lunedì 31 ottobre 2011

L'UNESCO da' un calcio al processo di pace in MO



La decisione dell'UNESCO di accettare come nuovo stato membro l'Autorità Palestinese, embrione del futuro stato di Palestina, rischia seriamente di allontanare il conseguimento della pace. E' una costante del Medio Oriente: ogni volta che l'accordo sembra vicino, gli eventi spingono in direzione opposta. Così, dopo esserci rallegrati per la decisione del governo di Gerusalemme di accettare il piano proposto dal Quartetto, in attesa di analoga risposta da parte dei palestinesi, interviene questa decisione politica dell'agenzia ONU per la cultura a sparigliare di nuovo le carte. Non sorprende che il ministro degli Esteri israeliano abbia esternato oggi tutto il suo disappunto nei confronti di Abu Mazen.
Gli Stati Uniti di Obama, premio Nobel per la pace, hanno subito chiarito: non ci sono soldi per un'organizzazione che smette di diventare veicolo di promozione della cultura, della scienza e dell'istruzione, e si fa portavoce di istanze unidirezionali. Oltretutto scavalcando clamorosamente le stesse Nazioni Unite, unico organismo sovranazionale deputato a consacrare un nuovo stato sovrano. Presso il Consiglio di Sicurezza del Palazzo di Vetro, in comprensibile imbarazzo, giace tuttora una richiesta di membership da parte di Abu Mazen, per la quale è atteso un pronunciamento dell'organo collegiale.
In serata un portavoce dell'amministrazione americana ha chiarito che l'assegno di 60 milioni di dollari, previsto per novembre, non partirà alla volta dell'UNESCO, che presto perderà il 22% dei finanziamenti internazionali con i quali persegue i suoi fini; finora, istituzionali. Poco male: diversi stati arabi, che certo non spiccano per impegno a favore dell'istruzione (specie quella femminile) e per promozione della cultura e della scienza, si sono dichiarati disponibili a colmare la voragine finanziaria provocata dalla scellerata decisione dell'UNESCO. Come ha sospirato Giulio Meotti, "le satrapie oscurantiste, repressive, religiose e dittatoriali si stanno comprando l'Unesco". La riflessione è sacrosanta e può essere benissimo generalizzata: se l'ANP di Abu Mazen esiste perché effetto degli Accordi di Oslo del 1993, che hanno tracciato il solco entro cui pervenire pacificamente ad uno stato di Palestina, prevedono generosi finanziamenti del mondo occidentale per il governo "moderato" di Ramallah; se Abu Mazen decide di passare alle vie unilaterali, per non farsi scavalcare da Hamas, non dovrebbe forse rinunciare al denaro di Stati Uniti ed Europa, che non è servito a sfamare la sua gente, ma a promuovere odio e di recente a contribuire al versamento di 5000 dollari (cinque volte il reddito ANNUALE di un palestinese) per ognuno dei criminali rilasciati dalle carceri israeliane? Ritirare i finanziamenti nei confronti di una Autorità Palestinese meno moderata di quanto si è fino ad ora sperato spingerà la futura Palestina ancor di più fra le braccia dei paesi arabi confinanti - che delle sorti dei palestinesi non hanno mai dimostrato di curarsi; ma è davvero tollerabile che il denaro degli occidentali serva a finanziare i propri carnefici?

Manca solo la dichiarazione di guerra


Il sud di Israele è stato continuamente martorizzato nel fine settimana da lanci di missili e colpi di mortaio provenienti dalla Striscia di Gaza. I ripetuti attacchi hanno provocato un morto e una quindicina di feriti. Raggiunte fra le altre le città di Ashkelon e Ashdod: la capacità di penetrare si spinge sempre più a nord, e non sembra lontano il momento in cui sarà raggiunta la periferia di Tel Aviv, specie se si considera che i lanci sono partiti dal sud della Striscia di Gaza; per l'esattezza da una località che fino allo sgombero del 2005 ordinato da Sharon ha ospitato un insediamento ebraico. Triste constatare che laddove fino a qualche anno fa c'erano vita e prosperità, oggi ci sono trincee e basi missilistiche.
L'organizzazione terroristica Jihad Islamica, alleata di Hamas a Gaza, si è assunta la responsabilità degli attacchi.
In risposta, l'aviazione israeliana ha colpito installazioni terroristiche nei pressi del confine fra Gaza ed Egitto, uccidendo sette terroristi.
Il presidente di Israele Shimon Peres ha rilevato come l'attacco palestinese rappresenti una dichiarazione di guerra vera e propria. Per fortuna una minima dose di buon senso impedisce a chiunque di parlare di "reazione spropositata" da parte dell'esercito israeliano, e di "resistenza" palestinese, come qualche buontempone ha denunciato in passato. D'altro canto, l'aggressione palestinese è giunta improvvisa, inaspettata e tutt'altro che provocata. In questo contesto, manca solo una formale dichiarazione di guerra da parte delle organizzazioni terroristiche che governano a Gaza. Il presidente israeliano ha rilasciato le sue dichiarazioni mentre inaugurava una scuola medica nel nord: bizzarro che negli ospedali servano medici e infermieri israeliani come palestinesi, che siano curati arabi ed ebrei senza alcuna distinzione o discriminazione. "Se possono convivere pacificamente malati di entrambe le parti, perché non possono convivere in pace le persone sane", è stata la conclusione sconsolata di Peres.
Sarà difficile raggiungere questo obiettivo, se c'è gente - come il miliardario saudita Khaled bin Talal - che offre un milione di dollari per la cattura di un soldato israeliano, da impiegare come ostaggio per la liberazione dei criminali palestinesi detenuti nelle carceri israeliano dopo regolare processo.



Gli attacchi provenienti dalla Striscia di Gaza minacciano di far ritardare o deragliare il rilascio di ulteriori 550 detenuti da parte di Israele, in ossequio agli accordi che hanno portato alla liberazione di Gilad Shalit. Hamas sta cercando di riportare alla ragionevolezza la Jihad Islamica, supportata da Teheran, e responsabile delle prime aggressioni sin da mercoledì notte, quando ha lanciato un Grad verso Israele in commemorazione di Fathi Shikaki, un fanatico ideologo arabo, fautore degli attentati suicidi. Il lancio di Grad è stato seguito sabato dall'azione dell'esercito israeliano, che ha colpito una postazione palestinese nel sud della Striscia di Gaza, uccidendo cinque terroristi, e provocando il nuovo attacco da parte della Jihad islamica, che nel fine settimana ha fatto piovere diecine di missili e razzi, che hanno causato feriti e la morte di un israeliano, padre di quattro figli.
La scorsa settimana un rappresentante dei Fratelli Musulmani ha visitato la Striscia di Gaza, per la prima volta da quando Hamas ha preso il potere con la forza nel 2007. Questo evidenzia ancora di più i legami fra quelli che i sondaggi indicano come i futuri detentori del potere in Egitto e l'organizzazione terroristica che governa a Gaza, filiazione stessa dei Fratelli Musulmani.

giovedì 27 ottobre 2011

Diffamate, diffamate, qualcosa resterà


Deborah Orr, giornalista del Guardian, si è scusata per l'articolo dell'altro giorno di stampo vagamente antisemita.
Nulla di nuovo, il solito rovesciamento della verità. Israele ha liberato oltre mille criminali palestinesi, spesso rei confessi, processati e detenuti, in cambio della restituzione di Gilad Shalit, sequestrato oltre cinque anni fa e tenuto segretato in barba alla Convenzione di Ginevra.
Polemiche a non finire: la vita di una persona vale la liberazione di mille criminali dalle mani sporche di sangue? sì, è stata la risposta di Gerusalemme.
Ma la Orr ribalta la realtà: se Israele ha consegnato mille persone in cambio di una, vuol dire che ritiene che i palestinesi valgano 1/1000 la vita di un israeliano, e dunque Israele è razzista.
Come la metti e metti, Israele è sempre sul banco degli imputati. Ammissioni, scuse e riconoscimenti giungono sempre tardivi. "Diffamate, diffamate, qualcosa resterà"...

Nel frattempo Hamas rompe la tregua. Per la prima volta dopo la liberazione di Gilad Shalit, l'organizzazione terroristica palestinese ha lanciato un attacco verso la città israeliana di Ashdod, lanciando tre missili Grad.
Pronto l'intervento dell'aviazione israeliana, che ha colpito le installazioni terroristiche da cui è partito l'attacco palestinese e un deposito di munizioni. Non si registrano morti ne' feriti, ma è stata una notte di terrore per le popolazioni del sud di Israele, che hanno trovato riparo nei rifugi dopo il suono dell'allarme.
Questo il modo in cui correttamente si da' una notizia.
Sui giornali italiani invece si leggerebbe: Israele colpisce ("aggredisce", sulla Repubblica, l'Unità o il manifesto) l'inerme popolazione palestinese a Gaza (e poi, piccolo piccolo) dopo il lancio di un razzo dalla Strisca.
Come se fra i palestinesi proliferassero tanto Balotelli.
Come se sia un piacere vedersi piovere i missili Grad sulla propria testa.
Come se si possa rimanere indifferenti davanti alle distruzioni.
Come se mai l'esercito e l'aviazione israeliane abbiano colpito la Striscia di Gaza, se non per rispondere agli attacchi quotidiani e sempre più minacciosi provenienti da quell'enclave.

E sempre nel frattempo in Siria altre 27 persone sono uccise dal regime di Assad, responsabile della morte di ben oltre 3000 civili: un genocidio passato sotto il silenzio occidentale, che deve avere a particolare simpatia gli arabi mediorientali.
Dopotutto, non rimase silenzioso Giovanni Paolo II quando, in visita da quelle parti, fu ricevuto proprio da Bashar al Assad, che paragonò le "sofferenze" subite dal popolo palestinese da parte degli israeliani, alle analoghe sofferenze che gli ebrei provocarono a Gesù Cristo?...

mercoledì 26 ottobre 2011

Come nel 2008 è sfuggita la pace fra Israele e palestinesi


"No, no e ancora no". E' questa in estrema sintesi la strategia araba nei confronti di Israele e della prospettiva di una pace duratura. Tanto di cappello nei confronti di Hamas, che esplicitamente dichiara sin dal suo atto costitutivo la volontà di perseguire la distruzione di Israele, ed eventualmente l'eliminazione fisica degli israeliani non arabi (possibilmente): la coerenza consente di osservare la brutalità dell'organizzazione terroristica islamica che controlla la Striscia di Gaza, senza alcun filtro. Gli amici-nemici di Al Fatah, invece, di stanza in Cisgiordania, non disdegnano accordi tattici che però rappresentano obiettivi intermedi in vista dello stesso fine perseguito da Hamas. E così, quando la pace sembra vicina, ecco che un calcio la allontana irrimediabilmente: è successo nel 2000, quando davanti a Clinton Arafat strinse la mano a Barak, concordando una pace in cambio della sovranità palestinese sul 93% dei territori contesi; salvo tornare in patria e dichiarare una nuova sanguinosa intifada nei confronti della popolazione israeliana.

Stanno uscendo in questi giorni le memorie di Condoleeza Rice, segretario di Stato sotto l'amministrazione Bush. Il settimanale Newsweek ne fornisce alcune anticipazioni, riprese da Israel National News. Secondo la Rice, Olmert desiderava raggiungere un accordo definitivo con i palestinesi entro il 2008, e a maggio studiò un'intesa da proporre ad Abu Mazen. Secondo questa proposta, Israele avrebbe riconosciuto la sovranità palestinese sul 94% dei territori del West Bank, in alcuni casi mediante scambi territoriali, e la creazione di due capitali nella città di Gerusalemme: ovviamente, la parte occidentale capitale di Israele, e la parte orientale capitale dello stato palestinese, che avrebbe indicato il vice-sindaco della giunta cittadina. La proposta si spingeva fino al punto di prevedere un graduale ingresso in Israele di rifugiati palestinesi, lontani parenti di quelli che lasciarono lo stato ebraico nel 1949 su sollecitazione degli stati arabi confinanti e belligeranti; nonché un consiglio cittadino, composto da personalità di varie etnie e nazionalità, che si sarebbe pronunciato sui luoghi sacri della capitale mondiale delle religioni monoteiste.
I due leader politici, racconta la Rice, si incontrarono, ma Abu Mazen si rifiutò di sottoscrivere immediatamente l'accordo, adducendo il prestesto di necessitare prima del parere di alcuni fantomatici "esperti" (di cui il mondo intero ignora l'esistenza: davvero Abu Mazen ha mai sentito il bisogno di consultarsi con altri soggetti?). Naturalmente, la seduta fu aggiornata, ma non ci fu mai un seguito.
Rammaricata per l'occasione storica sfuggita, l'allora segretario di Stato suggerì a Bush di convocare il primo ministro israeliano e il leader dell'ANP a Washington per formalizzare la generosa intesa proposta da Olmert. I due esponenti giunsero separatamente nella capitale americana per un ultimo saluto al presidente in scadenza di mandato, ma nonostante le sollecitazioni di Bush, Abu Mazen si rifiutò di dare seguito ad una proposta eccezionale e senza precedenti per le concessioni riconosciute. E così la pace sfuggì di mano.

Il futuro dell'Egitto

Egyptian Cleric and Presidential Candidate Hazem Abu Ismail: 'I Am an Enemy of the Camp David Accord and the Peace Agreement'

Un candidato alle elezioni presidenziali, intervistato dalla TV egiziana, sostiene che è Allah ad obbligare le donne ad indossare il niqab, che la "nudità" sarà bandita dalle spiagge egiziane, e che gli Accordi di pace di Camp David saranno spazzati via. E da lì ad attaccare Israele e gli ebrei il passo è come sempre brevissimo...

martedì 25 ottobre 2011

Brevi dal MENA



Nasrallah, leader dell'organizzazione terroristica islamica Hezbollah, di stanza nel sud del Libano e nel governo di Beirut; ieri ha attaccato ancora una volta Israele, sostenendo che rappresenti una minaccia per il Medio Oriente. Bizzarro: prima di ieri si sarebbe detto che è buona parte del Medio Oriente a rappresentare una minaccia per la sopravvivenza di Israele.
"Israele è uno stato razzista", ha aggiunto Nasrallah. Come conciliare questa rocambolesca affermazione con il fatto che il 20% della popolazione israeliana è araba, che le minoranze sono parte attiva della società, e che in nessun altro stato del Medio Oriente è possibile professare liberamente tutte le religioni monoteiste, come in Israele?



Il partito integralista islamico Nahda ha vinto le elezioni in Tunisia, con proiezioni comprese fra il 40 e il 55%. Può governare da solo, o al peggio guidare un governo di coalizione. Il partito Tekatil, di centro sinistra, è arrivato secondo; terzo un partito guidato da un attivista per i diritti umani. Delude il partito di sinistra, fiero avversario di Nahda.
Per la Tunisia sembrava si stesse mettendo male. Si metterà peggio.

E intanto in Libia il capo del governo afferma: "la legge sul divorzio e sulla monogamia sono contrarie alla shaaria e saranno pertanto abrogate".
Per le donne del nord Africa è un incubo che diventa realtà. La sottomissione (traduzione di "islam") totale e assoluta è dietro l'angolo




La liberazione di Gilad Shalit è una pugnalata allo stomaco delle famiglie delle vittime dei terroristi e criminali rilasciati dalle carceri israeliane, d'accordo; è una vittoria per la vita e per chi la esalta e onora. Ma è soprattutto una sconfitta per la miriade di ONG (da Amnesty International a Human Right Watch) che non hanno mai messo il caso del caporale sequestrato in Israele da Hamas fra le priorità da affrontare. E' una dichiarazione di fallimento, per esse.

lunedì 24 ottobre 2011

La generosità di Abu Mazen



Il povero Abu Mazen starà soffrendo le pene dell'inferno nell'osservare la visibilità internazionale guadagnata da Hamas con lo scambio fra i 477 detenuti palestinesi ospiti delle carceri israeliane, e il caporale Gilad Shalit, sequestrato in Israele da un commando palestinese più di cinque anni fa. L'iniziativa unilaterale alle Nazioni Unite da parte del leader di Ramallah è ormai un ricordo quasi sbiadito: il Consiglio di Sicurezze dell'ONU si attarda nel pronunciarsi, e nel frattempo è imminente una rotazione in seno al Consiglio, che prevede l'uscita di quattro membri che certamente avrebbero votato a favore dell'ammissione della "Palestina", e l'ingresso di altrettanti membri la cui adesione alla "causa" è molto più dibattibile.
Il colpo di mano non è riuscito. Al tempo stesso, l'iniziativa di Hamas - pressato dalle difficoltà del regime siriano, e dalla necessità di trovare una sede più sicura di quella di Damasco - deve aver dimostrato ad alcuni che la diplomazia e la negoziazione sono inutili, se con la forza e il ricatto si può ottenere un risultato concretamente tangibile. Abu Mazen ha imparato la lezione: ora chiede che il governo israeliano liberi un consistente numero di detenuti, sulla base di una promessa che sarebbe stata fatta dall'ex primo ministro di Gerusalemme Olmert in cambio di una pace. Poiché Israele ha rilasciato dei terroristi su richiesta di Hamas, deve fare analoga concessione nei nostri confronti, è stata l'interessante argomentazione di Abu Mazen. Che a Gerusalemme ovviamente non si degnano nemmeno di confutare.

Nel frattempo le casse dell'Autorità Palestinese, già messe a dura prova, sono ulteriormente prosciugate. La decisione del Congresso USA di congelare una tranche periodica di finanziamenti verso l'ANP fino a quando non si accetterà il ritorno al tavolo dei negoziati bilaterali rischia di mettere in ginocchio la già traballante economia del West Bank. Ma ciò non impedisce ad Abu Mazen di ricompensare i criminali palestinesi rilasciati da Israele con un premio di ben 5000 dollari, che da quelle parti sono tutt'altro che disprezzabili: il reddito pro-capite a Gaza è di 600 dollari all'anno.
Così, mentre i seguaci di Hamas auspicano nuovi sequestri come forma di auto-finanziamento - sulla falsariga del terrorismo italiano degli anni '70 - Abu Mazen cerca di sorpassare la generosità del "governo" di Gaza con una ricompensa ben superiore ai 2000 dollari con cui criminali dalle mani sporche di sangue si godono la vita presso i lussuosi alberghi che si affacciano sul Mediterraneo orientale.
E nel frattempo, in questo giro vorticoso di denaro, i palestinesi che vivono nel West Bank e nella Striscia di Gaza continuano a morire di fame. Non stupisce più di tanto che in preda all'esasperazione, accettino di diventare carne da cannone, proponendosi per operazioni terroristiche aventi come bersaglio l'incolpevole popolazione civile israeliana.