Niente: uno aspetta giorni; poi i giorni diventano settimane, ma dei palestinesi che cercano disperatamente di fuggire con ogni mezzo dal regime brutale di Hamas a Gaza, non compare notizia sui media nazionali.
Succede che dopo l'ultima guerra di Gaza, sempre più palestinesi abbiano deciso di rompere gli indugi. Ce l'hanno con Israele, ma non per lo stesso motivo dei loro aguzzini, che li hanno costretti a lavorare nelle viscere della terra, per scavare i famigerati tunnel della morte in cui hanno perso la vita almeno 160 bambini. No, ce l'hanno con lo stato ebraico perché non ha portato a termine il lavoro, lasciando intatta a Gaza la leadership dei fondamentalisti islamici.
Così, hanno scelto ogni mezzo per lasciare l'enclave palestinese, nel fondato timore che la tregua possa essere rotta in un futuro neanche tanto remoto. Secondo il Gatestone Institute, almeno 500 palestinesi hanno perso la vita in mare, annegati mentre cercavano improbabilmente di guadagnare le coste europee a bordo di gommoni calati miseramente a picco. È un conteggio drammatico: la metà delle presumibili vittime civili del recente conflitto, che tanta eco hanno viceversa suscitato. Secondo alcune testimonianze, le imbarcazioni sarebbero affondate per il deliberato calcolo cinico dei traghettatori. A Gaza si parla ormai, seppur sommessamente, di "barche della morte".