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giovedì 21 febbraio 2013

I palestinesi meritano uno stato?

di Dan Calic*

Con il presidente Obama atteso presto in Israele, mi permetto di formulare quella che per molti è una domanda retorica: ma i palestinesi, lo meritano uno stato autonomo? Obama e buona parte della comunità internazionale ritengono di sì. Ma se diamo un'occhiata da vicino alla situazione, scopriamo diversi aspetti che non vanno ignorati. Ad esempio, si tratterebbe di un vicino pacifico per Israele? migliore risposta non può che sopravvenire esaminando alcune linee guida dell'OLP e del Fatah, il partito dominante di cui Mahmoud Abbas è presidente.
Dallo stato dell'OLP in effetti apprendiamo: "...la fondazione dello stato di Israele è illegale" (articolo 19); "gli ebrei non costituiscono un singolo stato con un'identità autonoma" (articolo 20). Nello stato di Fatah leggiamo: "...la completa liberazione della Palestina, e lo sradicamente dell'esistenza economica, politica, militare e culturale sionista" (articolo 12); "la rivoluzione popolare armata è il metodo ineluttabile per liberare la Palestina" (articolo 17); "la lotta non si esaurirà fino a quando lo stato sionista sarà demolito, e la Palestina liberata completamente" (articolo 19). Sono questi obiettivi e finalità di uno stato pacifico?

mercoledì 3 ottobre 2012

I palestinesi chiedono la testa di Abu Mazen

Mentre Abu Mazen è a New York, una folla di 200 manifestanti si è riunita nei pressi del quartier generale di Al Fatah, a Ramalla, per chiederne le dimissioni. La primavera araba è deflagrata anche nei territori palestinesi e nelle principali città. E se inizialmente gli strali erano rivolti verso il primo ministro Salam Fayyad, e verso le sempre più difficile condizioni economiche; adesso le proteste, sempre più vibranti, sono rivoltenei confronti del presidente dell'ANP.
Le accuse sono vibranti: Abu Mazen è responsabile dell'arresto di simpatizzanti di Hamas a Ramallah, è reo dell'incarcerazione di oppositori al regime (elezioni qui non sono tenute da tre anni, e se ne comprende la ragione: le urne potrebbero consegnare il potere a soggetti diversi da quelli che attualmente lo detengono), e si occupa più di viaggiare e soggiornare all'estero che di pagare le retribuzioni ai dipendenti pubblici, a secco da tre mesi.
Il successore di Yasser Arafat, dedito secondo le accuse alla corruzione e all'arricchimento personale e del suo entourage, sta ripetutamente minacciando le dimissioni, nel vano tentativo di compattare i simpatizzanti e di sparigliare gli oppositori. Ma questo volta il bluff potrebbe essere "visto". Tanto più che il vicino stato israeliano, stanco dei rifiuti di sedersi al famoso tavolo delle discussioni di pace, potrebbe meditare il disimpegno militare dalle aree strategiche dei territori contesti, rendendo l'ANP vulnerabile alle minacce di gruppi islamici sempre più ostili e aggressivi nei confronti della vecchia leadership.

Fonte: Arutz Sheva.

domenica 26 agosto 2012

L'OLP accusa l'Iran di essere filosionista!

Dura presa di posizione dell'OLP, e in parole povere dell'Autorità Palestinese che amministra i territori di Giudea e Samaria (West Bank; una volta: cisgiordania) dopo gli accordi di Oslo del 1993. La materia del contendere l'invito che da Teheran ha raggiunto sia l'AP, embrione di un futuro stato palestinese; sia Hamas, che di fatto governa la Striscia di Gaza dal 2007, due anno dopo lo sgombero israeliano, un anno dopo il sanguinoso colpo di stato con cui fu esautorato il partito rivale Al Fatah, che amministra oggi Ramallah.
Il primo ministro di Ramallah, Salam Fayyad, denuncia il tentativo iraniano di attentare all'unità palestinese, invitando una fazione che a suo dire non ha alcun potere di rappresentanza. Un membro di Al Fatah di recente ha accusato Hamas di trescare con Israele in modo da favorire l'annesione di Gaza all'Egitto, forse contando sul fatto che l'organizzazione terrorista che controlla la Striscia è una diretta emanazione dei Fratelli Musulmani che ora comandano al Cairo.
Inutile ricordare la scarsa legittimità di entrambi i governi: sia l'Esecutivo di Ramallah, che quello di Gaza, risultano decaduti da due-tre anni. Elezioni generali non si tengono da tempo per convenienza politica. Voci e accordi di collaborazione sono proclamati un giorno e accantonati il giorno successivo. Ma ciò non impedisce ad uno dei due contendenti di ragguiungere sublimi vette di comicità, quando accusa l'Iran di essere fiancheggiatrice di Israele...

giovedì 23 agosto 2012

A Gaza dilaga la corruzione di Hamas

A Ramallah ci sono rimasti molto male. Il partito di Abu Mazen, che governa il West Bank anche dopo il 2010, quando avrebbero dovuto tenersi elezioni per il rinnovo delle istituzioni democratiche (Al Fatah teme di perderle a favore di Hamas, e ignora la banale regoletta che vuole il rinnovo dei parlamenti e dei governi ogni 4-5 anni; da queste parti, si sa, le elezioni basta tenerle una volta e per sempre...), ha stigmatizzato la lettera che il ministro degli Esteri di Gerusalemme ha inviato al Quartetto (ONU, USA, Unione Europea e Russia). Nella missiva, Lieberman lamenta lo stallo del processo di pace a causa dell'indecisionismo di Abu Mazen, presidente dell'Autorità Palestinese non rinnovata nelle sue istituzioni democratiche da più di due anni. Il ministro israeliano sottolinea i numerosi casi di vessazioni e maltrattamenti da parte della popolazione palestinese ad opera delle stesse autorità di Ramallah, sempre più risolute a soffocare il malcontento e la critica ad opera di cittadini, giornalisti e blogger.
La corruzione è figlia dell'incancrenimento delle istituzioni democratiche. E' tipico di un governo che diventa regime. E' una muffa inevitabile se il popolo non è chiamato ad esprimere la propria preferenza. Era l'accusa più frequentemente rivolta nei confronti di Arafat e del suo partito (Al Fatah), esautorato nel 2006-2007 dalla Striscia di Gaza; ma a ben vedere è la stessa accusa velatamente mossa nei confronti del movimento estremista islamico che da più di cinque anni governa in solitudine la Striscia, e che esita a tenere nuove elezioni - mentre sollecita l'apertura delle urne in Cisgiordania - nel timore di perdere il potere a favore di organizzazioni ancora più estremiste e rivali.
Si apprende infatti che un recente sondaggio indica nel 70% la percentuale di palestinesi che giudica corrotto il governo di Abu Mazen nel West Bank. Il medesimo sondaggio, condotto a Gaza, rivela che il 57% dei palestinesi condanna il governo di Ismail Haniyeh, salito al potere proprio con un manifesto di condanna della corruzione dei rivali di Al Fatah.
Indagare sul movimento terroristica che governa l'enclave palestinese non è semplice e privo di rischio: Hamas maltratta (è un eufemismo) i giornalisti internazionali che "mettono il naso" negli affari interni. Ma un paio di anni fa - ricorda oggi il Jerusalem Post - un giornale di Al Fatah accusava il primo ministro palestinese di vendere le terre edificabili soltanto al suo clan, di attingere alle casse delle banche commerciali senza troppi scrupoli, mentre il pur amichevole britannico Guardian si indignava per gli acquisti considerevoli di auto di lusso e di lussuose dimore per i gerarchi del movimento islamico. Haaretz, un giornale israeliano che alcuni definiscono "il portavoce locale di Hamas", ricorda che lo scorso anno un alto funzionario è stato allontanato con l'accusa di sottrazione di fondi e di altre attività illecite. Chi osa censurare l'arricchimento dei membri dell'organizzazione è messo in condizioni di tacere: fioccano le denunce - assolutamente mormorate per timore di conseguenze - di minacce, torture e "incidenti stradali" ai danni di chi punta il dito sulla corruzione di Hamas, sull'arricchimento ai danni della povera gente mediante il contrabbando dei combustibili e le attività illecite basate sui tunnel che collegano la Striscia di Gaza all'Egitto. L'Associated Press ricorda il traffico per le strade di Gaza, a causa della fila di Audi, di Porsche e di costosi SUV guidati dai contrabbandieri e dagli speculatori della borsa nera dell'entourage di Hamas. Un soggetto non sospettabile come Sheikh Nabil Naim, leader della Islamic Jihad egiziana, ammonisce: "Hamas è interessata soltanto a contabbandare, a fare soldi, a commerciare, e a far fuori Al Fatah".

H/t: Jerusalem Post.

martedì 26 giugno 2012

Palestinesi ancora torturati (ma non lo dite in giro)

Hamas e Al Fatah sono le due organizzazioni politiche che governano i palestinesi, rispettivamente a Gaza e a Ramallah. Si sono scontrate senza esclusione di colpi nel 2006, dopo le elezioni tenutesi nella Striscia che le vide appaiate, con un sottile vantaggio della formazione terroristica espressione locale dei Fratelli Musulmani. Non si sono parlate per anni, poi hanno tentato un riavvicinamento, e da un bel po' parlano di riconciliazione, di governo unitario, di mettersi alle spalle i dissapori e gli omicidi reciproci. Tutte belle manifestazioni di volontà.
Ma la realtà è ben diversa. Hamas ieri ha accusato l'autorità palestinese di Abu Mazen di detenere e torturare i suoi uomini nel West Bank: uno a Nablus, tre a Ramallah. Altri uomini di Hamas sono stati ricoverati in un ospedale nei pressi di Hebron per le ferite riportate dopo essere stati torturati.
La detenzione amministrativa è una pratica comune in molti stati. Lo stesso vicino Israele ha trattenuto per diverse tempo un terrorista palestinese, fortemente sospettato di minacciare l'incolumità fisica degli israeliani quando non è impegnato a giocare a calcio. Lo sciopero della fame e l'attenzione internazionale che ha conquistato il giovane gli sono valsi la libertà, sebbene il rifiuto del cibo non abbia escluso le attente cure sanitarie delle autorità. Ben diversa sorte spetta ai soggetti remotamente sospettati di cospirare ai danni del regime palestinese dominante: uomini di Al Fatah sono incarcerati e maltrattati a Gaza, uomini di Hamas sono arrestati e torturati a Ramallah. L'opinione pubblica internazionale, però, in questo caso non ne è al corrente.

venerdì 27 gennaio 2012

Hamas cerca nuovi soci finanziatori



Nuove alleanze crescono. Hamas sta aprendo un ufficio di rappresentanza in Turchia, dopo che il governo di Ankara ha accettato di aiutare finanziariamente l'organizzazione terroristica palestinese che dal 2005 controlla la Striscia di Gaza. E' la conseguenza prevedibile del raffreddamento dei rapporti fra Hamas e l'Iran, dopo che la prima si è rifiutata da aiutare il traballante governo di Damasco, dove l'organizzazione palestinese ha una attiva sede.
Ciò non esclude relazioni diplomatiche fra il dittatore iraniano e i terroristi palestinesi: il "primo ministro" Ismail Haniyeh si recherà in visita a Teheran, dopo aver ricevuto la lettera di congratulazioni di Ahmadinejad, recapitata per celebrare l'anniversario del colpo di stato con cui Hamas ha acquisito il potere a Gaza nel 2007, ai danni dell'Al Fatah di Abu Mazen.

(Aggiornamento) Già a dicembre era trapelato l'impegno del governo di Erdogan a staccare un assegno di 300 milioni di dollari: quasi la metà del budget dell'intero 2012 dell'entità palestinese. Ciò fa della Turchia il principale sponsor finanziario di Hamas, ora che l'Iran è sottoposta alle pressioni internazionali per la sua corsa verso la bomba atomica - secondo una fonte citata da Reuters il governo di Teheran non versa tranche del suo contributo annuale di 250-300 milioni di dollari da agosto - e con Assad in Siria impegnato a reprimere le aspirazioni democratiche della popolazione.

martedì 6 dicembre 2011

"Israele non ha alcun diritto di esistere"



«Israele si sbaglia di grosso se pensa che soltanto Hamas (che governa Gaza dopo il colpo di stato del 2007 con cui ha esautorato completamente Al Fatah, dopo le elezioni dell'anno precedente successive allo sgombero totale di Israele dalla Striscia, NdR) lo detesti: anche Al Fatah (che esprime l'Autorità Palestinese che governa la Cisgiordania) non ha alcun rispetto per Israele». Sono le parole pronunciate dal rappresentante diplomatico dell'AP in India, Adli Sadeq, riportate sul quotidiano ufficiale di Ramallah e opportunamente tradotte da PalWatch. E più avanti, giusto per spiegarsi meglio, l'"ambasciatore" palestinese in India precisa che entrambe le fazioni negano ogni diritto all'esistenza di Israele: «è ovvio che i palestinesi riconoscano la presenza di Israele, ma il suo riconoscimento fisico è qualcosa di completamente diverso dal riconoscere il suo diritto di esistere».

E' difficile pensare che in Medio Oriente possa "scoppiare" la pace, se entrambe le fazioni palestinesi disconoscano addirittura - e per bocca di autorità ufficiali - il diritto all'esistenza di uno stato legittimamente fondato nel 1948, e riconosciuto da tutto il mondo.

mercoledì 19 ottobre 2011

Quisquilie...



In un'intervista a Sky, un "rappresentante dell'Autorità Palestinese in Italia" si domanda perché il mondo non si rallegri per la liberazione dei carcerati palestinesi, come sta facendo invece per Gilad Shalit.
Forse perché Gilad non ha ucciso nessuno, stava difendendo la sua patria sul suo suolo, ed è stato sequestrato e tenuto in cattività senza poter vedere nessuno; mentre i mille detenuti sono criminali pluriomicidi, che hanno subito un regolare processo, in cui hanno spesso confessato le loro nefandezze, che hanno beneficiato di un regime carcerario in cui hanno potuto vedere i loro familiari, i loro legali, i giornalisti hanno potuto leggere e fare attività fisica?
Una piccola e impercettibile differenza, vero?

Il «rappresentante diplomatico», dopo aver sbollito l'ira per "l'ingiusta disparità" di attenzione, ha precisato ad una domanda dell'intervistatore (un po' troppo compiacente, per la verità...) che ci sarà pace soltanto quando Israele cesserà l'occupazione. Peccato che abbia omesso di precisare di che tipo di occupazione stiamo parlando, dal momento che Gaza è dal 2007 in mano ai rivali di Hamas, e il 97% dei territori contesi del West Bank sono nella piena disponibilità di Al Fatah. Residua un 3% di territori, ma i palestinesi hanno rifiutato di conseguire una pace quando fu loro proposto da Olmert di scambiare quei pochi chilometri quadrati con altri territori. Gerusalemme sarebbe ben lieta di conseguire una pace effettiva e duratura a queste condizioni. Ma dall'altra parte tutto tace.
Un dubbio a questo punto sorge legittimo: non è che l'occupazione ventilata è quella della terra dove sorge Israele? non è che questo buffo signore - proveniente da una organizzazione che si regge grazie ai finanziamenti internazionali, e in parte anche italiani - è fra quelli che aspirano ad una Palestina "dal Giordano al Mediterrano", come tanto piacerebbe a canaglie come Ahmadinejad?

La realtà è che sarà difficile fare la pace con un'organizzazione come Hamas che ha nell'atto costitutivo la distruzione di Israele, di cui rifiuta la stessa esistenza. E con un'altra organizzazione come quella che governa la Cisgiordania da Ramallah, che ha fatto sfoggio di razzismo dichiarando di aspirare ad uno stato palestinese senza la presenza di un solo ebreo, e il cui maggiore esponente è purtroppo noto per una squallida tesi negazionista.

A tal proposito, che fine ha fatto Abu Mazen?

Altra domanda: che ne è stato del patto di riconciliazione firmato al Cairo fra i due movimenti che governano il popolo palestinese? La domanda è legittima, specie dopo che questa mattina Mahmoud Zahar, alto funzionario di Hamas, dalle colonne di un quotidiano di Gaza ha sollecitato Abu Mazen a tenere finalmente elezioni in Cisgiordania, dove il parlamento è scaduto da quasi tre anni.

P.S.: Aspettiamo ora che Sky intervisti anche un rappresentante dello stato israeliano...

mercoledì 12 ottobre 2011

Un prezzo onerosissimo per liberare Gilad


Siamo tutti felici e contenti per l'imminente (?) liberazione di Gilad Shalit, il caporale israeliano sequestrato dai terroristi di Hamas più di cinque anni fa, al termine di un'incursione che ha provocato la morte di quattro soldati e il ferimento di altri due soldati. I genitori non si sono mai stancati di rivolgere strazianti appelli alle autorità politiche di Gerusalemme, straziati dalla sottrazione del figlio, e vessati continuamente dai macabri scherni dell'organizzazione che controlla Gaza, e lì per tutto questo tempo ha tenuto incarcerato il giovane Gilad.
Ma non possiamo fare a meno di provare una morsa allo stomaco all'idea che presto saranno messi in libertà più di mille sanguinari criminali. Gente della peggior specie, autrice di delitti che fanno rabbrividire. Fra questi delinquenti c'è Marwan Barghouti, ispiratore della "seconda intifada" e che scontava in carcere una condanna a cinque ergastoli per svariati omicidi di innocenti civili, donne e bambini.
C'è chi rileva che il prezzo pagato per la liberazione di Gilad, salatissimo, rappresenti una vittoria per Hamas e uno sberleffo per Abu Mazen, specie qualora dovesse rivelarsi un insuccesso il suo tentativo unilaterale di giungere alla dichiarazione formale di uno stato di Palestina. Con questo atroce scambio, saranno liberati mille criminali che si iscriveranno automaticamente a libro paga di Hamas. Secondo il "codice d'onore" vigente da quelle parti, infatti, i liberati da una prigionia devono tutto al loro liberatore, compresa la loro vita. Facile dunque ipotizzare che essi si renderanno ben disponibili a nuovi efferati crimini ai danni della popolazione civile israeliana. E che nel prossimo futuro possano macchiarsi del sequestro di mille Gilad, del brutale assassinio di mille famiglie Fogel, e dell'uccisione pilotata di mille pacifici autobus civili.
Hamas dimostra la sua forza: ottiene mille terroristi - e nemmeno tutti appartenenti alle sue file - in cambio di un ostaggio. Dimostra che con la forza si discute, e non con il dialogo. Al Fatah è messa seriamente in ombra, mentre il governo israeliano potrebbe risultare lacerato dalle polemiche, sebbene il voto di approvazione del consiglio dei ministri straordinario di ieri sera sia risultato pressoché plebiscitario. L'Occidente come spesso accade sta a guardare, incerto se commuoversi per la storia di un proprio figlio - Gilad per metà è francese - che torna a casa dopo cinque anni di prigionia, o se voltarsi ancora una volta dall'altro lato. Ad ogni modo, è stato dimostrato che l'amore e l'attaccamento per la vita permette anche la decuplicazione dei propri nemici : un principio che dovrebbe finalmente risvegliare fra gli altri la pingue Europa.
Speriamo che presto Gilad torni a casa, e che si possa festeggiare il suo ritorno. Non vediamo l'ora. Consci che i rischi per la brava gente d'ora innanzi aumenteranno ancora di più.

lunedì 3 ottobre 2011

Perché a Gerusalemme non si può costruire?



Continuano a far discutere le prese di posizioni della leadership palestinese, del "ministro degli esteri" europeo Catherine Ashton e del primo ministro tedesco, contro l'attività edilizia nei sobborghi di Gerusalemme.
La capitale israeliana ha chiesto e ottenuto dal ministero competente l'autorizzazione per la costruzione di 1100 unità abitative nel sobborgo di Gilo. Evidentemente, come ogni città, Gerusalemme fa registrare un'attività edile in linea con la crescita della popolazione: dal 1967, da quando i quartieri orientali della città sono stati strappati all'occupazione giordana successiva alla guerra di aggressione del 1948, il municipio ha autorizzato la costruzione di nuovi alloggi. Da 44 anni, come in ogni città del mondo.
Ieri il vice ministro degli Esteri di Israele ha convocato i giornalisti internazionali sul cantiere dove saranno costruiti alloggi, negozi e altre attività commerciali, per evidenziare la assoluta normalità di un progetto che riguarda un quartiere a cinque minuti dal centro città. Casomai, si tratta di un'attività che si svolge in tutti gli altri quartieri della capitale israeliana, proprio in risposta alle legittime rimostranze della popolazione (ebraica, araba e cristiana) che recentemente ha manifestato per protestare contro la crescita delle quotazioni immobiliari prodotto di una scarsità di offerta.





Il timore è che la leadership palestinese colga questa situazione come pretesto per disdegnare l'invito del Quartetto a riprendere i negoziati con il governo israeliano, senza condizioni di sorta. E' il tempo di sedersi ad un tavolo, senza accampare pretesti poco credibili.
Non è una questione di territori. Lo dimostra il fatto che le proposte del governo Barak e del governo Olmert, arrivate a riconoscere la sovranità palestinese sul 100% dei territori "occupati" (o contesi) sono state rispedite al mittente senza alcuna motivazione che non fosse quella di rifiutare la pace. Da questo punto di vista, le dichiarazioni secondo cui il futuro stato palestinese sarà "jewsfree" francamente mettono i brividi, e ricordano simili propositi che pensavamo di aver seppellito sotto la tragedia dei totalitarismi nazifascisti del secolo scorso. Un proposito di pulizia etnica di stampo razzista, che stride enormemente in contrasto alla libertà di cui gode il 20% della popolazione israeliana di origine araba (non dimentichiamo che Israele è uno stato grande quanto la Puglia, attorniato da stati molti più grandi, popolati e meno tolleranti).

Nel frattempo Abbas Zaki, un esponente di spicco di Al Fatah (il partito di Abu Mazen) ha profetizzato in una intervista all'emittente Al Jazeera che se Israele si ritirerà da Gerusalemme, evacuando i suoi 650 mila abitanti, ciò rappresenterà la fine di Israele; e ha aggiunto: "inizialmente non sarà possibile raggiungere l'obiettivo più grande (la distruzione di Israele, NdR), e non è saggio dichiararlo. Non è politicamente accettabile sentir dire che vogliamo cancellare Israele. Meglio non rivelare queste cose al mondo: teniamocele per noi".

giovedì 23 giugno 2011

Volano gli stracci fra i palestinesi



La ventilata unità palestinese ormai è un lontano ricordo: "Hamas è uno strumento nelle mani dell'Iran", sostiene un dirigente dell'AP di Abu Mazen; "non ci può essere accordo con un movimento che segue il programma di un regime che rappresenta una minaccia per la sicurezza araba".
"La luna di miele sembra essere finita molto presto", rincara la dose un altro: "le differenze fra le due fazioni restano notevoli su diversi temi".
I disaccordi non riguardano evidentemente soltanto il nome del prossimo primo ministro "unitario" (Al Fatah preme per Salam Fayyad, capo del governo di Ramallah, Hamas insiste per un nome proveniente da Gaza)...

sabato 4 giugno 2011

ANP: "non abbiamo mai inteso riconoscere Israele"



"Fatah non ha mai riconosciuto il diritto di Israele ad esistere e non potrà mai farlo". Lo sostiene Azzam al-Ahmed, braccio destro di Abu Mazen nella "moderata" ANP, che governa la Cisgiordania, e che ha stretto un'allenza con Hamas - che governa Gaza, dopo alcuni anni in cui per conoscersi meglio si sono arrestati e torturati a vicenda.
Questo svela finalmente la reale natura della "parte moderata" della dirigenza palestinese: altro che territori occupati, altro che qualche chilometro quadrato da riconsegnare ai palestinesi, altro che Gerusalemme Est. La dirigenza palestinese vuole tutta Israele, "dal Giordano al mare". Poveri illusi europei, che pensavano di poter saziare le brame di questi loschi figuri con qualche concessione.

Dunque Al Fatah condivide la politica di Hamas, che nel proprio atto costitutivo prevede (art. 7):

"L’Ultimo Giorno non verrà finché tutti i musulmani non combatteranno contro gli ebrei, e i musulmani non li uccideranno"

oppure, più avanti, all'articolo 15:

"il jihad diventa un obbligo individuale per ogni musulmano. Questo richiede la propagazione di una coscienza islamica tra il popolo a livello locale, arabo e islamico. È necessario diffondere lo spirito del jihad all’interno della umma, scontrarsi con i nemici, e unirsi ai ranghi dei combattenti".

Non che la parte "moderata" scherzi:

"La lotta armata è la sola via per liberare la Palestina. E' la strategia generale non solamente una fase tattica" (art. 9 dello statuto dell'OLP, di cui l'AP di Abu Mazen è espressione).

Tutto bene, se non fosse che a settembre questi "signori" chiederanno all'assemblea generale dell'ONU il riconoscimento come stato.
Come ciò si possa conciliare con gli intenti bellicosi resta un mistero. Se è vero che, se non è cambiato stanotte, lo statuto dell'ONU da alcuni decenni recita:

"Tutti gli Stati Membri dirimeranno le proprie controversie internazionali con mezzi pacifici in modo che la pace, la sicurezza internazionale e la giustizia non siano messe in pericolo".
"Nelle rispettive relazioni internazionali gli Stati Membri dovranno astenersi dalla minaccia o dall'uso della forza contro l'integrità territoriale o l'indipendenza politica di qualsiasi Stato".
"Possono diventare membri delle Nazioni Unite tutti gli Stati amanti della pace che accettino gli obblighi del presente Statuto e che a giudizio dell’Organizzazione, abbiano la capacità e la volontà di adempiere tali obblighi"

Dopotutto, però, se i palestinesi sono davvero intenzionati ad ammazzare qualche milione di ebrei, in nome della pace universale, potremmo anche fare una piccola eccezione, e concederlo loro, no?...

domenica 22 maggio 2011

Obama: i confini fra Israele e Palestina non possono essere quelli del 1967



"Non ci si può aspettare che Israele negozi con Hamas", ha affermato oggi Obama, chiedendo al gruppo islamico palestinese che controlla la Striscia di Gaza (e presto anche la Cisgiordania) di rilasciare Gilad Shalit, sequestrato cinque anni fa in Israele da un commando palestinese: "nessun paese può negoziare con un gruppo terroristico che lavora alla sua distruzione", ha chiosato Obama. Il "Corriere della Sera" in una "ultima ora", ha preferito citare Hamas (secondo il quale Obama mira all'attacco dell'accordo Hamas-Fatah), e non il presidente degli Stati Uniti d'America, il che è tutto dire...

Già stamattina in una intervista alla BBC Obama ha corretto il tiro rispetto alle dichiarazioni dell'altro giorno, che seguono il "famoso" discorso del Cairo, affossandolo definitivamente (e opportunamente), e rispolverando la dottrina Bush, così tanto sdegnatamente respinta due anni fa.
L'impressione però è che questa ennesima sterzata riveli ancora una volta la natura ondivaga del presidente americano, e l'assenza di strategia. Non sembra proponibile un parallelo con Arafat, che in visita nelle capitali europee portava in mano il ramoscello d'ulivo e predicava pace; mente nelle piazze arabe infiammava le masse con il kalashnikov e inneggiava all'intifada. No, Obama è proprio così: cerca di piacere a tutti, e nel frattempo perde credibilità e autorevolezza.

giovedì 5 maggio 2011

Prima che nasca la Palestina occorrerà deporre le armi



Se si dovesse contare sull'umano buon senso (non sempre una prospettiva realistica), bisognerebbe concludere che i recenti "accordi" (tattici?) fra Hamas e al Fatah minacciano di ritardare, anziché accellerare, la prospettiva di uno stato di Palestina.
Il primo ministro inglese Cameron ha precisato che il Regno Unito non riconoscerà (a settembre, NdR) uno stato di Palestina, se prima non ci sarà rinuncia al terrorismo. Paradossalmente, malgrado gli Accordi di Oslo rendano necessario giungere a questo obiettivo dopo un negoziato bilaterale, e non mediante forzatura e annunci unilaterali (come si accingeva a fare Abu Mazen); un governo palestinese unitario a probabile guida Hamas (che ha dichiarato di non voler rinunciare al terrorismo, di non voler riconoscere Israele e di non voler onorare i trattati sottoscritti dall'OLP di Arafat) rischia di azzerare le possibilità che a settembre l'assemblea generale dell'ONU procedesse ad un riconoscimento dello stato di Palestina, sulla scia di quanto fatto da alcuni pittoreschi paesi sudamericani e anche da alcuni stati europei.
Ciò darebbe ragione a chi ritiene la mossa di Hamas dettata dalla disperazione di trovarsi in un angolino, dopo la crisi del regime siriano di Assad, sponsor principale dell'organizzazione terroristica che con un colpo di stato governa Gaza dal 2007. Il governo palestinese unitario insomma sarebbe una mossa tattica e contingente; non una strategia. E pertanto, destinata a durare poco e ad essere travolta dagli eventi e dalle reciproche incomprensioni.

P.S.: "Come stato, non tollereremo mai una minaccia alla nostra sicurezza, ne' resteremo passivi quando la nostra gente sarà ammazzata. Difenderemo i nostri cittadini senza un attimo di riposo".
Non l'ha detto il primo ministro israeliano Netanyahu, riferendosi agli attacchi dei terroristi islamici di Hamas. L'ha detto Obama, riferendosi agli attacchi dei terroristi islamici di al Qaeda. Il parallelo fra Hamas e al Qaeda regge benissimo...