Tira una brutta aria a Pennsylvania Avenue. A pochi giorni dalle elezioni di medio termine che rinnovano una parte significativa dell'assemblea legislativa americana, i sondaggi sul gradimento dell'operato del presidente continuano a mantenere una parabola discendente: soltanto il 43% ne approva l'operato, stando a quanto reso noto da Gallup. Malgrado l'economia fornisca dati incoraggianti, la maggior parte degli americani volta le spalle all'ex senatore junior dell'Illinois; convinto che la delusione discenda dalla politica estera americana.
È per questo che nelle ultime ore si accavallano voci secondo cui sarebbe partente il segretario di Stato Kerry: nuova vittima sacrificale dell'ego del presidente, che due anni fa fece fuori una Hillary Clinton che iniziava a diventare troppo ingombrante. Più comoda una figura mediocre e a tratti grottesca come Joe Biden...
Vedremo se il titolare di una sciagurata politica estera americana cambierà di nuovo. Certo sarebbe difficile rimpiangere JFK (sono le iniziali di Kerry!), resosi protagonista nelle ultime ore di una clamorosa quanto sconsiderata dichiarazione: secondo il titolare degli Esteri americano, il Monte del Tempio di Gerusalemme, il sito più sacro dell'ebraismo, dovrebbe essere completamente bandito agli ebrei. Soltanto i musulmani avrebbero titolo per presenziarvi, essendo Gerusalemme (terzo) luogo sacro per l'Islam, pur non essendo mai citata nel Corano.
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venerdì 31 ottobre 2014
Se non è antisemitismo, che cos'é?
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mercoledì 14 maggio 2014
Kerry e Indyk hanno spinto Abbas fra le braccia di Hamas
di Harold Rhode e Joseph Raskas*
I palestinesi sostengono che per i musulmani, i territori palestinesi si estendono dal fiume (Giordano) al mare (Mediterraneo): includendo tutto l'attuale Israele. Secondo il loro punto di vista, Tel Aviv sarebbe un territorio illegalmente occupato, al pari degli insediamenti ebraici nel West Bank. Questa visione è corroborata dalla visione musulmana, profondamente radicata nella giurisprudenza islamica denominata Waqf, secondo cui ogni territorio una volta sotto il controllo dei musulmani, deve essere per sempre controllato da musulmani. Secondo il diritto islamico, «Se una persona rende qualcosa "Waqf", essa cessa di essere di proprietà di quella persona, e ne' egli ne' chiunque altro può donarla o venderla ad altre persone».
Sfortunatamente, la premessa sulla quale si poggiavano i negoziati promossi dagli americani - capeggiati dal Segretario di Stato John Kerry e dall'inviato speciale Martin Indyk - è in completa antitesi con la premessa sulla quale si basano i negoziati in Medio Oriente. Gli americani sembrano credere che tutti i problemi siano risolvibili: se non si consegue una soluzione, vuol dire che non si è provato abbastanza. Generalmente, sono preparati a raggiungere un compromesso su alcuni temi, per conseguire aspetti specifici a cui sono maggiormente interessati. Quando ambo le parti raggiungono l'intesa, gli americani generalmente sono pronti a mettere da parte i vecchi accordi. Fornendo concessioni, nessuna delle parti rischia di compromettere la propria reputazione. Ma in Medio Oriente non funziona così: questa concezione è inammissibile in una logica da "chi vince si prende tutto" che domina in questa parte del mondo.
I palestinesi sostengono che per i musulmani, i territori palestinesi si estendono dal fiume (Giordano) al mare (Mediterraneo): includendo tutto l'attuale Israele. Secondo il loro punto di vista, Tel Aviv sarebbe un territorio illegalmente occupato, al pari degli insediamenti ebraici nel West Bank. Questa visione è corroborata dalla visione musulmana, profondamente radicata nella giurisprudenza islamica denominata Waqf, secondo cui ogni territorio una volta sotto il controllo dei musulmani, deve essere per sempre controllato da musulmani. Secondo il diritto islamico, «Se una persona rende qualcosa "Waqf", essa cessa di essere di proprietà di quella persona, e ne' egli ne' chiunque altro può donarla o venderla ad altre persone».
Sfortunatamente, la premessa sulla quale si poggiavano i negoziati promossi dagli americani - capeggiati dal Segretario di Stato John Kerry e dall'inviato speciale Martin Indyk - è in completa antitesi con la premessa sulla quale si basano i negoziati in Medio Oriente. Gli americani sembrano credere che tutti i problemi siano risolvibili: se non si consegue una soluzione, vuol dire che non si è provato abbastanza. Generalmente, sono preparati a raggiungere un compromesso su alcuni temi, per conseguire aspetti specifici a cui sono maggiormente interessati. Quando ambo le parti raggiungono l'intesa, gli americani generalmente sono pronti a mettere da parte i vecchi accordi. Fornendo concessioni, nessuna delle parti rischia di compromettere la propria reputazione. Ma in Medio Oriente non funziona così: questa concezione è inammissibile in una logica da "chi vince si prende tutto" che domina in questa parte del mondo.
domenica 6 aprile 2014
Abbattuto il processo di pace, Abu Mazen tenta il bluff. Ma ci casca solo Kerry...
Benché manchino ancora alcune settimane alla data che sancirà la conclusione dei negoziati fra israeliani e palestinesi - sponda Washington; nessuno crede davvero che il processo di pace possa mai (ri)partire, dopo l'affondamento provocato da Abu Mazen con la decisione di iscrivere l'ANP ad una serie di organismi e trattati internazionali, disattendendo i pre-accordi concordati lo scorso luglio prima di questa ennesima occasione per perdere tempo, e per dis-perdere anidride carbonica nell'atmosfera. Al povero Kerry, frustrato, e smanioso più di apparire finalmente come qualcosa di più del "marito della signora Heinz", che di realmente conseguire un Premio Nobel per la Pace in verità sbiadito da qualche anno; non resta che fare marcia indietro evitando ulteriori figuracce. Mancando anche l'obiettivo minimo di una "pace in Medio Oriente" a cui alla vigilia non credeva nessuno che conosce un pochino le faccende che ruotano attorno al Fiume Giordano. È un nuovo smacco per l'amministrazione Obama - ma questa volta il più scaltro Barack Hussein ha mantenuto una posizione defilata, evitando un diretto coinvolgimento che avrebbe appannato ulteriormente il suo prestigio: dopo il discorso del Cairo che ha aperto le porte al fondamentalismo islamico in Egitto (peraltro mai seriamente aberrato da Obama, il quale al contrario ha reagito con stizza alla defenestrazione di Morsi; e sì che vanta rapporti perlomeno indiretti con l'estremismo sunnita); dopo aver assistito impotente a diversi quanto beffardi varchi della mitica "linea rossa" a Damasco, dove Assad è stato libero di continuare a sterminare i siriani dopo aver "visto" il bluff della Casa Bianca; dopo aver accantonato la linea dura con Teheran, concedendo agli ayatollah la prerogativa di coltivare l'ambizione atomica, coniugando quella massima della diplomazia secondo cui "se non puoi combatterli, unisciti a loro" (ed infatti la Boing è stata autorizzata a vendere parti di ricambio per aerei all'Iran, dietro la vaga garanzia di non impiegarli per finalità militari); dopo aver dovuto prendere atto passivamente dell'annessione della Crimea da parte della Russia di Putin, sfibrando nel frattempo solide alleanze con l'Arabia Saudita, l'Egitto e lo stesso Israele; alla fine la montagna-USA ha cercato di partire il topolino di una "storica" pace fra Israele e palestinesi, dal sapore più simbolico che reale (in Siria sono morti in tre anni il quadruplo di tutti gli arabi periti nei conflitti con Israele dal 1948 in poi), non riuscendo a conseguire nemmeno questo obiettivo minimo.
lunedì 10 febbraio 2014
La cinquantunesima stella
Ha un sapore vistosamente intimidatorio, diremmo, vagamente mafioso; il messaggio recapitato dal segretario di Stato americano, John Kerry, all'indirizzo di Israele: «il vosto è un bellissimo paese; e sarebbe certamente un peccato se vi accadesse qualcosa di male. E badate bene che non vi sto minacciando. Vi sto solo dicendo che c'è un sacco di gente senza scrupoli là fuori, e sebbene io non sottoscriva appieno le loro minacce, devo confessare che farei fatica ad arrestarne la violenza se non doveste rinunciare a qualcosa di vitale per voi».
giovedì 6 febbraio 2014
It's the economy, stupid!
È il denaro che fa girare il mondo; beh, per fortuna quasi tutto il mondo. Muhammad Rashid si è messo nei guai. Già consulente economico di Yasser Arafat, Rashid ha scatenato la rabbia ceca dell'Autorità Palestinese. La sua colpa? aver denunciato, sul canale satellitare arabo Al Arabiya, la corruzione dilagante della famiglia Abbas: una holding dal valore di 100 milioni di dollari. Ben investiti: oltre a partecipazioni in diverse società, detenute direttamente dai figli di "Abu Mazen" e indirettamente per il tramite di società riconducibili al boss palestinese; la "Abu Mazen SpA" sarebbe titolare di un conto corrente cifrato aperto presso un banca giordana, contenente quasi 40 milioni di dollari (dei quali 13 sarebbero giunti nientemeno che dagli Stati Uniti).
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