giovedì 30 luglio 2015

La truffa delle "due" Gerusalemme

I governi occidentali dovrebbero smetterla di incoraggiare gli arabi a credere che un giorno Israele abbandonerà mezza Gerusalemme, a favore di un futuro stato palestinese. Non succederà mai. E più i nostri politici condannano Israele quando costruisce nella periferia della capitale, più mantengono le ambasciate a Tel Aviv; e più gli arabi si persuadono di poter rovesciare la creazione del moderno stato di Israele.
Ecco cosa ha da dire sul tema Eli E Hertz, presidente di "Myths and Facts", una organizzazione dedicata alla ricerca e alla divulgazione di informazioni sul Medio Oriente.

I palestinesi hanno maturato la convinzione che storicamente sono esistite due Gerusalemme: una "Gerusalemme Est", araba; e una "Gerusalemme Ovest", ebraica. Ma Gerusalemme non è mai stata una città araba: gli ebrei vi costituiscono la maggioranza dal 1870, e la scomposizione fra Est e Ovest è prettamente geografica; non politica.

mercoledì 29 luglio 2015

L'unico luogo in Medio Oriente dove i cristiani aumentano

di Adam Levick*

Lunedì 27 luglio il Guardian ha pubblicato tre inchieste sulle persecuzioni nel mondo ai danni dei cristiani. Due inchieste - inclusa "Morire di Cristianità", scritta dall'ex corrispondente da Gerusalemme Harriet Sherwood - non fanno menzione di Israele. Tuttavia il terzo reportage, curato da diversi giornalisti fra cui l'attuale corrispondente del Guardian da Gerusalemme Peter Beaumont, include una sezione sulle persecuzioni dei cristiani (sotto forma di vandalismo e attentati incendiari ai danni di chiese e moschee) nello stato ebraico.
Il rapporto include Israele malgrado lo stato non sia incluso nell'elenco dei primi 25 stati dall'atteggiamento anti-cristiano.

domenica 26 luglio 2015

E poi dicono che la "Palestina" è un'invenzione...

Buon compleanno alla Anglo-Palestine Bank! È il 26 luglio 1903 e l'istituto di credito apre la prima filiale a Jaffa: la targa in alto ne attesta con certezza la data di costituzione di quella che sarebbe in seguito stata ribattezzata in Leumi Bank. In realtà la banca aprirà i battenti al pubblico il successivo 2 agosto, ma ci sono due problemi, che fanno venire il mal di pancia a chi con un po' di leggerezza crede che i "palestinesi" esistessero prima del 1968.
Intanto la targa è bilingue, ma una delle due lingue è incontestabilmente ebraico.
Soprattutto, la Anglo-Palestine Bank fu costituita dal movimento sionista: il Jewish Colonial Trust, di fatto la prima banca sionista, fu costituita nel 1899, con l'obiettivo di raccogliere capitali ed erogare credito alle iniziative che si andavano costituendo in "Palestina". Tre anni dopo fu costituita una società controllata, la APB, appunto, con un capitale iniziale di 50.000 sterline, impiegato per l'acquisto di terre e il finanziamento di attività produttive da parte degli insediati.

giovedì 23 luglio 2015

L'UE si oppone alla demolizione dell'insediamento illegale di Susya


Khirbet Susiya (Susya), originariamente antico villaggio ebraico a sud delle montagne della Giudea, sede di una antica sinagoga; è oggi situato nella zona C del West Bank, che gli Accordi di Oslo sottoscritti nel 1993 fra israeliani e palestinesi assegnano alla piena giurisdizione di Gerusalemme. Che è pertanto responsabile della pubblica sicurezza e dell'amministrazione civile; che include la possibilità di edificarvi, in virtù delle esigenze della popolazione.
Susya ospita oggi circa 1000 individui: 250 palestinesi e circa 750 coloni ebraici, ivi insediativisi nel 1983. Nel tempo parte del villaggio ha conosciuto un'espansione caotica ed incontrollata, a causa della componente araba della popolazione che ha edificato senza disporre dei necessari permessi. Il governo israeliano ha disposto la demolizione delle costruzioni abusive, malgrado l'opposizione di diversi governi, fra cui quelli di Stati Uniti ed Unione Europea; e il trasferimento della popolazione nell'insediamento di Yatta, vicino Hebron. Il mese scorso una delegazione europea ha visitato Susya, accompagnata dal capo del governo di Ramallah.

mercoledì 22 luglio 2015

Una breve storia dello Shekel israeliano


Danny Ayalon, già viceministro degli Esteri di Gerusalemme, ha avviato un interessante progetto divulgativo, basato su aspetti quotidiani della vita economia e sociale di Israele. La prima puntata si sofferma sulla moneta dello stato ebraico: lo shekel; o, come più correttamente dovrebbe essere chiamato, il "nuovo shekel israeliano" (NIS).

Immaginate di ritrovarvi d'improvviso a passeggiare per la Mesopotamia, 5000 anni fa, e vi venisse voglia di comprare un cornetto, strada facendo. Il rivenditore vi chiederebbe un pagamento di "Shiklu kaspum". Non è difficile da comprendere, vero? Il significato originario era traducibile in "un ammontare di argento del peso di circa 11 grammi". Questa locuzione si evolse nella versione biblica "Shekel Hakesef", o "Shekel d'argento".
Il fiordaliso è a noi familiare, per essere presente sulla moneta da uno shekel; ma appare sulle monete ebraiche sin dalla dominazione persiana di Israele. I simboli in basso a sinistra non sono stelle: sono le lettere "Y", "H" e "D"; "Yehud" nell'ebraico antico. Come sulle monete rinvenute, e risalenti al IV Secolo a.C.

lunedì 20 luglio 2015

Qualcuno consoli Roger Waters e il BDS

Gli sforzi febbrili del movimento BDS risultano sempre più vani. Nonostante il tentativo incessante di boicottaggio dello stato ebraico, si apprende oggi di una nuova acquisizione di Facebook Inc. in Israele: è la volta di Pebbles Interfaces, una società che ha sviluppato una tecnologia che consente l'impiego di personal computer mediante il semplice movimento delle mani. Senza adoperare la tastiera, senza il contatto con alcun device. La società, pagata 60 milioni di dollari, rappresenta la quarta acquisizione israeliana per Zuckerberg e soci.
I boicottatori dovranno dunque coerentemente impiegare un altro social network per diffondere le loro farneticazioni, visto l'alto tasso di sionismo vantato ora da Facebook. Una impresa sempre più disperata, malgrado i consistenti sforzi finanziari messi in campo, e l'infruttuoso coinvolgimento di personaggi dello spettacolo (i quali, malgrado i contatti con l'universo degli odiatori di Israele, sono sempre più felici di toccare con le loro tournee Tel Aviv e dintorni).

sabato 18 luglio 2015

AAA: Cercasi odiatori di Israele (si offre buona paga)

Un'offerta di lavoro che non passa inosservata. Il datore è la "Jewish Voice for Peace" (JVP), un'organizzazione le cui finalità, se non fosse sufficientemente chiaro, sono enfatizzate dalle foglie di ulivo che ne accompagnano il logo. Dunque la JVP assume un "Artist Council Organizer", e offre in cambio di 20 ore di lavoro a settimana, una sontuosa retribuzione: 25.000 dollari all'anno, più «generosi benefici» ed esenzioni fiscali.
Cosa dovrebbe fare il candidato? è semplice: «sollecitare e mobilitare i personaggi dello spettacolo e della cultura nella lotta per la giustizia in Palestina». Sfruttando la loro presa sul pubblico e la rete di relazioni per conseguire gli obiettivi del JVP: spostare l'orientamento dell'opinione pubblica a vantaggio della propaganda filopalestinese (ora è più chiaro per cosa stia la "P" di JVP).
Il generatore professionale di diffamazione nei confronti di Israele non lavora isolato. Al contrario, potrà beneficare del coordinamento di un Consiglio all'uopo istituito, che si occupa delle questioni amministrative, logistiche e di comunicazione con le star dello spettacolo, nonché di organizzare le campagne di boicottaggio culturale ai danni dello stato ebraico.

giovedì 16 luglio 2015

Come se la passa la libertà di stampa per i palestinesi?

Che fulgido esempio di tolleranza e di libertà i territori palestinesi di West Bank e Gaza, dove si registra negli ultimi giorni un'escalation di arresti, maltrattamenti, intimidazioni e detenzioni ai danni di giornalisti. La denuncia di Palestinian Center for Development and Media Freedoms (MADA) è stata raccolta da Ma'an News, agenzia di stampa palestinese.
Gli esempi di abusi subiti dagli operatori della stampa sono copiosi. Un corrispondente da Gaza dell'agenzia Internews denuncia: «i servizi segreti di Hamas mi hanno costretto in una sala d'attesa, bendandomi, e intimandomi di non sedermi per nessuna ragione. Mi hanno colpito alla schiena e sulle natiche durante l'interrogatorio». Il giornalista era stato prelevato dagli uomini di Hamas dopo aver postato su Facebook commenti al vetriolo sulla decisione di Hamas di smantellare a Gaza gli uffici della compagnia telefonica Jawwal.