mercoledì 28 settembre 2011

Buon Rosh Hashanah a tutti!



...o come si dovrebbe dire, shanà tovà umetukà!

A Gerusalemme si costruisce



Una non-notizia: il comune di Gerusalemme, capitale di Israele, ha autorizzato la costruzione di oltre 1000 unità abitative nei quartieri periferici. Prevedibili i benefici in termini di stabilizzazione del mercato immobiliare, il cui surriscaldamento ha provocato le comprensibili rimostranze della popolazione negli ultimi mesi.
Nulla di nuovo: l'attività edilizia ha caratterizzato questa città - come del resto tutte le città del mondo - da 44 anni. Cioé, da quando è cessata l'occupazione militare della Giordania, che invase Gerusalemme nel 1948 dopo che gli stati arabi dichiararono guerra ad Israele dopo la proclamazione a stato da parte delle Nazioni Unite; e fino alla Guerra dei Sei giorni del 1967.
A quanto pare, sembrerebbe che il sindaco di Gerusalemme si sia consultato preventivamente con il sindaco di Roma, chiedendogli se la costruzione di abitazioni nel quartiere di Trastevere possa irritare il limitrofo stato del Vaticano, che una volta esercitava la propria giurisdizione su quell'area. A quanto pare, il comune di Roma edifica sia a Trastevere che a Monte Mario, sebbene quei quartieri si trovassero in passato in un altro stato...

Prendi i soldi e scappa



Gli accordi di pace di Oslo, sottoscritti da Israele e palestinesi, hanno portato alla nascita dell'ANP (Autorità Nazionale Palestinese), embrione di un futuro stato. Uno stato non è istituito dall'ONU; può solo essere riconosciuto, avendo esso un governo, dei confini definitivi, una moneta, un'economia (l'articolo 4 dello Statuto dell'ONU prevede che lo status di membro delle Nazioni Unite possa essere riconosciuto agli stati che "apprezzano la pace": si dibatte fra gli studiosi se dichiarare la volontà di distruggere uno stato confinante come Israele possa costituire una violazione di questo principio supremo, ma non si può andare sempre per il sottile...)
Il punto è un altro: in nome di quegli Accordi, l'ANP ha ricevuto cospicui finanziamenti dall'Occidente, impegnandosi a dialogare con la controparte per perseguire la pace. L'iniziativa unilaterale di Abu Mazen all'ONU cassa quegli Accordi e fa deragliare il processo di pace. E' pronto Abu Mazen a restituire il fiume di denaro ottenuto per una causa in cui dimostra di non credere più?

martedì 27 settembre 2011

Gerusalemme dovrebbe fidarsi di Abu Mazen?



Sorvoliamo sul fatto che il presidente dell'Autorità Palestinese sia decaduto da un paio di anni, non essendosi tenute le elezioni a Ramallah (forse per il timore di una nuova cocente vittoria di Hamas, dopo quella di Gaza); sorvoliamo sulla tesi di laurea negazionista con cui il leader palestinese ha completato i suoi studi; e sorvoliamo pure sulla figura rappresentativa portata al Palazzo di Vetro (Latifa Abu Hmeid, madre di otto figli; tutte canaglie della peggior specie) da Muhammed Abbas...
Il fatto è che Abu Mazen non ci sente. La stessa ONU, gli Stati Uniti del premio Nobel per la pace Barack Obama, l'Unione Europea senza i cui finanziamenti il progetto palestinese nato dagli accordi di pace di Oslo sarebbe morto nella culla; persino la Russia hanno imposto al leader palestinese di sedersi nuovamente al tavolo dei negoziati con Israele, senza porre condizioni di sorta.
E invece no. Abu Mazen chiede che Israele blocchi l'attività edilizia nei territori contesi, e accetti di tornare ai confini armistiziali del 1949, rimasti in essere fino a prima della Guerra dei Sei Giorni del 1967. Una pretesa un po' fuoriluogo per parlare di negoziati, che teoricamente contemplano che due persone si seggano ad un tavolo e discutano fino allo sfinimento, prima di giungere a conclusioni e concessioni reciproche.

Anche per un attimo facendo torto alla logica, e accettando condizioni per poter discutere (mah!...), farebbe bene Israele a fidarsi?
Vediamo un po': Israele si è ritirato dal Sinai, occupato dopo la Guerra dei Sei Giorni, in ossequio agli accordi di pace con l'Egitto. E la penisola egiziana oggi è luogo di scorribande dei commando di terroristi palestinesi, che di recente hanno compiuto un attentato ai danni di un autobus che si recava presso la città turistica israeliana di Eilat. E c'è chi sostiene che si vada ormai trasformando in un feudo di Al Qaeda.
Nel 2005 si è ritirato unilateralmente, senza porre condizioni, da Gaza, e le attività industriali e le serre sono state spazzate via per costruire bunker e trincee dai quali partono quotidianamente attacchi nei confronti delle città meridionali di Israele.
Ha accettato la nascita di un embrione di stato palestinese in Cisgiordania; e ha dovuto accettare il conto di diverse centinaia di morti, vittime dei terroristi palestinesi che si facevano esplodere per le strade, nei bar e nelle piazze, prima che fosse eretta la barriera che separa Israele dalla Cisgiordania (che ha avuto il merito di dare tanto lavoro ai tribunali internazionali politicamente corretti, oltre a ridurre il crudele conteggio delle vittime civili della follia omicida palestinese).

Abu Mazen chiede come condizione per accettare di sedersi al tavolo delle trattative, l'accettazione di confini che renderebbero lo stato israeliano nuovamente vulnerabile agli attacchi dei nemici. Non si sbilancia in alcun modo sul riconoscimento di Israele come stato degli ebrei, non pensa minimamente di tornare a fare di Gerusalemme Est un pisciatoio, come è stato dal 1948 al 1967 durante l'occupazione giordana, e non intende rinunciare alla deflagrazione della bomba demografica che sarebbe rappresentata dalla minaccia di far entrare in Israele i milioni di discendenti degli israeliani arabi che furono convinti nel 1948 a lasciare le loro case dagli stessi stati arabi confinanti.
E' proprio il caso di firmare la condanna a morte con le proprie mani?

Gerusalemme è la capitale di Israele. Ciò non esclude che siano liberamente professate tutte le religioni monoteiste: inclusa quella islamica, con i fedeli che hanno libero e sicuro accesso ai luoghi sacri. Il governo israeliano in passato ha garantito la giurisdizione palestinese sul 97% dei territori contesi, offrendo in cambio per il residuo 3% (abitato da decenni da coloni) territori israeliani. Perché Abu Mazen non accetta di sedersi ad un tavolo per discutere di pace e prosperità, senza porre condizioni? tutto sarà discutibile: la piena accessibilità ai luoghi sacri, gli insediamenti, il futuro stato di Palestina, la possibilità di stringere proficui accordi commerciali ed economici con Israele, in pieno boom economico. Ma puntare i piedi rafforza la sensazione che la leadership palestinese è interessata a tutto, tranne che a garantire un futuro al suo popolo.

Al Jazeera succursale dell'estremismo islamico



Al Jazeera succursale di Hamas (l'organizzazione terroristica palestinese che controlla Gaza)? Samer Allawi, giornalista palestinese responsabile della redazione afghana del canale televisivo all news del Qatar, è stato rilasciato da Israele, con la pena di tre anni di detenzione sospesa, dopo aver confessato di aver operato dal 1993 al 2004 come ufficiale di Hamas, che Unione Europea e gli Stati Uniti di Obama considerano organizzazione terroristica.

lunedì 26 settembre 2011

Israele: uno stato di apartheid?

di Dennis Prager



Sempre più frequentemente negli ultimi giorni questa accusa è mossa. Curiosamente, quando il Sudafrica era uno stato in cui regnava l'apartheid, nessuna accusa simile veniva mossa nei confronti di Israele. Il motivo per cui l'accusa non veniva mossa allora, e non dovrebbe essere mossa oggi, è il medesimo: non c'è alcun fondo di verità in una simile affermazione.
Per quelli che conoscono Israele, o che vi sono stati almeno una volta, una simile accusa è assurda se non proprio oscena. In effetti si tratta di una calunnia. Ma molti non conoscono a fondo Israele, per cui è opportuno confutare questa accusa.
Anzitutto, che cos'è esattamente uno stato di apartheid? e in questa definizione può rientrare Israele, o se è per questo qualunque altro stato? Andiamo in Sudafrica, il primo stato in cui questo termine ha trovato luogo. Qui dal 1948 al 1994 c'era una politica ufficiale che dichiarava i neri "cittadini di seconda classe" in ogni aspetto della vita: i neri non potevano votare, non potevano rivestire cariche pubbliche (e furono costretti alle dimissioni), non potevano sposare i bianchi e persino non potevano nemmeno frequentare i bagni dei bianchi. Nessuna - nessuna - di queste restrizioni è lontanamente ipotizzabile ai tanti arabi che vivono in Israele.
Un milione e mezzo di arabi vivono in Israele: circa il 20% della popolazione complessiva. Ognuno di essi vanta gli stessi diritti di cui godono tutti gli israeliani; ed è sempre stato così. Possono votare, e si servono di questo diritto; possono essere eletti membri del parlamento israeliano (la "Knesset", NdT), e così fanno; possono essere proprietari di immobili, di aziende, e possono esercitare le libere professioni come tutti gli altri israeliani. Possono essere nominati giudici, e lo sono.

Ecco un esempio molto concreto: era un giudice arabo (arabo!) che condannò l'ex presidente di Israele al carcere per stupro, e nessuno ebbe da obiettare circa la possibilità che si trattasse di un errore di valutazione nei confronti di un presidente ebreo che stava per essere incarcerato. Altro esempio: Reda Mansour è stato il più giovane ambasciatore israeliano della storia; Walid Badir è una stella della squadra nazionale di calcio di Israele; Rana Raslan, araba, è stata nel 1999 Miss Israele; Ismail Khaldi è stato il vice console di Israele a San Francisco; Khaled Abu Toameh è un importante giornalista del Jerusalem Post; Raleb Majadele fino a poco tempo fa ha amministrato il governo israeliano. Sono tutti arabi; nessuno di essi è ebreo. E quanti al di fuori di Israele sanno che tutti i segnali stradali in Israele sono riportati in inglese, in ebraico e in arabo?
Non solo Israele non è uno stato di apartheid, ma gli arabi in Israele sono più liberi di qualsiasi stato arabo confinante. Nessuno cittadino in qualunque stato arabo gode dei diritti civili e delle libertà individuali di cui godono gli arabi in Israele. Questo perché Israele è una democrazia liberale basata sul pluralismo: l'unica in questa parte del mondo.

Si potrebbe obiettare: va bene, ma i palestinesi che vivono in Israele godono di tutti questi diritti; ma che dire dei palestinesi che vivono in quelli che sono noti come "Territori Occupati"? non sono forse trattati in modo differente? Certo che lo sono: perché non sono cittadini israeliani, essendo governati dall'Autorità Palestinese o da Hamas. L'unico controllo che Israele ha sulle vite di queste persone ha luogo quando essi manifestano il desiderio di entrare in Israele. A questo punto sono sottoposte a lunghe code e a stringenti controlli, necessari per prevenire l'ingresso di terroristi.
E che dire della barriera di sicurezza che divide Israele dal West Bank? non è esso un esempio di apartheid? la risposta è ferma e senza dubbi: si tratta della stessa barriera di sicurezza costruita fra Stati Uniti e Messico, che certo non è noto come esempio di apartheid. Israele ha costruito la barriera di sicurezza al solo scopo di impedire ai terroristi di entrare in Israele e ammazzare la sua gente. E sapete una cosa? ha funzionato! La barriera, rappresentata perlopiù da un recinto elettronico, è stato costruito nel 2002 dopo che le bombe suicide palestinesi hanno ammazzato i cittadini israeliani negli autobus, per le strade e nei ristoranti. Dopo che il "muro" è stato costruito, il terrorismo è crollato (dai 220 morti del 2002 si è scesi ai 142 morti del 2003, ai 55 morti del 2004, ai 23 morti del 2005, ai 15 morti del 2006 e ai 3 morti del 2007, NdT) fin quasi a zero.

Per cui in definitiva perché Israele è raffigurato come uno stato di apartheid? perché il confronto con lo stato più liberale mette in difficoltà molti stati del medio oriente, che cercano di persuadere la gente disinformata che il sistema vigente in Israele non ha diritto ad esistere, così come l'apartheid del Sudafrica non avevo alcun diritto per perpetrarsi.
E se non credete a me, chiedetelo alle persone che conoscono la realtà meglio di chiunque altro, quale menzogna sia quella che raffigura Israele come stato di apartheid: chiedetelo a quell'israeliano arabo su cinque. Ed è questo il motivo per cui essi preferiscono vivere nello stato degli ebrei (l'82% degli israeliani arabi) anziché in qualunque altro stato arabo.

I discorsi all'ONU mediante la nuvola delle parole



Ma alla fine, cosa emerge dalle dichiarazioni all'ONU che hanno seguito la richiesta di Abu Mazen di riconoscimento dello stato palestinese (fortemente osteggiata da Hamas, che governa la Striscia di Gaza - dove Abu Mazen non può mettere piede, pena la morte - parte del futuro stato, e che ha vietato alle televisioni locali di trasmettere il discorso all'ONU del leader di Ramallah)?
Ce lo rivela la "nuvola delle parole", che enfatizza i termini più ricorrenti del primo ministro israeliano, e del capo dell'ANP:

- il riferimento alla pace è molto più ricorrente nel discorso di Nethanyahu che in quello di Abu Mazen: 44 citazioni contro 26;
- il capo del governo di Gerusalemme cita i palestinesi molte più volte di quanto faccia Abu Mazen rispetto agli israeliani;
- Nethanyahu trova il modo di citare il suo "omologo" (si fa per dire: il mandato presidenziale di Abu Mazen è scaduto da tempo) e Gaza; non si trova menzione del nome del primo ministro israeliano nel discorso di Abu Mazen;
- "occupazione" e "liberazione" sono termini che fanno ancora capolino nella retorica palestinese. Il che conferma il forte sospetto che non si tratti di confini precedenti e successivi alla Guerra dei Sei Giorni, ma di assurda richiesta di cancellazione dello stesso stato di Israele.

giovedì 22 settembre 2011

Un brutto momento per tutti gli anti-sionisti



Sì, è vero, ho notato anch'il refrain: Israele è isolato, Israele è assediato. E' il momento peggiore per Israele, e così via. Eppure a me sembra il contrario: è la Turchia ad essere isolata nelle sue mire neo-ottomane; è la Siria del sanguinario Assad ad essere più isolata dai tremila morti che si è lasciati alle spalle; è Abbas ad essere isolato dalla sua fuga in avanti, inimitata anche dall'omologo di Gaza; è Ahmadinejad ad essere isolato a Teheran, sempre più solo di fronte agli ayatollah; è l'Egitto ad isolarsi sul piano internazionale.
L'economia israeliana invece tira: +5% di crescita nel primo trimestre; roba che di questi tempi nessun paese al suo occidente riesce ad emulare, tanto che l'americana Standard&Poor's si vede costretta per una volta a migliorare il rating, anziché tagliarlo impietiosamente. I posti di lavoro sono abbondanti e ben pagati, e c'è solo un problema di come dividere la ricchezza creata.
Una sconfitta per quelli che "io sono amico degli ebrei, ho tanti amici ebrei, ma mi riservo il diritto di criticare Israele" (come se qualcuno pensasse di "criticare l'America": si critica Bush, si critica Obama, si critica Berlusconi, si critica la Merkel; ma nessuno si sogna di mettere alla berlina gli Stati Uniti, la Germania o perché no anche l'Italia). Israele è esempio di pacifica e gioiosa convivenza, modello economico e sociale per tutto il mondo, sempre più triste, sempre più frustrato.
Qui, di seguito, l'intervento di
Jonatan Della Rocca, apparso oggi sul sito della Comunità Ebraica di Roma.

C’è molto pessimismo sulle pagine dei giornali in vista della prossima Assemblea delle Nazioni Unite. Thomas Friedman ha scritto sulle pagine del New York Times di non essere mai stato così preoccupato per il futuro d’Israele. E via poi con il valzer dei cosiddetti intellettuali, anche sulle pagine della stampa ebraica italiana. Non c’è da stupirsi che questo pessimismo abbia contagiato anche tanti ebrei romani.

Sono tornato da pochi giorni da Roma dove in molti mi hanno domandato un solenne ‘Che aria tira?’, quasi che Israele fosse sul patibolo.

Tutto ciò non è che il metro del successo della propaganda palestinese e della nostra incapacità di spiegare, a noi stessi ed agli altri, i successi di Israele.

Caro Sig. Friedman, cari tutti, io non sono mai stato tanto ottimista per il futuro di Israele!

Nonostante l’instabilità dell’Egitto, il voltafaccia della Turchia e la crisi della Siria. Nonostante i missili degli Hezbollah al nord e di quelli di Hamas al sud, Israele non è mai stato così forte.

“Alza gli occhi attorno a te e guarda, tutti si sono raccolti, sono venuti a te”, dice il Profeta Isaia. Bisogna guardarsi attorno a volte e vedere quanto si è fatto e non solo piangersi addosso, dice Rav Mordechai Elon shlita.

Quando io alzo gli occhi vedo un paese stabile, con un economia vibrante che è appena stata premiata con l’innalzamento del rating da parte di S&P, mentre il mondo va a picco. Vedo la capitale tecnologica mondiale: un hub di eccellenza con miliardi di dollari di investimenti l’anno e la corte delle multinazionali come Google, Intel, Microsoft e SAP. Una nazione che si appresta nel giro dei prossimi anni a diventare una potenza energetica di livello mondiale. Un paese che è diventato membro dell’OECD e sta diventando membro del CERN. Che sforna più start-ups di Europa e Asia messe assieme, per non parlare dei Nobel.

Vedo una generazione di ragazzi che studiano, che sono più preparati dei loro omologhi europei ed americani, più intraprendenti, più maturi, più responsabili. Ragazzi pieni di voglia di fare, di riuscire. Ragazzi che guardano al futuro con determinazione, senza piagnistei di precarietà. Che parlano le lingue e sono a loro agio sulle trincee del Golan come nei salotti del business di Berlino ed Hong Kong.

Vedo una generazione che faticosamente si sta riapropriando del suo patrimonio culturale ebraico: è un processo lento, certo, ma bisogna essere ciechi per non vedere il rinnovato interesse per la tradizione nelle stesse strade di Tel Aviv. Vedo un paese che non fa sconti a nessuno, a cominciare da se stesso. Un paese capace di mandare in carcere politici corrotti e presidenti molesti. Capace di interrogarsi, di farsi l’esame di coscienza, di fare scelte che a volte sembrano impossibili. Vedo una società multietnica nella quale si vive in un armonia impensabile in qualsiasi altro posto. Un paese nel quale negli asili si parlano dozzine di lingue e si cantano le preghiere d’Israele con tutte le note della nostra immensa diaspora.

Problemi? Certo che ce ne sono! Ma l’Israele che vedo io è drammaticamente più forte, più sano, più moderno e migliore di quello di quattordici anni fa quando sono arrivato.

Sono trent’anni che cercano di spaventarci con il mantra del ‘tempo che è contro di noi’. In questi trent’anni noi siamo fioriti e gli arabi persistono nel loro medioevo. Lo spread tra Israele e i suoi vicini non solo è cresciuto ma è divenuto incolmabile. Il tempo è contro di noi? Ma vi siete visti attorno?

Abbiamo i migliori ospedali del mondo, le migliori università ed i migliori laboratori.

Ci hanno offeso con minacce che avrebbero messo in ginocchio chiunque altro, ma noi siamo qui. Abbiamo sconfitto i kamikaze di Arafat & Co. con il muro della vita e con il coraggio dei nostri ragazzi così come stiamo sconfiggendo i missili di Hamas con l’Iron Dome, il primo sistema anti missili a corto raggio al mondo (ne sta abbattendo nove su dieci, abbiate pazienza è in rodaggio…).

Questo è quello che facciamo. Risolviamo problemi. Miglioriamo, cresciamo e prosperiamo.

Hanno detto che siamo la nuova Singapore. Non è vero. Siamo molto di più, siamo la nuova Sion.

Se i palestinesi volessero davvero il bene dei loro figli si sarebbero già seduti al tavolo della pace per far beneficiare anche loro di quel miracolo che si chiama Israele. Ma non è certo questo che interessa loro.

Se i paesi arabi limitrofi avessero il buon senso di studiare invece che sbraitare nelle strade, se scegliessero il dialogo anzicché la prevaricazione questo sarebbe già un Medio oriente di pace e prosperità.

Una bugia resta una bugia anche se la si ripete un milione di volte. Si accomodi pure Abu Mazen a quelle Nazioni Unite che hanno fatto della Libia di Gheddafi la presidente della Commissione per i diritti dell’Uomo. Si goda l’applauso dei dittatori africani ed arabi, finché sono in sella.

Nel buio di quell’ONU dove è già stato ambasciatore, ancora una volta, Benjamin Netanyahu seguirà il consiglio di Rabbì Menachem Mendel Schneerson zz’l. “Accendi un lume di verità, nella casa della menzogne!”. E già hanno detto i nostri Saggi: ‘Un poco di luce, scaccia molto buio’.