Visualizzazione post con etichetta Guerra dei sei giorni. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Guerra dei sei giorni. Mostra tutti i post
lunedì 14 settembre 2015
Davvero gli insediamenti israeliani sono un ostacolo alla pace?
di Alan Dershowitz*
Davvero la politica israeliana finalizzata alla costruzione di edifici ad uso residenziale in un'area nota come West Bank, è il motivo principale per cui non si raggiunge una pace definitiva fra Gerusalemme e palestinesi? la risposta a questa domanda, nonostante tutto il clamore sollevato a proposito dei cosiddetti "insediamenti" è: NO. Gli insediamenti israeliani nel West Bank non sono il principale ostacolo ad un accordo di pace. Il collocare la questione in un contesto storico lo chiarirà appieno.
Per due decenni prima del giugno 1967, il West Bank - inclusa parte di Gerusalemme - è ricaduto sotto il controllo della Giordania. Durante questo arco di tempo, durante il quale Israele non ha detenuto alcun insediamento, si sono consumati diversi attentati terroristici contro lo stato nazione del popolo ebraico. In altre parole, i palestinesi hanno compiuto attacchi terroristici nei confronti di Israele, quando non esisteva alcun insediamento; e hanno continuato su questa strada, quando ci sono stati gli insediamenti. Se domani Israele si ritirasse da tutti gli insediamenti nel West Bank, è molto improbabile che le cose cambierebbero. Infatti, se la storia è maestra, il terrorismo ai danni di Israele aumenterebbe.
Etichette:
Guerra dei sei giorni,
insediamenti,
pace
mercoledì 3 giugno 2015
Quel giorno in cui il Muro Occidentale fu liberato
Ricorre il 48° anniversario della liberazione di Gerusalemme Est, occupata illegalmente dall'esercito giordano nel 1948, e ricollegata alla capitale israeliana con la Guerra dei Sei Giorni del 1967.
Quella che segue è la testimonianza del capitano Yoram Zamosh, comandante di compagnia nel 71° Battaglione Paracadutisti di Israele, resa con l'intervista raccolta nel libro ""The Lion's Gate: On the Front Lines of the Six Day War".
Il 7 giugno 1967, terzo giorno del conflitto, Zamosh combatte una battaglia che avrebbe ridisegnato il Medio Oriente dei tempi moderni. Dopo tre giorni di combattimenti a Gerusalemme Est e Ovest, Zamosh è fra i primi soldati a raggiungere il Muro Occidentale: ciò che resta del Secondo Tempio di Gerusalemme.
La sua testimonianza fa luce sul sentimento che lega molti israeliani alla loro antica capitale, si sofferma sul concetto di "confini del 1967", rivendicati dal futuro stato palestinese, e discute delle modalità con cui si potrà conseguire una pace definitiva, se e quando finalmente arriverà.
Quando noi della "Compagnia A" attraversammo la Porta del Leon la mattina del 7 giugno, l'obiettivo principale era quello di raggiungere il Muro Occidentale, malgrado il fuoco incessante e il pericolo dei cecchini nemici. Nel frattempo ci raggiunse Moshe Stempel, mio caro amico e vicecomandante della brigata.
Insieme avevamo ripulito il Monte del Tempio, e avevamo attraversato la Porta dei Marocchini. Eravamo a pochi passi dal Muro, ma non ne avevamo ancora acquisito il possesso.
Stempel mi ordinò di inviare laggiù uno dei miei uomini, mentre gli altri lo avrebbero seguito sopra, alla ricerca di un punto sul Muro ove issare la bandiera che custodivamo scrupolosamente da giorni.
Scelsi un giovane sergente, dal nome di Dov Gruner.
Una volta un giornalista chiese a Moshe Stempel: «perché hai scelto Dov Gruner come primo a dirigersi al Muro?»
Etichette:
Gerusalemme,
Guerra dei sei giorni
lunedì 30 settembre 2013
Facce da coloni
La Guerra dei Sei Giorni, mossa da Egitto, Siria e Giordania nei confronti di Israele nel 1967, si è conclusa il 10 giugno di quell'anno con la riunificazione della capitale Gerusalemme, occupata dalle truppe giordane nel 1948, e con la conquista della penisola del Sinai, poi riconsegnata all'Egitto dopo sottoscrizione di trattato di pace del 1979, e delle Alture del Golan, annesse due anni dopo. Quanto ai territori di Giudea e Samaria, strappati alla Giordania che li aveva occupati nel 1949, e noti anche come West Bank per la circostanza di occupare la parte occidentale del fiume Giordano, essi non hanno mai guadagnato un pieno stato giuridico, dopo la formalizzazione posta in essere dalla Conferenza di Sanremo del 1920 che assegnò queste terre, provenienti dal disfacimento dell'impero ottomano, alla locale popolazione ebraica.
Il tentativo di Gerusalemme di dirimere da subito questa controversia - famosa la dichiarazione di Moshe Dayan, allora ministro della Difesa, che attendeva invano "un colpo di telefono" da parte dei leader arabi - ha sempre trovato il deciso rifiuto degli stati arabi; a partire dai famosi "tre no di Karthoum", dal nome della città dove si tennero gli incontri degli stati arabi belligeranti fra agosto e settembre 1967: no alla pace con Israele, no al riconoscimento di Israele, no a negoziazioni con Israele. La pace era una opzione non presa in considerazione; e quando l'Egitto coraggiosamente (ma inevitabilmente, dopo la disfatta della guerra dello Yom Kippur del 1973) abbandonò le armi, fu punito con l'espulsione dalla Lega Araba. Lo stato di guerra permanente nei confronti di uno stato grande quanto la Puglia è un'opzione inevitabile per regimi antidemocratici, illiberali e spesso brutali e spietati nei confonti della propria popolazione.
Il tentativo di Gerusalemme di dirimere da subito questa controversia - famosa la dichiarazione di Moshe Dayan, allora ministro della Difesa, che attendeva invano "un colpo di telefono" da parte dei leader arabi - ha sempre trovato il deciso rifiuto degli stati arabi; a partire dai famosi "tre no di Karthoum", dal nome della città dove si tennero gli incontri degli stati arabi belligeranti fra agosto e settembre 1967: no alla pace con Israele, no al riconoscimento di Israele, no a negoziazioni con Israele. La pace era una opzione non presa in considerazione; e quando l'Egitto coraggiosamente (ma inevitabilmente, dopo la disfatta della guerra dello Yom Kippur del 1973) abbandonò le armi, fu punito con l'espulsione dalla Lega Araba. Lo stato di guerra permanente nei confronti di uno stato grande quanto la Puglia è un'opzione inevitabile per regimi antidemocratici, illiberali e spesso brutali e spietati nei confonti della propria popolazione.
Etichette:
1967,
Ariel,
Gaza,
Guerra dei sei giorni,
insediamenti,
sgombero,
territori occupati,
West Bank
domenica 26 maggio 2013
Chi non vuol la pace in Medio Oriente?
Ciò che per Manlio Di Stefano, pittoresto deputato del partito "Movimento Cinque Stelle" è intollerabile, è che il governo di Gerusalemme abbia organizzato il calcio d'inizio dei Campionati Europei di Calcio Under 21 nello stato ebraico, proprio il 5 giugno 2013: è la ricorrenza della famosa Guerra dei Sei Giorni, che lo stato ebraico combatté contro gli stati di Egitto, Siria e Giordania, che si accingevano a scatenare una massiccia offensiva che avrebbe quasi certamente decretato la scomparsa di Israele. Come si ricorderà, dal 5 al 10 giugno 1967 la reazione difensiva nei confronti dei vicini stati arabi portò sotto il controllo di Israele le Alture del Golan, il Sinai e la Striscia di Gaza; questi ultimi (ri)consegnati rispettivamente ad egiziani e palestinesi, in cambio di un traballante trattato di pace e di una belligeranza pressoché quotidiana. Ma fa sorridere la sorridere per la beata ignoranza l'interrogazione del deputato grillino, che invoca da parte del nostro governo una presa di posizione in concomitanza con un evento che, possiamo immaginare, avrà ribalta mediatica tale da mettere in ombra le assurde rivendicazioni degli antisionisti. Triste rilevare come un partito che goda dei consensi di 1/4 degli italiani, finisca per allinearsi alle posizioni integraliste degli estremisti islamici e del terrorismo. Condivisibile a tal riguardo la denuncia di Rights Reporter.
Etichette:
Guerra dei sei giorni,
M5S,
pace,
sport
mercoledì 10 ottobre 2012
I pericoli per gli ebrei in visita al Monte del Tempio
Un non ebreo farà sempre fatica a capire perché il Monte del Tempio, luogo sacro per eccellenza della religione ebraica, sia affidato alle cure del WAQF, sorta di fondazione islamica il cui compito fondamentale è quello di amministrare e gestire la moschea di Al Aqsa nella città vecchia di Gerusalemme. Dopo la Guerra dei Sei Giorni del 1967 che finalmente ricongiunse la parte orientale della città a quella occidentale, ponendo termine a 19 anni di occupazione giordana, il governo israeliano acconsentì che il WAQF conservasse questa sorta di antica giurisdizione sui luoghi sacri dell'Islam; che finiscono per combaciare con i luoghi sacri dell'ebraismo.
Il fatto è che le "autorità" sono assolutamente intransigenti. Così, non solo è vietato agli ebrei pregare; ma anche soltanto chiudere gli occhi, raccogliendosi in meditazione; o, a discrezione delle guardie, semplicemente restare immobili davanti al Muro Occidentale (cioé che resta dell'antico Tempio di Gerusalemme). La reazione può essere dura e il WAQF ha l'autorità di denunciare i contravventori alla polizia municipale, che a sua volta è costretta a prendere formali provvedimenti.
Queste immagini sono state rese note da Israel National News, e testimoniano il maltrattamenti subiti da un ebreo, in visita sul Monte del Tempio, ad opera di un soggetto riconducibile al WAQF. Il video è stato girato da in occasione della festività del Sukkot, celebrata sin dalla distruzione del Secondo Tempio di Gerusalemme nel 70 d.C.
Il gruppetto di fedeli è stato scortato a distanza ravvicinata da una pattuglia di quattro poliziotti, e due agenti del WAQF. Alla fine del pellegrinaggio, il gruppo è stato affrontato con crescente aggressività da uno di questi due agenti, che ha sferrato calpi e pugni all'indirizzo dei malcapitati. La piccola comitiva è stata di lì a breve circondata da altri arabi, con intenti tutt'altro che amichevoli.
La polizia locale, come in altre circostanze simili, è apparsa debole e balbettante rispetto all'aggressione, alle minacce subite e alle intimidazioni; limitandosi a portare fortunosamente in salvo i malcapitati. Simili episodi qui sono all'ordine del giorno, risultano tollerati dalle autorità, e prima di tutto trascurati dal governo; in ossequio ad una concessione che è stata accolta in termini decisamente più estensivi del ragionevole.
Il fatto è che le "autorità" sono assolutamente intransigenti. Così, non solo è vietato agli ebrei pregare; ma anche soltanto chiudere gli occhi, raccogliendosi in meditazione; o, a discrezione delle guardie, semplicemente restare immobili davanti al Muro Occidentale (cioé che resta dell'antico Tempio di Gerusalemme). La reazione può essere dura e il WAQF ha l'autorità di denunciare i contravventori alla polizia municipale, che a sua volta è costretta a prendere formali provvedimenti.
Il gruppetto di fedeli è stato scortato a distanza ravvicinata da una pattuglia di quattro poliziotti, e due agenti del WAQF. Alla fine del pellegrinaggio, il gruppo è stato affrontato con crescente aggressività da uno di questi due agenti, che ha sferrato calpi e pugni all'indirizzo dei malcapitati. La piccola comitiva è stata di lì a breve circondata da altri arabi, con intenti tutt'altro che amichevoli.
La polizia locale, come in altre circostanze simili, è apparsa debole e balbettante rispetto all'aggressione, alle minacce subite e alle intimidazioni; limitandosi a portare fortunosamente in salvo i malcapitati. Simili episodi qui sono all'ordine del giorno, risultano tollerati dalle autorità, e prima di tutto trascurati dal governo; in ossequio ad una concessione che è stata accolta in termini decisamente più estensivi del ragionevole.
Etichette:
Gerusalemme,
Guerra dei sei giorni,
Monte del Tempio,
Muro Occidentale,
Secondo Tempio,
WAQF
mercoledì 13 giugno 2012
Le priorità dell'Europa in Medio Oriente

Per esempio, qual è il problema più grave in Medio-Oriente?
fino ad un anno e mezzo fa, molti avrebbero risposto, con lo stesso automatismo con cui blaterano i pappagalli, "il conflitto arabo-israeliano". Risolvete quel conflitto, era l'argomentazione - a volta in buona fede, spesso no - e il Medio Oriente vedrà ridurre la tensione che lo affligge. La "primavera araba" si è manifestata in diverse forme e con differenti intensità. Ma in Tunisia, in Libia, in Egitto, nel Bahrein e nello Yemen, bisogna dirlo, è apparso subito evidente che gli israeliani non c'entravano proprio nulla.
Qual è oggi il problema principale in Medio Oriente? vediamo, ce ne sono tanti:
- un dittatore in Siria che ha ammazzato quasi 16 mila connazionali (per la verità di etnia diversa dalla minoranza shiita-alawita che regna a Damasco), con il supporto finanziario e le armi della Russia? no.
- Un ciclo di elezioni in Egitto che finalmente sta giungendo ad epilogo, con una maggioranza parlamentare schiacciante in mano ai fondamentalisti islamici, assistiti da "ultra-fondamentalisti", e con un probabilissimo presidente iscritto alla "loggia" dei Fratelli Musulmani? nemmeno.
- Una sanguinosa guerra civile in Libia, con tanto di regolamento di conti fra bande rivali? macché.
- Un autunno islamico in Tunisia, dove gradualmente si sta imponendo la shaaria? figuriamoci...
- Un Libano lacerato da una presenza non più simbolica ma anche formale di Hezbollah, il "partito di Dio" finanziato dall'Iran, presente ora nel governo dopo le dimissioni di Hariri, resesi necessarie dopo che il Tribunale Speciale per il Libano, istituito dall'ONU, sta per rivelare la responsabilità di Hezbollah nell'assassinio del padre di Hariri, a sua volta primo ministro? troppo poco...
- Un Iran che procede a passo spedito verso la bomba atomica, al punto da aver aperto una terza centrale, sotterranea, dove le centrifughe lavorano a pieno ritmo, mentre in superficie i delegati ONU brancolano nel buio? e che sarà mai...
Il problema più urgente, in Medio Oriente, è l'espansione delle comunità ebraiche in Giudea e Samaria. Prima che qualcuno chiami il servizio di sanità mentale, sappiate che a pronunciare questa affermazione è stata nientepopodimeno che "Alto rappresentante per gli affari esteri dell'Unione europea", baronessa Catherine Ashton. Lo smantellamento degli insediamenti ebraici nei territori conquistati da Israele dopo la Guerra dei Sei Giorni del 1967, e mai restituiti per il rifiuto da parte araba di avviare negoziati finalizzati ad una pace - come fatto in altri tempi, e con successo, con Egitto e Giordania - e la riunificazione di Gerusalemme, occupata nei quartieri orientali dall'esercito giordano nel 1948, e liberata 19 anni dopo; sono queste le priorità fondamentali dell'Unione Europea, afferma la ministra degli Esteri.
Che dire... speriamo solo che sia abbastanza nobile e benestante da non aver bisogno di ritirare il gettone di presenza...
Etichette:
Ashton,
bomba atomica,
Fratelli musulmani,
Guerra dei sei giorni,
insediamenti,
Iran,
Medio Oriente,
primavera araba,
Siria
giovedì 31 maggio 2012
Spiragli di pace fra Israele e palestinesi
L'economia israeliana è fra le più vivaci e dinamiche al mondo. Nonostante la costante minaccia proveniente dagli stati confinanti, e pur priva di materie prime, l'eccellenza nella tecnologia e nel settore medico hanno consentito negli ultimi anni una vistosa espansione del prodotto interno lordo e una costante crescita del reddito delle famiglie; 1/5 delle quali sono arabe.
Altri arabi stanno ora beneficiando di questo boom economico (dall'inizio della Grande Recessione Israele è l'unico stato al mondo che ha visto migliorare il proprio merito di credito - rating - ad opera di Standard&Poor's). Le relazioni politiche fra Israele e West Bank sono ancora complicate dalla scarsa volontà da parte palestinese di sedersi al famoso tavolo delle trattative per il mutuo e pacifico riconoscimento. Ma ciò non sta impedendo il fiorire di relazioni commerciali. Certo, i volumi dell'interscambio sono ancora modesti: 4.3 miliardi di dollari nel 2011, in buona misura esportazioni israeliane. Ma la crescita economica dello stato ebraico ha consentito all'economia dell'Autorità Palestinese di aumentare le proprie "esportazioni" del 18%.
E nel frattempo si tengono iniziative bilaterali di scambi culturali, prima ancora che commerciali. Il Jerusalem Post rende nota una recente conferenza tenutasi nel Negev, che ha visto la presenza di uomini di affari sia israeliani che palestinesi. L'incontro è culminato con una competizione - questa volta, amichevole - fra studenti universitari arabi ed ebrei.
Il governo unitario palestinese è ancora lungi dal realizzarsi, malgrado le promesse roboanti di un anno fa. Nel frattempo il governo unitario israeliano viaggia a pieni giri, e partorisce proposte che non si esita a definire clamorose. Ieri il ministro della Difesa Barak ha dichiarato che non è da escludersi la possibilità che Israele si ritiri unilateralmente dai territori contesi, ottenuti dopo la Guerra dei Sei Giorni del 1967. I negoziati fra le parti, auspicati dagli Accordi di Oslo che hanno originato l'Autorità nazionale palestinese tardano a manifestarsi, malgrado i ripetuti inviti in tal senso di Gerusalemme. Israele ha sempre restituito i territori occupati in seguito ai conflitti in cambio di pace: così ha fatto con l'Egitto, a cui restituiì il Sinai, e altrettanto ha fatto con la Giordania. Il disimpegno dal Libano e più avanti quello dalla Striscia di Gaza è stato invece unilaterale, e ha prodotto il terrorismo di Hezbollah a nord e di Hamas a sud. La prospettiva di liberare l'1.5% di territorio palestinese nel West Bank ancora occupato viene salutata con un misto di stupore e approvazione, ma c'è il concreto timore che ciò possa nuocere ancora una volta ai civili.
Nel frattempo, un'altra concreta iniziativa a favore della distensione, sempre purtroppo proveniente da Israele (e dire che ci vorrebbe ben poco dall'altra parte: ma Abu Mazen è impegnato ad usare il pugno di ferro contro i rivali di Hamas e contro la stessa opposizione interna ad Al Fatah...): il governo di Gerusalemme si è impegnato a restituire alle rispettive famiglie i corpi di 91 terroristi palestinesi, rimasti vittima di attentati da essi stessi scagliati nelle città israeliane. Fra questi, ci sono l'attentatore che uccise 18 persone ad una fermata d'autobus a Gerusalemme, l'autore di un attentato simile a Be'er Sheva (16 morti) e l'autore dell'attentato al Café Hillel di Gerusalemme (sei morti). Si spera che la restituzione dei corpi non sia seguita da deplorevoli episodi di celebrazione e di onoranza. Spesso in passato a questi criminali sono state intitolate strade e piazze. Speriamo che si volti pagina.
Altri arabi stanno ora beneficiando di questo boom economico (dall'inizio della Grande Recessione Israele è l'unico stato al mondo che ha visto migliorare il proprio merito di credito - rating - ad opera di Standard&Poor's). Le relazioni politiche fra Israele e West Bank sono ancora complicate dalla scarsa volontà da parte palestinese di sedersi al famoso tavolo delle trattative per il mutuo e pacifico riconoscimento. Ma ciò non sta impedendo il fiorire di relazioni commerciali. Certo, i volumi dell'interscambio sono ancora modesti: 4.3 miliardi di dollari nel 2011, in buona misura esportazioni israeliane. Ma la crescita economica dello stato ebraico ha consentito all'economia dell'Autorità Palestinese di aumentare le proprie "esportazioni" del 18%.
E nel frattempo si tengono iniziative bilaterali di scambi culturali, prima ancora che commerciali. Il Jerusalem Post rende nota una recente conferenza tenutasi nel Negev, che ha visto la presenza di uomini di affari sia israeliani che palestinesi. L'incontro è culminato con una competizione - questa volta, amichevole - fra studenti universitari arabi ed ebrei.
Il governo unitario palestinese è ancora lungi dal realizzarsi, malgrado le promesse roboanti di un anno fa. Nel frattempo il governo unitario israeliano viaggia a pieni giri, e partorisce proposte che non si esita a definire clamorose. Ieri il ministro della Difesa Barak ha dichiarato che non è da escludersi la possibilità che Israele si ritiri unilateralmente dai territori contesi, ottenuti dopo la Guerra dei Sei Giorni del 1967. I negoziati fra le parti, auspicati dagli Accordi di Oslo che hanno originato l'Autorità nazionale palestinese tardano a manifestarsi, malgrado i ripetuti inviti in tal senso di Gerusalemme. Israele ha sempre restituito i territori occupati in seguito ai conflitti in cambio di pace: così ha fatto con l'Egitto, a cui restituiì il Sinai, e altrettanto ha fatto con la Giordania. Il disimpegno dal Libano e più avanti quello dalla Striscia di Gaza è stato invece unilaterale, e ha prodotto il terrorismo di Hezbollah a nord e di Hamas a sud. La prospettiva di liberare l'1.5% di territorio palestinese nel West Bank ancora occupato viene salutata con un misto di stupore e approvazione, ma c'è il concreto timore che ciò possa nuocere ancora una volta ai civili.
Nel frattempo, un'altra concreta iniziativa a favore della distensione, sempre purtroppo proveniente da Israele (e dire che ci vorrebbe ben poco dall'altra parte: ma Abu Mazen è impegnato ad usare il pugno di ferro contro i rivali di Hamas e contro la stessa opposizione interna ad Al Fatah...): il governo di Gerusalemme si è impegnato a restituire alle rispettive famiglie i corpi di 91 terroristi palestinesi, rimasti vittima di attentati da essi stessi scagliati nelle città israeliane. Fra questi, ci sono l'attentatore che uccise 18 persone ad una fermata d'autobus a Gerusalemme, l'autore di un attentato simile a Be'er Sheva (16 morti) e l'autore dell'attentato al Café Hillel di Gerusalemme (sei morti). Si spera che la restituzione dei corpi non sia seguita da deplorevoli episodi di celebrazione e di onoranza. Spesso in passato a questi criminali sono state intitolate strade e piazze. Speriamo che si volti pagina.
Etichette:
Accordi di Oslo,
Autorità Palestinese,
economia,
Guerra dei sei giorni,
territori occupati,
terrorismo
Iscriviti a:
Post (Atom)