giovedì 31 ottobre 2013

L'Independent ne inventa un'altra delle sue

In Italia le notizie dal Vicino Oriente arrivano con il contagocce; il che non è necessariamente un male, visto che quando ci giungono cronache da Israele o dagli stati confinanti, esse sono sempre distorte, rilette, tagliate sapientemente per offrire al lettore una prospettiva parziale e falsata degli eventi.
Non potendo biasimare il rilascio di 26 terroristi palestinesi, ospiti da anni delle prigioni israeliane, come condizione per poter accedere al privilegio di discutere di pace con una dirigenza corrotta e scaduta nel mandato da anni - dal momento che nessuno stato democratico al mondo avrebbe fatto altrettanto - i giornali dovevano pure inventarsi qualcosa per mettere lo stato ebraico sotto una cattiva luce. Non vale la pena di disturbarsi nel riportare l'attacco simultaneo condotto da Gaza nei confronti delle città meridionali di Israele: saranno razzi difettosi - sicuramente sabotati da quei perfidi e diabolici dei sionisti - ricaduti in terra. In territorio israeliano, s'intende.

mercoledì 30 ottobre 2013

È sempre il solito Israele che disturba i vicini

In Siria è ripreso il massacro degli oppositori, con la lista di vittime della repressione di Assad che torni ad allungarsi; in Libia è il caos. In Libano Hezbollah condiziona sempre più sensibilmente il governo, con le forze democratiche capitolate di fronte all'intransigenza degli estremisti sciiti di Hezbollah, partner privilegiato di Damasco. In Egitto la defenestrazione di Morsi avvenuta a luglio non ha placato i Fratelli Musulmani, e scontri fra islamici e militari, e fra simpatizzanti degli uni e degli altri, si susseguono a ritmo quotidiano. L'Iran adotta un politica del doppio binario: da un lato accarezza il pelo dell'Occidente, dall'altro lavora alacremente all'obiettivo della sua bella bomba atomica islamica, e secondo un ex esponente dell'AIEA mancherebbero addirittura soltanto un paio di settimane prima che l'ordigno nucleare sia terminato. A Gaza Hamas è sempre più in crisi, travolta da un lato dal crollo delle entrate (230 milioni di dollari al mese) conseguente alla distruzione dei tunnel illegali che la collegavano all'Egitto, fatti saltare in aria o allagati con liquami fognari dall'esercito del Cairo; dall'altro messa in ombra dal successo apparente di Abu Mazen, che in queste ore sta stringendo le mani sporche di sangue di vittime innocenti dei 26 terroristi palestinesi rilasciati da Gerusalemme, come seconda lacerante "prova di buona volontà" dopo quella di agosto.

lunedì 28 ottobre 2013

Ancora sulla dissolutezza palestinese

Autorità Palestinese ancora nell'occhio del ciclone. Come rilevato alcuni giorni fa, soltanto l'UNRWA - l'agenzia speciale dell'ONU per i "profughi" palestinesi - ha beneficiato di fondi pari a 25 volte gli aiuti finanziari ricevuti dagli europei dopo il Secondo Conflitto Mondiale, nell'ambito del Piano Marshall (in termini reali, s'intende). D'altro canto, frutta bene proporsi come amministratori dei palestinesi: i politici di Ramallah beneficiano di un gettone di presenza pari a 24 volte il reddito medio percepito dalla propria gente. Altro che casta! e lo stesso Abu Mazen ha occultato una ricchezza finanziaria, frutto di corruzione, vessazioni e intimidazioni del suo entourage, stimata in 100 milioni di dollari.
Adesso i conti in tasca alla dirigenza palestinese sono fatti addirittura dalla BBC; un'agenzia sempre ben disposta a chiudere almeno un occhio nei confronti del mondo arabo; specie quando è intanto ad atteggiamenti poco politicamente corretti. Sabato l'emittente di Sua Maestà ha denunciato l'ennesimo deficit di bilancio: costa molto mantenere le famiglie dei terroristi palestinesi detenuti nelle carceri israeliane. Soprattutto, l'embrione del futuro (?) stato palestinese, mostra la seconda peggiore disparità di distribuzione di reddito al mondo; il che non sorprende, visto che notoriamente a fronte di una dirigenza dissoluta e corrotta, permangono ampi strati di popolazione che non vedono nemmeno le briciole della distratta generosità internazionale.

venerdì 25 ottobre 2013

Che cosa devono fare gli ebrei?

La funzione "completamento automatico" di Google è comodissima. Mediante essa, l'utente è aiutato nella ricerca nel potente motore. Dubbi circa la localizzazione di quel parco giochi di cui non ricordi il nome? basta digitare "Dove si trova...", e l'algoritmo di Mountain View propone delle alternative: Malta, il punto G, Gardaland, la milza. Mio figlio ringrazia, io mi devo cimentare in una ricerca più problematica ("cosa spiegare a tuo figlio quando ti chiede cos'é il punto G?").
Ma come funziona il completamento automatico? è la stessa Google che ce lo spiega: «Le query di ricerca visualizzate dalla funzione di completamento automatico rispecchiano l'attività di ricerca di tutti gli utenti del Web e i contenuti delle pagine web indicizzate da Google». Insomma, se tutti gli italiani cercano ansiosamente riferimenti sulla localizzazione di questa misteriosa parte anatomica, Google ne prende atto, e stila una classifica delle ricerche più frequenti che sono state avviate digitando "dove si trova".
Naturalmente ci sono delle restrizioni, delle limitazioni. Precisa Google: «...escludiamo un gruppo limitato di query di ricerca relative a contenuti pornografici, di violenza, di incitamento all'odio e relative alla violazione del copyright». Buono a sapersi. Adesso siamo più tranquilli. E possiamo condurre un piccolo esperimento...

mercoledì 23 ottobre 2013

La saggezza di Hitler al servizio dei palestinesi

Una certa storiografia cerca di ripulire il giudizio un po' compromesso di personaggi storici, visti nel privato: si tenta di mettere in secondo piano le loro gesta non proprio eroiche, per riferirci l'immagine di uno statista scrittore di versi nel tempo libero, o collezionista maniacale di francobolli, o compositore di improbabili note musicali. Il tentativo alle volte riesce, altre produce un risultato grottesco, che non mitizza l'immagine compromessa.
Difficile scagionare Hitler dalle sue atrocità. Qualcuno cerca di riporne l'effigie su foschi calendari, o su bottiglie di vino ad alto contenuto alcolico, nella speranza che stordisca a sufficienza l'avventato compratore alla ricerca di memorabilia e paccottiglia da mostrare ad amici altrettanto ottusi. Difficile credere che ci sia qualcuno disposto a sorridere di fronte a figure e figuri del nazifascismo, senza supporre la necessità un immediato trattamento sanitario obbligatorio.

martedì 22 ottobre 2013

Venticinque volte il Piano Marshall

Non si smorza l'indignazione per la recente scoperta del tunnel costruito da Hamas fra la Striscia di Gaza e l'Israele meridionale. Realizzato in cemento made in Israel, e lungo quasi due chilometri, la galleria avrebbe condotto i terroristi alle soglie dell'asilo infantile di un kibbutz ben all'interno del territorio israliano, con una diramazione scoperta successivamente, che doveva prendere alle spalle una postazione dell'esercito israeliano.
Una circostanza prevista. Nel 2010 l'intelligence israeliana avvisò il governo di Gerusalemme circa i pericoli derivanti da un "uso improprio" del cemento da parte dell'organizzazione terroristica che governa l'enclave palestinese dal 2007. Ciò malgrado, a novembre 2011 il ministero della Difesa autorizzò l'invio di cemento a Gaza, destinato originariamente alla costruzione di 75 complessi scolastici gestiti dall'UNRWA, la facoltosa agenzia ONU che si dovrebbe occupare dei discendenti dei "profughi palestinesi" (gli arabi superstiti che furono persuasi dalle nazioni belligeranti vicine a lasciare Israele nel 1948 sono secondo le stime circa 35 mila).

sabato 19 ottobre 2013

Il Pentagono consegna finalmente le bombe buster. All'Arabia!

Israele è l'unico alleato rimasto agli Stati Uniti nel Vicino e Medio Oriente. Ciò non toglie che l'amministrazione Obama faccia di tutto per ostacolare, eclissare e indebolire lo stato ebraico. Costringendolo a subire l'improponibile agenda di pace di Ramallah, a "chiedere scusa" alla Turchia per l'incidente della Freedom Flotilla del 2011 (anche se un retroscena recentemente rivelato, permette di mettere sotto diversa luce l'apparente genuflessione di Netanyahu nei confronti di Erdogan), e addirittura a percorrere nuove strade diplomatiche: come l'inedita intesa con l'Arabia Saudita, preoccupata al pari di Gerusalemme - con la quale non sono in essere rapporti diplomatici ufficiali - della corsa all'armamento nucleare da parte dell'Iran di Rohani e (soprattutto e tutti) Alì Khamenei.
Ma Obama sa pesare i suoi alleati, e misurare le loro rivendicazioni. Così, mentre Washington ha frenato le preoccupazioni israeliane circa le aspirazioni atomiche di Teheran, bloccando la ventilata iniziativa dello scorso anno volta a distruggere gli impianti di arricchimento dell'uranio, quando era ancora possibile (Obama correva per la rielezione, e temeva di risultare penalizzato da una incursione salvavita di questo fastidioso alleato orientale); il prode presidente americano è stato invece lesto a tentare di riguadagnare le simpatie e la fiducia delle monarchie del Golfo.

venerdì 18 ottobre 2013

Le amazzoni di Gaza

lettera a Davide Frattini*

Buongiorno,
la lettura sul supplemento Io Donna dell’articolo recante la sua firma mi ha stupito non poco perché, conoscendola, mi aspettavo di trovarla più attento a non indurre il lettore a non corretti pensieri.
Già nel titolo, parlando di Gaza, si parla di terra contesa. Contesa? Tra chi? Forse tra Hamas e Fatah, ma non certo tra israeliani ed arabi, visto che Sharon ha obbligato tutti gli ebrei, pur tanti, ad abbandonare tutti i loro averi e ad abbandonare la Striscia.
Siamo poi al patetico quando si parla della giovane che viene al maneggio per dimenticare i blocchi sul confine verso Israele. Beh, a me sembra che i blocchi siano simili non solo verso Israele, ma anche verso l’Egitto, e bisognava forse spiegarlo bene al lettore meno informato, e illustrare anche il perché di tali blocchi, mentre i confini di Israele verso Egitto e Giordania che hanno riconosciuto il diritto di esistere di Israele sono aperti alla libera circolazione.

giovedì 17 ottobre 2013

Israeliani razzisti (e spioni), palestinesi tradizionalisti

Ogni guerra ha la sua connotazione di orrori legati agli abusi dei soldati sui civili. La guerra civile in Siria ha rivelato al mondo la tragedia di ragazze private della loro dignità e strappate dalle loro vite, per essere consegnate ai jihadisti affinché ne fosse saziato il "bisogno sessuale". Ragazze stuprate, e poi abbandonate come una vecchia lavatrice inutile e ingombrante; spesso, ammalatesi di AIDS. Tutti i conflitti recano con se' questa tragedia, nessuno escluso. Recita Wikipedia: «Si stima che durante la guerra in Bosnia ed Erzegovina tra le 20 000 e le 50 000 donne furono violentate. La maggioranza delle vittime delle violenze erano donne musulmane stuprate dai soldati serbi. [Le donne] subivano stupri di gruppo in strada, nelle loro case e/o di fronte alle loro famiglie. Gli stupri di guerra furono ordinati dagli ufficiali come parte della pulizia etnica, per obbligare il gruppo etnico oggetto delle violenze ad andarsene dalla regione»

martedì 15 ottobre 2013

L'uso palestinese della propaganda

Un bambino del Mississipi punito platealmente a scuola per non aver indossato la divisa d'ordinanza dell'istituto. Un esempio di "cattiva scuola", che avrebbe guadagnato a fatica un trafiletto delle pagine interne delle gazzette locali; se non fosse per quella immagine dolorosa e inquietante di un adolescente che esibisce delle raccapriccianti manette. Ma anche in questo caso, al massimo l'effigie avrebbe toccato in Italia il MOIGE; se non fosse che qualcuno coglie al volo l'occasione, e presenta l'immagine come quella di un bambino palestinese, detenuto nelle carceri israeliane. Aggiungendo: «Questa è l'età dei bambini palestinesi prigionieri; è democrazia questa?» (grazie a "Sionismo: istruzioni per l'uso", per la segnalazione).

Questo ennesimo esempio di mistificazione ad uso e consumo di un pubblico particolarmente orientato verso la creduloneria quando si tratta di diffamare Israele, di cui abbiamo avuto ampie manifestazioni durante l'operazione "Pillar of Defense" - durante la quale immagini strazianti di bambini siriani vittima del regime di Assad, erano spacciate come realizzate a Gaza - rilancia il problema della propaganda palestinese. Che non si fa scrupolo nel distorcere la verità, nell'inventare di sana pianta falsificazioni, nell'estrapolare grettamente dal contesto - ci sono adolescenti arrestati; ma sono i medesimi che pochi istanti prima, già abbastanza adulti da scagliare oggetti contundenti, attentano alla vita di malcapitati e innocenti civili - e nell'omettere colpevolmente particolari rivelatori. Come sempre, la responsabilità di una condotta esecrabile è condivisa da una platea troppo intenta ad ammirare il proprio ombellico, da non voler scorgere la verità con una minima dose di ragionevolezza e buon senso. In questo contesto la dirigenza palestinese ci sguazza; potendo continuare indisturbata ad attingere a generosi finanziamenti occidentali, a rubare, a corrompere, ad amministrare in modo inefficiente, a perpetrarsi e ad ammassare ricchezze a discapito degli stessi palestinesi.

lunedì 14 ottobre 2013

Dove è finito tutto il cemento?

Un mese fa il governo israeliano ha autorizzato l'incremento di camion (da 100 a 350) che ogni giorno trasportano nella Striscia di Gaza cemento, calcestruzzo, tondini in ferro e altri materiali da costruzione. Questo, nel tentativo di compensare il blocco totale del valico meridionale al confine con l'Egitto, disposto dal governo del Cairo dopo il colpo di stato di inizio luglio. Questo, mentre i "valichi" non ufficiali (tunnel sotterranei) sono fatti detonare o allagati con le acque delle fogne (e pazienza se qualche palestinese ci rimetterà la pelle: tanto non ne parlerà mai nessuno).
La speranza: che questo afflusso di materiali da costruzione servisse ad edificare nuove e più solide case per la popolazione palestinese; già stremata e prostrata dal regime di Hamas.
La realtà: nulla di tutto questo. Le case sono rimaste così com'erano. I cantieri, deserti. Ma allora dove è finito tutto questo cemento?
Nei nuovi tunnel che Hamas ha scavato nel sottosuolo, dalla Striscia fino al territorio israeliano. Nel tentativo di ripetere la "fortunata" operazione di sequestro del caporale Gilad Shalit del 2006. A corto di finanze per la bellicosa ostilità dell'Egitto, che l'ha privato di corposi introiti dal contrabbando illegale e dalla cresta che praticava sulle merci in transito provenienti dall'Egitto; Hamas è pronta a ricorrere a questo comportamento ripugnante. Che non esclude il rapimento di bambini, prelevati con la forza dagli asili delle città meridionali di Israele.

Non pronunciare il nome di Allah (invano o meno)

«Non nominare il nome di dio invano». Il comandamento cattolico, sistematicamente disatteso sui campi di gioco, nelle alcove domestiche e sugli schermi del cinema, al punto da risultare annacquato; risulta ora rafforzato in altra sede dal pronunciamento di una corte d'appello malese. Che ha rovesciato la precedente sentenza di primo grado che aveva assolto un giornale locale, di orientamento cristiano, reo di aver citato il nome di Allah. Il verdetto, all'unanimità, stabilisce che l'impiego del nome in questione è di esclusiva pertinenza del mondo musulmano, e che pertanto gli "infedeli" devono astenersi dal pronunciarlo; se non altro, per questioni di ordine pubblico.
La sentenza, annota Reuters, giunge al culmine di un periodo di scontri etnici e religiosi, seguiti ad elezioni contrastate che hanno visto l'affermazione di un governo che ha ristretto le libertà individuali e rovesciato le riforme liberali precedenti.

giovedì 10 ottobre 2013

In Italia l'Iran mostra il suo vero volto

Il titolo della conferenza suonava più o meno come "Il nuovo volto dell'Iran: le opportunità di dialogo che si aprono nei giorni della presidenza Rohani". L'Istituto italiano per l'Asia e il Mediterraneo aveva organizzato per martedì questo evento presso il parlamento italiano a Roma, sponsor l'ambasciata iraniana in Italia. L'istituto ha invitato il pubblico a partecipare e ha inviato inviti alla stampa. Anche un cittadino italiano, dipendente dell'ambasciata israeliana a Roma, si era iscritto all'evento.
Dopo aver avuto conferma che il dipendente dell'ambasciata aveva confermato la sua partecipazione all'incontro, l'ambasciatore iraniano in Italia, Jahanbakhsh Mozaffari, ha dichiarato che non avrebbe partecipato all'evento, se si fosse presentato il dipendente. Sollecitando gli organizzatori ad impedirne l'accesso.

Quello stupido di Netanyahu

I giornali internazionali sono sempre molto ben attenti a raffigurare lo stato isreaeliano e i suoi esponenti sotto una cattiva luce. Non importano i successi economici conseguiti, che consentono allo stato ebraico di mantenere invariato il suo merito di credito, e di vedere calare il tasso di disoccupazione (6.1%) a livelli da locomotiva tedesca (ma con un debito pubblico in rapporto al PIL inferiore e con un saldo di bilancia corrente pari al 3.7% del PIL). E passa in secondo piano la circostanza secondo cui 6 degli 8 vincitori di premi Nobel finora assegnati siano di nazionalità israeliana o comunque ebrei: passerebbe il messaggio che rimuove lo stereotipo di israeliani con il pensiero fisso alla guerra e alla "occupazione"; come se questo fosse il segreto del successo economico, scientifico e tecnologico di un lembo di terra grande quanto la Puglia, e il cui tenore di vita - di tutti i cittadini: arabi felicemente compresi - è salito del 22% soltanto negli ultimi sette anni: il PIL pro-capite è passato dai 18200 dollari del 2004 ai 22130 dollari del 2012.

martedì 8 ottobre 2013

Una raccomandazione per il Nobel per la pace

Malala Yousafzai è una giovane attivista pakistana, che combatte contro l'oscurantismo talebano e per l'emancipazione delle donne del suo Paese. Recita Wikipedia: «Il 9 ottobre 2012 è stata gravemente ferita alla testa e al collo da uomini armati saliti a bordo del pullman scolastico su cui lei tornava a casa da scuola. Ricoverata nell'ospedale militare di Peshawar, è sopravvissuta all'attentato dopo la rimozione chirurgica dei proiettili. Ihsanullah Ihsan, portavoce dei talebani pakistani, ha rivendicato la responsabilità dell'attentato, sostenendo che la ragazza “è il simbolo degli infedeli e dell'oscenità”; il leader terrorista ha poi minacciato che, qualora sopravvissuta, sarebbe stata nuovamente oggetto di attentati». Degna di ricevere un premio Nobel per la Pace, ma ci deve essere senz'altro qualche candidato vivente più autorevole.
Forse Denis Mukwege, il ginecologo congolese che assiste da 15 anni le donne vittime di stupro ad opera ad opera delle milizie ribelli. La solita Wikipedia elogia l'operato del medico africano, arrivato ad operare migliaia di donne: fino a 10 interventi in una giornata lavorativa di 18 ore. Impegno lodevole e commovente, ma l'Occidente ha bisogno di ben altro per commuoversi e concedere l'ambito riconoscimento: bisogna cercare qualcuno che regga il confronto con il presidente Obama; o, per salire a ritroso, con El Baradai, che ha consentito al regime iraniano di lavorare alla sua bomba atomica, senza subire le fastidiose intromissioni del mondo occidentale; o prima ancora con Jimmy Carter, che presto perderà il poco ambito riconoscimento di peggior presidente democratico statunitense, proprio a vantaggio dell'attuale inquilino della Casa Bianca; o ancora - ci sia consentito l'irriguardoso accostamento - con Yasser Arafat.

domenica 6 ottobre 2013

Rende bene "amministrare" i palestinesi

Come è noto Mahmūd Abbās, meglio noto al mondo occidentale per il nome di battaglia autoassegnatosi di Abu Mazen, è presidente dell'OLP, presidente del partito Al Fatah, nonché dal 2005 presidente dell'autorità nazionale palestinese (organo nato dagli Accordi di Oslo del 1993, e di fatto cestinati e sepolti dai palestinesi negli ultimi dodici mesi). Come ricorda sconsolata Wikipedia, «pur essendo il suo mandato scaduto a gennaio 2009, egli è ancora in carica, poiché ha prorogato unilateralmente la durata del suo mandato in base ad una clausola costituzionale e poi è rimasto al suo posto alla scadenza della proroga». Un despota a tutti gli effetti, inviso al suo stesso popolo, che ha chiarito il proprio orientamento con le elezioni amministrative tenutesi un annetto fa, da cui il partito di Abu Mazen è uscito sonoramente sconfitto. Ma ciò non gli impedisce di mantenere cariche scadute da quasi cinque anni: la necessità di ammassare ricchezza e potere possono ben far derogare ad un supremo principio democratico. D'altro canto, hanno aspettato così tanto tempo, i palestinesi; che non sarà un oltraggio per essi subire un simile congelamento delle istituzioni. E poi, se l'Occidente non ha nulla da obiettare - salvo contestare un giorno sì e l'altro pure il governo legittimamente rinnovato di Gerusalemme; quello sì... - andrà bene per tutti.

giovedì 3 ottobre 2013

Attenzione a raccontare la verità su Abu Mazen

Può costare caro manifestare opinioni sull'impero finanziario della famiglia Abbas, il cui capostipite Mahmoud, meglio noto al mondo occidentale con suo nome di battaglia "Abu Mazen", amministra i territori dell'autorità nazionale palestinese (ANP) pur essendo il termine decaduto da più di quattro anni. Elezioni presidenziali e legislative non si tengono a Ramallah nel timore fondato di perdere il potere: un anno fa sono state tenute elezioni amministrative, che hanno fatto registrare una pesante disfatta di Fatah, il partito di cui Abu Mazen è presidente (non si fa mancare niente: è presidente anche dell'OLP. Un triplo incarico, insomma).
Tutti questi impegni costano fatica, per cui è ragionevole che il povero Abu Mazen, perlomeno quando non è in giro per il mondo, possa dedicarsi ad accantonare qualche sudato risparmio. E se per motivi umani, quasi umanitari, non riesce in prima persona, ecco che demanda il compito ai due figli Yasser (che fantasia: il "Piersilvio" dei territori palestinesi...) e Tarek. Che negli anni devono aver ammassato una discreta fortuna.

Si vede che bramano la pace

La leadership palestinese non sembra granché intenzionata ad accogliere gli inviti al buon senso e alla ragionevolezza. Gli accordi di pace sono il risultato di concessione reciproche; ma a Ramallah e dintorni proprio non ne vogliono sapere. Sorge lo storico sospetto che da parte di Abu Mazen e di chi l'ha preceduto, non vi sia alcun interesse a cessare le ostilità; come d'altro canto è sempre stato. La Guerra dei Sei Giorni fu seguita da inviti al dialogo e al conseguimento nella pace; e nel 2000 e 2007 le proposte israeliane furono vantaggiosissime; al limite dell'autolesionismo. Ma la risposta fu sempre la stessa: no, no e ancora no.
Ma forse vediamo la questione dalla prospettiva sbagliata. La volontà di risolvere definitivamente l'annosa questione arabo-israeliana non la si scorge da queste scaramucce diplomatiche, ma dalla vita quotidiana. Che riserva sorprese impressionanti.

mercoledì 2 ottobre 2013

Il boicottaggio anti-israeliano evapora via

(Post in conflitto di interesse: chi scrive è un felice possessore di apparecchio SodaStream)

Massiccia manifestazione di protesta, qualche giorno fa, nel Regno Unito, nei confronti della israeliana SodaStream, che commercializza il suo fortunato apparecchio per la carbonazione domestica delle bevande in tutto il mondo; Italia compresa. La società israeliana, con sede legale nei pressi dell'aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv, e 13 impianti di produzione in tutto il mondo, è stata al centro dei rumor di borsa qualche mese fa, quando si è vociferato un interesse del colosso statunitense PepsiCo per la maggioranza del capitale. A quanto pare non se n'é fatto più niente, ma le ire dei fanatici del movimento BDS non si sono placate.