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sabato 11 febbraio 2017

Ruspe in azione: nuove demolizioni di case palestinesi!

La polizia sta procedendo all'abbattimento di 50 case di altrettante famiglie di profughi palestinesi. Lo riferisce l'agenzia di stampa Palestine News Network, con sede a Betlemme, che denuncia il proposito di spazzare via le abitazioni regolarmente costruite, per far posto ad un'autostrada che collegherà i principali centri urbani. Le case sono lì addirittura dal 1948, e si trovano in un'area dove vivono circa 6.000 palestinesi, dediti perlopiù all'agricoltura.
Millantando misure di sicurezza, le autorità hanno iniziato già a novembre a costruire la prima frazione di un muro dell'apartheid, che isolerebbe la comunità locale, residente nei pressi di Ein Al-Hilweh. Noncuranti delle opposizioni locali, le autorità garantiscono che il muro sarà completato entro 15 mesi.
Secondo diverse organizzazioni per i diritti umani, l'iniziativa minaccia di sprofondare la comunità palestinese locale in una nuova crisi umanitaria. La Thabet Organization for the Right of Return invoca la mobilitazione internazionale.

sabato 28 febbraio 2015

La questione dei rifugiati palestinesi

Lei è una rifugiata palestinese del campo profughi di Jabalya, nella Striscia di Gaza. Questo foto è stata scattata al funerale di suo zio, membro delle Brigate dei Martiri di Al Aqsa (braccio armato di Al Fatah, NdT), colpito dall'aviazione israeliana.
Non si può negare la rabbia e la frustrazione che avranno motivato suo zio. Nessuno può negare che i rifugiati palestinesi a Gaza e nel West Bank, in Libano e in Siria stiano soffrendo. Ma chi vuole risolvere la crisi dei rifugiati, deve prima realizzare come questa gente ha conseguito lo stato di profugo, e cosa stia perpetuando oggi le loro sofferenze.
Definiamo anzitutto il termine "rifugiato". Secondo le Nazioni Unite un rifugiato è una persona che «manifestando il fondato timore di essere perseguitato, si trovi al di fuori dello stato di sua nazionalità». Come fa la gente a diventare rifugiato? Diventano rifugiati a causa di guerre e conflitti, in conseguenza dei quali la gente è spostata con la forza, o fugge dal pericolo.


Mia nonna divenne profuga, fuggendo dalla Romania dopo la Seconda Guerra Mondiale. Per tre anni non ebbe alcun domicilio permanente, ma alla fine trovò ospitalità in Israele nel 1948, e al pari di altre centinaia di migliaia di rifugiati ebrei, trovò dimora definitiva nello stato ebraico.
Occupiamoci dunque dei rifugiati palestinesi. Ci sono due orientamenti che intervengono a tal proposito. Il presidente dell'Autorità Palestinese Mahmoud Abbas ha scritto un editoriale nel 2011 sul New York Times, in cui sosteneva che dopo il voto di partizione delle Nazioni Unite del 1947, con cui si istituiva uno stato ebraico e uno stato arabo, «le forze sioniste espulsero gli arabi palestinesi per garantirsi una maggioranza ebraica decisiva nel futuro stato di Israele, e a quel punto intervennero gli eserciti arabi. Seguirono guerra e ulteriori espulsioni». In parole povere, ciò che afferma è che gli ebrei espulsero i rifugiati palestinesi, gli eserciti arabi intervennero in difesa di essi, e la guerra che seguì è responsabilità di Israele.

martedì 17 febbraio 2015

Sei un palestinese siriano? non me ne importa niente!

Si apprende da fonti ufficiose che il terrorista che ha seminato morte, feriti e panico a Copenaghen l'altro giorno, fosse sì cittadino danese ma di origini palestinesi. I genitori difatti, peraltro ben integrati nella società civile scandinava, erano originari di un campo profughi in Giordania. Non essendo politicamente corretto additare al pubblico ludibrio i "poveri" palestinesi, i media ufficiali tacciono, non potendo citare lo stereotipo ormai trito del "cane sciolto" o del "lupo solitario", come fatto in altre analoghe drammatiche circostanze.
Strano destino, quello dei profughi palestinesi. Se in qualche modo le loro sorti possono essere ricondotte alle politiche difensive di Israele, lo stato ebraico è collocato sul banco degli imputati, costretto a difendersi per il tentativo quotidiano di evitare una eliminazione certa da parte dei nemici che lo circondano. Se il profugo palestinese è vessato, ostracizzato, malmenato, privati dei diritti più basilari ad opera di dubbie democrazie mediorientali, tutto scivola nell'oblio, nell'omissione e nelle reticenze.

domenica 12 ottobre 2014

Il "genocidio" ignorato dei palestinesi

Il genocidio comincia sempre con il silenzio, è stato scritto da qualche parte, ad opera di gente che evidentemente ha a cuore le sorti di chi soffre inascoltato. Secondo un'organizzazione internazionale, sono oltre 2500 i palestinesi uccisi finora: 2512, per l'esattezza, decimati dall'aviazione e dall'artiglieria di Assad, che prende di mira deliberatamente i campi profughi di Yarmouk, in Siria.
Per essi non ci saranno paginoni a pagamento sul New York Times, non ci saranno denunce alle Nazioni Unite, nessun parlamentare presenterà interpellanze al governo, nessun consigliere regionale o comunale o circoscrizionale si prenderà la briga di prenotare un albergo nel Vicino Oriente per attestare la sua pelosa solidarietà, nessuna ONG di quelle che fanno notizia denuncerà la repressione brutale, nessuno strampalato comico o vignettista raffigurerà il sangue sparso e la tragedia ignorata dei palestinesi di questa terra funestata da una guerra civile che ha prodotto oltre 190.000 morti.

venerdì 5 settembre 2014

Una soluzione interessante per il problema dei profughi palestinesi


«I palestinesi non perdono mai occasione per perdere un'occasione». Il vecchio adagio è sempre tristemente ricorrente; e trova nuova drammatica concretizzazione in questi giorni, quando si è profilata finalmente una soluzione all'annosa questione dei profughi palestinesi. Originariamente in 5-600 mila, gli arabi che lasciarono nel 1948 il neonato stato ebraico, persuasi dalle nazioni belligeranti vicine, sono diventati oggi 5-6 milioni, secondo una deplorevole politica che non ha mai inteso ricollocare questi disperati negli stati dove hanno trovato ospitalità.
Ci furono decine di milioni di profughi in Europa, e tutti vennero reinsediati: i polacchi accettarono i polacchi, i tedeschi accettarono i tedeschi. Nel ’47, con la divisione dell’India, ci furono milioni e milioni di profughi: i musulmani furono condotti dall’India al Pakistan, gli Indù dal Pakistan all’India. Vennero tutti reinsediati. I palestinesi in vita nel 1948 sono diventati oggi non più di 30 mila; i discendenti sarebbero stati cittadini egiziani, o siriani, o libanesi, o iraqeni. Sono rimasti arma demografica nelle mani dei satrapi mediorientali, e materia prima per l'agenzia ONU appositamente creata.

lunedì 19 maggio 2014

Che brutta giornata, per i palestinisti...

È un brutto momento per i "palestinisti"; insomma, non per i palestinesi in quanto tali, che non da oggi devono subire un regime intento più ad autoperpetrarsi e a tendere ad Occidente il braccio con il palmo della mano rivolto verso l'alto, che non a impiegare l'oceano di liquidità su cui galleggiano per risolvere i problemi della popolzione; ma per tutti quelli che ammiccano, adulano e sponsorizzano questo mondo. Ilblogdibarbara ha proposto un interessante testo, che documenta le conseguenze nefaste e le distorsioni al sistema provocati degli "aiuti finanziari" alle popolazioni dell'Africa. Non si fa fatica a credere che l'approccio paternalistico adottato dal Dopoguerra ad oggi nei confronti della questione dei "profughi" palestinesi - nel frattempo moltiplicatisi dai 500 mila originari ai 5-6 milioni di oggi - abbia esacerbato la questione, anziché risolverla. Ma stiamo sul leggero...

venerdì 9 maggio 2014

Sull'amore degli arabi per i palestinesi

Gli arabi sono storicamente molto più dediti a sabotare in ogni modo e con ogni mezzo Israele; che non a preoccuparsi delle sorti dei "fratelli" palestinesi. Che da decenni vivono in luridi campi profughi in Egitto, in Siria, in Giordania, e nello stesso West Bank: senza cittadinanza, senza diritto, senza possibilità di esercitare diverse professioni, in condizioni penose di dipendenza economica e sudditanza psicologica dei paesi ospitanti. Se non carne da cannone, massa disperata da utilizzare cinicamente contro lo stato ebraico.
Di tanto in tanto si registrano episodi confortanti; ma si tratta di eccezioni alla regola, prontamente stroncate e neutralizzate da chi non è interessato alla normalizzazione. Il mese scorso un professore palestinese, Mohammad Dalani, ha condotto una scolaresca di 27 ragazzi in visita guidata ad Auschwitz. Un'esperienza come sempre toccante, che se da un lato ha aperto gli occhi a questi fortunati giovani palestinesi; dall'altro ha messo in una scomoda posizione il docente: espulso dall'associazione degli insegnanti a causa della sua visita al campo di prigionia in Polonia. Il suo comportamento «contravviene le norme e la politica dell'organizzazione»: un modo elegante per ricordare che non ci si può opporre al boicottaggio accademico e culturale che l'unione degli insegnanti ha sancito.

martedì 22 ottobre 2013

Venticinque volte il Piano Marshall

Non si smorza l'indignazione per la recente scoperta del tunnel costruito da Hamas fra la Striscia di Gaza e l'Israele meridionale. Realizzato in cemento made in Israel, e lungo quasi due chilometri, la galleria avrebbe condotto i terroristi alle soglie dell'asilo infantile di un kibbutz ben all'interno del territorio israliano, con una diramazione scoperta successivamente, che doveva prendere alle spalle una postazione dell'esercito israeliano.
Una circostanza prevista. Nel 2010 l'intelligence israeliana avvisò il governo di Gerusalemme circa i pericoli derivanti da un "uso improprio" del cemento da parte dell'organizzazione terroristica che governa l'enclave palestinese dal 2007. Ciò malgrado, a novembre 2011 il ministero della Difesa autorizzò l'invio di cemento a Gaza, destinato originariamente alla costruzione di 75 complessi scolastici gestiti dall'UNRWA, la facoltosa agenzia ONU che si dovrebbe occupare dei discendenti dei "profughi palestinesi" (gli arabi superstiti che furono persuasi dalle nazioni belligeranti vicine a lasciare Israele nel 1948 sono secondo le stime circa 35 mila).

domenica 22 settembre 2013

Urge una immediata riforma dell'UNRWA

di Timon Dias*

Secondo un recente studio, il popolo palestinese ha ricevuto, in termini reali aiuti pari a 25 volte quelli ricevuti dagli europei delle nazioni devastate dalla II Guerra Mondiale sotto il Piano Marshall. Secondo lo studio, la maggior parte di questi fondi sono stati veicolati verso il popolo palestinese tramite la United Nations Relief and Work Agency for Palestine Refugees in the Near East (UNRWA). Si tratta dell’unica agenzia delle Nazioni Unite concepite specificatamente per una sola popolazione; l’unica che definisce come rifugiati coloro che hanno vissuto per almeno due anni in una specifica area nel momento in cui è scoppiata la guerra arabo-israeliana del 1948. E si tratta anche dell’unica agenzia che identifica i discendenti degli originari rifugiati come anch’essi rifugiati, sebbene il 90% di quelli che l’UNRWA originariamente definì come tali che non si sono mai allontanati dal luogo di origine.
L’UNRWA, inoltre, viola la convenzione dei rifugiati dell’UNHCR, continuando a considerare rifugiati due milioni di persone (il 40% dei beneficiari delle erogazioni dell’UNRWA) che godono di piena cittadinanza in Giordania, Siria e Libano, incoraggiando loro oltretutto a pretendere un fantomatico “diritto al ritorno”.

lunedì 2 settembre 2013

La dura battaglia contro la disinformazione

Simpatico botta e risposta fra la redazione del Daily Telegraph, quotidiano britannico che ha la sventura di ospitare la penna di Robert Tait, ex giornalista del Guardian; e CifWatch, organizzazione no-profit impegnata nella lotto contro la disinformazione, la mistificazione, l'omissione in mala fede e non di rado l'invenzione di sana pianta di fatti che inevitabilmente mirano a gettare ombra e discredito su Israele. Ce ne siamo occupati qualche giorno fa. Nel tentativo di fornire appoggio alla cosiddetta "causa palestinese", il Telegraph ha gonfiato a dismisura il numero di rifugiati e profughi palestinesi; per tali intendendosi non coloro i quali furono persuasi dagli stati arabi belligeranti nel 1948 a lasciare Israele, dietro la promessa che vi sarebbero tornati ben presto a guerra (vinta) conclusa; bensì il numero degli arabi, e di tutta la loro discendenza, che può accedere ai generosi benefici dell'iscrizione all'UNRWA, un'agenzia delle Nazioni Unite che da decenni perpetra se' stessa dietro questo comodo e largo paravento. Si potrà obiettare che in questo momento ci sono emergenze umanitarie che richiederebbero almeno una parte del ricco budget messo a disposizione dell'UNRWA; ma non digrediamo.

martedì 25 giugno 2013

Palestina (futuro) stato razzista

La Palestina non è ancora uno stato; e chissà se mai lo sarà: questa dirigenza pensa soltanto alla sua perpetrazione eterna. Emblematiche le dimissioni del neo primo ministro dopo nemmeno tre settimane di (tentativo di) governo. Il povero e mite Rami Hamdallah, constatata l'incapacità di muoversi in autonomia rispetto all'ingombrante presidente Abu Mazen, ha sbattuto la porta dell'Esecutivo di Ramallah, denunciando apertamente la situazione di "conflitto, confusione e corruzione" regnante nell'autorità palestinese, in un annuncio su Twitter che ha fatto discutere, e che ha ricordato i reali motivi dell'allontanamento di Salam Fayyad, persona "perbene", apprezzata in Occidente, e in eterno conflitto e contrasto con le ambizioni fameliche del leader dell'OLP.

mercoledì 5 giugno 2013

Quella discriminazione a favore dei palestinesi

di Yoni Dayan*

È giunto il momento di ammettere la verità: il mondo si preoccupa molto più della vita di un palestinese che di quella di un siriano, un sudanese, un keniota, un colombiano o un congolese.
Si tratta, molto semplicemente, di un principio avvalorato giorno dopo giorno sin dal 1949, quando le Nazioni Unite decisero di dividere in due l'agenzia globale per i profughi creandone una speciale con il compito di prendersi cura soltanto dei profughi palestinesi. Ancora oggi la comunità internazionale ha due agenzie che operano per i profughi: l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) e l'UNRWA (United Nations Relief and Works Agency per i profughi palestinesi nel Vicino Oriente).
Uno sguardo appena un po' approfondito su queste due agenzie rivela quanto sia profondo l'atteggiamento discriminatorio della comunità internazionale verso tutti i profughi del mondo rispetto a quelli palestinesi.
L'Alto Commissariato, che si prende cura di 33,9 milioni di profughi e sfollati interni in più di 125 paesi di tutto il mondo, dispone in tutto di un budget di 3 miliardi di dollari. L'UNRWA, che si occupa di cinque milioni di profughi e discendenti di profughi palestinesi, dispone di un budget di più di un miliardo di dollari: vale a dire 88,50 dollari a testa per i profughi e sfollati di tutto il mondo, e 200 dollari a testa per profughi e discendenti di profughi palestinesi.

venerdì 17 maggio 2013

Pollo fritto a Gaza e altre tragedie meno serie

Scoppia la mania del fast food a Gaza. Beh, "fast" è un modo di dire, dal momento che il pollo fritto della KFC deve attraversare i tunnel clandestini scavati al confine fra l'Egitto e la Striscia di Gaza - quelli che il governo di Morsi fa saltare in aria con l'aviazione, o allaga con l'esercito - per giungere a destinazione. Il cibo così tanto occidentale arriva alle case dei palestinesi dopo alcune ore, ma che importa? vale la pena di aspettare per gustare questa prelibatezza.
E pazienza se la consegna di un KFC Family Meal comporta un costo di 80 lire egiziane - quasi 10 euro: quel pasto li merita tutti. Il problema è che bisogna provvedere anche alle spese di consegna: ragionevolmente, vista la strada da percorrere e i rischi che si attraversano. In tutto fa l'equivalente di 18 sterline, annota solerte il Sun: ovvero, 21 euro. Ma non ci avevano detto una volta che a Gaza se la passavano male? ci deve essere non poca gente con il portafoglio gonfio, se si può permettere il lusso di farsi mandare il pollo americano al domicilio.

lunedì 22 aprile 2013

UNRWA, il nemico dei palestinesi

C’è un’Agenzia ONU che non è mai in crisi, un’agenzia costantemente sommersa di dollari, che si occupa di un gruppo esclusivo di rifugiati, nati e cresciuti nei loro luoghi di residenza, in alloggi e non in tende. Rifugiati che spesso hanno un lavoro e un reddito, che hanno regolare accesso alla sanità pubblica e all’istruzione. Ma qual è questa Agenzia prospera dal miliardo di dollari l’anno? Ma è l’UNRWA è ovvio! E i profughi sono quelli che non sono più tali da cinquant’anni: i “profughi” palestinesi. La Siria è distrutta, i siriani non hanno da bere acqua fresca, ma l’Unrwa non se ne preoccupa, loro “servono” esclusivamente i Palestinesi.
L’Unrwa, come sappiamo, è quell’organismo incaricato, dal 1948, di assegnare lo status di rifugiato a tutti i discendenti di quei Palestinesi che lasciarono Israele durante la prima guerra di aggressione sferrata contro lo Stato ebraico. Bastava aver risieduto due mesi in Eretz Israel per aver diritto ad uno status da lasciare in eredità ai propri figli e ai figli dei figli. Cosi’, quelli che nel 1949 non arrivavano a 700.000 unità, ora sono diventati cinque milioni. Neanche uno dei rifugiati originari è stato mai reinsediato dall’Unrwa. Secondo la sua definizione, i profughi rifugiati rimangono tali anche dopo l’acquisizione della cittadinanza di un altro paese.

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giovedì 7 febbraio 2013

I palestinesi che non interessano a nessuno

L'ostilità di Hamas nei confronti degli israeliani è cosa ben nota. Ciò non impedisce allo stato ebraico di difendersi dai continui attacchi, e di prestare soccorso alle famiglie palestinesi in difficoltà. Domenica scorsa l'esercito israeliano (IDF) ha gestito il transito attraverso i valichi di 286 camion, trasportanti 9260 tonnellate di generi alimentari, combustibili, materiali da costruzione e beni di prima necessità. Lunedì, la replica: 293 autoarticolati, con oltre 9000 tonnellate di beni. Idem martedì: 9234 camion diretti verso Gaza attraverso i valichi israeliani, di cui ben 280 trasportavano frumento.
Nel solo 2012, gli ospedali israeliani hanno fornito assistenza e trattamento sanitario e medico ad oltre 28000 palestinesi; di cui oltre 21 mila erano bambini.

mercoledì 14 novembre 2012

Salvate i palestinesi dagli arabi!

E' motivo di tristezza constatare la difficile condizione in cui versano i rifugiati palestinesi nei paesi arabi. Siria, Libano, Egitto; lo stesso West Bank da decenni "ospitano" i discendenti - figli, nipoti e pronipoti - degli arabi che nel 1948 furono persuasi dagli stati confinanti con Israele, a lasciare lo stato ebraico, con la promessa che vi sarebbero tornati, più ricchi, una volta vinta la guerra che le potenze arabe si accingevano a scatenare contro il neonato stato. Le cose purtroppo per loro andarono diversamente. Ma per fortuna di una ipertrofica burocrazia, i rifugiati palestinesi sono diventati una fonte inesauribile di prebende, posti di lavoro, potere e ricchezza. Al punto da creare una agenzia specifica dell'ONU, diversa da quella istituita per gestire tutte le altre spinose situazioni simili.
E mentre i rifugiati di tutto il mondo - inclusi i 700 mila ebrei residenti nei paesi arabi, che furono brutalmente espulsi da stati in cui erano pienamente e attivamente integrati - si inserivano in nuove realtà, e diventavano cittadini di un nuovo stato a partire dalla prima discendenza; i rifugiati palestinesi sono rimasti tali per generazioni: gli stati ospitanti non hanno mai fornito loro la cittadinanza. Peggio: li hanno sempre trattati con disprezzo, negando i basilari diritti civili. Costretti in luridi campi profughi, privi della possibilità di accedere a lavori e a vantare qualsiasi diritto, i rifugiati palestinesi sono stati impiegati dalle nazioni arabe come arma di pressione contro il vicino Israele, dove gli arabi rimasti godono viceversa di tutti i diritti (incluso l'elettorato attivo e passivo).
L'Occidente si è reso complice di questo maltrattamento. Voltandosi dall'altro lato, ha concesso generosi finanziamenti alle istituzioni sovranazionali incaricate di gestire una situazione inizialmente provvisoria. Ma i nodi stanno venendo al pettine: i fondi scarseggiano, e l'UNRWA ha lanciato il suo grido di dolore. Del tutto inascoltato da chi prima di altri dovrebbe risultare sensibile: gli stati arabi, che negano ulteriori fondi. Mentre l'Europa ha già la sua crisi da risolvere...


Fonte: Elder of Ziyon*

Di recente il Commissario Generale dell'UNRWA Filippo Grandi ha fornito un discorso appassionato ad una sotto-commissione ONU circa la condizione critica in cui versano i rifugiati arabi palestinesi, e su quanto sia importante che l'UNRWA sia dotata di nuovi fondi. Nascosto fra le pieghe del discorso, Grandi a malincuore ha ammesso che le nazioni arabe hanno discriminato i rifugiati siriani di origine palestinese. Da notare la sua riluttanza ad ammettere esplicitamente quello che gli stati arabi stanno facendo, e la cautela nel criticarli per aver di fatto gettato i confratelli sotto un treno:
«Nell'ambito del Piano Regionale di Risposte, l'UNRWA chiede altresì 10 milioni di dollari per assistere i rifugiati palestinesi che stanno abbandonando la Siria per dirigersi in Giordania e Libano: allo stato attuale, rispettivamente 1600 e 8000 persone. La loro situazione, difficile come quella di tutti i profughi siriani, è aggravata dalla situazione preesistente. Malgrado il numero ristretto, la loro condizione critica tristemente conferma che, a prescindere da quanto tempo vivano negli stati ospitanti e quanto confortevolmente vi abbiano vissuto, essi restino estremamente vulnerabili ed esposti allo shock della crisi.
Apprezziamo molto che gli stati confinanti con la Siria ancora una volta si siano sobbarcati questo onere, ancora una volta senza il contributo internazionale. Voglio ricordare che i rifugiati palestinesi che abbandonano la Siria in cerca di una protezione temporanea, sono esposti agli stessi rischi e pericoli degli altri profughi. Purtroppo, però, l'UNRWA è al corrente di diversi casi di palestinesi a cui è stata negata questa protezione. Mi appello ancora una volta agli stati confinanti affinché sia rispettato un criterio umanitario nel trattare questi casi, senza distinguere fra diverse categorie di rifugiati, evitando qualunque maltrattamento fino a quando la crisi siriana sarà risolta».

Quello che sappiamo con certezza, è che Giordania e Libano, se da un lato hanno accettato molti profughi siriani, dall'altro stanno respingendo quelli di origine palestinese in Siria, dove affronteranno un futuro incerto, se non la morte. Quello che il Commissario non dice esplicitamente è che molti altri palestinesi scapperebbero dalla Siria, se fossero sicuri che Giordania e Libano accogliessero loro; ma così non è, evidentemente.
Grandi usa una enorme cautela per non inimicarsi le nazioni arabe, che stanno maltrattando le persone che egli desidererebbe proteggere.
Non è il momento di analizzare la situazione sotto una differente prospettiva? Nello specifico, l'UNRWA dovrebbe ritornare al suo mandato originario di integrare gli arabi palestinesi negli stati ospitanti.
Ho appena scoperto un documento, scritto da Lance Bartholomeusz, responsabile della divisione Diritto Internaizonale dell'UNRWA in occasione del 60esimo anniversario dele 2010. E' davvero sconvolgente, perché ammette che l'UNRWA ha un mandato di ricollocare i rifugiati: qualcosa che ha smesso di fare da tempo.

* Continua a leggere su Elder of Ziyon.

sabato 8 settembre 2012

I palestinesi ammazzati che non fanno notizia


Il regime di Assad continua a colpire. Suoi simili. Ieri un attacco dell'esercito siriano ha colpito il campo profughi di Yarmouk, vicino Damasco. Lo riporta l'agenzia Reuters. Sono riportati 10 morti e non meno di 70 feriti. Tutti palestinesi. Secondo alcune fonti, la brutale aggressione serviva per "ripulire" la zona e poter così più facilmente colpire gli oppositori al regime. Disperazione per le vittime. Rabbia per il silenzio oltraggioso dei movimenti "filo-palestinesi". Questi morti si aggiungono alle centinaia di vittime palestinesi della carneficina di Assad; ma poiché non possono essere imputati allo stato di Israele, essi non fanno notizia.

venerdì 3 agosto 2012

Mobilitazione a favore dei palestinesi

Continuano le sofferenze del popolo palestinese. Otto civili, fra cui due bambini, residenti nel campo profughi di Yarmouk, sono stati uccisi questa mattina da colpi di artiglieria dell'esercito. Diversi i feriti: 25, secondo una fonte; molti in condizioni gravi. Inutili gli appelli alle Nazioni Unite per proteggere i profughi palestinesi dai continui attacchi.
L'auspicio è che ciò induca l'opinione pubblica a condannare l'ennesima aggressione. Anche questa volta, da parte araba: infatti il campo profughi di Yarmouk si trova in Siria, e l'esercito in questione è quello fedele ad Assad, e macchiatosi negli ultimi 15 mesi del sangue di centinaia di palestinesi. Uno dei motivi per cui il quartiere generale degli estremisti islamici di Hamas è stato trasferito in fretta e furia da Damasco all'Egitto e poi nel Qatar.
Qualche cinico sostiene che i palestinesi morti non fanno notizia quando cadono per mano degli stessi arabi. Non ci credo: sono sicuro che presto arriveranno i titoli di condanna dei giornali europei, e che ciò non impedirà a chi sinceramente desidera la pace in Medio Oriente di sventolarne le bandiere, di manifestare davanti all'ambasciata siriana, e in ultimo di allestire presto una "freedom flotilla"...

H/t: Elder of Ziyon

lunedì 28 maggio 2012

Una soluzione per i profughi palestinesi

E' in discussione al Senato americano un disegno di legge la cui approvazione definitiva farebbe cambiare sensibilmente la questione mediorientale e i rapporti fra mondo arabo e Israele.
Come è noto, alla fine del 1947 le Nazioni Unite ripartirono l'ex protettorato britannico palestinese - ricevuto in consegna dopo la dissoluzione dell'impero ottomano di inizio anni '20 - in due stati: uno arabo, e uno ebraico. Gli ebrei accettarono la partizione, e l'anno successivo proclamarono lo stato di Israele. Gli arabi non accettarono la decisione storica, e convinsero gli arabi che vivevano nel neonato stato a riparare negli stati confinanti, prima di scatenare un conflitto che si risolse l'anno successivo in una bruciante sconfitta.
Gli arabi che ripararono in Egitto, in Libano, in Siria, in Giordania e in Iraq furono sistemati in campi profughi nei quali hanno vissuto per lunghi decenni. Senza diritti, senza cittadinanza - unico caso al mondo - senza possibilità di integrarsi nella società, di frequentarne le scuole, di praticarne le istituzioni. Cittadini di serie B a tutti gli effetti. I 6-700 mila arabi del 1948 sono diventati milioni. Così tanti, che l'ONU ha previsto una apposita agenzia: l'UNRWA. Un gigante burocratico che amministra fondi e li versa ai profighi palestinesi. Caso eclatante: a differenza dei profughi di tutti gli altri stati al mondo, i figli e i figli dei figli hanno conservato lo status di rifugiato.

Ma le più nobili intenzioni ad un certo punto si scontrano con la dura realtà. Mantenere 5 milioni di palestinesi costa. Un'impresa impossibile. I figli dei figli a loro volta si riproducono, e il conto delle bocche da sfamare e degli impiegati necessario per tenere il conto si moltiplica a perdita d'occhio. E' per questo che un senatore dell'Illinois ha presentato una proposta di legge che distingue fra gli arabi che lasciarono Israele nel 1946-48, e tutti coloro che sono nati successivamente. Il consistente contributo americano all'UNRWA (più di un miliardo di dollari) sarebbe da prevedersi soltanto per i primi. Ma in questo caso, l'investimento umanitario si ridimensionerebbe sensibilmente: a 30 mila dollari annui. I discendenti di chi si fece convincere dagli stati arabi belligeranti dovrebbero convincere gli stati ospitanti - come la Giordania, dove un terzo della popolazione vanta lo status di rifugiato - a concedere finalmente la cittadinanza a tutti gli effetti. Non a caso, Amman sta premendo sul Senato americano, in compagnia del Dipartimento di Stato, affinché la legge non venga promulgata.

Si tratterebbe di una svolta epocale. I profughi palestinesi non potrebbero essere più impiegati come arma nei confronti di Israele. Mancando un importante fonte di reddito, essi sarebbero indotti ad integrarsi negli stati arabi che da decenni ne ospitano la discendenza, senza riconoscere loro cittadinanza, a differenza di quanto si fa in ogni stato al mondo nei confronti dei figli degli emigranti. Il cosiddetto "diritto al ritorno", ancora oggi sbandierato dalla dirigenza palestinese come pre-condizione all'instaurazione di negoziati bilaterali, cesserebbe d'un tratto, e finalmente si potrebbe discutere di mutuo e pieno riconoscimento, di confini e - perché no? - di collaborazione economica e sociale.
Auguriamoci che la proposta di legge conosca una rapida approvazione. Dopo decenni di umiliazioni - l'Autorità Palestinese ha chiarito in passato che i profughi ospitati nei suoi campi (come quello di Betlemme, mostrato nella foto) non diventeranno mai suoi cittadini, nemmeno quando un giorno nascerà lo stato di Palestina, accanto a quello di Israele - di privazioni, di rinunce, forse il prossimo futuro farà assistere alla cessazione di questa vergognosa strumentalizzazione.

martedì 22 maggio 2012

E' guerra delle caramelle fra Libano e Israele

Sul Daily Star, quotidiano libanese in lingua inglese, si legge una notizia che ha del grottesco. La polizia palestinese, che controlla uno dei tanti "campi profughi" al confine con Israele, ha sequestrato domenica una grossa partita di caramelle. Erano tossiche? provocavano la carie? erano forse scadute? nulla di tutto questo: le caramelle avevano un involucro in turco e siriano, ma una volta scartate denunciavano la provenienza: israeliana. Non erano di dimensioni infime ne' avevano un qualche "naso" adunco, ma semplicemente avevano un secondo incartamento, in ebraico.
Sconvolgimento e indignazione delle autorità che controllano il campo profughi di Ain al-Hilweh. Le caramelle sono state distrutte, onde preservare la purezza dei bambini ospiti loro malgrado del campo. La polizia sta investigando sulla provenienza delle caramelle, e ha dichiarato che bisogna fare di tutto per combattere Israele, anche sul piano economico.
Lo stato ebraico è l'unico che ha visto crescere il suo rating fra i paesi industrializzati dopo la crisi economica del 2008, e nell'ultimo anno ha visto la sua economia crescere del 3.3%: il doppio della Germania, il 50% in più della crescita degli Stati Uniti (mentre l'Europa sprofonda in recessione). Merito forse di una vendita globale di caramelle. O più probabilmente, di un sistema istituzionale che garantisce benessere alla popolazione, e da cui gli stati confinanti dovrebbero trarre spunto, e potrebbero trarre beneficio, anziché combattere ridicole crociate.