia; i giapponesi non festeggiano la catastrofe che scaturì dal bombardamento di Pearl Harbor. Perché i palestinesi celebrano la sciagura che risultò dall'attacco degli stati arabi nei confronti di Israele?

Fonte: Huffington Post