sabato 29 giugno 2013

Jihad sessuale

di Raymond Ibrahim*

Dai media arabi sono trapelate alcune settimane fa notizie secondo cui una nuova fatwa ha raccomandato alle donne musulmane praticamente di dirigersi in Siria, e offrire i loro servigi sessuali ai militanti del jihad impegnati a combattere il governo secolare di Assad ed instaurare la legge islamica. I resoconti attribuiscono la fatwa allo sceicco saudita Muhammad al-’Arifi il quale, unitamente ad altri religiosi musulmani, ha autorizzato i jihadisti a stuprare le donne siriane.
In questo caso le donne musulmane che si prostituiscono è considerato un legittimo jihad perché queste donne sacrificano la loro castità, la loro dignità allo scopo di consentire ai frustrati jihadisti di meglio combattere per imporre l'islamismo in Siria.
Per la loro prostituzione, esse ricevono un pagamento; seppure, nell'aldilà. Il Corano infatti dichiara «Allah ha acquisito dei credenti i loro corpi e i lori beni; in cambio, essi riceveranno il paradiso. Essi combattono per la sua causa, uccidono e sono uccisi».

Alla luce di questa fatwa, diverse ragazze musulmane tunisine sono state spedite in Siria per immolarsi alla causa. Su Internet campeggiano diverse interviste in video di genitori straziati per il destino delle loro figlie. In una si nota un padre e una madre che impugnano la foto della loro figlia: «ha solo 16 anni! 16 anni! le hanno fatto il lavaggio del cervello», implora il padre.
Di recente, il canale informativo egiziano Masrawy ha pubblicato un'intervista video con "Aisha", una delle ragazze che si sono dedicate al jihad sessuale in Siria; salvo biasimare la sua decisione. Quando era in Tunisia, Aisha rivela di aver conosciuto una donna, che le ha spiegato l'importanza della devozione, che comprende l'indossare il hijab. Ad un certo punto le ha proposto di dirigersi in Siria per aiutare i jihadisti a «combattere e uccidere gli infedeli», rendendo suprema la parola di Allah, aggiungendo che «le donne che perdono la vita lo fanno in nome di Allah, e diventano martiri ed entrano in paradiso» (secondo l'insegnamento islamico dominante, morire nel jihad è l'unico modo per assicurarsi di non finire all'inferno).
Aisha alla fine comprese di essere stata raggirata in nome della religione, e si defilò.

Sebbene la rivelazione che diverse ragazze musulmane in hijab si prostituiscano in nome di Allah possa sorprendere alcuni, i clerici islamici su basi regolari emettono fatawa (plurale di fatwa, NdT) per consentire pratiche che altrimenti sarebbero vietate; questo, per sostenere la causa del jihad. Ad esempio, non solo il terrorista Abdullah Hassan al-Asiri nascose gli esplosivi nel suo ano per assassinare il principe saudita Muhammad bin Nayef, ma, secondo la trasmissione televisiva di Abdullah Al-Khallaf, egli acconsentì a diversi jihadisti di sodomizzarlo per «dilatare» il suo ano, onde poter custodire più esplosivi.
Al-Khallaf lesse questa fatwa che esplicitamente consentiva questa pratica nel 2012 durante una trasmissione su Fadak TV. Dopo aver lodato Allah e precisato che la sodomia è vietata dall'Islam, la fatwa così chiariva: «Tuttavia il jihad viene prima: è la bandiera dell'Islam, e se per difendere la bandiera è necessario praticare la sodomia, allora non c'è nulla di sbagliato nel farlo. La regola generale della giurisprudenza islamica sostiene che "la necessità rende praticabile quello che altrimenti è proibito". E se la cogenza può essere conseguita soltanto mediante esercizio dell'altrimenti proibito, allora diventa obbligatorio esercitarlo. Non esiste dovere più supremo del jihad. Dopo che sarai sodomizzato, potrai chiedere ad Allah il suo perdono, e osannalo più che puoi. E ricorda che Allah ricompenserà i jihadisti il giorno della resurrezione, in funzione delle loro intenzioni. E la tua intenzione, con il volere di Allah, è la vittoria dell'Islam».

Per quanto bizzarre possano apparire queste "fatawa sessuali", esse sottolineano due aspetti importanti; sebbene trascurati nel mondo occidentale. Anzitutto, il jihad è l'elemento supremo dell'Islam: è esso a rendere l'Islam supremo. In secondo luogo, il principio secondo cui "la necessità consente il divieto". Poiché rendere l'Islam supremo mediante il jihad è la priorità massima, tutto quello che è altrimenti vietato diventa consentito. Tutto quello che alla fine conta è la propria intenzione.
Per quanto concerne l'intersezione fra sesso e violenza, una volta è stato discusso in una trasmissione su un canale satellitare chiamata "Domande audaci", che manda in onda diversi filmati di giovani jihadisti che cantano ossessivamente la loro imminente morte, che consentirà loro l'accesso lussuriosi al paradiso. Dopo aver mostrato diversi aneddoti che evidenziano l'ossessione dei jihadisti per il sesso, l'attivista per i diritti umani egiziano Magdi Khalil ha concluso che «assolutamente tutto in paradiso ruota attorno al sesso», aggiungendo che «se si osserva tutta la storia islamica, si perviene a due parole: sesso e violenza».
Difatti, il profeta Maometto sosteneva che la morte procurata con il martirio non solo ripulisce da tutti i peccati (inclusi quelli sessuali); ma alla fine è gratificata: «Il martire è speciale per Allah. Egli è perdonato per tutti i peccati sin dalla prima goccia di sangue che versa. Scorge il suo trono in paradiso, dove sarà adornato con ornamenti di fede. Si sposerà con le "Aynhour" (vergini voluttuose, NdR), e non conoscerà i tormenti della morte, ponendosi al riparo dal più grande dei terrori (l'inferno, NdR). E si accoppierà con 72 vergini» (The Al Qaeda Reader, p. 143).
Questo ci conduce ad una delle tante apparenti contraddizioni dell'Islam: le donne musulmane devono essere pudicamente coperte dalla testa ai piedi, ma quando servono il jihad, si possono prostituire. E' proibito mentire, ma è consentito se serve a potenziare l'Islam. Uccidere intenzionalmente donne e bambini è vietato, ma permesso se si pratica il jihad. Il suicido è deplorato, ma permesso nel jihad, e in questo caso si chiama "martirio".

* Fonte.

giovedì 27 giugno 2013

Israele risponde all'emergenza umanitaria in Siria. E il resto del mondo?

Il Syrian Observatory for Human Rights (SOHR), ONG per i diritti umani, denuncia un traguardo a dire poco deprimente: dall'inizio della guerra civile in Siria, il 18 marzo di due anni fa, i morti hanno raggiunto la macabra cifra di 100.000 persone. Le vittime includono 36.661 civili, di cui 5.144 bambini. Interminabile il conteggio di feriti, dispersi, e profughi (non meno di un milione. Non così fortunati da poter millantare una remota discendenza "palestinese" del 1948: per quelli l'ONU prevede un'agenzia apposita, con sontuoso budget...).
La comunità internazionale resta a guardare. Non capisce bene le cause e i motivi di questo drammatico conflitto. Scorge i "cattivi" da una parte, e i "cattivissimi" dall'altra, e preferisce occuparsi d'altro; ben assecondata in questa dai media, che preferiscono celebrare il vincitore di Arab Idol che documentare il genocidio siriano. D'altro canto, dopo decenni in cui è stato riferito loro che le cause di tutti i guai del Medio Oriente è il conflitto arabo-israeliano, un pizzico di confusione e smarrimento è immaginabile.

martedì 25 giugno 2013

Palestina (futuro) stato razzista

La Palestina non è ancora uno stato; e chissà se mai lo sarà: questa dirigenza pensa soltanto alla sua perpetrazione eterna. Emblematiche le dimissioni del neo primo ministro dopo nemmeno tre settimane di (tentativo di) governo. Il povero e mite Rami Hamdallah, constatata l'incapacità di muoversi in autonomia rispetto all'ingombrante presidente Abu Mazen, ha sbattuto la porta dell'Esecutivo di Ramallah, denunciando apertamente la situazione di "conflitto, confusione e corruzione" regnante nell'autorità palestinese, in un annuncio su Twitter che ha fatto discutere, e che ha ricordato i reali motivi dell'allontanamento di Salam Fayyad, persona "perbene", apprezzata in Occidente, e in eterno conflitto e contrasto con le ambizioni fameliche del leader dell'OLP.

lunedì 24 giugno 2013

Una pillola difficile da mandar giù

Amatori acciaccati dalla vita sedentaria e da una cucina ipercalorica, gioite! adesso per soddisfare la/le vostra/e partner, non sarà più necessario dilapidare i risparmi faticosamente accantonati; ne' ricorrere a quelle truffaldine farmacie online che vi promettono Viagra o Cialis a basso costo, recapitandovi delle pasticchette di solfato di calcio (gesso) o di idrossido d'alluminio (che fa bene quantomeno a chi soffre di acidità).
La buona notizia è che adesso è disponibile in Europa una versione generica, "non brandizzata" della famosa pillola blu che solleva le prestazioni sessuali dei maschietti. Il brevetto della Pfizer è infatti scaduto nel Regno Unito, in Germania, in Italia, in Svizzera e Olanda, fra gli altri. Così, il farmacista potrà proporre la versione più costosa del Viagra, o quella meno costosa, contenente lo stesso principio attivo. A voi la scelta.

sabato 15 giugno 2013

Haaretz: Lost in traslation

di Tamar Sternthal*

Esiste una Haaretz in ebraico, e una Haaretz in inglese; e non si tratta soltanto della lingua o della zona di diffusione che le contraddistingue (l'edizione ebraica è molto ristretta rispetto alla diffusione degli altri quotidiani israeliani; viceversa, il suo portale in inglese è il punto di riferimento per giornalisti, politici, diplomatici e opinione pubblica internazionale).
Un'attenta lettura delle edizioni cartacee nel corso degli anni ha rivelato una tendenza radicata. Nel passaggio dall'edizione ebraica a quella inglese, si nota che gli articoli non sono semplicemente tradotti: spesso, sono anche editati. Talvolta in modo sostanziale; talatra in modo sottile: ma spesso e volentieri, una cronaca riportata nell'edizione ebraica in cui si descrive la militanza palestinese, la violenza e altre nefandezze arabe; sono ridimensionate o completamente omesse nella versione inglese. In alcuni casi, i due articoli sono completamente diversi.
Ad esempio, l'11 gennaio 2011 Zvi Barel ha scritto sulla versione ebraica un progetto del sindaco di Gerusalemme Nir Barkat di collegare lo sfratto di ebrei residenti in costruzioni illegali nei sobborghi di Silwan, allo sfratto nei confronti di arabi che vivono in abitazioni abusive nella stessa zona: «una casa in cui ebrei abitano illegalmente, per ogni caso in cui i palestinesi abitano illegalmente». La versione ebraica riporta correttamente la vicenda.

lunedì 10 giugno 2013

E' sempre più difficile coltivare la terra

Non si può biasimare chi trova di difficile comprensione gli eventi che si sviluppano freneticamente nel Vicino Oriente. Si prenda Israele, ad esempio: il governo di Gerusalemme ha versato a due famiglie palestinesi un indennizzo per oltre un milione di Shekel; pari a circa 200.000 euro. Lo riferisce l'emittente televisiva commerciale Channel 10.
La colpa del governo israeliano? nessuna; "responsabilità oggettiva", si potrebbe dire. Sì, perché si fa riferimento ad una vecchia vicenda di due palestinesi che lavoravano in un terreno agricolo nell'ex insediamento ebraico di Gush Katif, nel sud della Striscia di Gaza. I due malcapitati nel 2005, dopo lo sgombero israeliano dalla Striscia, sono stati raggiunti da un missile Qassam sparato dai terroristi di Hamas contro la stessa popolazione palestinese, rimanendo entrambi uccisi.

mercoledì 5 giugno 2013

Quella discriminazione a favore dei palestinesi

di Yoni Dayan*

È giunto il momento di ammettere la verità: il mondo si preoccupa molto più della vita di un palestinese che di quella di un siriano, un sudanese, un keniota, un colombiano o un congolese.
Si tratta, molto semplicemente, di un principio avvalorato giorno dopo giorno sin dal 1949, quando le Nazioni Unite decisero di dividere in due l'agenzia globale per i profughi creandone una speciale con il compito di prendersi cura soltanto dei profughi palestinesi. Ancora oggi la comunità internazionale ha due agenzie che operano per i profughi: l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) e l'UNRWA (United Nations Relief and Works Agency per i profughi palestinesi nel Vicino Oriente).
Uno sguardo appena un po' approfondito su queste due agenzie rivela quanto sia profondo l'atteggiamento discriminatorio della comunità internazionale verso tutti i profughi del mondo rispetto a quelli palestinesi.
L'Alto Commissariato, che si prende cura di 33,9 milioni di profughi e sfollati interni in più di 125 paesi di tutto il mondo, dispone in tutto di un budget di 3 miliardi di dollari. L'UNRWA, che si occupa di cinque milioni di profughi e discendenti di profughi palestinesi, dispone di un budget di più di un miliardo di dollari: vale a dire 88,50 dollari a testa per i profughi e sfollati di tutto il mondo, e 200 dollari a testa per profughi e discendenti di profughi palestinesi.