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venerdì 5 aprile 2013

Rende bene fare il terrorista

L'organizzazione non governativa NRG ha reso note oggi importanti rivelazioni sull'uso dissennato delle finanze da parte dell'Autorità Palestinese, che da un lato appare in vistosa difficoltà finanziaria, al punto da tardare i pagamenti delle retribuzioni nei confronti dei pubblici dipendenti; dall'altro destina più del 4% del suo bilancio al sostenimento finanziario dei detenuti nelle prigioni israeliane dopo regolare processo, e delle relative famiglie. I sussidi erogati ai terroristi palestinesi sono parametrati agli anni di detenzione da scontare, e risultano addirittura triplicati appena due anni fa.
I detenuti che scontano una pena compresa fra 5 e 10 anni ricevono un salario mensile di 4.000 shekel (NIS) al mese: circa 1.000 dollari, ben più della paga media mensile (2.700 NIS) di un poliziotto a Ramallah. I detenuti che scontano una pena di 25-30 anni ricevono ben 10.000 NIS al mese: ben più dei 9.000 NIS che rappresentano il salario medio di un lavoratore in Israele (molti dei quali provengono dallo stesso West Bank).

lunedì 18 febbraio 2013

Dove sono finiti tutti i miliardi versati ai palestinesi?

di Barry Rubin*

Il primo ministro dell'Autorità Palestinese (AP) Salam Fayyad ha dichiarato che il regime è a corto di liquidità. Un lettore nel frattempo mi chiede: «mi puoi spiegare perché a 20 anni dagli Accordi di Oslo e con miliardi di dollari di aiuti internazionali, l'AP non dispone di moderni ospedali? perché i paesi donatori versano contributi a pioggia senza manco aspettarsi qualche minimo risultato che salvi la faccia?»
E' una buona domanda. La risposta breve è: conti in Svizzera. In altre parole, una consistente quantità di denaro è stata distratta. Non c'è niente di peggio di governanti - specie un popolo povero - che da un lato lamentano le condizioni misere del proprio popolo, e dall'altro ne approfittano. Ovviamente, un osservatore che vede i palestinesi in condizioni di povertà, tende a biasimare per questo Israele, in tal modo esacerbando la causa effettiva di questa situazione: la politica intransigente dei leader palestinesi.
La ricchezza personale del "presidente" Mahmoud Abbas è stimata in 100 milioni di dollari. Per avere un'idea delle cifre in ballo, si sommi a questa somma i milioni di dollari di esponenti di primo e secondo piano dell'AP e del partito Al Fatah, assieme alle centinaia di milioni di dollari che Arafat ha trafugato all'estero. Una cifra di mezzo miliardo di dollari destinata in vent'anni ad un'entità che governa poco più di due milioni di anime.

venerdì 19 ottobre 2012

Autorità Palestinese dedita al riciclaggio di denaro sporco?

Il blog Challah hu Akbar riporta una notizia apparsa sulla versione cartacea del quotidiano Yedioth Ahronoth, secondo cui l'Autorità Palestinese ha fatto richiesta alla Bank of Israel - la banca centrale e istituto di emissione dello stato ebraico, con giurisdizione anche per l'embrione del futuro (?) stato palestinese - di aumentare a 2 miliardi di dollari il limite massimo dei versamenti consentiti all'organismo sorto dopo gli Accordi di Oslo del 1993.
La richiesta suona quantomeno bizzarra, se non inquietante: si tratta di una somma di denaro spropositata, se si considera che per l'intero 2012 l'Unione Europea ha previsto stanziamenti per lo sviluppo palestinese e per l'ANP per complessivi 200 milioni di dollari: 1/10 della cifra in discussione.
Il sospetto formulato da più parti è che questo enorme margine possa servire a consentire a famiglie "poco trasparenti" vicine all'entourage di Abu Mazen, di sfrutture i canali istituzionali israeliani per riciclare denaro di provenienza illecita o illegale.
Secondo il quotidiano israeliano, un esponente della BoI ha contattato l'ANP per chiedere maggiori spiegazioni in merito a questa richiesta. L'ANP, aggiunge Yedioth, non ha confermato l'illazione.

venerdì 21 settembre 2012

Territori palestinesi (opportunamente) "occupati"

In visita ufficiale a New York, il viceministro degli Esteri israeliano Danny Ayalon ha fornito un punto di vista interessante circa la questione dei territori contesi fra israeliani e palestinesi in Giudea e Samaria (West Bank o, come si diceva una volta, Cisgiordania). Bisogna ricordare che lo stato ebraico occupa l'1.5% di queste terre, spesso in aree (da secoli) densamente popolate da famiglie ebree o in prossimità di obiettivi militari strategici.
Ayalon ha rilevato che la stessa Autorità Palestinese, che reclama l'interezza di queste terre - che prima del 1967 appartenevano però alla Giordania, a cui casomai andrebbero restituite - non durerebbe un giorno di più, se l'esercito israeliano si ritirasse dalle aree B e C della Giudea e della Samaria. Il sanguinoso colpo di stato perpetrato nel 2006-2007 nella Striscia di Gaza da Hamas ai danni dei rivali di Al Fatah, che ancora governano il West Bank; si replicherebbe da queste parti. E ciò farebbe di esse una nuova piattaforma di lancio di missili e razzi verso lo stato ebraico.
Ayalon, in un'intervista ad Arutz Sheva, ha ricordato che l'Autorità Palestinese, sull'orlo della bancarotta, non esita però a spendere milioni di dollari per i numerosi viaggi della sua presidenza in giro per il mondo, ospite di lussuosi alberghi, mentre i dipendenti pubblici locali non ricevono lo stipendio da mesi.
Il bilancio dell'AP è sottoposto a cura dimagrante; ma si riescono sempre a trovare 12 mila shekel al mese (sei volte la retribuzione media di un dipendente palestinese) da versare ai terroristi rinchiusi dopo regolare processo nelle carceri israeliane, responsabili dell'assassinio di innocenti civili di ogni età.

giovedì 6 settembre 2012

La primavera araba raggiunge i palestinesi

Centinaia di palestinesi ieri hanno manifestato negli ultimi giorni a Nablus, a Betlemme e a Ramallah, nel West Bank. Proteste per il rincaro dei generi alimentari e per l'aumento del costo della vita e della disoccupazione. Ma soprattutto si chiede virtualmente la testa di Salam Fayyad, primo ministro di Abu Mazen, presidente di un'Autorità sempre più corrotta e invisa alla popolazione: "non ci rappresentate", era l'urlo che campeggiava sul cartello di un manifestante. I vertici dell'AP hanno cercato di ribattere le responsabilità sul vicino Israele, e su una sua presunta occupazione (lo stato ebraico occupa ancora soltanto l'1.5% dei territori contesi dopo la Guerra dei Sei Giorni), nonché su una ventilata "giudeizzazione" della capitale ebraica.
Il rischio che l'Autorità Palestinese imploda, schiacchiata da corruzione, malaffare, inefficienza nella gestione della cosa pubblica e privazione dei basilari diritti civili, è sempre più concreto. Questo, mentre a Gaza Hamas sarebbe sempre più pronta a proclamare uno stato autonomo, che manderebbe definitivamente in frantumi la pretesa di uno stato palestinese: al posto di una Palestina, uno "stato della Striscia di Gaza" - satellite della repubblica islamica d'Egitto - che già alcuni chiamano Hamasstan.

domenica 26 agosto 2012

Gli israeliani accolgono i palestinesi


di Khaled Abu Toameh

Per diversi anni i palestinesi si sono lamentati circa le restrizioni che hanno impedito loro di entrare liberamente in Israele. Ma durante il mese santo del Ramadan, in un gesto senza precedenti, le autorità israeliane hanno consentito l'ingresso a decine di migliaia di palestinesi del West Bank.
Senza richiedere alcun permesso, centinaia di migliaia di musulmani sono entrati a Gerusalemme per la preghiera del venerdì alla moschea di Al Aqsa. Molti palestinesi, particolarmente avezzi allo shopping, hanno salutato con favore il gesto, dando un contributo significativo al commercio locale.
Ma la mossa che ha irritato Hamas e l'Autorità Palestinese è stata quella di consentire di entrare liberamente nel resto di Israele: per la prima volta dopo diversi anni, ricordando ciò che succedeva ai bei vecchi tempi - quando i palestinesi erano liberi di entrare in Israele, di frequentarne le spiagge di Tel Aviv e Jaffa, e di affollarne i centri commerciali e i parchi acquatici.
Le scene di palestinesi che hanno passato delle giornate spensierate sulle spiagge e nelle vie dello shopping israeliano hanno urtato Hamas e l'AP. La prima teme che l'allentamento delle restrizioni possa addolcire i palestinesi, proprio nel momento in cui il movimento terrorista è all'opera per reclutare nuovi seguaci, in special modo nel West Bank. Hamas preferisce avere a che fare con palestinesi che vivano in miseria e disperazione, onde riuscire più facilmente nel proselitismo e nel reclutamento di terroristi.
L'Autorità Palestinese, dal suo canto, accusa ora Israele di sabotare l'economia palestinese consentendo alla sua gente di dedicarsi allo shopping e al tempo libero. Alcuni membri del governo a Ramallah arrivano addirittura a parlare di "cospirazione" finalizzata a minare alle fondamenta l'AP. Altri sono ostili perché ciò porterebbe ad un processo di normalizzazione, che secondo alcuni vertici rappresenterebbe un crimine (all'inizio dell'anno il governo palestinese del West Bank ha espulso il preside di una scuola che ha condotto una classe in vacanza a Tel Aviv).
Per anni l'AP ha chiesto al governo di Gerusalemme di allentare le restrizioni alla libera circolazione dei palestinesi in territorio israeliano. Ora che Israele consente a diecine di migliaia di musulmani di visitare i suoi luoghi, scatta la denuncia di attentare all'economia palestinese...
Ciò che è chiaro è che ne' l'AP ne' Hamas auspicano che i palestinesi siano felici. Il miglioramento delle condizioni di vita è qualcosa che queste due fazioni non prendono in considerazione. Piuttosto essi preferirebbero che i palestinesi rivolgano tutta la loro frustrazione e la loro rabbia verso Israele. In caso contrario, è il timore, i palestinesi potrebbero rivolgere questi sentiment verso i loro governanti.

Fonte: Gatestone Institute.

sabato 16 giugno 2012

Vietato vendere case agli ebrei!

Certi palestinesi continuano a macchiarsi di orribili crimini. No, non si tratta di omicidio. Ne' di stupro, o di pedofilia, o di frode ai danni dello stato, o di evasione fiscale; o di qualunque altro reato che noi europei censuriamo e condanniamo senza appello, prima ancora che giunga la sentenza di un tribunale. Certi palestinesi, vendono immobili - case, o anche soltanto terre - agli israeliani; pardon, agli ebrei.
16 palestinesi sono stati condotti in carcere a Ramallah, Gerico e Hebron dall'Autorità Palestinese, e 9 rischiano la pena capitale (la pena di morte, insomma), per essere stati coinvolti nela vendita di proprietà immobiliari ad ebrei. Alcuni indirettamente - chissà, avranno affisso il cartello "Vendesi" sulle vetrine dei loro locali, o come impiegati statali incaricati del rilascio del nulla osta previsto per questo genere di transazioni - altri in qualità di venditori.
Secondo il sito Elder of Ziyon, che ha reso noto la circostanza, il governo di Abu Mazen ha stanziato la cifra di 2.7 milioni di dollari all'anno per condurre indagini circa questo genere di vendite "illegali". Considerando che il PIL pro-capite è di 1.500 dollari all'anno, con questo denaro vivrebbero dignitosamente quasi 2.000 famiglie. Nulla di scandaloso, in una realtà dove il presidente si ritiene spenda 2 milioni di dollari, ogni mese, per viaggi all'estero. Ciò conferma come il diritto vantato da molti ebrei che vivono da decenni in Giudea e Samaria (West Bank; o come si diceva una volta, Cisgiordania), sia del tutto legittimo, basato su un trasferimento di proprietà conseguente ad una compravendita immobiliare fra arabi e israeliani regolare e valida a tutti gli effetti.
Chissà come sarebbe stato orgoglioso quel signore lì, e quell'altro che lo seguì docile e convinto, di questi provvedimenti restrittivi. Vendere si può; ma non agli ebrei. Prossimo passo? marcare le case abitate dagli ebrei con una bella stella gialla (ma non ce n'é bisogno: i terroristi sanno dove andare a sgozzare le loro vittime. Basta chiedere ai superstiti della famiglia Fogel, massacrata ad Itamar lo scorso anno).
Bizzarro l'atteggiamento dei giornali italiani. Ieri Maria Strada (parente di Gino Strada?) sul Corriere della Sera, si doleva per la sorte di Mahmoud Sarsak, palestinese di 25 anni, in carcere in Israele per terrorismo e nel tempo libero calciatore, in sciopero della fame "controllato" (rifiuta il cibo ma assume regolarmente integratori, liquidi e zucchero). Ma nemmeno una parola per la minaccia di morte sopportata da altri palestinesi, che per loro sfortuna sono sì detenuti; ma non in Israele, bensì nel West Bank, dove il governo ci va duro, a prescindere dal fatto che i malcapitati siano o meno dediti al gioco del calcio.

giovedì 31 maggio 2012

Spiragli di pace fra Israele e palestinesi

L'economia israeliana è fra le più vivaci e dinamiche al mondo. Nonostante la costante minaccia proveniente dagli stati confinanti, e pur priva di materie prime, l'eccellenza nella tecnologia e nel settore medico hanno consentito negli ultimi anni una vistosa espansione del prodotto interno lordo e una costante crescita del reddito delle famiglie; 1/5 delle quali sono arabe.
Altri arabi stanno ora beneficiando di questo boom economico (dall'inizio della Grande Recessione Israele è l'unico stato al mondo che ha visto migliorare il proprio merito di credito - rating - ad opera di Standard&Poor's). Le relazioni politiche fra Israele e West Bank sono ancora complicate dalla scarsa volontà da parte palestinese di sedersi al famoso tavolo delle trattative per il mutuo e pacifico riconoscimento. Ma ciò non sta impedendo il fiorire di relazioni commerciali. Certo, i volumi dell'interscambio sono ancora modesti: 4.3 miliardi di dollari nel 2011, in buona misura esportazioni israeliane. Ma la crescita economica dello stato ebraico ha consentito all'economia dell'Autorità Palestinese di aumentare le proprie "esportazioni" del 18%.
E nel frattempo si tengono iniziative bilaterali di scambi culturali, prima ancora che commerciali. Il Jerusalem Post rende nota una recente conferenza tenutasi nel Negev, che ha visto la presenza di uomini di affari sia israeliani che palestinesi. L'incontro è culminato con una competizione - questa volta, amichevole - fra studenti universitari arabi ed ebrei.

Il governo unitario palestinese è ancora lungi dal realizzarsi, malgrado le promesse roboanti di un anno fa. Nel frattempo il governo unitario israeliano viaggia a pieni giri, e partorisce proposte che non si esita a definire clamorose. Ieri il ministro della Difesa Barak ha dichiarato che non è da escludersi la possibilità che Israele si ritiri unilateralmente dai territori contesi, ottenuti dopo la Guerra dei Sei Giorni del 1967. I negoziati fra le parti, auspicati dagli Accordi di Oslo che hanno originato l'Autorità nazionale palestinese tardano a manifestarsi, malgrado i ripetuti inviti in tal senso di Gerusalemme. Israele ha sempre restituito i territori occupati in seguito ai conflitti in cambio di pace: così ha fatto con l'Egitto, a cui restituiì il Sinai, e altrettanto ha fatto con la Giordania. Il disimpegno dal Libano e più avanti quello dalla Striscia di Gaza è stato invece unilaterale, e ha prodotto il terrorismo di Hezbollah a nord e di Hamas a sud. La prospettiva di liberare l'1.5% di territorio palestinese nel West Bank ancora occupato viene salutata con un misto di stupore e approvazione, ma c'è il concreto timore che ciò possa nuocere ancora una volta ai civili.
Nel frattempo, un'altra concreta iniziativa a favore della distensione, sempre purtroppo proveniente da Israele (e dire che ci vorrebbe ben poco dall'altra parte: ma Abu Mazen è impegnato ad usare il pugno di ferro contro i rivali di Hamas e contro la stessa opposizione interna ad Al Fatah...): il governo di Gerusalemme si è impegnato a restituire alle rispettive famiglie i corpi di 91 terroristi palestinesi, rimasti vittima di attentati da essi stessi scagliati nelle città israeliane. Fra questi, ci sono l'attentatore che uccise 18 persone ad una fermata d'autobus a Gerusalemme, l'autore di un attentato simile a Be'er Sheva (16 morti) e l'autore dell'attentato al Café Hillel di Gerusalemme (sei morti). Si spera che la restituzione dei corpi non sia seguita da deplorevoli episodi di celebrazione e di onoranza. Spesso in passato a questi criminali sono state intitolate strade e piazze. Speriamo che si volti pagina.

venerdì 25 maggio 2012

Continuano le persecuzioni ai danni dei giornalisti palestinesi

Dopo un paio di settimane di tregua, l'Autorità Palestinese torna a far parlare di se'; ancora una volta, purtroppo in negativo. Fatti cadere ancora una volta gli inviti al dialogo da parte del vicino Israele, la leadership di Ramallah continua l'opera di persecuzione ai danni di giornalisti e blogger, rei di rivelare al mondo mediante siti Internet, blog e social network la corruzione e l'inefficienza dilagante dell'Autorità Palestinese. Come riferisce Challah Hu Akbar sul suo blog, la triste sorte è toccata a Shadi Zamara, giornalista di 27 anni, convocato dai servizi segreti palestinesi martedì scorso. Zamara è stato interrogato per due ore e mezza circa la sua attività di denuncia. Rilasciato, è stato di nuovo raggiunto dagli agenti dell'AP, e interrogato e intimidito: la colpa, quella di aver rivelato pubblicamente le attenzioni che le autorità riservano a chi documenta il loro operato.