giovedì 28 novembre 2013

L'antisemitismo sta perdendo la guerra

Gentile redazione di "Il Borghesino",

congratulazioni per lo splendido blog. Vorrei esprimere un immenso ringraziamento per avermi aiutato in questi giorni a cambiare completamente la mia visione del conflitto medio-orientale. Da circa un anno ho cominciato a poco a poco a rivedere totalmente i miei (pre)giudizi su Israele, con una forte accelerazione in questi giorni grazie anche al vostro eccellente sito. Sto provando una rabbia e un senso di colpa tremendo, perchè mi sento ingannato dalla cattiva informazione su Israele, Palestina & dintorni che per anni ha intossicato e ottenebrato la mia capacità di giudizio.
Volevo porvi alcune domande in merito all'occupazione della Palestina, ma prima sento il bisogno di descrivervi il mio percorso di "cambiamento di prospettiva", che può essere molto istruttivo.

Ho 25 anni, vivo e studio a Napoli. Fin dall'adolescenza mi sono interessato (superficialmente) alle vicende medio-orientali; purtroppo, senza alcuna capacità di interpretazione, sviluppai precocemente un giudizio molto duro verso Israele.
Il primo contatto con il conflitto arabo-israeliano fu per me un vero shock: ero poco più di un bambino, e vidi al TG la morte del mio quasi coetaneo Mohamed al-Durrah. Scoppiai in lacrime, e mi chiesi com'era possibile che Israele fosse così "cattiva" contro i bambini palestinesi. Negli anni dell'Intifada, ogni volta che sentivo delle stragi dei kamikaze contro i civili israeliani, non potevo non avere in mente l'immagine di quel ragazzino terrorizzato, e pensavo che quindi, tutto sommato, se l'erano cercata...
Pochi giorni fa sono rimasto di stucco a leggere, proprio sul vostro blog, che non solo il piccolo al-Durrah non fu raggiunto dai proiettili israeliani, ma che addirittura la sua morte è stata probabilmente un' incredibile messinscena! Com'è possibile, mi sono chiesto stavolta, che sui media italiani non c'è stata traccia delle inchieste che hanno denunciato l'inganno?

mercoledì 27 novembre 2013

L'opzione è stata collocata sul tavolo

E meno male che si parlano da almeno un anno. Certo, non in pubblico, e non direttamente. La comunicazione in Oman deve essere risultata problematica, se è vero che la sottoscrizione degli accordi "provvisori" di Ginevra è stata seguita da toni trionfali da ambo le parti. Insomma, una situazione "win-win". Eppure ci deve essere qualcuno che perde...
Mentre Hussein Obama cerca di tranquillizzare l'opinione pubblica mondiale, spacciando la liberazione di sostanziosi flussi finanziari verso il regime degli ayatollah in cambio di generiche promesse per un passo significativo verso la pace; a Teheran il ritorno dei delegati è stato salutato trionfalmente: un po' perché viene riconosciuta la piena legittimità del programma nucleare iraniano; un po' perché le nuove entrate che arriveranno dagli acquisti di petrolio da parte soprattutto di Cina, India, Giappone e Corea del Sud, daranno una grossa mano ad uno stato sociale messo in crisi da quotazioni del greggio stabilmente sotto i 100 dollari per barile.

domenica 24 novembre 2013

Finalmente l'Iran diventerà una potenza atomica

Dunque è ufficiale: gli Stati Uniti di Hussein Obama infliggono al mondo un'ulteriore dolorosa automutilazione, accettando il programma di arricchimento dell'uranio della repubblica iraniana, e in premio offriranno agli ayatollah alcuni miliardi di dollari all'anno, mediante allentamento delle sanzioni esistenti e sblocco delle entrate congelate in alcune banche europee. L'ex senatore junior dell'Illinois, esemplare emulo di Chamberlain - il 30 settembre 1938 non è così lontano... - si appresta così a vincere un secondo premio Nobel per la pace; magari, questa volta ex aequo con il suo sodale Hassan Rowhani, che da Teheran ha benedetto l'intesa.
Un'intesa maturata per lungo tempo: non certo dal giorno successivo all'elezione del successore del rude e irritante Ahmadinejad: come ha rilevato il Times of Israel, che cita la Associated Press, fra Stati Uniti e Iran i colloqui sono andati avanti a livello diplomatico per tutti gli ultimi dodici mesi; almeno da marzo, per il tramite del vice segretatio di Stato William Burns (nomen omen). Il bonario Rowhani è stata la figura tranquillizante scelta da Ali Khamenei per far accettare all'opinione pubblica mondiale un'intesa apparsa fino a qualche tempo fa il frutto di una maggiore moderazione del regime persiano. Il desiderio degli Stati Uniti di assecondare le aspirazioni e le ambizioni dell'Iran a divenire potenza atomica - malgrado le ripetute violazioni dei diritti umani, la repressione della dissidenza e delle minoranze, gli imbrogli ai danni della comunità internazionale, il sostegno al terrorismo internazionale e l'appoggio al regime sanguinario di Assad in Siria - è arrivato al punto da salutare con soddisfazione la sconfitta subita ieri dalla nazionale a stelle e strisce di volley a Tokyo - guarda caso - proprio contro l'Iran...

venerdì 22 novembre 2013

Israele, paradiso del venture capital

Israele, culla dell'high tech mondiale. Il 2013 non sarà ricordato soltanto per l'acquisizione miliardaria (966 milioni di dollari, per l'esattezza) di Waze da parte di Google. Secondo un articolo apparso ieri sul Wall Street Journal, nei primi nove mesi di quest'anno sono state concluse ben 1183 transazioni, per un controvalore di 8,64 miliardi di dollari. È un dato impressionante sotto diversi punti di vista:
  • rispetto ad una popolazione di meno di 8 milioni di abitanti, le operazioni di fusione e acquisizione (M&A) hanno rappresentato un controvalore di oltre mille dollari pro-capite: un dato sensibilmente maggiore di quello relativo agli Stati Uniti, fermi ad "appena" 660 dollari pro-capite;
  • in relazione alle dimensioni dell'economia, le operazioni di M&A in Israele sono state pari al 3.5% del prodotto interno lordo; negli USA, il turnover non ha superato l'1.3% del PIL;
  • l'articolo del WSJ celebrava l'Irlanda come il paese dalla più spinta imprenditorialità dell'area Euro, con 311 transazioni complessive nei primi tre trimestri del 2013, per un controvalore di 1.3 miliardi di dollari. Spettacolare il gap rispetto al piccolo stato ebraico, che fa della ricerca e innovazione il suo punto di forza.

Come puntualizza il quotidiano finanziario americano, soltanto negli ultimi cinque anni, per ogni dollaro raccolto in Europa dai fondi di venture capital, ne sono stati raccolti ben 10 negli Stati Uniti e addirittura 23 in Israele. Nessuno stato europeo è riuscito a far meglio in questo arco di tempo: nemmeno la Germania.
L'inovazione tecnologica favorisce aumenti di produttività, che tengono sotto controllo l'inflazione e aumentano la ricchezza complessiva. Non è un caso che il PIL pro-capite sia passato dai 18200 dollari del 2004, ai 22129 dollari del 2012 (+22%); nel medesimo arco di tempo, il PILpc è cresciuto del 13.9% in Germania, del 4.1% in Francia, mentre è sceso del 6% in Italia.
Ricerca, innovazione, eccellenza nell'istruzione, lancio di nuovi prodotti e processi fanno del piccolo stato ebraico un punto di riferimento globale. Non a caso l'agenzia di rating americana Standard&Poor's assegna a Gerusalemme un rating elevato (A+) e stabile.
Chissà come mai le relazioni scarseggiano fra il mondo accademico, scientifico e industriale italiano, e lo stato ebraico. Che oltretutto, si accinge a sperimentare un boom energetico grazie agli immensi giacimenti di gas naturale rinvenuti al largo delle proprie coste.

mercoledì 20 novembre 2013

Pallywood familiare


Le immagini strazianti di un bambino per la verità un tantino bulimico (maledette merendine sioniste), che conforta la madre morente, che lo accarezza teneramente prima di spirare in un lago di sangue. Il volto disperato del minorenne, che piange la dipartita del genitore: vittima, spiega la didascalia, di una incursione aerea ovviamente israeliana nel sud del Libano.
La fortuna di un fotoreporter, trovatosi nel posto giusto e nel momento giusto, per immortalare questa sequenza che prontamente qualche agenzia di stampa generosamente donerà ai media mondiali, pronti a collocare sul banco degli imputati il solito colpevole "a prescindere": in questo caso, le prove e le verifiche non servono mai.

Riprendono i "negoziati" sull'Nucleare iraniano a Ginevra


Espressione eufemistica, dal momento che è stato ormai deciso tutto, ed è stata soltanto l'intransigenza francese, che ha generato un inedito asse fra Parigi e Riad, sponda Gerusalemme; ad impedire un accordo della prima ora.
Così, mentre la guida suprema iraniana precisa che il regime degli ayatollah "non indietreggerà di una virgola" sul proposito di fare dell'Iran una potenza atomica, inducendo i sauditi a rivolgersi al Pakistan per una fornitura di materiale bellico atomico (e chissà quanti altri stati del Golfo faranno altrettanto - magari rivolgendosi all'India - scatenando una proliferazione nucleare sulla quali i pacifisti europei non hanno nulla da dire); in Svizzera la ripresa delle "trattative" procede a passo svelto, malgrado il comprensibile disappunto - per usare un eufemismo - di Israele, che è fra coloro che credono che il nucleare iraniano sia tutt'altro che finalizzato a scopi pacifici; come d'altro canto suggerisce l'immagine scelta dall'agenzia di stampa iraniana Fars, che raffigura una dimostrazione più o meno spontanea, in cui un gruppo di donne inneggia all'arricchimento di uranio: per cancellare Israele dalla mappa geografica, puntualizza il cartello sulla destra.

lunedì 18 novembre 2013

Quando anche le interpreti non ne possono più


Non sono molti i momenti lieti per lo Stato di Israele, nei forum delle organizzazioni internazionali. Ma una piccola, significativa soddisfazione l’ha avuta di recente quando un’interprete delle Nazioni Unite, non essendosi accorta che il microfono era rimasto acceso, ha fatto un commento ingenuamente onesto sul trattamento spudoratamente fazioso che Israele stava subendo durante una conferenza sui diritti umani.
Domenica mattina il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha voluto rendere noto, con tanto di filmato, il “fuori-onda” dell’interprete che ha avuto luogo giovedì sera in una conferenza in corso a New York durante la quale, come osserva la stessa interprete, venivano votate a stragrande maggioranza una decina di risoluzioni di condanna di Israele e nessuna sul resto del mondo. Un dato che l’interprete, non pensando di essere udita, si è chiesta se non fosse francamente “un peu trop” (un po’ troppo), visto che “ci sono altre str…zate veramente brutte che succedono, ma nessuno dice niente delle altre cose”.


Accortasi d’essere amplificata, la donna ha immediatamente e ripetutamente chiesto scusa (fra gli sghignazzi dei presenti), mentre la segreteria della presidenza, definito l’incidente “un problema con la traduzione”, riprendeva i lavori come previsto.

“Chi avrebbe dovuto chiedere scusa, in realtà, è l’Onu – ha commentato su Times of Israel Hillel Neuer, direttore di “UN Watch” – Fondato su nobili ideali, l’organismo mondiale sta trasformando in un incubo il sogno degli internazionalisti amanti della libertà. Il prossimo mese, alla fine di questa sessione annuale, l’Assemblea Generale avrà adottato un totale di 22 risoluzioni che condannano Israele, e solo quattro su tutto il resto del mondo. L’ipocrisia, la faziosità e la politicizzazione sono sconcertanti”.

continua su Israele.net.

venerdì 8 novembre 2013

Stati Uniti "espulsi" dall'UNESCO

Ricordate la decisione clamorosa dell'UNESCO? sul finire del 2011 l'agenzia ONU con sede a Parigi, che dovrebbe occuparsi di cultura, di istruzione e di scienza e storia, decise a sorpresa di accogliere l'autorità palestinese fra i propri stati membri. Scatenando scalpore, dal momento che la decisione di riconoscere dignità di membership ad un'entità statuale deve essere il punto di arrivo di un lungo processo formale, fissato dal diritto internazionale nella Convenzione di Montevideo del 1933.
Quella decisione unilaterale, e puramente politica, irritò non pochi gli Stati Uniti, che non avevano ancora subito la macabra metamorfosi del secondo mandato Obama, i quali annunciarono che avrebbero cessato di foraggiare l'organizzazione; stracciando un assegno che ogni anno copriva oltre un quinto del bilancio dell'UNESCO.

giovedì 7 novembre 2013

Belle e brave


Leah e Lara, sorelle gemelle, italiane, sono emigrate in Israele e si sono immediatamente arruolate nell'IDF, l'esercito difensivo dello stato ebraico.
Come si dice in questi casi, mazel tov!

mercoledì 6 novembre 2013

Israele sta per diventare esportatore di energia

Il boom della produzione di gas naturale da rocce scistose (shale gas) sta favorendo una insperata primavera dell'industria manifatturiera americana. Il fenomeno della delocalizzazione sta rapidamente rientrando, e diverse grandi compagnie stanno ricollocando la produzione all'interno dei confini nazionali; incoraggiate da un costo dell'energia in caduta libera. Basti pensare che un milione di BTU (British Thermal Unit, l'unità di misura del gas naturale) costa 9 dollari e mezzo nel Regno Unito, 11 dollari in Germania e quasi 17 dollari in Giappone. In USA, 1 mBTU costa meno di 3 dollari e mezzo. Non sorprende che diverse abitazioni di nuova costruzione sono alimentate a gas naturale: una fonte di energia relativamente pulita, e di cui gli USA disporranno in crescenti quantità.

Ma c'è un altro stato al mondo, che sta lavorando alacremente alla propria indipendenza energetica. Per porre fine alle ostilità, Israele ha riconsegnato la penisola del Sinai, letteralmente galleggiante sul petrolio, all'Egitto del 1978, in cambio della sottoscrizione di un trattato di pace che dura tuttora. Lo stato ebraico è completamente dipendente dall'estero per l'approvvigionamento energetico, e non è un mistero che i ripetuti attentati terroristici agli oleodotti miravano proprio a minarne l'attività manifatturiera.
Ma come riporta oggi il Financial Times, Gerusalemme sta lavorando per diventare in tempi brevi addirittura un paese esportatore di energia. Al largo delle coste di Ashdod, nell'Israele meridionale, è in funzione la piattaforma di Tamar, frutto della joint venture fra un'azienda israeliana e la texana Noble Energy. Il progetto, del valore di 3.5 miliardi di dollari, ha iniziato a produrre gas da marzo, e contribuirà quest'anno al PIL israeliano per un punto percentuale pieno. Il gas destinato all'esportazione, ottenuto di recente il consenso dalla Corte Suprema  in tal senso, dovrebbe invece provenire dal giacimento "Levietano", situato una trentina di chilometri ad ovest di Tamar, e dalla capacità stimata in 19000 miliardi di piedi cubici.
Le destinazioni più immediata sarebbero la Turchia, la Grecia, la Giordania o anche l'Egitto; paesi che così beneficierebbero di drastiche riduzioni dell'attuale bolletta energetica. È una situazione "win-win", per usare le parole del responsabile operativo della Delek Drillings, l'azienda israeliana responsabile della ricerca e dell'estrazione. Malgrado i rapporti ufficiali siano quantomeno accidentati, le autorità turche si sono dichiarate molto interessate al gas israeliano. Ma al di là di aspetti commerciali ed economici, la prossima piena autosufficienza energetica del piccolo stato ebraico si riverbererà su tutti i rapporti con gli stati arabi confinanti, ai quali riuscirà meno facile il tentativo di mettere in ginocchio Gerusalemme strozzando le forniture di petrolio. Gli stessi Stati Uniti, che si stanno defilando maldestramente dal Medio Oriente, vedrebbero ridurre il loro attuale potere di condizionamento nei confronti di Israele.

Una figura di spicco per la presidenza dell'ANP

La presidenza dell'Autorità Palestinese è una carica ricca di prestigio e foriera di arricchimento personale. Non a caso l'attuale presidente, Abu Mazen, siede sulla poltrona più alta dell'ANP ininterrottamente dal 2005, essendosi dal 2009 fermamente opposto ad indire nuove elezioni; verosimilmente proprio nel fondato timore di perdere l'ambita carica che tanti vantaggi gli ha procurato.
Purtroppo il presidente è figura solitaria; si può sempre istituire la figura di presidente vicario, o presidente onorario, o presidente a vita (appunto); ma insomma, per chi non si chiama Mahmoud Abbas, bisogna accontentarsi delle posizioni più distanti dal vertice.
Sei mesi fa Salaam Fayyad ha gettato la spugna, rassegnando le dimissioni dalla carica di primo ministro dell'ANP. Al di là dei ringraziamenti di rito per il lavoro svolto, è apparso subito evidente il contrasto insanabile fra il capo del governo apprezzato dal mondo occidentale per il suo equilibrio, e le fameliche pretese del presidente, interessato soltanto a mettere le mani sulle casse dell'ANP.