Kris L. Doyle è una attivista palestinese. Sul suo profilo Twitter si vanta di «esporre i crimini disumani dell'Israele sionista nei confronti della popolazione palestinese, al fine di mantenere la loro brutale occupazione». Soltanto antisionismo, insomma: l'antisemitismo non c'entra.
Peccato però che il suo profilo sociale sia zeppo di manifestazioni di disprezzo e odio razziale, che con lo Stato di Israele non hanno nulla a che vedere: in una immagine gli ebrei (n.b.: non Israele...) sono raffigurati come serpi diaboliche, in un altra l'ebreo è raffigurato con il classico stereotipo dell'ortodosso con tanto di nasone e lineamenti sgraziati, altrove si minimizza l'Olocausto, o si compiono ripugnanti paralleli fra il nazismo e l'attuale governo di Gerusalemme. Ce n'é abbastanza per vomitare per il disgusto.
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venerdì 3 febbraio 2017
martedì 17 febbraio 2015
Sei un palestinese siriano? non me ne importa niente!
Si apprende da fonti ufficiose che il terrorista che ha seminato morte, feriti e panico a Copenaghen l'altro giorno, fosse sì cittadino danese ma di origini palestinesi. I genitori difatti, peraltro ben integrati nella società civile scandinava, erano originari di un campo profughi in Giordania. Non essendo politicamente corretto additare al pubblico ludibrio i "poveri" palestinesi, i media ufficiali tacciono, non potendo citare lo stereotipo ormai trito del "cane sciolto" o del "lupo solitario", come fatto in altre analoghe drammatiche circostanze.
Strano destino, quello dei profughi palestinesi. Se in qualche modo le loro sorti possono essere ricondotte alle politiche difensive di Israele, lo stato ebraico è collocato sul banco degli imputati, costretto a difendersi per il tentativo quotidiano di evitare una eliminazione certa da parte dei nemici che lo circondano. Se il profugo palestinese è vessato, ostracizzato, malmenato, privati dei diritti più basilari ad opera di dubbie democrazie mediorientali, tutto scivola nell'oblio, nell'omissione e nelle reticenze.
Strano destino, quello dei profughi palestinesi. Se in qualche modo le loro sorti possono essere ricondotte alle politiche difensive di Israele, lo stato ebraico è collocato sul banco degli imputati, costretto a difendersi per il tentativo quotidiano di evitare una eliminazione certa da parte dei nemici che lo circondano. Se il profugo palestinese è vessato, ostracizzato, malmenato, privati dei diritti più basilari ad opera di dubbie democrazie mediorientali, tutto scivola nell'oblio, nell'omissione e nelle reticenze.
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domenica 1 febbraio 2015
Ecco come i terroristi islamici entrano in Italia
di Mike Giglio*
Antakya, Turchia. Alla fine dello scorso anno un esponente dello Stato Islamico ha attraversato il confine siriano, si è installato in una città portuale della Turchia, e lì ha avviato una missione di infiltrazione di jihadisti in Europa. Dice che sta riuscendo nell'impresa, nel corso di un'intervista nei pressi del confine fra Siria e Turchia.
L'esponente, un siriano barbuto sulla trentina, afferma che l'ISIS sta inviando combattenti sotto copertura in Europa. Li fa entrare illegalmente dalla Turchia a gruppetti, nascosti in navi da carico fra centinaia di rifugiati. Afferma che i combattenti intendono porre in pratica le minacce dell'ISIS di attaccare l'Occidente, in rappresaglia per gli attacchi subiti da parte degli Stati Uniti a partire dalla scorsa estate in Iraq, e dall'autunno i Siria: «se qualcuno mi attacca», dichiara a BuzzFeed News in condizioni di anonimato, «può star certo che risponderò all'attacco».
Ancor prima dei bombardamenti aerei i governi occidentali temevano che l'ISIS avrebbe trovato il modo per inflitrare i propri jihadisti attraversi i confini comunitari. L'esponente dell'ISIS intervistato è il primo che discute apertamente con la stampa di questo proposito. Descrive il piano che sfrutta la peggiore crisi umanitaria degli ultimi decenni, che ha disperso 3.8 milioni di profughi in fuga dalla guerra civile in Siria; dei quali, un milione e mezzo hanno trovato ospitalità nella sola Turchia.
Dalle città portuali di Turchia, come Izmir e Mersin, molte migliaia di questi rifugiati si sono imbarcati, in special modo verso l'Italia. Da lì' si dirigono verso stati più ospitali, come Svezia e Germania, rivolgendosi alle autorità locali per ottenere asilo politico: «i terroristi entrano in Europa come rifugiati», abbozza l'esponente dell'ISIS.
giovedì 22 gennaio 2015
Quando la stampa si volta dall'altra parte...
Hasan al-Sari è un ragazzo palestinese di 16 anni. Era, un ragazzo palestinese. Perché è morto: mentre era intento a scavare un tunnel per conto di Hamas, presumibilmente prima di essere travolto dal collasso della galleria improvvisata. Il giovane in passato si è fatto notare per la detenzione e l'ostentazione di armi, sicché era un terrorista a tutti gli effetti. Fosse rimasto vittima di combattimenti con Israele, sarebbe stato rubricato senz'altro come «civile vittima dei sionisti». Ma così non è stato: l'incarico assegnatogli avrebbe contribuito a preparare Hamas per il prossimo inevitabile conflitto con lo stato ebraico, ma per sua sfortuna il destino ha deciso diversamente. Poiché non si trova il modo per attribuire colpe a Gerusalemme, nessun mezzo di informazione ne parla (H/t: Israellycool).
Spostiamoci di qualche qualche centinaio di chilometri. L'Osservatorio Siriano per i Diritti Umani ha documentato ieri oltre duecento attacchi aerei da parte del regime di Damasco sulle città di Reef Dimashq, Aleppo, Quneitra, Der-Ezzor, Idlib e Dar’a. Si denunciano 80 morti, e più di 300 feriti. Una strage di innocenti: l'ennesima, in quasi quattro anni di combattimenti che hanno prodotto fra 130 e 280 mila vittime, a seconda delle fonti. Ancora una volta, non potendo in alcun modo denuciare Israele, la stampa internazionale tace.
Sarebbe troppo chiedere una copertura imparziale e senza omissioni dei fatti che succedono in Medio Oriente?
Spostiamoci di qualche qualche centinaio di chilometri. L'Osservatorio Siriano per i Diritti Umani ha documentato ieri oltre duecento attacchi aerei da parte del regime di Damasco sulle città di Reef Dimashq, Aleppo, Quneitra, Der-Ezzor, Idlib e Dar’a. Si denunciano 80 morti, e più di 300 feriti. Una strage di innocenti: l'ennesima, in quasi quattro anni di combattimenti che hanno prodotto fra 130 e 280 mila vittime, a seconda delle fonti. Ancora una volta, non potendo in alcun modo denuciare Israele, la stampa internazionale tace.
Sarebbe troppo chiedere una copertura imparziale e senza omissioni dei fatti che succedono in Medio Oriente?
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mercoledì 17 dicembre 2014
L'ipocrisia occidentale si abbatte sui bambini
Il massacro di ieri a Peshawar, in Pakistan, dove almeno 126 bambini hanno perso la vita, trucidati da estremisti islamici talebani che li hanno cercati aula per aula, per spezzare il sogno di una vita dignitosa attraverso lo studio; è l'ultimo crimine all'infanzia da parte dell'Islam "radicale"; 'che se esiste un Islam moderato, che si sta mobilitando e scorrendo impetuoso per le strade per dichiarare il proprio sdegno e la propria condanna e dissociazione, è pregato di farsi notare meglio. Drammatiche le testimonianze riportate: «Venivano a cercarci nelle classi». I terroristi, di numero imprecisato ma compreso fra sei e nove "uomini", intendeva così vendicare (sic!) l'assegnazione del premio Nobel per la Pace alla pakistana Malala Yousafzai, rea anch'essa di aver rifiutato l'intransigenza talebana, e la cui frequentazione delle scuole fu punita con un colpo di proiettile alla testa.
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domenica 12 ottobre 2014
Il "genocidio" ignorato dei palestinesi
Il genocidio comincia sempre con il silenzio, è stato scritto da qualche parte, ad opera di gente che evidentemente ha a cuore le sorti di chi soffre inascoltato. Secondo un'organizzazione internazionale, sono oltre 2500 i palestinesi uccisi finora: 2512, per l'esattezza, decimati dall'aviazione e dall'artiglieria di Assad, che prende di mira deliberatamente i campi profughi di Yarmouk, in Siria.
Per essi non ci saranno paginoni a pagamento sul New York Times, non ci saranno denunce alle Nazioni Unite, nessun parlamentare presenterà interpellanze al governo, nessun consigliere regionale o comunale o circoscrizionale si prenderà la briga di prenotare un albergo nel Vicino Oriente per attestare la sua pelosa solidarietà, nessuna ONG di quelle che fanno notizia denuncerà la repressione brutale, nessuno strampalato comico o vignettista raffigurerà il sangue sparso e la tragedia ignorata dei palestinesi di questa terra funestata da una guerra civile che ha prodotto oltre 190.000 morti.
Per essi non ci saranno paginoni a pagamento sul New York Times, non ci saranno denunce alle Nazioni Unite, nessun parlamentare presenterà interpellanze al governo, nessun consigliere regionale o comunale o circoscrizionale si prenderà la briga di prenotare un albergo nel Vicino Oriente per attestare la sua pelosa solidarietà, nessuna ONG di quelle che fanno notizia denuncerà la repressione brutale, nessuno strampalato comico o vignettista raffigurerà il sangue sparso e la tragedia ignorata dei palestinesi di questa terra funestata da una guerra civile che ha prodotto oltre 190.000 morti.
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martedì 10 giugno 2014
Chi si preoccupa più dei palestinesi?
Il povero Abu Mazen è esemplare delle sofferenze patite dai palestinesi. Il 79enne presidente dell'Autorità Palestinese vanta un mandato scaduto da cinque anni e mezzo; ma non può passare il testimone... perché non si tengono elezioni a Ramallah. Qualcuno potrà obiettare che dovrebbe essere egli stesso a convocare i comizi elettorali; ma si rischierebbe di essere accusati di superficialità: così vanno le cose in Medio Oriente. Mica per niente in Israele le elezioni si tengono regolarmente, e giusto oggi ben cinque candidati si contendevano la poltrona appartenuta fino a ieri a Shimon Peres: vogliamo mettere, lo stato ebraico con la democraticissima ANP?
Sarcasmo a parte, spiace dover riconoscere come soltanto siti e blog bollati di filosionismo come questo, si impegnano a descrivere i dolori e le sofferenze del popolo palestinese; al di là delle denunce ridicole che sistematicamente sono smontate e classificate pochi giorni dopo nella categoria "Pallywood".
Sarcasmo a parte, spiace dover riconoscere come soltanto siti e blog bollati di filosionismo come questo, si impegnano a descrivere i dolori e le sofferenze del popolo palestinese; al di là delle denunce ridicole che sistematicamente sono smontate e classificate pochi giorni dopo nella categoria "Pallywood".
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venerdì 9 maggio 2014
Sull'amore degli arabi per i palestinesi
Gli arabi sono storicamente molto più dediti a sabotare in ogni modo e con ogni mezzo Israele; che non a preoccuparsi delle sorti dei "fratelli" palestinesi. Che da decenni vivono in luridi campi profughi in Egitto, in Siria, in Giordania, e nello stesso West Bank: senza cittadinanza, senza diritto, senza possibilità di esercitare diverse professioni, in condizioni penose di dipendenza economica e sudditanza psicologica dei paesi ospitanti. Se non carne da cannone, massa disperata da utilizzare cinicamente contro lo stato ebraico.
Di tanto in tanto si registrano episodi confortanti; ma si tratta di eccezioni alla regola, prontamente stroncate e neutralizzate da chi non è interessato alla normalizzazione. Il mese scorso un professore palestinese, Mohammad Dalani, ha condotto una scolaresca di 27 ragazzi in visita guidata ad Auschwitz. Un'esperienza come sempre toccante, che se da un lato ha aperto gli occhi a questi fortunati giovani palestinesi; dall'altro ha messo in una scomoda posizione il docente: espulso dall'associazione degli insegnanti a causa della sua visita al campo di prigionia in Polonia. Il suo comportamento «contravviene le norme e la politica dell'organizzazione»: un modo elegante per ricordare che non ci si può opporre al boicottaggio accademico e culturale che l'unione degli insegnanti ha sancito.
Di tanto in tanto si registrano episodi confortanti; ma si tratta di eccezioni alla regola, prontamente stroncate e neutralizzate da chi non è interessato alla normalizzazione. Il mese scorso un professore palestinese, Mohammad Dalani, ha condotto una scolaresca di 27 ragazzi in visita guidata ad Auschwitz. Un'esperienza come sempre toccante, che se da un lato ha aperto gli occhi a questi fortunati giovani palestinesi; dall'altro ha messo in una scomoda posizione il docente: espulso dall'associazione degli insegnanti a causa della sua visita al campo di prigionia in Polonia. Il suo comportamento «contravviene le norme e la politica dell'organizzazione»: un modo elegante per ricordare che non ci si può opporre al boicottaggio accademico e culturale che l'unione degli insegnanti ha sancito.
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martedì 11 marzo 2014
È un momentaccio per gli odiatori di Israele
È un momentaccio per gli odiatori di Israele. Non possono accusare lo stato ebraico di torcere un capello ai palestinesi, senza che sia rinfacciato loro l'agghiacciante silenzio di fronte alle 140.000 vittime della guerra civile in Siria; fra cui si stima non meno di 1.600 palestinesi (un'ecatombe, al confronto del centinaio di palestinesi rimasti vittima dell'Operazione Pillar of Defense di fine 2012).
Non possono recitare la vecchia storia dell'"occupazione" israeliana del West Bank, peraltro in alcune aree popolato densamente da ebrei, e oltretutto assegnato al controllo israeliano dagli Accordi di Oslo del 1993; ora che dagli stessi ambienti si legittima una effettiva occupazione militare di una porzione di stato straniero da parte della Russia.
Si rischia di fare brutte figure denunciando un improbabile apartheid in Israele, ora che è definitivamente perso l'appoggio alla "causa palestinese" da parte di rockstar e divi del cinema che - si sa - fanno molta più tendenza di quanto lo possa fare uno sfigato blog come questo. Ma gli odiatori professionali a tempo pieno non si rassegnano: nonostante stiano perdendo rilevanti fonti di informazione, come la famosa Infopal, che curiosamente ha chiuso i battenti per mancanza di fondi in concomitanza con il collasso politico dei Fratelli Musulmani; la disponibilità di mezzi finanziari smisurati da parte dell'ONG multinazionali che contano permette di diffondere ancora un po' di sana diffamazione antisemita.
È il caso di Amnesty International, sempre in prima linea nel denigrare gratuitamente Gerusalemme e dintorni; si sospetta, condizionata dai generosi finanziamenti qatarioti. Per non dimenticarsi del mandato ricevuto, che non limita l'indagine ai 20 mila chilometri quadrati di Israele, di tanto in tanto "Amnesy" ficca timidamente il naso in altre vicende. Così, qualche giorno fa, ha pubblicato un documento di censura nei confronti del regime di Assad, che in Siria ha macellato diecine di civili innocenti, loro malgrado residenti nel campo profughi di Yarmouk. Palese la disparità di trattamento rispetto ai resoconti da Israele (si vede che questo tema eccita in modo particolare gli attivisti della ONG): quando i palestinesi muoiono in Siria, essi sono semplicemente numeri, statistiche, da stilare frettolosamente per dedicarsi immediatamente ad altro; quando sono vittime della inevitabile reazione israeliana agli attacchi palestinesi, hanno un nome e cognome, una storia, una immancabile mamma dolorosa e dolorante, una collezione di foto che potrebbe far schiattare di invidia i più celebrati agenti cinematografici. Insomma, sono umanizzati in modo estremo, e talvolta grottesco; ma sufficiente per orientare il giudizio del lettore, deformando la realtà a proprio piacimento e ovviamente astraendo dal contesto: si omette di rilevare che le vittime palestinesi sono da un lato oggetto di deliberato e brutale assalto; dall'altro il risultato drammatico di una inevitabile reazione che non si manifesterebbe se lo stato ebraico non fosse quotidianamente e impunemente aggredito.
Il blog Elder of Ziyon (questa sì un'ottima fonte informativa) si è cimentato in un istruttivo confronto fra gli ultimi due rapporti partoriti da Amnesty International; con riferimento all'attività israeliana nel West Bank, e ai bombardamenti degli inermi profughi palestinesi da parte dell'aviazione di Assad. Spropositata l'attenzione: malgrado le vittime riportate dalla ONG siano 22 nel primo caso e 194 nel secondo, il primo documento si sviluppa lungo 87 pagine, nelle quali sono riportate 14 foto e non meno di 18 minuziose descrizioni delle vite dei malcapitati; nel secondo caso, nessuna foto, nessuna biografia, e soltanto in una circostanza si è deprecata l'impunità degli autori. Una, contro 14 denunce analoghe contenuto nel documento redatto con riferimento ad Israele, malgrado la foliazione più ridotta. Non manca un video a supporto, mentre contributi filmati non sono disponibili per il rapporto di "condanna" delle quasi 200 vittime palestinesi della efferata repressione di Assad.
È davvero un brutto momento, per gli odiatori di Israele: rimasti in compagnia di militanti talmente parziali da essere completamente privi di credibilità. Così non si fa altro che danneggiare la "causa palestinese".
Non possono recitare la vecchia storia dell'"occupazione" israeliana del West Bank, peraltro in alcune aree popolato densamente da ebrei, e oltretutto assegnato al controllo israeliano dagli Accordi di Oslo del 1993; ora che dagli stessi ambienti si legittima una effettiva occupazione militare di una porzione di stato straniero da parte della Russia.
Si rischia di fare brutte figure denunciando un improbabile apartheid in Israele, ora che è definitivamente perso l'appoggio alla "causa palestinese" da parte di rockstar e divi del cinema che - si sa - fanno molta più tendenza di quanto lo possa fare uno sfigato blog come questo. Ma gli odiatori professionali a tempo pieno non si rassegnano: nonostante stiano perdendo rilevanti fonti di informazione, come la famosa Infopal, che curiosamente ha chiuso i battenti per mancanza di fondi in concomitanza con il collasso politico dei Fratelli Musulmani; la disponibilità di mezzi finanziari smisurati da parte dell'ONG multinazionali che contano permette di diffondere ancora un po' di sana diffamazione antisemita.
È il caso di Amnesty International, sempre in prima linea nel denigrare gratuitamente Gerusalemme e dintorni; si sospetta, condizionata dai generosi finanziamenti qatarioti. Per non dimenticarsi del mandato ricevuto, che non limita l'indagine ai 20 mila chilometri quadrati di Israele, di tanto in tanto "Amnesy" ficca timidamente il naso in altre vicende. Così, qualche giorno fa, ha pubblicato un documento di censura nei confronti del regime di Assad, che in Siria ha macellato diecine di civili innocenti, loro malgrado residenti nel campo profughi di Yarmouk. Palese la disparità di trattamento rispetto ai resoconti da Israele (si vede che questo tema eccita in modo particolare gli attivisti della ONG): quando i palestinesi muoiono in Siria, essi sono semplicemente numeri, statistiche, da stilare frettolosamente per dedicarsi immediatamente ad altro; quando sono vittime della inevitabile reazione israeliana agli attacchi palestinesi, hanno un nome e cognome, una storia, una immancabile mamma dolorosa e dolorante, una collezione di foto che potrebbe far schiattare di invidia i più celebrati agenti cinematografici. Insomma, sono umanizzati in modo estremo, e talvolta grottesco; ma sufficiente per orientare il giudizio del lettore, deformando la realtà a proprio piacimento e ovviamente astraendo dal contesto: si omette di rilevare che le vittime palestinesi sono da un lato oggetto di deliberato e brutale assalto; dall'altro il risultato drammatico di una inevitabile reazione che non si manifesterebbe se lo stato ebraico non fosse quotidianamente e impunemente aggredito.
Il blog Elder of Ziyon (questa sì un'ottima fonte informativa) si è cimentato in un istruttivo confronto fra gli ultimi due rapporti partoriti da Amnesty International; con riferimento all'attività israeliana nel West Bank, e ai bombardamenti degli inermi profughi palestinesi da parte dell'aviazione di Assad. Spropositata l'attenzione: malgrado le vittime riportate dalla ONG siano 22 nel primo caso e 194 nel secondo, il primo documento si sviluppa lungo 87 pagine, nelle quali sono riportate 14 foto e non meno di 18 minuziose descrizioni delle vite dei malcapitati; nel secondo caso, nessuna foto, nessuna biografia, e soltanto in una circostanza si è deprecata l'impunità degli autori. Una, contro 14 denunce analoghe contenuto nel documento redatto con riferimento ad Israele, malgrado la foliazione più ridotta. Non manca un video a supporto, mentre contributi filmati non sono disponibili per il rapporto di "condanna" delle quasi 200 vittime palestinesi della efferata repressione di Assad.
È davvero un brutto momento, per gli odiatori di Israele: rimasti in compagnia di militanti talmente parziali da essere completamente privi di credibilità. Così non si fa altro che danneggiare la "causa palestinese".
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mercoledì 26 febbraio 2014
Palestinesi di serie B
La guerra civile in Siria sta per superare l'agghiacciante primato di tre anni di durata. Varie fonti aggiornano il macabro conteggio delle vittime: compreso fra 100 e 140 mila persone. Un alto esponente delle Nazioni Unite oggi ha riconosciuto che alla fine dell'anno il numero dei profughi siriani, in fuga dagli orrori della guerra, supererà la soglia dei 4 milioni. Oltre nove milioni di siriani necessitano di aiuti umanitari. Eppure, ancora oggi l'UNRWA, la speciale agenzia istituita dall'ONU per gestire e perpetrare l'esistenza dei "profughi" palestinesi, beneficia di un budget annuale ben maggiore. E come se ciò non bastasse a rimarcare l'ipocrisia onusiana, le vittime palestinesi del conflitto oscillano a seconda delle stime fra 660 e 1600 persone; una stima peraltro certamente errata per difetto, dal momento che risale a quasi cinque mesi fa.
Eppure, non una risoluzione di condanna, o quantomeno di censura, o di monito, è uscita dal Palazzo di Vetro. Nessuna flotta è salpata in soccorso o solidarietà del "glorioso popolo palestinese", che deve essersi accorto di contare qualcosa, soltanto quando è scagliato come un corpo morto contro gli israeliani. Nessun premio per la foto dell'anno è stato conferito ai reporter che documentano la tragedia aberrante che si consuma ogni giorno da tre anni in Siria. Luisa Morgantini non ritiene il caso di mobilitarsi per i suoi fratelli palestinesi di serie B, le vignette antisemite vergate da squallidi sciacalli non sono sostituite da effigi che riproducono un Assad sempre più cinicamente assetato di sangue. Direttori d'orchestra non denunciano il genocidio, e non scatta alcun embargo: continueremo a consumare serenamente datteri e frutta esotica made in Syria.
Eppure, non una risoluzione di condanna, o quantomeno di censura, o di monito, è uscita dal Palazzo di Vetro. Nessuna flotta è salpata in soccorso o solidarietà del "glorioso popolo palestinese", che deve essersi accorto di contare qualcosa, soltanto quando è scagliato come un corpo morto contro gli israeliani. Nessun premio per la foto dell'anno è stato conferito ai reporter che documentano la tragedia aberrante che si consuma ogni giorno da tre anni in Siria. Luisa Morgantini non ritiene il caso di mobilitarsi per i suoi fratelli palestinesi di serie B, le vignette antisemite vergate da squallidi sciacalli non sono sostituite da effigi che riproducono un Assad sempre più cinicamente assetato di sangue. Direttori d'orchestra non denunciano il genocidio, e non scatta alcun embargo: continueremo a consumare serenamente datteri e frutta esotica made in Syria.
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mercoledì 12 febbraio 2014
Quel vizietto di manipolare la realtà
La propaganda anti-israeliana spesso è talmente assurda da assumere contorni grotteschi, deformati, ridicoli. Come quando si addossano ai "perfidi ebrei" tutte le possibili nefandezze mondiali: il buco nell'ozono, terremoti e maremoti, AIDS e tumori, sono tutti creati in laboratorio dai soliti sionisti; che non hanno di meglio da fare che attentare alla vita altrui. C'è da dire che non di rado queste accuse risultano logiche e coerenti da parte di menti facilmente manipolabili o comunque particolarmente vulnerabili: come quando si ripropone l'accusa ancestrale di impastare il pane con il sangue dei cristiani.
L'altro giorno MEMRI riportava il caso di un periodico femminile pakistano, in cui si sosteneva la strampalata accusa secondo cui il polio sarebbe una cospirazione ebraica ("Polio: Disease, Or Dangerous Jewish Conspiracy?"). L'articolo evidenzierebbe come le campagne di vaccinazione nei paesi in via di sviluppo, sostenute dalle organizzazioni internazionali, non avrebbero sortito interamente lo scopo perseguito, e ciò indurrebbe a sospettare la cospirazione: «gli ebrei, che aspirano a dominare il mondo, hanno inventato diversi tipi di vaccini e farmaci, e li somministrano al mondo musulmano in modo sistematico per indebolirne i valori spirituali e morali, rendendo il loro corpo contaminato. La vaccinazione antipoliomelite per via orale fa parte di una cospirazione globale, ed esclude solo gli stati sionisti».
L'altro giorno MEMRI riportava il caso di un periodico femminile pakistano, in cui si sosteneva la strampalata accusa secondo cui il polio sarebbe una cospirazione ebraica ("Polio: Disease, Or Dangerous Jewish Conspiracy?"). L'articolo evidenzierebbe come le campagne di vaccinazione nei paesi in via di sviluppo, sostenute dalle organizzazioni internazionali, non avrebbero sortito interamente lo scopo perseguito, e ciò indurrebbe a sospettare la cospirazione: «gli ebrei, che aspirano a dominare il mondo, hanno inventato diversi tipi di vaccini e farmaci, e li somministrano al mondo musulmano in modo sistematico per indebolirne i valori spirituali e morali, rendendo il loro corpo contaminato. La vaccinazione antipoliomelite per via orale fa parte di una cospirazione globale, ed esclude solo gli stati sionisti».
martedì 10 settembre 2013
Obama in Medio Oriente è tenuto in grande considerazione...
Da destra a sinistra:
Obama: «L'impiego di armi chimiche è la nostra linea rossa».
(in seguito) «L'impiego di armi nucleari è la nostra linea rossa».
(in seguito) «L'impiego di armi nucleari è la nostra linea rossa».
Poi uno si spiega perché Israele sia avversato...
...dagli arabi (o perlomeno da una significativa parte di essi); e dagli europei, da sempre innamorati degli arabi, malgrado non siano mai stati egualmente ricambiati. Non solo lo stato ebraico sta accogliendo centinaia di feriti gravemente dalla repressione brutale del regime di Assad in Siria; uomini, donne e bambini che mettono a repentaglio la loro medesima esistenza accettando le cure di uno stato con cui formalmente Damasco è in guerra. Ma Gerusalemme rompe gli indugi e, in prima linea come sempre nelle iniziative umanitarie (basti chiedere ai superstiti dei terremoti di Haiti del 2010, o del terremoto in Turchia nel 2011), ha deciso ieri di inviare alla popolazione siriana 670 tonnellate di generi alimentari, 20 tonnellate di farmaci e 120 tonnellate di altri beni di prima necessità. Per scavalcare l'ostacolo dell'assenza di relazioni diplomatiche, gli aiuti perverranno per il tramite di ONG specializzate: «nessuno chiede il permesso di uccidere. Noi non chiederemo il permesso di salvare vite umane», ha dichiarato al Jerusalem Post il fondatore di questa organizzazione, che annovera oltre 1200 volontari.
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lunedì 2 settembre 2013
Questo è Israele
Alle volte riesce difficile descrivere in poche parole un paese con migliaia di anni di storia alle spalle, in cui si mescolano culture e religioni di cento altri paesi. Alle volte, le descrizioni hanno una valenza positiva: «ecco che cosa è Israele». Ne parlo da sei anni e forse non posso aggiungere molto a quanto già detto in passato. Ma qualche minuto fa, stanca del giudizio degli altri sul mio paese, ho deciso per l'ennesima volta di vincere la pigrizia e di ripetermi. Non è quello Israele. Ecco che cos'é Israele.
Israele non scalpita ansiosamente affinché gli Stati Uniti attacchino la Siria. Ma ci sono dei distinguo Anzitutto, essendo scampati all'Olocausto, conosciamo il pericolo, la rabbia, la realtà aberrante di un mondo che resta a guardare mentre la gente è gassata fino alla morte. Tutti paghiamo in prima persona nell'ignorare questa realtà: e non si tratta soltanto di israeliani, perché quelli che succede in Egitto, in Siria, nello Yemen e in altri posti, alla fine ricade sulla propria pelle. È successo l'11 settembre; ed è successo a Boston, a Londra e a Madrid.
martedì 23 luglio 2013
Ti difendi dagli attacchi? paga la multa!
C'è ancora chi crede che le Nazioni Unite siano state istituite per garantire la pace nel mondo, meglio di quanto sia stato
fatto fino ad allora dalla defunta e poco rimpianta Società delle Nazioni. Fantasie. L'ONU è un organismo, in cui i
cosiddetti "paesi non allineati" (esponenti di primo piano della tolleranza, della democrazia e del rispetto delle libertà individuali
del calibro di Afghanistan, Bielorussia, Cuba Iran, Libia, Pakistan, Arabia Saudita, Sudan, Siria, Venezuela; in rigoroso
ordine alfabetico), oggi maggioranza, impongono un'agenda piuttosto discussa.
Ma non polemizziamo. Il Palazzo di Vetro sforna alacremente risoluzioni o pronunciamenti, che danno lavoro a 5 mila persone; a 50 mila dipendenti, in tutto il mondo. Una bella macchina che crea posti di lavoro; e pazienza se in questa operosa frenetica smania produttiva, finisca di mezzo il solito capro espiatorio: quello stato talmente piccolo - esteso quanto la Puglia - e talmente ostracizzato dagli stati confinanti; che può essere benissimo sacrificato sull'altare del politicamente corretto.
Ma non polemizziamo. Il Palazzo di Vetro sforna alacremente risoluzioni o pronunciamenti, che danno lavoro a 5 mila persone; a 50 mila dipendenti, in tutto il mondo. Una bella macchina che crea posti di lavoro; e pazienza se in questa operosa frenetica smania produttiva, finisca di mezzo il solito capro espiatorio: quello stato talmente piccolo - esteso quanto la Puglia - e talmente ostracizzato dagli stati confinanti; che può essere benissimo sacrificato sull'altare del politicamente corretto.
sabato 29 giugno 2013
Jihad sessuale
di Raymond Ibrahim*
Dai media arabi sono trapelate alcune settimane fa notizie secondo cui una nuova fatwa ha raccomandato alle donne musulmane praticamente di dirigersi in Siria, e offrire i loro servigi sessuali ai militanti del jihad impegnati a combattere il governo secolare di Assad ed instaurare la legge islamica. I resoconti attribuiscono la fatwa allo sceicco saudita Muhammad al-’Arifi il quale, unitamente ad altri religiosi musulmani, ha autorizzato i jihadisti a stuprare le donne siriane.
In questo caso le donne musulmane che si prostituiscono è considerato un legittimo jihad perché queste donne sacrificano la loro castità, la loro dignità allo scopo di consentire ai frustrati jihadisti di meglio combattere per imporre l'islamismo in Siria.
Per la loro prostituzione, esse ricevono un pagamento; seppure, nell'aldilà. Il Corano infatti dichiara «Allah ha acquisito dei credenti i loro corpi e i lori beni; in cambio, essi riceveranno il paradiso. Essi combattono per la sua causa, uccidono e sono uccisi».
Alla luce di questa fatwa, diverse ragazze musulmane tunisine sono state spedite in Siria per immolarsi alla causa. Su Internet campeggiano diverse interviste in video di genitori straziati per il destino delle loro figlie. In una si nota un padre e una madre che impugnano la foto della loro figlia: «ha solo 16 anni! 16 anni! le hanno fatto il lavaggio del cervello», implora il padre.
Di recente, il canale informativo egiziano Masrawy ha pubblicato un'intervista video con "Aisha", una delle ragazze che si sono dedicate al jihad sessuale in Siria; salvo biasimare la sua decisione. Quando era in Tunisia, Aisha rivela di aver conosciuto una donna, che le ha spiegato l'importanza della devozione, che comprende l'indossare il hijab. Ad un certo punto le ha proposto di dirigersi in Siria per aiutare i jihadisti a «combattere e uccidere gli infedeli», rendendo suprema la parola di Allah, aggiungendo che «le donne che perdono la vita lo fanno in nome di Allah, e diventano martiri ed entrano in paradiso» (secondo l'insegnamento islamico dominante, morire nel jihad è l'unico modo per assicurarsi di non finire all'inferno).
Aisha alla fine comprese di essere stata raggirata in nome della religione, e si defilò.
Sebbene la rivelazione che diverse ragazze musulmane in hijab si prostituiscano in nome di Allah possa sorprendere alcuni, i clerici islamici su basi regolari emettono fatawa (plurale di fatwa, NdT) per consentire pratiche che altrimenti sarebbero vietate; questo, per sostenere la causa del jihad. Ad esempio, non solo il terrorista Abdullah Hassan al-Asiri nascose gli esplosivi nel suo ano per assassinare il principe saudita Muhammad bin Nayef, ma, secondo la trasmissione televisiva di Abdullah Al-Khallaf, egli acconsentì a diversi jihadisti di sodomizzarlo per «dilatare» il suo ano, onde poter custodire più esplosivi.
Al-Khallaf lesse questa fatwa che esplicitamente consentiva questa pratica nel 2012 durante una trasmissione su Fadak TV. Dopo aver lodato Allah e precisato che la sodomia è vietata dall'Islam, la fatwa così chiariva: «Tuttavia il jihad viene prima: è la bandiera dell'Islam, e se per difendere la bandiera è necessario praticare la sodomia, allora non c'è nulla di sbagliato nel farlo. La regola generale della giurisprudenza islamica sostiene che "la necessità rende praticabile quello che altrimenti è proibito". E se la cogenza può essere conseguita soltanto mediante esercizio dell'altrimenti proibito, allora diventa obbligatorio esercitarlo. Non esiste dovere più supremo del jihad. Dopo che sarai sodomizzato, potrai chiedere ad Allah il suo perdono, e osannalo più che puoi. E ricorda che Allah ricompenserà i jihadisti il giorno della resurrezione, in funzione delle loro intenzioni. E la tua intenzione, con il volere di Allah, è la vittoria dell'Islam».
Per quanto bizzarre possano apparire queste "fatawa sessuali", esse sottolineano due aspetti importanti; sebbene trascurati nel mondo occidentale. Anzitutto, il jihad è l'elemento supremo dell'Islam: è esso a rendere l'Islam supremo. In secondo luogo, il principio secondo cui "la necessità consente il divieto". Poiché rendere l'Islam supremo mediante il jihad è la priorità massima, tutto quello che è altrimenti vietato diventa consentito. Tutto quello che alla fine conta è la propria intenzione.
Per quanto concerne l'intersezione fra sesso e violenza, una volta è stato discusso in una trasmissione su un canale satellitare chiamata "Domande audaci", che manda in onda diversi filmati di giovani jihadisti che cantano ossessivamente la loro imminente morte, che consentirà loro l'accesso lussuriosi al paradiso. Dopo aver mostrato diversi aneddoti che evidenziano l'ossessione dei jihadisti per il sesso, l'attivista per i diritti umani egiziano Magdi Khalil ha concluso che «assolutamente tutto in paradiso ruota attorno al sesso», aggiungendo che «se si osserva tutta la storia islamica, si perviene a due parole: sesso e violenza».
Difatti, il profeta Maometto sosteneva che la morte procurata con il martirio non solo ripulisce da tutti i peccati (inclusi quelli sessuali); ma alla fine è gratificata: «Il martire è speciale per Allah. Egli è perdonato per tutti i peccati sin dalla prima goccia di sangue che versa. Scorge il suo trono in paradiso, dove sarà adornato con ornamenti di fede. Si sposerà con le "Aynhour" (vergini voluttuose, NdR), e non conoscerà i tormenti della morte, ponendosi al riparo dal più grande dei terrori (l'inferno, NdR). E si accoppierà con 72 vergini» (The Al Qaeda Reader, p. 143).
Questo ci conduce ad una delle tante apparenti contraddizioni dell'Islam: le donne musulmane devono essere pudicamente coperte dalla testa ai piedi, ma quando servono il jihad, si possono prostituire. E' proibito mentire, ma è consentito se serve a potenziare l'Islam. Uccidere intenzionalmente donne e bambini è vietato, ma permesso se si pratica il jihad. Il suicido è deplorato, ma permesso nel jihad, e in questo caso si chiama "martirio".
* Fonte.
Dai media arabi sono trapelate alcune settimane fa notizie secondo cui una nuova fatwa ha raccomandato alle donne musulmane praticamente di dirigersi in Siria, e offrire i loro servigi sessuali ai militanti del jihad impegnati a combattere il governo secolare di Assad ed instaurare la legge islamica. I resoconti attribuiscono la fatwa allo sceicco saudita Muhammad al-’Arifi il quale, unitamente ad altri religiosi musulmani, ha autorizzato i jihadisti a stuprare le donne siriane.
In questo caso le donne musulmane che si prostituiscono è considerato un legittimo jihad perché queste donne sacrificano la loro castità, la loro dignità allo scopo di consentire ai frustrati jihadisti di meglio combattere per imporre l'islamismo in Siria.
Per la loro prostituzione, esse ricevono un pagamento; seppure, nell'aldilà. Il Corano infatti dichiara «Allah ha acquisito dei credenti i loro corpi e i lori beni; in cambio, essi riceveranno il paradiso. Essi combattono per la sua causa, uccidono e sono uccisi».
Alla luce di questa fatwa, diverse ragazze musulmane tunisine sono state spedite in Siria per immolarsi alla causa. Su Internet campeggiano diverse interviste in video di genitori straziati per il destino delle loro figlie. In una si nota un padre e una madre che impugnano la foto della loro figlia: «ha solo 16 anni! 16 anni! le hanno fatto il lavaggio del cervello», implora il padre.
Di recente, il canale informativo egiziano Masrawy ha pubblicato un'intervista video con "Aisha", una delle ragazze che si sono dedicate al jihad sessuale in Siria; salvo biasimare la sua decisione. Quando era in Tunisia, Aisha rivela di aver conosciuto una donna, che le ha spiegato l'importanza della devozione, che comprende l'indossare il hijab. Ad un certo punto le ha proposto di dirigersi in Siria per aiutare i jihadisti a «combattere e uccidere gli infedeli», rendendo suprema la parola di Allah, aggiungendo che «le donne che perdono la vita lo fanno in nome di Allah, e diventano martiri ed entrano in paradiso» (secondo l'insegnamento islamico dominante, morire nel jihad è l'unico modo per assicurarsi di non finire all'inferno).
Aisha alla fine comprese di essere stata raggirata in nome della religione, e si defilò.
Sebbene la rivelazione che diverse ragazze musulmane in hijab si prostituiscano in nome di Allah possa sorprendere alcuni, i clerici islamici su basi regolari emettono fatawa (plurale di fatwa, NdT) per consentire pratiche che altrimenti sarebbero vietate; questo, per sostenere la causa del jihad. Ad esempio, non solo il terrorista Abdullah Hassan al-Asiri nascose gli esplosivi nel suo ano per assassinare il principe saudita Muhammad bin Nayef, ma, secondo la trasmissione televisiva di Abdullah Al-Khallaf, egli acconsentì a diversi jihadisti di sodomizzarlo per «dilatare» il suo ano, onde poter custodire più esplosivi.
Al-Khallaf lesse questa fatwa che esplicitamente consentiva questa pratica nel 2012 durante una trasmissione su Fadak TV. Dopo aver lodato Allah e precisato che la sodomia è vietata dall'Islam, la fatwa così chiariva: «Tuttavia il jihad viene prima: è la bandiera dell'Islam, e se per difendere la bandiera è necessario praticare la sodomia, allora non c'è nulla di sbagliato nel farlo. La regola generale della giurisprudenza islamica sostiene che "la necessità rende praticabile quello che altrimenti è proibito". E se la cogenza può essere conseguita soltanto mediante esercizio dell'altrimenti proibito, allora diventa obbligatorio esercitarlo. Non esiste dovere più supremo del jihad. Dopo che sarai sodomizzato, potrai chiedere ad Allah il suo perdono, e osannalo più che puoi. E ricorda che Allah ricompenserà i jihadisti il giorno della resurrezione, in funzione delle loro intenzioni. E la tua intenzione, con il volere di Allah, è la vittoria dell'Islam».
Per quanto bizzarre possano apparire queste "fatawa sessuali", esse sottolineano due aspetti importanti; sebbene trascurati nel mondo occidentale. Anzitutto, il jihad è l'elemento supremo dell'Islam: è esso a rendere l'Islam supremo. In secondo luogo, il principio secondo cui "la necessità consente il divieto". Poiché rendere l'Islam supremo mediante il jihad è la priorità massima, tutto quello che è altrimenti vietato diventa consentito. Tutto quello che alla fine conta è la propria intenzione.
Per quanto concerne l'intersezione fra sesso e violenza, una volta è stato discusso in una trasmissione su un canale satellitare chiamata "Domande audaci", che manda in onda diversi filmati di giovani jihadisti che cantano ossessivamente la loro imminente morte, che consentirà loro l'accesso lussuriosi al paradiso. Dopo aver mostrato diversi aneddoti che evidenziano l'ossessione dei jihadisti per il sesso, l'attivista per i diritti umani egiziano Magdi Khalil ha concluso che «assolutamente tutto in paradiso ruota attorno al sesso», aggiungendo che «se si osserva tutta la storia islamica, si perviene a due parole: sesso e violenza».
Difatti, il profeta Maometto sosteneva che la morte procurata con il martirio non solo ripulisce da tutti i peccati (inclusi quelli sessuali); ma alla fine è gratificata: «Il martire è speciale per Allah. Egli è perdonato per tutti i peccati sin dalla prima goccia di sangue che versa. Scorge il suo trono in paradiso, dove sarà adornato con ornamenti di fede. Si sposerà con le "Aynhour" (vergini voluttuose, NdR), e non conoscerà i tormenti della morte, ponendosi al riparo dal più grande dei terrori (l'inferno, NdR). E si accoppierà con 72 vergini» (The Al Qaeda Reader, p. 143).
Questo ci conduce ad una delle tante apparenti contraddizioni dell'Islam: le donne musulmane devono essere pudicamente coperte dalla testa ai piedi, ma quando servono il jihad, si possono prostituire. E' proibito mentire, ma è consentito se serve a potenziare l'Islam. Uccidere intenzionalmente donne e bambini è vietato, ma permesso se si pratica il jihad. Il suicido è deplorato, ma permesso nel jihad, e in questo caso si chiama "martirio".
* Fonte.
giovedì 27 giugno 2013
Israele risponde all'emergenza umanitaria in Siria. E il resto del mondo?
Il Syrian Observatory for Human Rights (SOHR), ONG per i diritti umani, denuncia un traguardo a dire poco deprimente: dall'inizio della guerra civile in Siria, il 18 marzo di due anni fa, i morti hanno raggiunto la macabra cifra di 100.000 persone. Le vittime includono 36.661 civili, di cui 5.144 bambini. Interminabile il conteggio di feriti, dispersi, e profughi (non meno di un milione. Non così fortunati da poter millantare una remota discendenza "palestinese" del 1948: per quelli l'ONU prevede un'agenzia apposita, con sontuoso budget...).
La comunità internazionale resta a guardare. Non capisce bene le cause e i motivi di questo drammatico conflitto. Scorge i "cattivi" da una parte, e i "cattivissimi" dall'altra, e preferisce occuparsi d'altro; ben assecondata in questa dai media, che preferiscono celebrare il vincitore di Arab Idol che documentare il genocidio siriano. D'altro canto, dopo decenni in cui è stato riferito loro che le cause di tutti i guai del Medio Oriente è il conflitto arabo-israeliano, un pizzico di confusione e smarrimento è immaginabile.
La comunità internazionale resta a guardare. Non capisce bene le cause e i motivi di questo drammatico conflitto. Scorge i "cattivi" da una parte, e i "cattivissimi" dall'altra, e preferisce occuparsi d'altro; ben assecondata in questa dai media, che preferiscono celebrare il vincitore di Arab Idol che documentare il genocidio siriano. D'altro canto, dopo decenni in cui è stato riferito loro che le cause di tutti i guai del Medio Oriente è il conflitto arabo-israeliano, un pizzico di confusione e smarrimento è immaginabile.
mercoledì 8 maggio 2013
Arabi che ammazzano altri arabi: non fa notizia

domenica 5 maggio 2013
Il calcolo cinico di Assad
A quanto pare, dopo 70.000 morti, fra cui diverse migliaia di bambini (non dimentichiamolo), il mondo si sta svegliando dal torpore. Non si capisce perché, ma se quella gente è uccisa a colpi di pistola in faccia, con i bombardamenti aerei, o scaraventata nei burroni, non tocca le coscienze; ma se si impiegano i gas o comunque le armi chimiche, la famosa "linea rossa" di Obama risulta superata. E si interviene per fermare il massacro.
Il Macellaio di Damasco non intende arrendersi. E, sinceramente, il mondo non desidera un nuovo regime integralista islamico in Medio Oriente dopo quelli insediatisi in Tunisia, in Egitto, in Libia, e - si teme - in futuro forse anche in Giordania.
Sta di fatto che per portare avanti il suo genocidio, Assad si sta facendo inviare armi dall'alleato iraniano; unico rimastogli (a parte i fascisti italiani di Forza Nuova; ma quelli, più che simpatizzare per il povero Arrigoni, non fanno). Sono armi a medio raggio, capaci di coprire 300 chilometri. Praticamente, di sorvolare Israele da nord a sud. Così, da Teheran le armi atterrano in Siria, e da qui partono verso il Libano, destinazione Hezbollah. Ora, a nessuno farebbe piacere avere alle porte di casa un movimento terroristico che non esita a finanziarsi con il contrabbando di droga (vietato dal Corano); men che meno al governo di Gerusalemme, dal momento che Haifa, importante centro industriale sul Mediterraneo, dista appena 30 chilometri dal confine libanese: dove il contingente internazionale UNIFIL dovrebbe proprio sorvegliare affinché Hezbollah non si riarmi, in ossequio alla Risoluzione del CS dell'ONU 1701 del 2006 (altri soldi buttati...).
Israele e l’enigma siriano
Più volte il governo di Gerusalemme, per voce di alcuni funzionari del ministero della difesa o degli esteri, aveva avvertito, sia direttamente sia tramite i canali internazionali, che non sarebbero stati tollerati spostamenti di armi strategiche come quelle chimiche in dotazione all’esercito siriano o di missili a lunga gittata di fabbricazione iraniana nelle mani della milizia sciita Hetzbollah. Già nei mesi scorsi l’aeronautica militare israeliana aveva colpito, alla periferia di Damasco, il centro di ricerche per la guerra chimica dell’esercito siriano. Si trattò comunque di un’azione mirata e di basso profilo, più che un vero e proprio atto di guerra un serio avvertimento, niente a che vedere con quello che sta succedendo in queste ore. Ultimamente c’erano stati diversi cambiamenti ai confini fra la Siria e lo Stato ebraico, e questo non era certamente sfuggito agli esperti e agli osservatori internazionali. La prima avvisaglia si era avuta nei giorni scorsi con l’improvviso spostamento e schieramento di tre delle cinque batterie antimissile “Iron Dome”, le stesse che difesero il sud di Israele durante l’operazione “Colonna di nuvola”. Inizialmente si era pensato, o meglio si era voluto far credere, che l’azione fosse legata a delle non meglio precisate esercitazioni che avrebbero dovuto interessare reparti della brigata del Golan, alcuni squadroni di mezzi corazzati e decine di riservisti richiamati proprio per aggiornamento e addestramento, ma le ultime notizie che arrivano dai canali internazionali, e che stranamente vengono confermate nel giro di poche ore, hanno completamente cambiato le carte in tavola mettendo in luce il fatto che Israele segue gli eventi siriani come la massima attenzione e quando lo ritiene necessario interviene.
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