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lunedì 23 aprile 2012

L'atto d'accusa dei palestinesi


I palestinesi di Abu Mazen accusano i palestinesi di Hamas di requisire la benzina a Gaza per far girare i loro lussuosi macchinoni, lasciando la popolazione al buio e senza energia. L'organizzazione terroristica fa pagare la corrente alla popolazione, ma non paga i fornitori, che hanno lasciato la Striscia al buio. Ma le abitazioni dei gerarchi di Hamas sono ben illuminate, e i conti correnti sono zeppi dei dollari guadagnati con il contrabbando di carburante (venduto a 7-8 dollari per gallone al mercato nero). Significativa l'ammissione finale: «tutte le sofferenze patite nella Strisca di Gaza negli ultimi cinque anni, da quando criminali hanno posto a segno un criminale colpo di stato, è responsabilità nostra, come Autorità Palestinese. Abbiamo commesso un errore, e agito in modo negletto; ma non nei confronti di Gaza, bensì nel mancare di perseguire i criminali che hanno messo a segno il colpo di stato, mediante le istituzioni arabe e internazionali, fino a consegnarli alla giustizia».

giovedì 19 aprile 2012

Hamas ha deluso i palestinesi


Bizzarro. Mentre nel West Bank Abu Mazen si guarda bene dall'indire nuove elezioni (gli organi elettivi sono scaduti da tempo) nel timore di perderle a favore dei rivali estremisti di Hamas; nella Striscia di Gaza l'organizzazione terroristica teme un epilogo simile.
Dopo lo sgombero ordinato ad agosto 2005 dall'allora premier israeliano Ariel Sharon, a Gaza l'anno successivo si sono tenute libere elezioni, che hanno visto l'affermazione di Hamas, in coabitazione con i rivali di Al Fatah (nessuno dei due partiti ha raggiunto la maggioranza assoluta). Dopo un sanguinoso colpo di stato nel 2007, l'organizzazione ritenuta terroristica dall'Unione Europea, dagli Stati Uniti, da Israele, Giappone, Canada, Australia e altri stati ha preso il controllo della Striscia. E' tempo di primi bilanci. Sono tutt'altro che lusinghieri.
Secondo un recente sondaggio, se si tenessero oggi elezioni nella Striscia di Gaza, Hamas le perderebbe. La decisione di abbandonare la sede di Damasco dopo la macellazione dei profughi palestinesi da parte di Assad non ha giovato alle sorti del movimento islamico, che ha perso sempre più popolarità presso la popolazione locale. Che ritiene gli uomini di Hamas, politici, come tutti i politici del mondo, dediti al loro potere e alle corti che lo circondano, senza alcun interesse verso la folla. Il partito al potere da cinque anni a Gaza ha dispensato lavoro: oltre 40 mila palestinesi sono stati assunti nella pubblica amministrazione; ma perlopiù, vicino al regime e dopo prova di assoluta dedizione all'islam mediante assidua frequentazione delle moschee, dove si pratica l'indottrinamento e si fomenta l'odio verso gli israeliani. Il resto del popolo, gran parte di esso, fa la fame, mentre osserva i gerarchi di Hamas arricchirsi mediante il contrabbando di materie prime - carburante, specialmente - attraverso i tunnel che solcano il confine con l'Egitto, e mediante il reimpiego del denaro raccolto in lussuose automobili e attività commerciali. Il petrolio di provenienza egiziana - Il Cairo sovvenziona i carburanti, vendendolo ad un prezzo più basso di quello internazionale - arriva in parte a Gaza, ma sul mercato nero, ed è venduto a circa 7 dollari per gallone: molto meno del costo del gasolio che Israele sarebbe disposto a vendere, a quotazioni internazionali, mediante i valici di Eretz e Kerem Shalom, dove però Hamas non potrebbe fare la "cresta".
Il malcontento cresce, Hamas bada ai propri affari e non si cura più della "causa" (palestinese). Lo stato di polizia che è stato instaurato impedisce ogni manifestazione, nel timore che venga evidenziato il distacco in termini di consenso popolare. Quel popolo che cinque anni fa votò Hamas per disprezzo nei confronti della corruzione del Fatah di Yasser Arafat, e ora vede gli stessi tratti corrotti in quella Hamas che nel 2006 promise cambiamento e giustizia, e ora ostenta cupidigia, brama di potere e di denaro, e disinteresse per le sorti della popolazione.

martedì 3 aprile 2012

Poveri palestinesi...


Certi rischi in Europa non li corriamo. Pochi si sognano di manifestare aperto dissenso nei confronti della politica palestinese, anche se molti covano la convinzione che il mancato conseguimento della pace in Medio Oriente sia riconducibile all'ottusa leadership palestinese: quella intransigente di Hamas, certo; ma anche quella "moderata" di Abu Mazen, a Ramallah. E' un segreto di Pulcinella: ma memori del grossolano errore strategico di un anno fa, quando si accreditò l'esperimento della "primavera araba", salvo accorgersi di aver consegnato diversi stati a regime islamici più temibili delle dittature filo-occidentali precedenti; l'Occidente ha deciso saggiamente di guardare dall'altro lato, ignorando le tensioni che stanno emergendo nella disperata civiltà palestinese.
Nulla trapela sui giornali a proposito della crisi energetica a Gaza. Una crisi indotta dall'ingordigia di Hamas, che preferisce comprare combustibile dall'Egitto (che lo vende a prezzo calmierato), salvo applicarsi sopra un lucroso sovrapprezzo che va a finanziarie le attività terroristiche e propagandistiche locali. Il vicino Israele si è proposto di vendere il proprio petrolio, ma poichè su di esso Hamas non potrebbe farvi la cresta, lo respinge sdegnato, adducendo pretesti cospirazionistici. La popolazione nel frattempo rimane al buio e priva di benzina, e sa bene su cui ricade l'esclusiva responsabilità. Tutto tace nel frattempo in Occidente.
Un altro aspetto raccapricciante è il recente arresto di Ismat Abdul-Khaleq, una donna palestinese accusata di aver ingiuriato il presidente dell'ANP Abu Mazen sul suo profilo Facebook: un reato, in Cisgiordania. Stanchi di vedere l'Occidente accusare Israele, quasi sempre ingiustamente, anziché rivolgere i propri strali verso la propria dirigenza, i palestinesi stanno iniziando a fare per conto proprio. Pagandone in prima persona le conseguenze.

Nel frattempo Abu Mazen ha trovato il tempo per conferire un premio al giornalismo di Helen Thomas, la famosa corrispondente della Casa Bianca di orientamento antisemita, costretta a dimettersi dopo aver sostenuto che gli ebrei dovrebbero lasciare Israele e tornare in Polonia o in Germania. Una esternazione raccapricciante, che costinse un imbarazzato Obama a pretendere le dimissioni dell'anziana giornalista. Che adesso beneficia di un plateale riconoscimento di simpatie filopalestinesi da una filiale dell'OLP, a Washington. Con buona pace per chi confida nell'obiettività di giudizio dei giornalisti occidentali, quando si ha a che fare con le questioni israeliane...