sabato 15 giugno 2013

Haaretz: Lost in traslation

di Tamar Sternthal*

Esiste una Haaretz in ebraico, e una Haaretz in inglese; e non si tratta soltanto della lingua o della zona di diffusione che le contraddistingue (l'edizione ebraica è molto ristretta rispetto alla diffusione degli altri quotidiani israeliani; viceversa, il suo portale in inglese è il punto di riferimento per giornalisti, politici, diplomatici e opinione pubblica internazionale).
Un'attenta lettura delle edizioni cartacee nel corso degli anni ha rivelato una tendenza radicata. Nel passaggio dall'edizione ebraica a quella inglese, si nota che gli articoli non sono semplicemente tradotti: spesso, sono anche editati. Talvolta in modo sostanziale; talatra in modo sottile: ma spesso e volentieri, una cronaca riportata nell'edizione ebraica in cui si descrive la militanza palestinese, la violenza e altre nefandezze arabe; sono ridimensionate o completamente omesse nella versione inglese. In alcuni casi, i due articoli sono completamente diversi.
Ad esempio, l'11 gennaio 2011 Zvi Barel ha scritto sulla versione ebraica un progetto del sindaco di Gerusalemme Nir Barkat di collegare lo sfratto di ebrei residenti in costruzioni illegali nei sobborghi di Silwan, allo sfratto nei confronti di arabi che vivono in abitazioni abusive nella stessa zona: «una casa in cui ebrei abitano illegalmente, per ogni caso in cui i palestinesi abitano illegalmente». La versione ebraica riporta correttamente la vicenda.

Tuttavia, il traduttore inglese - non sappiamo se intenzionalmente o meno - ha riscritto l'affermazione, stravolgendone il significato, e facendo diventare legale l'abitazione palestinese originariamente pienamente illegale: «una casa in cui ebrei abitano abusivamente, per ogni casa in cui palestinesi abitano in piena legittimità». Si tratta di un errore in buona fede, o di una manifestazione magari subconscia dell'ideologia del traduttore? impossibile saperlo, ma l'utilizzo dell'aggettivo "piena", assente nella versione originaria, suggerisce una mossa deliberata (la versione inglese - sia quella online che quella cartacea, sono state successivamente corrette dopo una sollecitazione in tal senso da parte di Presspectiva, la versione ebraica di CAMERA.org).
Questo caso sarebbe esemplare già se fosse isolato. Sfortunatamente, è parte di una tendenza ben definita e documentata ripetutamente, al punto da meritare uno studio ad hoc. Quella che segue è solo una collezione parziale dei titoli di Haaretz della collana "Lost in traslation".

Le tensioni che hanno circondato la richiesta di riconoscimento da parte dei palestinesi di settembre 2011, fornirono terreno fertile per i traduttori-sbianchettatori di Haaretz. Il giornalista Avi Issacharoff ha riportato tutte le parole di Latifa Abu Hmeid, la madre di quattro terroristi palestinesi, onorata da Mahmoud Abbas di guidare la delegazioni all'ufficio delle Nazioni Unite a Ramallah, e di consegnare una lettera indirizzata al segretario generale dell'ONU Ban Ki-Moon, dando il via alla campagna per il riconoscimento come stato non membro. La versione ebraica dell'articolo di Issacharoff cita così Abu Hmeid: «Spero che non ci siano spari ne' feriti. Non vogliamo vedere altra gente morire. Ho pagato un prezzo molto elevato, come ogni famiglia palestinese. Ci sono state vittime e prigionieri. Non possono più vedere i miei quattro figli. Noi vogliamo la pace con Israele, ma Israele non la vuole. Torneremo alla nostra terra, inclusa le terre del 1948».
La versione internazionale? apparentemente, non desiderando di distogliersi dalle argomentazioni tipo "non siamo interessati ad una nuova intifada" dell'articolo originale, i traduttori di Haaretz saggiamente - o forse si dovrebbe dire ingannevolmente - hanno omesso le dichiarazioni più bellicose di Abu Hmeid.

Edulcorare i terroristi scarcerati per la liberazione di Shalit

Il 19 ottobre 2011, a proposito dello scambio di prigionieri che avrebbe portato alla liberazione di Gilad Shalit, la versione ebraica chiarì che i detenuti palestinesi erano responsabili dei più atroci attacchi terroristici, tristemente arcinoti agli israeliani: «i nomi dei 1233 prigionieri rilasciati negli anni passati dicono poco alla maggior parte degli israeliani. Ma i prigionieri che saranno consegnati in cambio della liberazione di Shalit sono noti al pubblico per il tramite del nome della strage che hanno architettato: Sbarro, Dolphinarium, Park Hotel, Moment Café, fra i tanti attacchi terroristici subiti dagli israeliani».
La versione internazionale di questo articolo viceversa ha un connotato esattamente opposto. Incredibile: al contrario della versione originale in ebraico, si afferma che i detenuti rilasciati in cambio della liberazione di Shalit sono pressoché sconosciuti agli israeliani: «i nomi dei prigionieri liberati a partire dal 2007 dicono poco alla maggior parte degli israeliani, così come i nomi dei prigionieri liberati martedì (nel primo blocco rilasciato per la liberazione di Shalit).
In aggiunta, sia il sottotitolo della versione online ebraica, sia il primo paragrafo a proposito del primo blocco di detenuti rilasciati fanno riferimento a "gesti", implicando che gli israeliani non erano obbligati in tal senso, ma agirono egualmente come segno di buona volontà. La versione inglese rimuove il riferimento ai "gesti", preferendo una più vaga argomentazione di "varie ragioni politiche".

I membri di Hamas diventano civili

In un altro spudorato caso di ripulire l'immagine dei palestinesi, una breve comparsa sull'edizione inglese del 14 luglio 2011 riferiva della «uccisione del ventiduenne Ibrahim Sarhan, civile palestinese, da parte dell'esercito israeliano». Da nessuna parte si legge che Sarhan era in realtà un membro di Hamas, malgrado il fatto che l'edizione originale in ebraico affermava: «Hamas ha annunciato che egli era un membro dell'organizzazione» (l'edizione online inglese è successivamente tornata sull'argomento, dopo denuncia di Presspectiva).

Un volto amichevole per gli ufficiali egiziani ostili

Nabil Elaraby, nominato ministro degli Esteri a marzo 2011, ha egualmente beneficiato di un lifting facciale nell'edizione inglese. Un sottotitolo così si presenta: «Nabil Elaraby si è seduto al tavolo dei negoziati con gli israeliani diverse volte, a partire dagli Accordi di Camp David del 1978 che portarono al Trattato di Pace fra Egito e Israele». Come rileva il sito CiF Watch, «sembra il tipo simpatico che gli israeliani dovrebbero essere felici di veder salire ai vertici del "Nuovo Egitto"».
Tuttavia, il sottotitolo nella versione originale ebraica non riporta una simile incoraggiante argomentazione: «Nabil Elaraby, in passato ambasciatore d'Egitto alle Nazioni Unite, ha preso il posto di Achmed abu El Rit. In passato ha adottato iniziative ostili nei confronti di Israele».

 Fabbricazione di misfatti israeliani

Ma l'attività di traduzione approssimativa di Haaretz non si limita a ripulire le malefatte palestinesi. Talvolta, include l'opposto: tradurre malamente o inserire informazioni inesistenti che mettano Israele sotto una cattiva luce; assenti ovviamente nella versione originale.
Sotto questa luce, i lettori hanno appreso che l'esercito israeliano è stato responsabile della morte di Mohammed Al Dura. Un articolo del 1° maggio 2011 sulla versione internazione, così titolava:

«Jamal Al-Dura ha citato Yehuda per diffamazione, dopo che il medico, che lo ha operato nel 1994, ha mostrato i dettagli di un suo archivio con cui si attestava che le cicatrici di Al Dura anziano fossero il risultato di un intervento chirurgico; e non la conseguenza del fuoco dell'IDF che avrebbe provocato la morte di suo figlio nel settembre del 2000».

Il traduttore inglese semplicemente ha saltato le parole in ebraico che indicavano che secondo Jamal il fuoco dell'IDF fosse stato responsabile della morte di Mohammed. Questa omissione fondamentale ha fatto la differenza in questa vicenda esplosiva e combattuta (anche in questo caso, la direzione di Haaretz ha corretto la versione internazionale in seguito, dopo la denuncia di Presspectiva).

Molte di queste traduzioni approssimative forniscono disinformazione sulle minoranze in Israele. Sicché, stando ad un articolo in inglese apparso sull'edizione del 17 giugno 2011, «arabi e donne sposate non possono servire nell'esercito israeliano». Sebbene entrambi i gruppi non siano obbligati al servizio militare, essi sono abilitati a far parte dell'esercito, e molti volontariamente decidono di prestare servizio. Questa frase errata non appare nell'edizione originale in ebraico.
Analogamente, la versione in inglese di un articolo apparso il 4 dicembre 2011 parla della «normativa sulla Naqba, che rende possibile tagliare i fondi alle associazioni che si oppongono ai principi basilari di Israele, e che provoca enormi danni alla libertà di espressione politica, alla libertà artistica e al diritto di manifestazione del pensiero».
Senza citare che la cosiddetta normativa sulla Naqba non si applica in generale alle associazioni, ma solo a quelle finanziate dallo stato, come le scuole pubbliche o gli enti locali. Gli unici mezzi finanziari a rischio sono quelli del governo, non certo le donazioni, degli stessi israeliani o degli stranieri.
La versione ebraica dell'articolo nemmeno menziona la normativa sulla Naqba, il che porta a chiedersi con stupore: come ti permetti, traduttore di Haaretz di stravolgere l'articolo originale? i contraccolpi a lunga scadenza sui lettori internazionali di questa sistematica opera di minimizzazione della violenza e dei misfatti palestinesi, e di diffamanti invenzioni a carico degli israeliani non andrebbero minimamente trascurati. In parole povere, i traduttori di Haaretz stanno facendo un pessimo lavoro.

* Camera.org.

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