Che la si chiami o meno "intifada", la recente ondata di violenze e di azioni terroristiche da parte dei palestinesi è stata da alcuni ricondotta alle recriminazioni circa lo status quo relativo al Monte del Tempio di Gerusalemme, che ospita anche due moschee. Non entriamo nel merito delle recriminazioni strumentali del re di Giordania, che ha denunciato il mancato rispetto degli accordi sottoscritti dopo la fine dell'occupazione giordana del 1967; salvo essere contraddetto dal leader dell'opposizione di Amman, che denuncia l'attivo sostegno di Abd Allah II a favore dei facinorosi che nei giorni passati hanno messo a ferro e fuoco la Città Vecchia di Gerusalemme, inducendo l'intervento delle forze di sicurezza, e l'inevitabile intensificarsi della tensione. E non discutiamo la reale fondatezza delle argomentazioni di Gerusalemme, che non avrebbe alcun motivo a modificare la destinazione dei luoghi sacri; incluso il Muro Occidentale, che prima del 1967 era sistematicamente dissacrato e di fatto ridotto ad un orinatoio.
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lunedì 12 ottobre 2015
sabato 26 settembre 2015
Palestinesi picchiati, arrestati e colpiti con arma da fuoco: ma (chissà perché) non fa notizia...
Malgrado l'aspetto bonario e la persistenza al potere da più di dieci anni, Abu Mazen - come è affettuosamente chiamato in Europa Mahmoud Abbas, il responsabile logistico e organizzativo della Strage di Monaco del 1972 - non gode di grande fama in "patria". È opinione diffusa che si guardi bene dall'indire nuove elezioni, malgrado il suo mandato presidenziale sia scaduto da più di sei anni, nel fondato timore di perderle a favore di esponenti appartenenti agli odiati nemici di Hamas, con cui peraltro condividono formalmente responsabilità governative nella Striscia di Gaza; tanto per accontentare la poco esigente "comunità internazionale" (che non può mica addossare sempre le responsabilità ad Israele, no?)
È pacifico che le rimostranze si farebbero veementi nei confronti dell'OLP, che detiene i posti chiave nell'autorità palestinese, se le manifestazioni di protesta non fossero soffocate. Di tanto in tanto trapelano arresti indiscriminati, detenzioni arbitrarie e metodi persuasivi non proprio rispondenti alle convenzioni internazionali, ai danni di chi suo malgrado è ospitato nelle carceri di Ramallah. Le autorità minimizzano, i giornali glissano, i media internazionali tacciono: «no jews, no news». Atteggiamento bieco e se vogliamo anche un po' razzista («che ci importa di questi palestinesi, se non possiamo accusare gli israeliani?»).
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giovedì 23 luglio 2015
L'UE si oppone alla demolizione dell'insediamento illegale di Susya
Khirbet Susiya (Susya), originariamente antico villaggio ebraico a sud delle montagne della Giudea, sede di una antica sinagoga; è oggi situato nella zona C del West Bank, che gli Accordi di Oslo sottoscritti nel 1993 fra israeliani e palestinesi assegnano alla piena giurisdizione di Gerusalemme. Che è pertanto responsabile della pubblica sicurezza e dell'amministrazione civile; che include la possibilità di edificarvi, in virtù delle esigenze della popolazione.
Susya ospita oggi circa 1000 individui: 250 palestinesi e circa 750 coloni ebraici, ivi insediativisi nel 1983. Nel tempo parte del villaggio ha conosciuto un'espansione caotica ed incontrollata, a causa della componente araba della popolazione che ha edificato senza disporre dei necessari permessi. Il governo israeliano ha disposto la demolizione delle costruzioni abusive, malgrado l'opposizione di diversi governi, fra cui quelli di Stati Uniti ed Unione Europea; e il trasferimento della popolazione nell'insediamento di Yatta, vicino Hebron. Il mese scorso una delegazione europea ha visitato Susya, accompagnata dal capo del governo di Ramallah.
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martedì 16 giugno 2015
I dieci modi con cui Israele è discriminato
di David Harris*
È sconcertante osservare come Israele sia trattato con un metro di paragone assolutamente diverso da quello adottato per altri stati. Ovviamente, lo stato ebraico è sottoponibile a giudizio; come tutti gli altri, d'altro canto. Ma meriterebbe pari trattamento, non diverso.
Tanto per incominciare, Israele è l'unico stato della comunità internazionale di cui è continuamente messa in discussione lo stesso diritto ad esistere.
Malgrado il fatto che Israele impersonifichi un antiche legame con il popolo ebraico, come ripetutamente citato nel libro più letto al mondo: la Bibbia, che sia stato istituito con una risoluzione ONU del 1947, e che sia membro pieno effettivo delle Nazioni Unite dal 1949; persiste un implacabile gruppetto di nazioni, istituzioni e soggetti che ne negano la legittimità politica.
Nessuno oserebbe discutere il diritto ad esistere di tutti gli altri stati, la cui legittimazione storica e legale è decisamente più discutibile: inclusi gli stati istituiti dopo atti di forza, occupazione o creati a tavolino. Diversi stati arabi, per dire, rientrano in almeno una di queste categorie. Perché allora soltanto nei confronti di Israele è continua caccia aperta? non ha niente a che fare con il fatto che trattasi di uno stato con maggioranza ebraica al mondo?
È sconcertante osservare come Israele sia trattato con un metro di paragone assolutamente diverso da quello adottato per altri stati. Ovviamente, lo stato ebraico è sottoponibile a giudizio; come tutti gli altri, d'altro canto. Ma meriterebbe pari trattamento, non diverso.
Tanto per incominciare, Israele è l'unico stato della comunità internazionale di cui è continuamente messa in discussione lo stesso diritto ad esistere.
Malgrado il fatto che Israele impersonifichi un antiche legame con il popolo ebraico, come ripetutamente citato nel libro più letto al mondo: la Bibbia, che sia stato istituito con una risoluzione ONU del 1947, e che sia membro pieno effettivo delle Nazioni Unite dal 1949; persiste un implacabile gruppetto di nazioni, istituzioni e soggetti che ne negano la legittimità politica.
Nessuno oserebbe discutere il diritto ad esistere di tutti gli altri stati, la cui legittimazione storica e legale è decisamente più discutibile: inclusi gli stati istituiti dopo atti di forza, occupazione o creati a tavolino. Diversi stati arabi, per dire, rientrano in almeno una di queste categorie. Perché allora soltanto nei confronti di Israele è continua caccia aperta? non ha niente a che fare con il fatto che trattasi di uno stato con maggioranza ebraica al mondo?
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venerdì 1 maggio 2015
Le acrobazie della BBC sui "territori occupati"
Che magnifica equidistanza ostenta la Multinazionale britannica dell'informazione! Per non correre rischi di ingenerare inopportuni equivoci, la BBC mette a disposizione dei suoi giornalisti e corrispondenti un'agile guida, con cui si specifica il lessico da adottare, le etichette da appiccicare, e le consuetudini da promuovere, nella descrizione delle controversie geopolitiche. Così, quando si tratta del West Bank, il bravo giornalista deve sempre menzionare la circostanza che trattasi di "territori occupati" (da Israele, s'intende), che la circostanza subisce la censura del diritto internazionale, che è irrilevante che l'occupazione sia il risultato di una legittima guerra difensiva, che Gerusalemme abbia tentato più volte di disfarsi di uno scomodo West Bank senza successo («No, no e no», fu la risposta seccata della Lega Araba a Khartum meno di tre mesi dopo la fine delle ostilità), che prima del 1967 Giudea e Samaria erano occupati questa volta illegalmente dalla Giordania senza che alcuno abbia mai formulato una rivendicazione. Persino i quartieri orientali della capitale israeliana ("Gerusalemme Est") sarebbero "occupati", secondo gli standard della BBC.
Onde non ingenerare il sospetto di partigianeria, la Guida Stilistica dell'emittente britannica raccomanda di non indugiare nella redazione del testo sull'occupazione del West Bank: «si ingenererebbe il sospetto di partigianeria a favore di una parte». Per carità.
Onde non ingenerare il sospetto di partigianeria, la Guida Stilistica dell'emittente britannica raccomanda di non indugiare nella redazione del testo sull'occupazione del West Bank: «si ingenererebbe il sospetto di partigianeria a favore di una parte». Per carità.
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mercoledì 1 aprile 2015
Schizofrenia in salsa mediorientale
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Il sobborgo di Jabel Mukaber, a Gerusalemme Est |
Specie se le abitazioni in costruzione saranno abitate da ebrei. Nel 1938 si mandavano in frantumi le vetrine dei loro negozi, e ora si prevede per essi una comoda dimora? giammai! Se invece le case sono costruite, in territori contesi, a favore non degli ebrei ma degli arabi, il discorso cambia. Acrobazia morale? può essere. Sta di fatto che nel sobborgo di Jabel Mukaber, ad est di Gerusalemme, le autorità hanno approvato lunedì la costruzione di 2200 alloggi, destinati alla locale popolazione a prevalenza palestinese. Non solo: il ministero per l'Edilizia ha approvato il condono di 300 abitazioni palestinesi abusive.
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giovedì 12 febbraio 2015
L'Europa accusata di colonialismo nel West Bank
di Ari Soffer*
Una nota ONG israeliana ha accusato l'Unione Europea per il suo presunto ruolo nel finanziare la costruzione di insediamenti illegali arabi in Giudea e Samaria, dichiarando che questo tentativo sovverte gli affari interni dello stato ebraico, e rappresenta una forma di colonialismo.
Le argomentazioni giungono sulla scia di un articolo apparso sul britannico Daily Mail, secondo il quale l'UE ha impiegato il denaro dei contribuenti europei per costruire circa 400 abitazioni e altre costruzioni illegalmente nell'area C di Giudea e Samaria.
Alla luce degli Accordi di Oslo del 1993 - sottoscritti non solo da israeliani e palestinesi, ma anche dalla stessa Unione Europea, fra gli altri - mentre l'Autorità Palestinese mantiene il controllo pieno o parziale delle aree "A" e "B" del West Bank (o Giudea e Samaria); Israele detiene il controllo civile e militare esclusivo dell'area C: il che include la possibilità di pianificazione e costruzione edilizia.
Se fossero confermate, le rivelazioni - anticipate alcuni mesi fa dalla ONG Regavim e riportate da Aruyz Sheva - costituirebbero una flagrante violazione del diritto internazionale da parte dell'Unione Europea.
«Non bastava che l'Europa finanziasse le organizzazione di boicottaggio di Israele, che lavorano attivamente all'annichilimento dell'identità ebraica e democratica dello stato dal suo interno; ora l'UE è apertamente schierata per combattere lo stato ebraico, finanziando la costruzione abusiva di abitazioni», dichiara il direttore della ONG Tirzu Matan Peleg ad Arutz Sheva.
«Il sovvertimento degli affari interni dello Stato di Israele da parte dell'Unione Europea è un attentato alla democrazia ed è colonialista», rincara la dose, aggiungendo che questo atteggiamento «mina la legittima integrazione della comunità beduina nella società israeliana», incoraggiando a violare la legge.
Una nota ONG israeliana ha accusato l'Unione Europea per il suo presunto ruolo nel finanziare la costruzione di insediamenti illegali arabi in Giudea e Samaria, dichiarando che questo tentativo sovverte gli affari interni dello stato ebraico, e rappresenta una forma di colonialismo.
Le argomentazioni giungono sulla scia di un articolo apparso sul britannico Daily Mail, secondo il quale l'UE ha impiegato il denaro dei contribuenti europei per costruire circa 400 abitazioni e altre costruzioni illegalmente nell'area C di Giudea e Samaria.
Alla luce degli Accordi di Oslo del 1993 - sottoscritti non solo da israeliani e palestinesi, ma anche dalla stessa Unione Europea, fra gli altri - mentre l'Autorità Palestinese mantiene il controllo pieno o parziale delle aree "A" e "B" del West Bank (o Giudea e Samaria); Israele detiene il controllo civile e militare esclusivo dell'area C: il che include la possibilità di pianificazione e costruzione edilizia.
Se fossero confermate, le rivelazioni - anticipate alcuni mesi fa dalla ONG Regavim e riportate da Aruyz Sheva - costituirebbero una flagrante violazione del diritto internazionale da parte dell'Unione Europea.
«Non bastava che l'Europa finanziasse le organizzazione di boicottaggio di Israele, che lavorano attivamente all'annichilimento dell'identità ebraica e democratica dello stato dal suo interno; ora l'UE è apertamente schierata per combattere lo stato ebraico, finanziando la costruzione abusiva di abitazioni», dichiara il direttore della ONG Tirzu Matan Peleg ad Arutz Sheva.
«Il sovvertimento degli affari interni dello Stato di Israele da parte dell'Unione Europea è un attentato alla democrazia ed è colonialista», rincara la dose, aggiungendo che questo atteggiamento «mina la legittima integrazione della comunità beduina nella società israeliana», incoraggiando a violare la legge.
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giovedì 22 gennaio 2015
Quando la stampa si volta dall'altra parte...
Hasan al-Sari è un ragazzo palestinese di 16 anni. Era, un ragazzo palestinese. Perché è morto: mentre era intento a scavare un tunnel per conto di Hamas, presumibilmente prima di essere travolto dal collasso della galleria improvvisata. Il giovane in passato si è fatto notare per la detenzione e l'ostentazione di armi, sicché era un terrorista a tutti gli effetti. Fosse rimasto vittima di combattimenti con Israele, sarebbe stato rubricato senz'altro come «civile vittima dei sionisti». Ma così non è stato: l'incarico assegnatogli avrebbe contribuito a preparare Hamas per il prossimo inevitabile conflitto con lo stato ebraico, ma per sua sfortuna il destino ha deciso diversamente. Poiché non si trova il modo per attribuire colpe a Gerusalemme, nessun mezzo di informazione ne parla (H/t: Israellycool).
Spostiamoci di qualche qualche centinaio di chilometri. L'Osservatorio Siriano per i Diritti Umani ha documentato ieri oltre duecento attacchi aerei da parte del regime di Damasco sulle città di Reef Dimashq, Aleppo, Quneitra, Der-Ezzor, Idlib e Dar’a. Si denunciano 80 morti, e più di 300 feriti. Una strage di innocenti: l'ennesima, in quasi quattro anni di combattimenti che hanno prodotto fra 130 e 280 mila vittime, a seconda delle fonti. Ancora una volta, non potendo in alcun modo denuciare Israele, la stampa internazionale tace.
Sarebbe troppo chiedere una copertura imparziale e senza omissioni dei fatti che succedono in Medio Oriente?
Spostiamoci di qualche qualche centinaio di chilometri. L'Osservatorio Siriano per i Diritti Umani ha documentato ieri oltre duecento attacchi aerei da parte del regime di Damasco sulle città di Reef Dimashq, Aleppo, Quneitra, Der-Ezzor, Idlib e Dar’a. Si denunciano 80 morti, e più di 300 feriti. Una strage di innocenti: l'ennesima, in quasi quattro anni di combattimenti che hanno prodotto fra 130 e 280 mila vittime, a seconda delle fonti. Ancora una volta, non potendo in alcun modo denuciare Israele, la stampa internazionale tace.
Sarebbe troppo chiedere una copertura imparziale e senza omissioni dei fatti che succedono in Medio Oriente?
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sabato 27 dicembre 2014
Vendere case ad ebrei è punibile con la morte
In un recente articolo, Reuters ha documentato l'esistenza di un cospicuo numero di arabi israeliani, che vivono nei quartieri a maggioranza ebraica di Gerusalemme. Ovviamente, non è proprio così che si è espressa l'agenzia di stampa a proposito della località di residenza: Reuters parla di «insediamenti ebraici nelle terre occupate di Gerusalemme Est». L'articolo si sofferma anche sul fatto che di recente alcuni arabi abbiano abbandonato questi luoghi per «l'escalation di violenze», come se i recenti attachi terroristici siano stati condotti a Gerusalemme contro arabi anziché contro gli ebrei.
Ma parte più cialtronesca dell'articolo si rileva quando si descrive il caso di un proprietario ebreo, che si è rifiutato di vendere il proprio terreno ad un arabo; il quale in seguito è riuscito ad entrarne in possesso servendosi di un intermediario ebreo. Quello che l'articolo non menziona è che, secondo il diritto vigente nell'Autorità Palestinese, gli arabi che vendono terre agli ebrei commettono un reato punibile con i lavori forzati se non con la morte. Riporta il Times of Israel:
Ma parte più cialtronesca dell'articolo si rileva quando si descrive il caso di un proprietario ebreo, che si è rifiutato di vendere il proprio terreno ad un arabo; il quale in seguito è riuscito ad entrarne in possesso servendosi di un intermediario ebreo. Quello che l'articolo non menziona è che, secondo il diritto vigente nell'Autorità Palestinese, gli arabi che vendono terre agli ebrei commettono un reato punibile con i lavori forzati se non con la morte. Riporta il Times of Israel:
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venerdì 12 dicembre 2014
Acidità morale
Un palestinese è fermo sulla Statale nel Gush Etzion, a sud di Gerusalemme. Fa l'autostop. L'auto di una famiglia, con a bordo tre bambini, si ferma e gli offre un passaggio. Il palestinese sale a bordo e spruzza un acido sul volto delle bambine, ferendole. Poi cerca di dileguarsi, e nella fuga aggredisce un passante con un giravite. Poi viene ferito e neutralizzato, e condotto all'Hadassah Medical Center, dove sarà curato con la consueta professionalità.
Subirà un processo e sarà probabilmente condotto in carcere. Nel frattempo Abu Mazen condannerà la barbarie israeliana, verserà un lauto compenso alla famiglia del terrorista, e andrà al Palazzo di Vetro per denunciare "l'occupazione sionista". Del terrorista attentatore, e di centinaia di altri come lui, sarà chiesta la scarcerazione; denunciandola come "detenzione illegittima di prigionieri politici". Una volta presumibilmente rilasciato - dopo la liberazione di civili israeliani sequestrati, presumibilmente; anche il "ministro palestinese" rimasto l'altroieri vittima di infarto è stato scarcerato in cambio della liberazione di oltre mille prigionieri - tornerà a delinquere, e ad attentare alla vita di altri innocenti.
Mezza Unione Europea nel frattempo impartirà lezioni di moralità allo stato ebraico, chiamato a piegarsi a questi e ad altri attacchi, per dimostrare la propria statura; e, nel frattempo a «non esasperare ulteriormente gli animi».
Subirà un processo e sarà probabilmente condotto in carcere. Nel frattempo Abu Mazen condannerà la barbarie israeliana, verserà un lauto compenso alla famiglia del terrorista, e andrà al Palazzo di Vetro per denunciare "l'occupazione sionista". Del terrorista attentatore, e di centinaia di altri come lui, sarà chiesta la scarcerazione; denunciandola come "detenzione illegittima di prigionieri politici". Una volta presumibilmente rilasciato - dopo la liberazione di civili israeliani sequestrati, presumibilmente; anche il "ministro palestinese" rimasto l'altroieri vittima di infarto è stato scarcerato in cambio della liberazione di oltre mille prigionieri - tornerà a delinquere, e ad attentare alla vita di altri innocenti.
Mezza Unione Europea nel frattempo impartirà lezioni di moralità allo stato ebraico, chiamato a piegarsi a questi e ad altri attacchi, per dimostrare la propria statura; e, nel frattempo a «non esasperare ulteriormente gli animi».
domenica 26 ottobre 2014
I Paperoni del Medio Oriente
di Hillel Frisch*
Se le autorità di un qualsiasi Paese sviluppato al mondo, fornisse sussidi ai propri cittadini nel modo con cui la comunità internazionale dispensa aiuti ai palestinesi, sarebbe messa alla berlina per palese discriminazione, se non per razzismo. Sarebbe questa perlomeno la sentenza emessa da qualunque tribunale, chiamato ad esprimersi circa gli aiuti forniti a 4,2 milioni di palestinesi (stime Banca Mondiale), rispetto ai sussidi concessi all'Etiopia - un alleato dell'Occidente - o a qualsiasi altro stato africano.
Che ci sia una discriminazione è fuori discussione. Nel 2013 l'Etiopia ricevette 3,2 miliardi di dollari di aiuti finanziari. Nello stesso anno i palestinesi hanno beneficiato di circa 2 miliardi di dollari di donazioni; e questo prima dell'ultimo conflitto fra Israele e Hamas.
Apparentemente, questi dati non sembrano scandalosi: dopotutto gli etiopi ricevono il 50% di denaro in più rispetto ai palestinesi. Ma ci sono due aspetti, indispensabili per giudicare le modalità di assegnazione dei fondi, che modificano radicalmente il quadro.
Anzitutto, la popolazione etiope è venti volte superiore alla popolazione palestinese del West Bank e Gaza: stiamo parlando di 94 milioni di etiopi, rispetto a 4,2 milioni di palestinesi. Ciò vuol dire che in media un palestinese riceve 15 volte gli aiuti ottenuti dagli etiopi: 476 dollari, contro appena 35 dollari. Ma la discriminazione non finisce qui.
Se le autorità di un qualsiasi Paese sviluppato al mondo, fornisse sussidi ai propri cittadini nel modo con cui la comunità internazionale dispensa aiuti ai palestinesi, sarebbe messa alla berlina per palese discriminazione, se non per razzismo. Sarebbe questa perlomeno la sentenza emessa da qualunque tribunale, chiamato ad esprimersi circa gli aiuti forniti a 4,2 milioni di palestinesi (stime Banca Mondiale), rispetto ai sussidi concessi all'Etiopia - un alleato dell'Occidente - o a qualsiasi altro stato africano.
Che ci sia una discriminazione è fuori discussione. Nel 2013 l'Etiopia ricevette 3,2 miliardi di dollari di aiuti finanziari. Nello stesso anno i palestinesi hanno beneficiato di circa 2 miliardi di dollari di donazioni; e questo prima dell'ultimo conflitto fra Israele e Hamas.
Apparentemente, questi dati non sembrano scandalosi: dopotutto gli etiopi ricevono il 50% di denaro in più rispetto ai palestinesi. Ma ci sono due aspetti, indispensabili per giudicare le modalità di assegnazione dei fondi, che modificano radicalmente il quadro.
Anzitutto, la popolazione etiope è venti volte superiore alla popolazione palestinese del West Bank e Gaza: stiamo parlando di 94 milioni di etiopi, rispetto a 4,2 milioni di palestinesi. Ciò vuol dire che in media un palestinese riceve 15 volte gli aiuti ottenuti dagli etiopi: 476 dollari, contro appena 35 dollari. Ma la discriminazione non finisce qui.
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domenica 12 ottobre 2014
Il "genocidio" ignorato dei palestinesi
Il genocidio comincia sempre con il silenzio, è stato scritto da qualche parte, ad opera di gente che evidentemente ha a cuore le sorti di chi soffre inascoltato. Secondo un'organizzazione internazionale, sono oltre 2500 i palestinesi uccisi finora: 2512, per l'esattezza, decimati dall'aviazione e dall'artiglieria di Assad, che prende di mira deliberatamente i campi profughi di Yarmouk, in Siria.
Per essi non ci saranno paginoni a pagamento sul New York Times, non ci saranno denunce alle Nazioni Unite, nessun parlamentare presenterà interpellanze al governo, nessun consigliere regionale o comunale o circoscrizionale si prenderà la briga di prenotare un albergo nel Vicino Oriente per attestare la sua pelosa solidarietà, nessuna ONG di quelle che fanno notizia denuncerà la repressione brutale, nessuno strampalato comico o vignettista raffigurerà il sangue sparso e la tragedia ignorata dei palestinesi di questa terra funestata da una guerra civile che ha prodotto oltre 190.000 morti.
Per essi non ci saranno paginoni a pagamento sul New York Times, non ci saranno denunce alle Nazioni Unite, nessun parlamentare presenterà interpellanze al governo, nessun consigliere regionale o comunale o circoscrizionale si prenderà la briga di prenotare un albergo nel Vicino Oriente per attestare la sua pelosa solidarietà, nessuna ONG di quelle che fanno notizia denuncerà la repressione brutale, nessuno strampalato comico o vignettista raffigurerà il sangue sparso e la tragedia ignorata dei palestinesi di questa terra funestata da una guerra civile che ha prodotto oltre 190.000 morti.
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giovedì 11 settembre 2014
Due pesi, due misure
La Norvegia ha espulso nel 2013 un numero record di immigrati, quasi tutti musulmani, a causa del dilagare di fenomeni di delinquenza. Le espulsioni hanno raggiunto la ragguardevole cifra di 5200 persone, con un incremento del 31% rispetto all'anno precedente. Mettere brutalmente alla porta-frontiera gli immigrati è giudicato dalle forze dell'ordine un modo sbrigativo ma tanto efficace quanto esemplare per scoraggiare le attività criminose delle locali comunità straniere.
La maggior parte degli immigrati a cui è stato consegnato il foglio di via proviene dalla Nigeria, Afghanistan e Iraq: stati in cui le condizioni di vita metteranno a repentaglio l'incolumità degli immigrati espulsi da Oslo.
Lo so: è una notizia che non interessa a nessuno. Non per niente non se ne trova traccia sulla stampa del mondo occidentale: bisogna risalire ad un sito israeliano, che cita un blog vicino al mondo musulmano. Ma se non fa notizia uno stato sovrano che per motivi di sicurezza interna e di ordine pubblico espelle con la forza migliaia di immigrati; come mai analoga notizia trova ospitalità sulle pagine dell'ANSA, quando lo stesso provvedimento è adottato da Israele?
Lo so: è una notizia che non interessa a nessuno. Non per niente non se ne trova traccia sulla stampa del mondo occidentale: bisogna risalire ad un sito israeliano, che cita un blog vicino al mondo musulmano. Ma se non fa notizia uno stato sovrano che per motivi di sicurezza interna e di ordine pubblico espelle con la forza migliaia di immigrati; come mai analoga notizia trova ospitalità sulle pagine dell'ANSA, quando lo stesso provvedimento è adottato da Israele?
venerdì 22 agosto 2014
Doppiopesismo mediorientale
Dopo un mese e mezzo, la guerra di Gaza incomincia a prendere una buona piega, con clamorose defezioni in campo palestinese, e un ottimo lavoro dell'intelligence israeliana, che stanno facendo pendere la bilancia a favore di Gerusalemme. Colpiti tre, se non quattro importanti esponenti del vertice militare dell'organizzazione terroristica, si percepisce decisamente la sensazione di panico da parte di Hamas. Incolmabili le distanze fra le pretese delle due fazioni: Khaled Meshal chiedeva a gran voce la rimozione del blocco parziale marittimo e terrestre, che impedisce che nella Striscia entri di tutto, incluse armi e munizioni; Netanyahu chiedeva la smilitarizzazione completa di Gaza.
Impossibile conciliare le due cogenti richieste da parte di chi ha tentato di pervenire ad una tregua, fra un cessate il fuoco e l'altro. Ma l'evoluzione degli ultimi giorni fornisce qualche garanzia in più circa una conclusione fisiologica e non abortita di questo conflitto.
Impossibile conciliare le due cogenti richieste da parte di chi ha tentato di pervenire ad una tregua, fra un cessate il fuoco e l'altro. Ma l'evoluzione degli ultimi giorni fornisce qualche garanzia in più circa una conclusione fisiologica e non abortita di questo conflitto.
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mercoledì 20 agosto 2014
I cinque errori dei media su Gaza
di Alex Margolin*
L'impresa più ardua per i giornali è quella di fare il loro lavoro in tempi di guerra. Ma il conflitto fra Israele e Hamas rivela, ancora una volta, le palesi limitazioni della stampa tradizionale.
In particolare si rilevano cinque macroscopici errori. La minaccia maggiore alla precisione e alla comprensione giunge non tanto da articoli isolati spudoratamente di parte, quanto dalla massa di articoli che aderiscono agli standard distorti del giornalismo moderno.
1) I dati sulle vittime come barometro morale
Una volta Benjamin Disraeli affermò che esistono tre tipi di bugie: le bugie, le dannate bugie e le statistiche. I dati sulle vittime citati in queste settimane dai giornali corrispondono a tutte e tre. Le cifre offerte non sono credibili, la percentuale di civili colpiti è ignota, e il loro significato complessivo è offuscato dall'astrazione dal contesto.
L'impresa più ardua per i giornali è quella di fare il loro lavoro in tempi di guerra. Ma il conflitto fra Israele e Hamas rivela, ancora una volta, le palesi limitazioni della stampa tradizionale.
In particolare si rilevano cinque macroscopici errori. La minaccia maggiore alla precisione e alla comprensione giunge non tanto da articoli isolati spudoratamente di parte, quanto dalla massa di articoli che aderiscono agli standard distorti del giornalismo moderno.
1) I dati sulle vittime come barometro morale
Una volta Benjamin Disraeli affermò che esistono tre tipi di bugie: le bugie, le dannate bugie e le statistiche. I dati sulle vittime citati in queste settimane dai giornali corrispondono a tutte e tre. Le cifre offerte non sono credibili, la percentuale di civili colpiti è ignota, e il loro significato complessivo è offuscato dall'astrazione dal contesto.
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lunedì 31 marzo 2014
Il boicottaggio europeo dei prodotti israeliani poggia su argomentazioni viziate
di Timon Dias*
In un mondo turbolento, governi e compagnie europee cercano ancora di boicottare i prodotti realizzati dalle società israeliane nel cosiddetto "West Bank". I boicottatori poggiano le loro argomentazioni sul fatto che il West Bank è un territorio occupato e che la presenza israeliana è un ostacolo ad una pace duratura. Entrambe le tesi sono completamente infondate.
In Occidente, si fa riferimento alla cosiddetta "Green Line" quando si discute del processo di pace. Alcuni sono soliti affermare che Israele dovrebbe ripiegare al di qua della Linea Verde, onde mantenere un profilo di legittimità e legalità. La Linea Verde è citata a proposito dei "confini del 1967"; ma si tratta di un'argomentazione errata. Sostenendo che la Linea Verde coincide con i confini del 1967, si fornisce l'impressione che questa linea sia stata varcata per porre in essere un'operazione militare espansionistica. La verità invece è opposta: la Green Line altro non è che la linea armistiziale del 1949; il punto dove la guerra di sterminio promossa dagli arabi si interruppe e dove Israele alla fine riuscì a neutralizzare il tentativo di genocidio del proprio popolo.
Anche la locuzione "territori occupati" sebbene non sia corretta, è sufficiente a mettere in difficoltà il sostenitore delle tesi di Israele, e ad esaltare progressisti e musulmani. È il caso di soffermarsi sulla fondatezza legale del termine "occupato", con riferimento al West Bank.
In un mondo turbolento, governi e compagnie europee cercano ancora di boicottare i prodotti realizzati dalle società israeliane nel cosiddetto "West Bank". I boicottatori poggiano le loro argomentazioni sul fatto che il West Bank è un territorio occupato e che la presenza israeliana è un ostacolo ad una pace duratura. Entrambe le tesi sono completamente infondate.
In Occidente, si fa riferimento alla cosiddetta "Green Line" quando si discute del processo di pace. Alcuni sono soliti affermare che Israele dovrebbe ripiegare al di qua della Linea Verde, onde mantenere un profilo di legittimità e legalità. La Linea Verde è citata a proposito dei "confini del 1967"; ma si tratta di un'argomentazione errata. Sostenendo che la Linea Verde coincide con i confini del 1967, si fornisce l'impressione che questa linea sia stata varcata per porre in essere un'operazione militare espansionistica. La verità invece è opposta: la Green Line altro non è che la linea armistiziale del 1949; il punto dove la guerra di sterminio promossa dagli arabi si interruppe e dove Israele alla fine riuscì a neutralizzare il tentativo di genocidio del proprio popolo.
Anche la locuzione "territori occupati" sebbene non sia corretta, è sufficiente a mettere in difficoltà il sostenitore delle tesi di Israele, e ad esaltare progressisti e musulmani. È il caso di soffermarsi sulla fondatezza legale del termine "occupato", con riferimento al West Bank.
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martedì 11 marzo 2014
È un momentaccio per gli odiatori di Israele
È un momentaccio per gli odiatori di Israele. Non possono accusare lo stato ebraico di torcere un capello ai palestinesi, senza che sia rinfacciato loro l'agghiacciante silenzio di fronte alle 140.000 vittime della guerra civile in Siria; fra cui si stima non meno di 1.600 palestinesi (un'ecatombe, al confronto del centinaio di palestinesi rimasti vittima dell'Operazione Pillar of Defense di fine 2012).
Non possono recitare la vecchia storia dell'"occupazione" israeliana del West Bank, peraltro in alcune aree popolato densamente da ebrei, e oltretutto assegnato al controllo israeliano dagli Accordi di Oslo del 1993; ora che dagli stessi ambienti si legittima una effettiva occupazione militare di una porzione di stato straniero da parte della Russia.
Si rischia di fare brutte figure denunciando un improbabile apartheid in Israele, ora che è definitivamente perso l'appoggio alla "causa palestinese" da parte di rockstar e divi del cinema che - si sa - fanno molta più tendenza di quanto lo possa fare uno sfigato blog come questo. Ma gli odiatori professionali a tempo pieno non si rassegnano: nonostante stiano perdendo rilevanti fonti di informazione, come la famosa Infopal, che curiosamente ha chiuso i battenti per mancanza di fondi in concomitanza con il collasso politico dei Fratelli Musulmani; la disponibilità di mezzi finanziari smisurati da parte dell'ONG multinazionali che contano permette di diffondere ancora un po' di sana diffamazione antisemita.
È il caso di Amnesty International, sempre in prima linea nel denigrare gratuitamente Gerusalemme e dintorni; si sospetta, condizionata dai generosi finanziamenti qatarioti. Per non dimenticarsi del mandato ricevuto, che non limita l'indagine ai 20 mila chilometri quadrati di Israele, di tanto in tanto "Amnesy" ficca timidamente il naso in altre vicende. Così, qualche giorno fa, ha pubblicato un documento di censura nei confronti del regime di Assad, che in Siria ha macellato diecine di civili innocenti, loro malgrado residenti nel campo profughi di Yarmouk. Palese la disparità di trattamento rispetto ai resoconti da Israele (si vede che questo tema eccita in modo particolare gli attivisti della ONG): quando i palestinesi muoiono in Siria, essi sono semplicemente numeri, statistiche, da stilare frettolosamente per dedicarsi immediatamente ad altro; quando sono vittime della inevitabile reazione israeliana agli attacchi palestinesi, hanno un nome e cognome, una storia, una immancabile mamma dolorosa e dolorante, una collezione di foto che potrebbe far schiattare di invidia i più celebrati agenti cinematografici. Insomma, sono umanizzati in modo estremo, e talvolta grottesco; ma sufficiente per orientare il giudizio del lettore, deformando la realtà a proprio piacimento e ovviamente astraendo dal contesto: si omette di rilevare che le vittime palestinesi sono da un lato oggetto di deliberato e brutale assalto; dall'altro il risultato drammatico di una inevitabile reazione che non si manifesterebbe se lo stato ebraico non fosse quotidianamente e impunemente aggredito.
Il blog Elder of Ziyon (questa sì un'ottima fonte informativa) si è cimentato in un istruttivo confronto fra gli ultimi due rapporti partoriti da Amnesty International; con riferimento all'attività israeliana nel West Bank, e ai bombardamenti degli inermi profughi palestinesi da parte dell'aviazione di Assad. Spropositata l'attenzione: malgrado le vittime riportate dalla ONG siano 22 nel primo caso e 194 nel secondo, il primo documento si sviluppa lungo 87 pagine, nelle quali sono riportate 14 foto e non meno di 18 minuziose descrizioni delle vite dei malcapitati; nel secondo caso, nessuna foto, nessuna biografia, e soltanto in una circostanza si è deprecata l'impunità degli autori. Una, contro 14 denunce analoghe contenuto nel documento redatto con riferimento ad Israele, malgrado la foliazione più ridotta. Non manca un video a supporto, mentre contributi filmati non sono disponibili per il rapporto di "condanna" delle quasi 200 vittime palestinesi della efferata repressione di Assad.
È davvero un brutto momento, per gli odiatori di Israele: rimasti in compagnia di militanti talmente parziali da essere completamente privi di credibilità. Così non si fa altro che danneggiare la "causa palestinese".
Non possono recitare la vecchia storia dell'"occupazione" israeliana del West Bank, peraltro in alcune aree popolato densamente da ebrei, e oltretutto assegnato al controllo israeliano dagli Accordi di Oslo del 1993; ora che dagli stessi ambienti si legittima una effettiva occupazione militare di una porzione di stato straniero da parte della Russia.
Si rischia di fare brutte figure denunciando un improbabile apartheid in Israele, ora che è definitivamente perso l'appoggio alla "causa palestinese" da parte di rockstar e divi del cinema che - si sa - fanno molta più tendenza di quanto lo possa fare uno sfigato blog come questo. Ma gli odiatori professionali a tempo pieno non si rassegnano: nonostante stiano perdendo rilevanti fonti di informazione, come la famosa Infopal, che curiosamente ha chiuso i battenti per mancanza di fondi in concomitanza con il collasso politico dei Fratelli Musulmani; la disponibilità di mezzi finanziari smisurati da parte dell'ONG multinazionali che contano permette di diffondere ancora un po' di sana diffamazione antisemita.
È il caso di Amnesty International, sempre in prima linea nel denigrare gratuitamente Gerusalemme e dintorni; si sospetta, condizionata dai generosi finanziamenti qatarioti. Per non dimenticarsi del mandato ricevuto, che non limita l'indagine ai 20 mila chilometri quadrati di Israele, di tanto in tanto "Amnesy" ficca timidamente il naso in altre vicende. Così, qualche giorno fa, ha pubblicato un documento di censura nei confronti del regime di Assad, che in Siria ha macellato diecine di civili innocenti, loro malgrado residenti nel campo profughi di Yarmouk. Palese la disparità di trattamento rispetto ai resoconti da Israele (si vede che questo tema eccita in modo particolare gli attivisti della ONG): quando i palestinesi muoiono in Siria, essi sono semplicemente numeri, statistiche, da stilare frettolosamente per dedicarsi immediatamente ad altro; quando sono vittime della inevitabile reazione israeliana agli attacchi palestinesi, hanno un nome e cognome, una storia, una immancabile mamma dolorosa e dolorante, una collezione di foto che potrebbe far schiattare di invidia i più celebrati agenti cinematografici. Insomma, sono umanizzati in modo estremo, e talvolta grottesco; ma sufficiente per orientare il giudizio del lettore, deformando la realtà a proprio piacimento e ovviamente astraendo dal contesto: si omette di rilevare che le vittime palestinesi sono da un lato oggetto di deliberato e brutale assalto; dall'altro il risultato drammatico di una inevitabile reazione che non si manifesterebbe se lo stato ebraico non fosse quotidianamente e impunemente aggredito.
Il blog Elder of Ziyon (questa sì un'ottima fonte informativa) si è cimentato in un istruttivo confronto fra gli ultimi due rapporti partoriti da Amnesty International; con riferimento all'attività israeliana nel West Bank, e ai bombardamenti degli inermi profughi palestinesi da parte dell'aviazione di Assad. Spropositata l'attenzione: malgrado le vittime riportate dalla ONG siano 22 nel primo caso e 194 nel secondo, il primo documento si sviluppa lungo 87 pagine, nelle quali sono riportate 14 foto e non meno di 18 minuziose descrizioni delle vite dei malcapitati; nel secondo caso, nessuna foto, nessuna biografia, e soltanto in una circostanza si è deprecata l'impunità degli autori. Una, contro 14 denunce analoghe contenuto nel documento redatto con riferimento ad Israele, malgrado la foliazione più ridotta. Non manca un video a supporto, mentre contributi filmati non sono disponibili per il rapporto di "condanna" delle quasi 200 vittime palestinesi della efferata repressione di Assad.
È davvero un brutto momento, per gli odiatori di Israele: rimasti in compagnia di militanti talmente parziali da essere completamente privi di credibilità. Così non si fa altro che danneggiare la "causa palestinese".
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mercoledì 26 febbraio 2014
Palestinesi di serie B
La guerra civile in Siria sta per superare l'agghiacciante primato di tre anni di durata. Varie fonti aggiornano il macabro conteggio delle vittime: compreso fra 100 e 140 mila persone. Un alto esponente delle Nazioni Unite oggi ha riconosciuto che alla fine dell'anno il numero dei profughi siriani, in fuga dagli orrori della guerra, supererà la soglia dei 4 milioni. Oltre nove milioni di siriani necessitano di aiuti umanitari. Eppure, ancora oggi l'UNRWA, la speciale agenzia istituita dall'ONU per gestire e perpetrare l'esistenza dei "profughi" palestinesi, beneficia di un budget annuale ben maggiore. E come se ciò non bastasse a rimarcare l'ipocrisia onusiana, le vittime palestinesi del conflitto oscillano a seconda delle stime fra 660 e 1600 persone; una stima peraltro certamente errata per difetto, dal momento che risale a quasi cinque mesi fa.
Eppure, non una risoluzione di condanna, o quantomeno di censura, o di monito, è uscita dal Palazzo di Vetro. Nessuna flotta è salpata in soccorso o solidarietà del "glorioso popolo palestinese", che deve essersi accorto di contare qualcosa, soltanto quando è scagliato come un corpo morto contro gli israeliani. Nessun premio per la foto dell'anno è stato conferito ai reporter che documentano la tragedia aberrante che si consuma ogni giorno da tre anni in Siria. Luisa Morgantini non ritiene il caso di mobilitarsi per i suoi fratelli palestinesi di serie B, le vignette antisemite vergate da squallidi sciacalli non sono sostituite da effigi che riproducono un Assad sempre più cinicamente assetato di sangue. Direttori d'orchestra non denunciano il genocidio, e non scatta alcun embargo: continueremo a consumare serenamente datteri e frutta esotica made in Syria.
Eppure, non una risoluzione di condanna, o quantomeno di censura, o di monito, è uscita dal Palazzo di Vetro. Nessuna flotta è salpata in soccorso o solidarietà del "glorioso popolo palestinese", che deve essersi accorto di contare qualcosa, soltanto quando è scagliato come un corpo morto contro gli israeliani. Nessun premio per la foto dell'anno è stato conferito ai reporter che documentano la tragedia aberrante che si consuma ogni giorno da tre anni in Siria. Luisa Morgantini non ritiene il caso di mobilitarsi per i suoi fratelli palestinesi di serie B, le vignette antisemite vergate da squallidi sciacalli non sono sostituite da effigi che riproducono un Assad sempre più cinicamente assetato di sangue. Direttori d'orchestra non denunciano il genocidio, e non scatta alcun embargo: continueremo a consumare serenamente datteri e frutta esotica made in Syria.
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lunedì 18 novembre 2013
Quando anche le interpreti non ne possono più
Non sono molti i momenti lieti per lo Stato di Israele, nei forum delle organizzazioni internazionali. Ma una piccola, significativa soddisfazione l’ha avuta di recente quando un’interprete delle Nazioni Unite, non essendosi accorta che il microfono era rimasto acceso, ha fatto un commento ingenuamente onesto sul trattamento spudoratamente fazioso che Israele stava subendo durante una conferenza sui diritti umani.
Domenica mattina il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha voluto rendere noto, con tanto di filmato, il “fuori-onda” dell’interprete che ha avuto luogo giovedì sera in una conferenza in corso a New York durante la quale, come osserva la stessa interprete, venivano votate a stragrande maggioranza una decina di risoluzioni di condanna di Israele e nessuna sul resto del mondo. Un dato che l’interprete, non pensando di essere udita, si è chiesta se non fosse francamente “un peu trop” (un po’ troppo), visto che “ci sono altre str…zate veramente brutte che succedono, ma nessuno dice niente delle altre cose”.
Accortasi d’essere amplificata, la donna ha immediatamente e ripetutamente chiesto scusa (fra gli sghignazzi dei presenti), mentre la segreteria della presidenza, definito l’incidente “un problema con la traduzione”, riprendeva i lavori come previsto.
“Chi avrebbe dovuto chiedere scusa, in realtà, è l’Onu – ha commentato su Times of Israel Hillel Neuer, direttore di “UN Watch” – Fondato su nobili ideali, l’organismo mondiale sta trasformando in un incubo il sogno degli internazionalisti amanti della libertà. Il prossimo mese, alla fine di questa sessione annuale, l’Assemblea Generale avrà adottato un totale di 22 risoluzioni che condannano Israele, e solo quattro su tutto il resto del mondo. L’ipocrisia, la faziosità e la politicizzazione sono sconcertanti”.
continua su Israele.net.
giovedì 10 ottobre 2013
Quello stupido di Netanyahu
I giornali internazionali sono sempre molto ben attenti a raffigurare lo stato isreaeliano e i suoi esponenti sotto una
cattiva luce. Non importano i successi economici conseguiti, che consentono allo stato ebraico di mantenere invariato il suo
merito di credito, e di vedere calare il tasso di disoccupazione (6.1%) a livelli da locomotiva tedesca (ma con un debito
pubblico in rapporto al PIL inferiore e con un saldo di bilancia corrente pari al 3.7% del PIL). E passa in secondo piano la
circostanza secondo cui 6 degli 8 vincitori di premi Nobel finora assegnati siano di nazionalità israeliana o comunque ebrei:
passerebbe il messaggio che rimuove lo stereotipo di israeliani con il pensiero fisso alla guerra e alla "occupazione"; come
se questo fosse il segreto del successo economico, scientifico e tecnologico di un lembo di terra grande quanto la Puglia, e
il cui tenore di vita - di tutti i cittadini: arabi felicemente compresi - è salito del 22% soltanto negli ultimi sette anni:
il PIL pro-capite è passato dai 18200 dollari del 2004 ai 22130 dollari del 2012.
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