Probabilmente se potesse tornare indietro, Abu Mazen deciderebbe per una volta di risparmiare il denaro speso per l'ennesimo viaggio all'estero, e rinuncerebbe alla richiesta di accoglimento dell'autorità palestinese alle Nazioni Unite come stato osservatore non membro. Questa decisione non ha prodotto vantaggi per alcuno: non per il presidente dell'OLP, sempre accusato apertamente dalla sua gente di inefficienze e corruzione; non per lo stato palestinese, che rimane lungi dall'essere realizzato; ne' per il processo di pace, che anzi compie drammatici passi indietri; ne' infine per il popolo palestinese, che risulta ancor più penalizzato.
Abbiamo dunque un territorio, che aspira a diventare stato, ma è privo di confini definiti, privo di governo - anzi, a ben vedere ne ha addirittura due: uno a Ramallah, uno a Gaza; solo che i due leader non si parlano e si guardano in cagnesco - e privo di accordi con gli stati confinanti. In verità, con Israele l'ANP aveva un accordo, e che accordo: il Trattato di Pace sottoscritto ad Oslo nel 1993, che appunto istituiva l'embrione del futuro stato palestinese, riconoscendogli cospicui finanziamenti internazionali (5 miliardi di euro dall'Europa soltanto negli ultimi otto anni) in cambio dell'impegno alla disponibilità a negoziare le dispute territoriali con Gerusalemme, al riconoscimento dello stato israeliano e alla rinuncia al terrorismo.
Ora che gli Accordi di Oslo sono cestinati dall'avventura di Abu Mazen alle Nazioni Unite - essi esplicitamente escludevano iniziative unilaterali per la soluzione delle controversie - qual è il futuro dell'embrione malconcio dello stato palestinese? Come gesto di buona volontà il governo israeliano ha amministrato la gestione dei tributi per Ramallah, riscuotendo i dazi doganali sulle merci in transito fra i due stati, e versando periodicamente il ricavato al governo dell'ANP. Ha ordinato alla compagnia israeliana di energia elettrica di erogare la corrente, pur non essendo le fatture onorate da anni. E naturalmente continua tuttora ad accogliere i palestinesi che presentano richiesta di lavorare nello stato ebraico (per non parlare di chi fa richiesta di prestazioni sanitarie negli ospedali israeliani). Ma uno stato che voglia definirsi tale, deve comportarsi da stato.
Ora che l'ANP vuole diventare stato, deve gestire da se' i tributi. E deve onorare le obbligazioni contratte. Così è pacifico che il ministero delle Finanze di Gerusalemme trattenga 110.000 dollari di tributi da girare a Ramallah, trasferendoli all'Israeli Energy Company, che nei confronti del governo palestinese vanta da tempo un consistente e crescente credito di quasi 200 mila dollari. Analogamente, la compagnia israeliana che eroga acqua ai territori palestinesi è da diversi mesi all'asciutto.
Per il futuro stato palestinese non ci dovrebbero essere problemi finanziari di sorta: i paesi che hanno fornito il loro consenso alla proposta sudanese di riconoscere l'ANP come stato osservatore non membro, non tarderanno a far pervenire a Ramallah la loro generosa solidarietà. Sarebbe dolente accorgersi che dietro le parole mancano i fatti: come da tempo fanno i ricchi stati arabi, sempre pronti a incitare i palestinesi nei confronti degli odiati israeliani, ma mai disponibili a mettere mano al portafoglio.
Casomai, si teme nell'immediato per gli stanziamenti in bilancio relativi ai trasferimenti ai criminali detenuti nelle carceri israeliane: terroristi che negli anni si sono macchiati di gravi reati, e che scontano una condanna. Il 6% del budget di Ramallah è costituito da fondi spediti ad essi e alle loro famiglie. Forse, un po' di virtuosismo non guasterebbe.
Ma per non farsi mancare niente, e per non essere da meno nei confronti di Hamas, che di recente ha festeggiato in pompa magna il 25esimo anniversario di fondazione, Al Fatah ha commissionato il nuovo logo che celebra il 48esimo anniversario dalla nascita. E già qui iniziano i grattacapi, dal momento che il calendario di 48 anni fa riporta il 1964: quattro anni prima della Guerra dei Sei Giorni, e della "occupazione" dei territori palestinesi (i quali in precedenza erano realmente occupati dalla Giordania, senza che mai alcuno abbia avuto nulla da ridire per 19 anni). Dunque la ragion d'esistere dell'OLP e di Al Fatah non è la liberazione dei territori di Giudea o Samaria, o se si preferisce del West Bank, o come si diceva una volta della Cisgiordania.
A chiarire ulteriormente ci pensa la mappa dello stato riportata nel logo: un'area che comprende i territori pacificamente palestinesi, quelli amministrati congiuntamente e quelli detenuti da Israele (sono le famose aree "A", "B" e "C"); ma anche l'intero stato d'Israele. Come a dire che la Palestina palestinese sarebbe "tutta, dal Giordano al Mediterraneo". E gli israeliani? gettiamoli a mare, invoca il logo, con tanto di fucile, di chiave che simboleggia la pretesa di appropriarsi di tutte le abitazioni, e di kefia che coprirebbe l'intero stato. E la pace? e "due popoli per due stati"? quelli, li lasciamo agli ingenui occidentali...
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