Non c'è pace per i dipendenti pubblici palestinesi, malgrado la recente visita di Abu Mazen all'ONU, con cui di fatto è stato cestinato il Trattato di Pace del 1993 sottoscritto ad Oslo fra ANP e Israele. Migliaia di dipendenti pubblici sono scesi in piazza ieri, a Ramallah e nelle altre città del West Bank, per protestare contro il mancato pagamento degli stipendi e l'aumento del costo della vita. Le manifestazioni proseguiranno oggi.
Il passo indietro nel processo di pace e la fuga in avanti da parte della leadership palestinese, rischiano di mettere ancora più in ginocchio il popolo palestinese, prostrato da una crisi economica aggravata dalla corruzione e malaffare dilaganti, e dalle spese pazze del governo di Ramallah (e sì che qualche viaggetto in meno se lo poteva permettere, il nostro Abu Mazen...).
Secondo la Banca Mondiale e il FMI l'autorità palestinese denuncia un ammanco di cassa di circa 400 milioni di dollari. Un buco nei conti pubblici aggravato dall'indisponibilità degli stati arabi ad allargare i cordoni della borsa, e dalle difficoltà economiche in cui versa l'Unione Europea, principale finanziatore mondiale dell'embrione del futuro stato palestinese.
La decisione unilaterale dello scorso 29 novembre, con conseguente annullamento del Protocollo di Parigi, che regola(va) i rapporti economici fra Gerusalemme e Autorità Palestinese, rischiano di danneggiare ulteriormente la popolazione palestinese.
In una mossa che conferma le finalità puramente propagandistiche della sua dirigenza, Abu Mazen ha ignorato le proteste, rivolgendosi all'ONU per chiedere che i profughi palestinesi ospitati nei campi profughi in Siria, possano essere spostati nel West Bank e a Gaza per sfuggire alla brutale repressione di Assad. Domenica, diecine di palestinesi residenti nel campo profughi di Yarmouk (alla periferia di Damasco) sono state trucidate dai bombardamenti dell'aviazione siriana, mentre si trovavano in una moschea. Dall'inizio del genocidio in Siria, oltre 21 mesi fa, più di 700 palestinesi sono stati uccisi in Siria, nella sostanziale indifferenza generale. Stridente il confronto con l'attenzione internazionale riservata alla recente operazione Pillar of Difense, in cui hanno perso la vita a Gaza 170 palestinesi, dei quali più di 100 militanti appartenenti ad Hamas, e un considerevole numero di civili impiegati come scudi umani dai terroristi islamici.
«C'è una crisi umanitaria in atto», denuncia Abu Mazen riferendosi ai palestinesi siriani. Ignorati fino ad ora, ostracizzati da Hamas come nemici del popolo fino a quando era ancora in essere la sede centrale di Damasco; potrebbero tornare utili come ennesima arma di pressione nei confronti del confinante Israele, come è stato da sempre.
Non è improbabile che le Nazioni Unite, ormai a chiara conduzione "non allineata" (più del 60% degli stati membri, votanti in Assemblea Generale, appartiene al "NAM", acronimo di Non Aligned Movement...), appoggi la proposta di deportare i profughi palestinesi, dalla Siria a ridosso dei confini israeliani. Martedì l'UNGA ha fornito nuove prove del suo orientamento parziale, approvando ben nove risoluzioni contro Israele. Prima della fine di questa settimana, le risoluzioni adottate contro lo stato ebraico saranno complessivamente 22; soltanto una, blanda, è prevista per Iran, Siria e Corea del Nord.
Assad massacra la sua popolazione - 45 mila le vittime accertate da marzo 2011 - l'Egitto piomba nell'oscurantismo islamico, la shari'a è approvata in Tunisia, in Arabia Saudita le donne sono marginalizzate e in Iran si lavora febbrilmente attorno alla bomba atomica. Ma tutto ciò sfugge all'ONU, per cui la più grave minaccia alla pace mondiale è la stessa esistenza di Israele.
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