sabato 29 dicembre 2012

Due stati per due popoli? non funzionerà mai

di Barry Shaw*

  • «Non c'è posto per gli ebrei fra di noi, e non avete un futuro fra le nazioni del mondo. Siete destinati alla cancellazione» (Mahmoud Zahar).
  • «Morte ad Israele» (slogan ricorrente nelle dimostrazioni antisioniste).
  • «Non riconoscerò mai uno stato ebraico, ne' oggi ne' fra mille anni!» (Mahmoud Abbas).
  • «Dal fiume (Giordano, NdT) al mare, da nord a sud, questa è la nostra terra, la nostra patria. Non rinunceremo nemmeno ad un pollice di essa. Israele è illegittimo e lo sarà per sempre. E' roba nostra, e non dei sionisti» (Khaled Mashaal).
  • «Oggi Gaza. Domani Ramallah. Dopo ci prenderemo Gerusalemme, e poi Haifa e Jaffa» (Ismail Haniyeh).

C'è da spiegare qualcosa? Per decenni siamo stati bombardati da presunti esperti, che ci volevano spiegare perché il paradigma dei due stati (per due popoli: arabo e israeliano, NdT) era l'unica soluzione plausibile per un'intesa con i palestinesi, e affinché sopravvivesse uno stato ebraico. Avendo impiegato tutto questo tempo nello studiare e analizzare i percorsi postulati da questa road map, e dopo aver analizzato le personalità e le intenzioni degli avversari degli israeliani, sono giunto alla conclusione, definitiva e irrevocabile, che ciò non avverrà mai. E se mai arrivassimo a questo, sarebbe una tragedia per Israele: sarebbe la condanna a morte per lo stato ebraico.
Sarebbe una condanna a morte perché sarebbe l'ultimo atto, in cui Israele sarebbe ridotto ad uno scheletro di uno stato strategicamente indebolito, impossibilitato a difendersi o a proteggeri dagli attacchi di un gruppo minaccioso di stati islamici radicali. Uno stato palestinese non agirebbe affatto da cuscinetto nei confronti di questa ostilità; piuttosto, sarebbe l'avanguardia di un consistente attacco generalizzato.
Quando discuto questa questione con i politici israeliani, con gli esperti, con i diplomatici europei e con i giornalisti, i quali coltivano l'utopia di una soluzione di due stati sulla base dei confini del 1967 (di fatto: le linee armistiziali del 1949, che le parti belligeranti chiarirono fossero assolutamente non definitive, NdT), con una parte di Gerusalemme consegnata ai palestinesi come capitale del loro stato; pongo loro una domanda, molto importante, che mi angoscia: mi angoscia perché non ricevo mai risposta che plachi le mie ansie e i miei timori.

venerdì 28 dicembre 2012

Il Guardian ci casca un'altra volta

Goebbels lo raccomandava: «dite una bugia. Palesatela tante volte, senza pudore e con convinzione. Finirà per divenire una verità». Il ministro della propaganda nazista, artefice della "arianizzazione" della società tedesca, era in errore: per eccesso. Basti vedere come scrive il britannico Guardian (ancora lui): è sufficiente affermare una sola volta una bugia, ed essa è presa per oro colato da un consistente numero di lettori. Specie se la rocambolesca affermazione riguarda gli ebrei, gli israeliani, o una combinazione di entrambi.
Si prenda il blocco di Gaza disposto dal governo di Gerusalemme dopo il sequestro del caporale Gilad Shalit e l'ascesa al potere dei terroristi di Hamas nella Striscia. Per carità, blocco legittimo: l'ha dichiarato persino l'ONU, che certo non è organizzazione tenera nei confronti dello stato ebraico. Ma certo qualche problema lo crea: non a caso per ottenere i rifornimenti di armi e munizioni, i terroristi palestinesi sono costretti ad attendere che i carichi giungano via mare dall'Iran circumnavigando tutta la penisola arabica e attraccando i porti del Sudan, da dove intraprendono una faticosa e polverosa traversata del deserto egiziano.

Hitler si fa vedere davanti al ghetto di Varsavia

In Italia Maurizio Cattelan ha guadagnato notorietà e anche popolarità grazie alla sua scultura "L.O.V.E" - un dito medio eloquentemente puntato nei confronti di palazzo Mezzanotte, simbolo del capitalismo italiano. L'opera in marmo di Carrara, collocata provvosoriamente a piazza Affari nel 2010, è stata acquisita dal Comune di Milano un paio di mesi fa, e dunque lì resterà almeno per i prossimi quarant'anni. C'è chi fa notare come il gesto di sfrontatezza abbia portato bene allo sfortunato listino milanese, che da alcuni mesi sta guidando le borse mondiali per performance. Quantomeno, la provocazione ha pagato, e poi è sempre arduo prendere le difese degli "speculatori"...
Ma si fa fatica ad accettare e comprendere la decisione di collocare, davanti all'ex ghetto di Varsavia, un'altra opera di Cattelan. Intitolata "lui", raffigura un devoto Adolf Hitler, intento a pregare in ginocchio; lo stesso che nel 1942 ordinò la deportazione di 300 mila ebrei polacchi, destinati al campo di concentramento di Treblinka. La "provocazione" risulta beffarda e oltraggiosa per le vittime del nazismo, per i superstiti e per tutto il genere umano. A poco serve la precisazione del Museo di arte contemporanea della capitale polacca, che tenta una goffa difesa descrivendo la mostra come una esplorazione del concetto di "amore verso il nemico" e di trauma della storia. Delirio e affronto allo stato puro.
H/t: Times of Israel.

giovedì 27 dicembre 2012

Seconda e terza Intifada

Ogni tanto qualche capo terrorista palestinese cerca di riconquistare le simpatie del suo popolo, incitandolo ad una nuova ondata di violenze e terrorismo nei confronti dei vicini israeliani. Non fa più notizia, ormai: lo scollamento fra leadership palestinese e "base" è sempre più evidente, e dipende non solo dalla corruzione e malaffare dilaganti, ma anche dalla crescente convinzione che il benessere non si possa conseguire se non con il dialogo e la trattativa. L'iniziativa disperata di Abu Mazen alle Nazioni Unite alla fine di novembre non ha risollevato più di tanto le sue fortune a Ramallah e dintorni.

lunedì 24 dicembre 2012

Crimini di guerra a Gaza

L'attività terroristica a Gaza ha raggiunto un livello particolarmente elevato, se anche un'organizzazione spesso parziale come Human Right Watch ha sentito il bisogno di lanciare l'allarme sull'escalation sperimentata nella Striscia durante il mese di novembre. Addirittura HRW ha additato Hamas, il Jihad Islamico e il FPLP come organizzazioni «terroristiche», sfuggendo al politicamente corretto che porta i media e le ONG occidentali a definire militanti o semplici combattenti, chi attenta alla vita altrui.
Il direttore della sezione mediorientale di HRW non ha esitato a denunciare l'atteggiamento deliberatamente criminale di Hamas prima e durante l'operazione "Pillar of Defense" lo scorso agosto: «gruppi armati palestinesi hanno esplicitato la volontà di colpire la popolazione civile [...] sparando missili e razzi da aree densamente popolate, nei pressi di abitazioni, fabbricati industriali e alberghi, esponendo la popolazione locale al rischio di essere esposti alla reazione israeliana». E ancora: «il diritto di guerra vieta gli attacchi di rappresaglia contro la popolazione civile nemica. Ciò dimostra l'intento di commettere un crimine di guerra».

giovedì 20 dicembre 2012

Palestinesi in sciopero

Non c'è pace per i dipendenti pubblici palestinesi, malgrado la recente visita di Abu Mazen all'ONU, con cui di fatto è stato cestinato il Trattato di Pace del 1993 sottoscritto ad Oslo fra ANP e Israele. Migliaia di dipendenti pubblici sono scesi in piazza ieri, a Ramallah e nelle altre città del West Bank, per protestare contro il mancato pagamento degli stipendi e l'aumento del costo della vita. Le manifestazioni proseguiranno oggi.
Il passo indietro nel processo di pace e la fuga in avanti da parte della leadership palestinese, rischiano di mettere ancora più in ginocchio il popolo palestinese, prostrato da una crisi economica aggravata dalla corruzione e malaffare dilaganti, e dalle spese pazze del governo di Ramallah (e sì che qualche viaggetto in meno se lo poteva permettere, il nostro Abu Mazen...).
Secondo la Banca Mondiale e il FMI l'autorità palestinese denuncia un ammanco di cassa di circa 400 milioni di dollari. Un buco nei conti pubblici aggravato dall'indisponibilità degli stati arabi ad allargare i cordoni della borsa, e dalle difficoltà economiche in cui versa l'Unione Europea, principale finanziatore mondiale dell'embrione del futuro stato palestinese.
La decisione unilaterale dello scorso 29 novembre, con conseguente annullamento del Protocollo di Parigi, che regola(va) i rapporti economici fra Gerusalemme e Autorità Palestinese, rischiano di danneggiare ulteriormente la popolazione palestinese.

Il decalogo del buon giornalista mediorientale

Regola numero 1: In Medio Oriente, sono sempre “i coloni sionisti di estrema destra” ad attaccare per primi, e sono sempre le povere vittime palestinesi(donne e bambini) che soffrono di più, nonostante le ritorsioni di Hamas o di altri movimenti. Questi vanno chiamati “la resistenza”.

Regola numero 2: Gli ebrei, i sionisti e gli israeliani semplicemente non hanno il diritto di difendersi contro il lancio incessante di razzi mirati su obiettivi civili. Se lo Stato di Israele si difende, bisogna parlarne come di un crimine di guerra.

Regola numero 3: Hamas o Hezbollah ha il diritto di uccidere civili israeliani. Questo si chiama resistenza contro una forza di occupazione.

Regola numero 4: Quando Hamas uccide civili israeliani, le potenze occidentali chiedono a Israele di dar prova di moderazione. Questa è chiamata la reazione della comunità internazionale.

Regola numero 5: Gli israeliani non hanno il diritto di catturare terroristi, anche se il loro numero è molto limitato e giustificato da accuse verificate. Questo è ancor più proibito perché le carceri israeliane sono prigioni "4 stelle", con TV satellitare, giornali, alimentari Hallal, imam, visita medica tutti i giorni, croce rossa, attività organizzate dalle Nazioni Unite ecc

Regola numero 6: I palestinesi hanno il diritto di rapire, di torturare, di lasciare senza notizie qualunque israeliano, senza che la comunità internazionale debba dire una parola. Anche senza che sia consentito l'accesso della Croce Rossa, nessuno si sconvolgerà. E naturalmente nemmeno quando bisogna scambiare un ostaggio contro 1.000 terroristi.

Regola numero 7: Quando si dice "Cisgiordania", aggiungere sempre la frase "coloni estremisti anti-arabi e ultra-violenti."

Regola numero 8: Quando si dice "Hamas" e "Hezbollah", è importante non aggiungere mai "sostenuti da Siria, Iran e la Fratellanza Musulmana", perché si potrebbe pensare che si tratti di un conflitto sbilanciato.

Regola numero 9: Non parlare mai di Giudea e Samaria, di iniziativa per la pace, di negoziati diretti, scambi economici, assistenza alla popolazione organizzata da Israele, di innovazione, di amore nell'ebraismo, né delle Convenzioni di Ginevra ( per esempio sui diritti dei prigionieri). Questo può disturbare lo spettatore, il lettore o l'ascoltatore.

Regola numero 10: Gli arabi parlano meglio che gli israeliani. È per questo che bisogna dar loro e ai loro sostenitori, il più spesso possibile, l'opportunità di parlare. Così possono spiegare le regole precedenti (1-9). Questa si chiama neutralità giornalistica.

Regola numero 11: Se non siete d'accordo con queste regole o se pensateche favoriscono una parte nel conflitto contro un'altra, questo vuol dire che siete pericolosi sionisti, che certamente dominate l'Italia e il mondo, che lavoriate nei media, in finanza, in politica, medicina o legge. Se siete così, probabilmente la ragione è che avete un naso grosso e parlare per tutto il tempo della Shoah. E quando andate alla sinagoga sionista, è solo per discutere il modo migliore per dominare il mondo.”

Fonte. Rilanciato da Ugo Volli.

Che altro possiamo aggiungere? che in Medio Oriente il "cessate il fuoco" deve intendersi come consenso prestato ai terroristi affinché si possano riarmare, e tornare più aggressivi e bellicosi di prima; che le linee armistiziali riconosciute sotto pressione internazionale devono ritenersi confini definitivi, e non appunto linee provvisorie da consolidare dopo accordi bilaterali; che gli accordi di pace, pur se solenni e controfirmati autorevolemente, possono essere cestinati dietro iniziativa di un singolo disperato, e un po' rosicone del successo altrui; che i bravi giornalisti sono ossequiosi delle regole imposte dall'autorità palestinese, e che loro no, proprio non fanno quelle cose, tipo andare a denunciare i terroristi che linciano i riservisti, mostrandone orgogliosi il sangue alle troupe delle televisioni private italiane...

martedì 18 dicembre 2012

Crimini di guerra in Medio Oriente

Articolo scritto il 15 novembre, in piena operazione Pillar of Defense. Nelle ore successive, abbiamo visto terroristi trasportati da veicoli con la scritta "Stampa", capi terroristi che si nascondevano nei palazzi utilizzati dalla stampa internazionale, militanti che hanno lanciato attacchi da mosche e campi sportivi; mentre dall'altro lato, militari abortivano le operazioni all'ultimo secondo per la contiguità di persone che passavano nelle contiguità di obiettivi militari, migliaia di volantini scritti in arabo lanciati dagli aerei prima degli strike, e ospedali israeliani che si prendevano cura dei feriti civili che non trovavano ospitalità negli ospedali palestinesi, destinati prioritariamente ai terroristi (Hamas aveva quartier generale nei seminterrati del principale nosocomio di Gaza; costruito, ironia della sorte, durante l'occupazione israeliana).

di David French*

Se il passato farà ancora una volta da guida, c'è da scommettere che le crescenti ostilità a Gaza saranno seguire da pressioni internazionali affinché Israele si contenga, da accuse infondate di crimini di guerra da parte dello stato ebraico, e forse anche da minacce di ricorso alla Corte Penale Internazionale. Prima che i clamori montino, è ben ricordare cosa sancisce il Diritto di Guerra (LOAC: Law of Armed Conflict) per Gaza.

Nel frattempo, a Ramallah...

Condizioni di vita sempre più precarie, a Ramallah e nelle principali città palestinesi, sponda West Bank; come denuncia questo video, che mostra le abitazioni pericolanti, le infrastrutture fatiscenti, le aree pubbliche desolate. «Le immagini parlano da sole», denuncia alla fine il filmato.
Forse è per questo che si vede con irritazione analoga attività edilizia nella vicina Gerusalemme, capitale dello stato israeliano...

lunedì 17 dicembre 2012

Idee regalo per il Natale

Decollano le vendite di M75, la fragranza per uomo e per donna disponibile da alcuni giorni nelle migliori profumerie e centri commerciali di Gaza, la città una volta sfregiata con l'orrenda quanto improbabile definizione di "prigione a cielo aperto" (ben altri odori si percepiscono nelle galere). Il profumo deve il suo nome al missile a lungo raggio che i terroristi palestinesi hanno sparato contro Tel Aviv e Gerusalemme durante le manovre dell'operazione Pillar of Defense: una gittata massima di 75 chilometri, che ha rappresentato una escalation del livello di minacciosità della fazione estremista che da oltre cinque anni controlla la Striscia.

sabato 15 dicembre 2012

Fermare l'antisemitismo

L'antisionismo si fa largo in Europa, indisturbato da un ceto politico pavido e mediocre. Come ricordava Churchill, alimentare il coccodrillo non ci eviterà la morte: saremo solo sbranati per ultimi.
Nella bellissima Budapest un deputato di cui non vale nemmeno la pena di riportare il nome, ex esponente del partito Jobbik di estrema destra - assurto agli onori della cronaca per aver proposto la schedatura degli ebrei ungheresi - ha bruciato venerdì una bandiera israeliana, nell'ambito di una manifestazione antisionista a cui ha partecipato un centinaio di persone. Lo riporta Ynet News. E' stato arrestato per disturbo della quiete pubblica e poi rilasciato.
Pochi giorni fa, oltre centomila persone hanno manifestato davanti al Parlamento per protestare contro la richiesta del partito Jobbik - di simpatie naziste - di compilare una lista degli ebrei ungheresi che "pongono un rischio per la sicurezza nazionale".
Dall'antisionismo all'antisemitismo il passo è molto breve. E viene percorso spesso e volentieri senza indugio ne' esitazione da parte di chi si cimenta nella prima attività. In Italia gli episodi di antisemitismo sono in forte aumento, come denunciava qualche giorno fa l'agenzia ANSA.

venerdì 14 dicembre 2012

Leggende e falsificazioni sulla guerra Hamas-Israele (II Parte)

di IPT News*

2) Hamas è interessata alla pace

Hamas, correntemente definita come organizzazione terroristica da Stati Uniti ed Unione Europea, non fa distinzione fra West Bank, Striscia di Gaza e Israele con confini precedenti al 1967. Per essi, tutta la “Palestina” è occupata. Lo statuto di Hamas indica esplicitamente la distruzione dello stato ebraico come elemento prioritario. Infatti, Hamas con orgoglio si vanta di essere il principale movimento di “resistenza” (leggasi: terrorismo) contro Israele: «tutte le energie della gente e la ummah (nazione) sono necessari per sradicare l’entità oppressiva». L’ha affermato Muhammad al Deif, delle Brigare Al-Qassam, poco prima del cessate il fuoco.

Giochiamo alla guerra?




giovedì 13 dicembre 2012

Un palestinese e un israeliano, ottimi amici

Domenica pomeriggio, i pazienti del reparto di Oncologia pediatrica del Sourasky Medical Center di Tel Aviv sono scesi al piano terra per partecipare ai festeggiamenti di Hanukkah. Hanno acceso la menorah e cantato le canzoni tradizionali che ricordano la rivolta dei maccabei che nel 167 AC sconfissero i potenti greci. Ma mentre il miracolo era celebrato al piano di sotto, un miracolo moderno si compiva al secondo piano dell'ospedale. Tal Zilker, un ragazzo di 17 anni dell'Israele meridionale, chiacchierava con il suo nuovo migliore amico: Qsuy Imran, anch'egli di 17 anni, proveniente da Gaza.
Essendo reduce da una pesante seduta di chemioterapia, Imran era troppo debole per partecipare ai festeggiamenti, e così Zilker ha deciso di rimanere a fargli compagnia. "Chiacchierare" è una parola grossa per descrivere l'interazione fra i due ragazzi. Ma quando si è così giovani, il vocabolario non è così importante: «siamo tutti e due matti per la Playstation», esclama Zilker.
Questa amicizia fra due coetanei, che condividono anche la stessa malattia, lo stesso aspetto fisico, e la stessa passione per i videogame, non farebbe notizia, se non fosse per la loro provienenza.

Parli male di Hamas? e allora sei una spia sionista!

Al Majd, un sito impegnato nel "proteggere" Gaza dallo spionaggio israeliano, ha pubblicato le "confessioni" di un "collaboratore" barbaramente e pubblicamente giustiziato durante i giorni di Pillar of Defense.
Le rivelazioni dell'assassinato non contengono però elementi utili ai fini dell'intelligence. Piuttosto, riflettono la disillusione e lo scetticismo tipici di chi vede la corruzione dilagare nella propria società.
Il "collaboratore" quando era in vita faceva il tassista, ed era solito chiacchierare con i suoi clienti, talvolta a proposito della corruzione di Hamas. Le "confessioni" includevano le recriminazioni contro Suha Arafat (la ricca moglie dell'ex presidente dell'OLP, NdT), che ha occultato una fortuna, che spende allegramente a Parigi; il comportamento di Hamas, che si accaparra e nasconde il combustibile per le auto dei suoi gerarchi, lasciando i gazani a secco; la responsabilità di Hamas per l'assedio di Gaza, le critiche per il sequestro di Gilad Shalit, l'arricchimento disonesto dell'organizzazione terrorista che governa Gaza, l'escalation di violenze che condusse alla guerra del 2008/2009, l'indifferenza di Hamas nei confronti delle sofferenze della gente comune, e gli acquisti sfrontati di auto di lusso per gli esponenti del regime.

mercoledì 12 dicembre 2012

Uno stato che non si comporta da stato

Probabilmente se potesse tornare indietro, Abu Mazen deciderebbe per una volta di risparmiare il denaro speso per l'ennesimo viaggio all'estero, e rinuncerebbe alla richiesta di accoglimento dell'autorità palestinese alle Nazioni Unite come stato osservatore non membro. Questa decisione non ha prodotto vantaggi per alcuno: non per il presidente dell'OLP, sempre accusato apertamente dalla sua gente di inefficienze e corruzione; non per lo stato palestinese, che rimane lungi dall'essere realizzato; ne' per il processo di pace, che anzi compie drammatici passi indietri; ne' infine per il popolo palestinese, che risulta ancor più penalizzato.
Abbiamo dunque un territorio, che aspira a diventare stato, ma è privo di confini definiti, privo di governo - anzi, a ben vedere ne ha addirittura due: uno a Ramallah, uno a Gaza; solo che i due leader non si parlano e si guardano in cagnesco - e privo di accordi con gli stati confinanti. In verità, con Israele l'ANP aveva un accordo, e che accordo: il Trattato di Pace sottoscritto ad Oslo nel 1993, che appunto istituiva l'embrione del futuro stato palestinese, riconoscendogli cospicui finanziamenti internazionali (5 miliardi di euro dall'Europa soltanto negli ultimi otto anni) in cambio dell'impegno alla disponibilità a negoziare le dispute territoriali con Gerusalemme, al riconoscimento dello stato israeliano e alla rinuncia al terrorismo.

La “duplice lettura” del conflitto in Medio Oriente

di Alessandro Litta Modignani*

Il dibattito sulla “guerra infinita” che da quasi 65 anni insanguina il Medio Oriente assomiglia molto, specie in Europa, a un dialogo fra sordi; spesso degenera rapidamente in rissa e l’avvento di Facebook non ha certo contribuito a migliorare la situazione. Anche al netto di certi eccessi verbali, c’è qualcosa che sfugge e che rende letteralmente impossibile il confronto. Un errore di impostazione, a parere di chi scrive, che altera in premessa la visione delle cose e devia la discussione su un binario morto. Una svista lessicale che porta a un completo fraintendimento, storico e politico, della realtà.
Nel dibattito pubblico - sui giornali, in televisione, ovunque - quasi sempre si fa riferimento al conflitto “israelo-palestinese”. Questa definizione è completamente sbagliata, carica di conseguenze negative. A seconda che si chiami il conflitto “israelo-palestinese” oppure “arabo-israeliano”, infatti, cambiano completamente le prospettive, si utilizzano categorie diverse e si giunge a conclusioni opposte.

domenica 9 dicembre 2012

I palestinesi non imparano mai

di Emanuele Ottolenghi*

Il voto alle Nazioni Unite che ha avanzato la condizione dell'OLP a stato osservatore non membro non ha fatto nulla per far progredire la condizione della questione palestinese. Al contrario, ripete un vecchio copione della storia: anziché cercare un compromesso con Israele, i leader palestinesi ripongono il loro destino nelle mani di altri, ingenuamente credendo che essi consegneranno loro ciò che non sono in grado di conseguire.
Quando gli stati mondiali si riunirono all'ONU nel 1947 per votare il piano di partizione del mandato britannico in Medio Oriente in due stati - uno arabo, uno ebraico - i leader palestinesi si fidarono della Lega Araba, opponendosi all'accordo, convinti dagli eserciti arabi che avrebbero ottenuto con la forza tutto il territorio. Ma non andò così.

E la verifica delle fonti?

Nuovo grottesco epic fail del Guardian (mica "L'Eco di Bergamo", con tutto il rispetto...), che nell'ambito dell'ampio resoconto per le celebrazioni del 25esimo anniversario della fondazione dell'organizzazione terroristica nota come Hamas, che dal 2007 governa in solitudine la Striscia di Gaza; propone una foto eloquente di miliziani messi a guardia di un edificio «distrutto da uno strike israeliano durante la parata, stando a quanto riferiscono testimoni».
Ovviamente l'aviazione israeliana sta rispettando il cessate il fuoco, e non sorvola da settimane la Striscia di Gaza. Nessuna menzione di questo strike appare sul sito di Hamas, ne', sui giornali locali o arabi, ne' su qualunque altra testata giornalistica mondiale.
Ma il Guardian, che dispone sempre di notevole fantasia, non poteva fare a meno di contornare questa memorabile "adunata oceanica" con la raffigurazione del cattivo israeliano che pensa solo a guerreggiare. E così si inventa di sana pianta un attacco. Che colpisce soltanto la sua sempre più fragile credibilità.

H/t: Cifwatch.

sabato 8 dicembre 2012

Tanti auguri di chag sameach


Leggende e falsificazioni sulla guerra Hamas-Israele (I Parte)

Titolo originale: 10 Lies About the Israel-Hamas Conflict

di IPT News*

Sulla carta è stato sottoscritto un cessate il fuoco fra Israele e Hamas, ma l'evidenza empirica suggerisce che non reggerà a lungo. Il leader del Jihad Islamico palestinese ha già precisato di recente che la tregua sarà breve e che un nuova sanguinosa fase di combattimenti incombe. L'accordo individua nel Cairo il garante della pace, anche se il presidente Mohammed Morsi e membri del suo governo hanno apertamente incoraggiato e sostenuto Hamas durante la guerra.
Il cessate il fuoco verosimilmente rafforzerà Hamas, che lo considera un successo nei confronti di Israele. La storia evidenzia che le tregue non impediscono ad Hamas di continuare ad attaccare Israele. Inoltre, la stessa ammissione dell'Iran di fornire ai terroristi armi perfezionate chiarisce il crescente sforzo di Teheran per destabilizzare lo stato ebraico. Alla fine, questo cessate il fuoco rappresenta soltanto una pausa nei combattimenti, non l'inizio di una pace duratura. E questo per almeno dieci motivi, che discuteremo oggi e nei prossimi giorni.

venerdì 7 dicembre 2012

Lo zoo sionista si arricchisce di un altro esemplare

Secondo media sudanesi, le autorità locali avrebbero catturato un volatile "spia" proveniente da Israele. L'uccello è chiaramente "sionista", poiché era munito di un'etichetta scritta in ebraico che ne evidenziava la provenienza: “Israel Nature Authority” e “Hebrew University Jerusalem”. I giornali del Sudan si sono scatenati nell'evidenziare che la zampa del pennuto era dotata di un dispositivo alimentato a batterie solari, che sarebbe stato in grado di scattare fotografie dall'alto. Una notevole prova di progresso tecnologico da parte dello stato ebraico, che mette da parte raffinati satelliti di cui è dotato, per impiegare veicoli "environment friendly".

giovedì 6 dicembre 2012

La storia commovente di Wafa al Bass

Gli ospedali - si sa - sono il contesto ideale per ambientarvi storie strappalacrime. Esseri umani sottratti alla morte, crisi di coscienza, lacrime e dolore per una vita spezzata anzitempo, gioia per un complicato intervento chirurgico riuscito perfettamente.
Malgrado la recente ondata di terrorismo palestinese, e la risposta israeliana nota come Colonna di Difesa, nello stato ebraico è affluito un numero considerevole di abitanti della Striscia di Gaza. Persino il cognato del primo ministro di Hamas è ricorso alle cure mediche degli israeliani; ma la vita di tutti i giorni è ricca di episodi di dedizione al dovere che non guarda il colore della pelle, o la razza, o la lingua. Spesso arabi israeliani prestano servizio come volontari negli ospedali dell'Israele meridionale, per assistere pazienti palestinesi in difficoltà con la lingua.

mercoledì 5 dicembre 2012

Il principale ostacolo alla pace? una cinquantina di palazzi in periferia!

Si discute molto in questi giorni della rivitalizzazione di un vecchio progetto di espansione edilizia ad est di Gerusalemme, in un'area nota come "E1". Trattasi di un vecchio piano esistente dai tempi di Yitzhak Rabin, icona dei pacifisti di tutto il mondo e premio Nobel per la pace, rilanciato in questi giorni dal premier israeliano, all'indomani della decisione scellerata del leader dell'OLP Abu Mazen di recarsi all'ONU per sbriciolare il Trattato di Pace firmato ad Oslo nel 1993. Questa scelta ha avuto molteplici effetti collaterali sgradevoli, come già discusso; uno dei quali appunto è l'accantonamento della disponibilità di pervenire alla soluzione del Problema mediante discussioni bilaterali. Il governo di Gerusalemme già acconsentì nel 2010 a sospendere l'attività edilizia nelle zone contese per dieci lunghi mesi, ma tutto ciò che ottenne dall'altra parte fu un rumoroso silenzio: Ramallah non si degnò mai di sedersi al famoso "tavolo delle trattative", pretendendo una estensione del blocco dell'attività edilizia a pochi giorni dalla moratoria di dieci mesi.

martedì 4 dicembre 2012

Provo vergogna per il mio Paese

di Giulio Meotti*

Il 29 settembre 1938, lo stato cecoslovacco fu frammentato e privato dei confini difendibili sulla base degli "Accordi di Monaco". Sei mesi più tardi, abbandonato dagli alleati Francia e Regno Unito, e aggredito da Hitler, la Cecoslovacchia cedette e fu annientata. Al pari di come si fa oggi con Israele, i cecoslovacchi furono accusati di "intransigenza" e di essere "nemici della pace". E furono così scoraggiati, che alla fine scelsero di non combattere e di arrendersi. "Pace" era un modo per dire capitolazione. La stessa situazione che si presenta oggi.
La situazione della Cecoslovacchia del 1938 infatti è del tutto simile a quella di Israele nel 2012. Come l'IDF israeliano, i cechi all'epoca vantavano uno degli eserciti più efficienti d'Europa. Come Israele, la Cecoslovacchia era una nazione molto giovane ed effervescente. E come oggi molto occidentali premono su Israele affinché ceda a favore degli arabi, così allora i nazisti pretesero l'annesione dei Sudeti, in cui vivevano tre milioni di tedeschi.

lunedì 3 dicembre 2012

Cartellino rosso per Drogba

Il grande Walter Chiari ci consegnò un'immagine beffarda dello sportivo, generoso ma in debito di formazione culturale, che davanti alle domande del cronista saccente reagiva con risposte standardizzate e preconfezionate, che rivelavano l'ignoranza del povero ciclista. Poverino, nella sua vita generosa ma modesta aveva soltanto conosciuto scalate, rapporti e sudore. Sono passati decenni da quel celebre sketch, e gli sportivi di oggi sono cambiati. O forse no.
I contratti sono diventati milionari - in euro, o se si preferisce in dollari - le risposte sembrano un pochino più curate, ma l'ignoranza rimane crassa. Non avendo un'opinione ben formata, le star dello sport preferiscono affidarsi a vecchi ma collaudati cliché; e pazienza se risultano del tutto fuori luogo.
A rimediare la figura del pecorone è stato addirittura Didier Drogba, la ex stella del Chelsea, che adesso si è offerta ai miliardi dei cinesi, e che ha trovato tempo e modo per illuminarci con la sua visione del recente conflitto fra Israele e i terroristi di Hamas. Ma facciamo un passo indietro.

domenica 2 dicembre 2012

L'iniziativa palestinese all'ONU è legalmente nulla

di Jordan Sekulow and Matthew Clark*

Giovedì l'Autorità Palestinese (AP) cercherà ancora una volta il riconoscimento come stato presso le Nazioni Unite. Sebbene questa forma di riconoscimento non conferirà all'entità palestinese lo status di membro dell'ONU, essa nondimeno ridisegnerebbe il Medio Oriente, minerebbe il diritto internazionale, bloccherebbe il processo di pace e violerebbe il fondamentale diritto di Israele all'esistenza.
La risoluzione che l'AP sottoporrà all'assemblea generale delle Nazioni Unite (UNGA) contiene numerosi punti che vanno oltre la semplice (ma comunque illegale) richiesta di ingresso come stato osservatore non membro da parte dell'Autorità Palestinese. L'American Center for Law and Justice (ACLJ) ha esaminato la questione dal punto di vista legale, individuando molti punti deboli e irregolarità della risoluzione palestinese.

sabato 1 dicembre 2012

Effetti collaterali non previsti

Bene, i palestinesi hanno mezzo piede alle Nazioni Unite. Siamo tutti contenti per loro.
Mettiamo che Abu Mazen, dimenticandosi per un momento di essere stato l'organizzatore della strage di Monaco del 1972, e il mandante di diecine di attentati suicidi fino alla costruzione della barriera difensiva fra Israele e Cisgiordania; si facesse cogliere da amore improvviso per la democrazia, indicendo in Cisgiordania nuove elezioni (gli organi democratici sono scaduti da tre anni).
Prevedibilmente, le elezioni le vincerebbe Hamas (quelle amministrative recenti sono state una disfatta totale per Al Fatah). Una organizzazione che NON intende riconoscere lo stato di Israele, NON intende procedere alla creazione di uno stato palestinese, e alla fine vedrebbe premiata gli sforzi degli ultimi anni, culminati con la recente "guerra degli otto giorni".