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giovedì 8 settembre 2016

Israele e i "Territori" secondo il diritto internazionale

di Alan Baker*

Il diritto internazionale parla di "occupazione" quando una potenza occupa il territorio di uno stato sovrano. Nel caso di Israele, non c'è alcuna occupazione di un territorio sovrano: lo stato ebraico è entrato nell'area conosciuta come "West Bank" nel 1967, assumendone il controllo e l'amministrazione dalla Giordania, che non è mai stata considerata sovrana su quell'area.
In effetti, Israele e il popolo ebraico rivendicano parti di quell'area da secoli. Chiunque abbia mai letto la Bibbia può apprezzare il fatto che c'è una base legale storica molto consistente a supporto di territori che non possono essere considerati occupati; ma tutt'al più contesi.
Apprezzabile il fatto che anche i palestinesi abbiano rivendicazioni su quel territorio. Ma Israele ritiene che le sue argomentazioni sono ben più solide e meglio documentate. Ciononostante, è impegnato a condurre negoziati con i palestinesi per pervenire ad una soluzione definitiva della disputa.
I giordani, che invasero l'area dopo la guerra del 1948, procedettero ad annessione; ma quella annessione non è mai stata riconosciuta dalla comunità internazionale. Più tardi il re di Giordania rinunciò unilateralmente ad ogni sovranità o rivendicazione sui territori. Per cui i giordani sono arrivati e andati via. La questione va risolta fra israeliani e palestinesi.

domenica 21 agosto 2016

Le dieci principali calunnie nei confronti di Israele

di Alan Baker*

Ogni giorno Israele è bersagliato da risoluzioni a senso unico, dichiarazioni di principio, "piani di pace" e raccomandazioni formulate da governi, organizzazioni internazionali, capi di stato e di governo, sedicenti esperti e soggetti di vario tipo della comunità internazionale.
La maggior parte di queste assunzioni, nei confronti dello stato ebraico, dei suoi leader, del governo di Gerusalemme, benché ampiamente condivise; si rivelano dopo rapida verifica false e/o erronee. È per questo motivo che oggi diventa inderogabile affrontarle una ad una, smascherando la mistificazione e la calunnia.


1) «Il ritiro dai territori di Giudea e Samaria garantirà ad Israele sicurezza e accettazione internazionale»: FALSO.

Prima della conquista di questi territori da parte di Israele dopo la guerra subita nel 1967, gli stati arabi commisero tutti gli sforzi per indebolire diplomaticamente e militarmente lo stato ebraico. I tentativi arabi e iraniani di confutare le radici ebraiche in Israele e a Gerusalemme, e la legittimità dello stato ebraico, ancora oggi risuonano nella comunità internazionale; con l'UNESCO che fa da cassa di risonanza.
I palestinesi nel frattempo sono impegnati a creare un loro stato su tutta la Palestina mandataria britannica, indottrinando i loro bambini in questo senso.

domenica 6 settembre 2015

Europa pronta a misure punitive nei confronti di Israele: «applichiamo soltanto la legge»

È in dirittura d'arrivo il complesso di misure penalizzanti che l'Europa sta adottando, dietro l'impulso della signora Mogherini - reduce dalle radiose strette di mano con gli esponenti del regime iraniano - nei confronti delle produzioni israeliane. I provvedimenti per ora riguarderanno soltanto le merci prodotte dalle aziende israeliane nei territori contesi del West Bank: sono le aree dove prima operavano le aziende come Sodastream, ora trasferitasi nel deserto del Negev, dopo aver chiuso un efficiente stabilimento che dava occupazione e reddito a 900 famiglie palestinesi.
Jean Asselborn, presidente di turno dell'Unione Europea, si è schermito osservando «dobbiamo assicurarci che i consumatori europei sappiano distiguere i prodotti provenienti dai territori "occupati" (sic!) da Israele. Stiamo soltanto applicando il diritto internazionale».
In effetti l'uomo della strada non si capacita di come, in tempi di crisi economica internazionale e con il genocidio siriano che bussa alle nostre porte, i burocrati di Bruxelles abbiano come massima priorità quella di sanzionare le aziende israeliane che operano in territori (Area C) che per ultimo gli Accordi di Oslo del 1993 - sottoscritto sotto il patrocinio dell'UE - assegnano alla piena giurisdizione civile e militare di Gerusalemme.

venerdì 1 maggio 2015

Le acrobazie della BBC sui "territori occupati"

Che magnifica equidistanza ostenta la Multinazionale britannica dell'informazione! Per non correre rischi di ingenerare inopportuni equivoci, la BBC mette a disposizione dei suoi giornalisti e corrispondenti un'agile guida, con cui si specifica il lessico da adottare, le etichette da appiccicare, e le consuetudini da promuovere, nella descrizione delle controversie geopolitiche. Così, quando si tratta del West Bank, il bravo giornalista deve sempre menzionare la circostanza che trattasi di "territori occupati" (da Israele, s'intende), che la circostanza subisce la censura del diritto internazionale, che è irrilevante che l'occupazione sia il risultato di una legittima guerra difensiva, che Gerusalemme abbia tentato più volte di disfarsi di uno scomodo West Bank senza successo («No, no e no», fu la risposta seccata della Lega Araba a Khartum meno di tre mesi dopo la fine delle ostilità), che prima del 1967 Giudea e Samaria erano occupati questa volta illegalmente dalla Giordania senza che alcuno abbia mai formulato una rivendicazione. Persino i quartieri orientali della capitale israeliana ("Gerusalemme Est") sarebbero "occupati", secondo gli standard della BBC.
Onde non ingenerare il sospetto di partigianeria, la Guida Stilistica dell'emittente britannica raccomanda di non indugiare nella redazione del testo sull'occupazione del West Bank: «si ingenererebbe il sospetto di partigianeria a favore di una parte». Per carità.

venerdì 6 febbraio 2015

L'Occidente nei confronti dei palestinesi adotta una strategia sciaguratamente sbagliata


Il caso che deflagra nuovamente oggi non è nuovo per i nostri quattro lettori. Ce ne siamo occupati giusto quattro mesi fa: in violazione degli accordi interinali che seguirono la sottoscrizione del Trattato di Oslo del 1993, l'Autorità Palestinese sta costruendo illegalmente nell'area C del West Bank; quella sotto il pieno e legittimo controllo israeliano, sulla base delle intese sottoscritte all'epoca dall'OLP. Aspetto forse ancor più grave, l'attività edilizia beneficia del patrocinio addirittura dell'Unione Europea, che impiega un giorno sì e l'altro pure a puntare il dito contro presunte irregolarità israeliane nei territori contesi.
Siamo a febbraio e l'illecito non è stato sanato; al contrario: come riporta oggi il Jerusalem Post, centinaia di strutture abitative sono state costruite non lontano da Gerusalemme, fra Ma’aleh Adumim e la zona E1. Il governo israeliano è al corrente di questa attività, ma nicchia nel denunciare l'abuso, nel tentativo di non inasprire i già tesi rapporti con Bruxelles.

domenica 14 settembre 2014

Quanto occupano i Territori "occupati"?

I "Territori occupati". Prima che la guerra civile in Siria producesse il genocidio di oltre 190 mila persone; prima che la Libia conoscesse il caos incontrollabile conseguente alla caduta di Gheddafi, prima che l'Egitto sprofondasse nella breve parantesi nella tirannia dei Fratelli Musulmani, sembrava a non pochi che davvero bastasse risolvere il conflitto fra arabi e israeliani per consegnare al Medio Oriente un futuro di pace. A poco serviva evidenziare che non già alla terra erano interessati, gli arabi, bensì alla distruzione di Israele; che lo stato ebraico si era ritirato spontaneamente dal Libano e da Gaza, ottenendo nuovi e sempre più veementi attacchi; che l'equazione "terra in cambio di pace" esisteva solo nella mente di ingenui esponenti di una sinistra sempre più emarginata politicamente, perché lontana da una drammatica realtà: l'unica opzione possibile essendo "pace, in cambio di pace", come hanno dimostrato gli accordi di pace sottoscritti prima con l'Egitto, e poi con la Giordania. Stati che non nutrono particolari simpatie per Gerusalemme e dintorni, ma con cui si può ragionare e al limite commerciare, come dimostrano gli accordi di fornitura pluriennale da diverse diecine di milioni di dollari, sottoscritti fra Gerusalemme, da una parte; e Amman e Il Cairo, dall'altra.
Ma anche qualora si volesse assumere la decisione di cestinare gli Accordi di Oslo del 1993, e di ritirarsi anche dalla "zona C" del West Bank, di cui Israele detiene il pieno controllo - amministrativo (il che si traduce nella piena e legittima licenza di edificarvi) e militare - di quanta terra stiamo parlando? a quanto ammontano, questi mitici territori "occupati" dagli insediamenti ebraici, che a gran voce reclamano i pacifisti di tutto il mondo?

giovedì 5 giugno 2014

Vecchie e nuove alleanze in Medio Oriente

Il presidente Obama ha completato una traiettoria tanto rocambolesca quanto sciagurata: lontani dai proclami tipo "Noi non trattiamo con i terroristi", gli Stati Uniti prima hanno stretto accordi con i talebani, che custodivano gelosamente una personcina mite e pacifica come Osama Bin Laden; poi hanno benedetto il governo palestinese al cui interno siedono i terroristi di Hamas; e ora stringono rapporti con Hezbollah, la formazione terroristica sciita che di fatto comanda in Libano. Nel durante, hanno trovato il modo di imprecare contro la defenestrazione dei fratelli musulmani in Egitto, di annullare l'ordine di evacuazione del regime sanguinario di Assad in Siria, e di benedire la corsa al Nucleare in Iran.
La visita di Kerry a Beirut - la prima, in cinque anni - ha cementato il nuovo corso, che possiamo sintetizzare in "Noi trattiamo solo con i terroristi". Il segretario di Stato americano si è affrettato a precisare che il governo USA monitorerà ogni giorno l'operato del nuovo governo palestinese onde assicurarsi che "non oltrepassi la linea": un'affermazione che ha probabilmente suscitato l'ilarità di presenti e assenti; memori della famosa "linea rossa" da tempo varcata dal sanguinario Assad in Siria.

lunedì 31 marzo 2014

Il boicottaggio europeo dei prodotti israeliani poggia su argomentazioni viziate

di Timon Dias*

In un mondo turbolento, governi e compagnie europee cercano ancora di boicottare i prodotti realizzati dalle società israeliane nel cosiddetto "West Bank". I boicottatori poggiano le loro argomentazioni sul fatto che il West Bank è un territorio occupato e che la presenza israeliana è un ostacolo ad una pace duratura. Entrambe le tesi sono completamente infondate.
In Occidente, si fa riferimento alla cosiddetta "Green Line" quando si discute del processo di pace. Alcuni sono soliti affermare che Israele dovrebbe ripiegare al di qua della Linea Verde, onde mantenere un profilo di legittimità e legalità. La Linea Verde è citata a proposito dei "confini del 1967"; ma si tratta di un'argomentazione errata. Sostenendo che la Linea Verde coincide con i confini del 1967, si fornisce l'impressione che questa linea sia stata varcata per porre in essere un'operazione militare espansionistica. La verità invece è opposta: la Green Line altro non è che la linea armistiziale del 1949; il punto dove la guerra di sterminio promossa dagli arabi si interruppe e dove Israele alla fine riuscì a neutralizzare il tentativo di genocidio del proprio popolo.
Anche la locuzione "territori occupati" sebbene non sia corretta, è sufficiente a mettere in difficoltà il sostenitore delle tesi di Israele, e ad esaltare progressisti e musulmani. È il caso di soffermarsi sulla fondatezza legale del termine "occupato", con riferimento al West Bank.

lunedì 30 settembre 2013

Facce da coloni

La Guerra dei Sei Giorni, mossa da Egitto, Siria e Giordania nei confronti di Israele nel 1967, si è conclusa il 10 giugno di quell'anno con la riunificazione della capitale Gerusalemme, occupata dalle truppe giordane nel 1948, e con la conquista della penisola del Sinai, poi riconsegnata all'Egitto dopo sottoscrizione di trattato di pace del 1979, e delle Alture del Golan, annesse due anni dopo. Quanto ai territori di Giudea e Samaria, strappati alla Giordania che li aveva occupati nel 1949, e noti anche come West Bank per la circostanza di occupare la parte occidentale del fiume Giordano, essi non hanno mai guadagnato un pieno stato giuridico, dopo la formalizzazione posta in essere dalla Conferenza di Sanremo del 1920 che assegnò queste terre, provenienti dal disfacimento dell'impero ottomano, alla locale popolazione ebraica.
Il tentativo di Gerusalemme di dirimere da subito questa controversia - famosa la dichiarazione di Moshe Dayan, allora ministro della Difesa, che attendeva invano "un colpo di telefono" da parte dei leader arabi - ha sempre trovato il deciso rifiuto degli stati arabi; a partire dai famosi "tre no di Karthoum", dal nome della città dove si tennero gli incontri degli stati arabi belligeranti fra agosto e settembre 1967: no alla pace con Israele, no al riconoscimento di Israele, no a negoziazioni con Israele. La pace era una opzione non presa in considerazione; e quando l'Egitto coraggiosamente (ma inevitabilmente, dopo la disfatta della guerra dello Yom Kippur del 1973) abbandonò le armi, fu punito con l'espulsione dalla Lega Araba. Lo stato di guerra permanente nei confronti di uno stato grande quanto la Puglia è un'opzione inevitabile per regimi antidemocratici, illiberali e spesso brutali e spietati nei confonti della propria popolazione.

mercoledì 5 dicembre 2012

Il principale ostacolo alla pace? una cinquantina di palazzi in periferia!

Si discute molto in questi giorni della rivitalizzazione di un vecchio progetto di espansione edilizia ad est di Gerusalemme, in un'area nota come "E1". Trattasi di un vecchio piano esistente dai tempi di Yitzhak Rabin, icona dei pacifisti di tutto il mondo e premio Nobel per la pace, rilanciato in questi giorni dal premier israeliano, all'indomani della decisione scellerata del leader dell'OLP Abu Mazen di recarsi all'ONU per sbriciolare il Trattato di Pace firmato ad Oslo nel 1993. Questa scelta ha avuto molteplici effetti collaterali sgradevoli, come già discusso; uno dei quali appunto è l'accantonamento della disponibilità di pervenire alla soluzione del Problema mediante discussioni bilaterali. Il governo di Gerusalemme già acconsentì nel 2010 a sospendere l'attività edilizia nelle zone contese per dieci lunghi mesi, ma tutto ciò che ottenne dall'altra parte fu un rumoroso silenzio: Ramallah non si degnò mai di sedersi al famoso "tavolo delle trattative", pretendendo una estensione del blocco dell'attività edilizia a pochi giorni dalla moratoria di dieci mesi.

mercoledì 27 giugno 2012

Niente cocomeri palestinesi per i sudafricani

E' una stagione eccezionale per il cocomero palestinese. No, non è un modo per denigrare la dirigenza di Ramallah o di Gaza, già impegnata nel torchiare i già tanti dissidenti e oppositori del regime (tale è un governo che perdura dopo l'esaurimento del suo mandato).
Si parla proprio del succoso frutto estivo, giunto a maturazione e pronto per essere consumato. Jenin, una città famosa per un "massacro" rivelatosi successivamente un falso d'autore, è la capitale del cocomero: quest'anno si prevedono circa 25 mila tonnellate di angurie, delle quali una buona parte sarà destinata all'esportazione. Le famiglie israeliane sono naturalmente le prime consumatrici del cocomero prodotto nella cittadina del West Bank: 6 angurie su 10 consumate provengono dall'area di Jenin. Buona parte di questo frutto è destinata all'esportazione.
Bene. Se non fosse che molti di questi frutti non arriveranno a destinazione. Di sicuro non in Sudafrica, dove il mese scorso il governo ha varato un provvedimento di legge che obbliga i commercianti locali a specificare se i prodotti Made in Israel provengono eventualmente dai territori palestinesi contesi di Giudea e Samaria. Poiché l'onere della prova spetta ai commercianti, la minaccia di sanzioni pecunarie indurrà loro a rinunciare all'importazione di prodotti agricoli provenienti da Jenin e dalle altre città agricole palestinesi.
Nel caso del povero cocomero, si tratta di un profitto potenziale stimato quest'anno in circa 65 milioni di Shekel: oltre 13 milioni di euro, in buona parte destinati alle tasche dei coltivatori.
Molte famiglie palestinesi si guadagnano da vivere coltivando cocomeri destinati all'esportazione, con l'ausilio del District Coordination and Liaison Office, un'agenzia del governo israeliano che collabora con il municipio di Jenin e che coordina le operazioni sanitarie e doganali. Il boicottaggio posto in essere dal governo sudafricano finisce così per danneggiare la parte più debole. Marciranno al sole i cocomeri palestinesi e le speranze di affrancarsi da un triste destino.

giovedì 31 maggio 2012

Spiragli di pace fra Israele e palestinesi

L'economia israeliana è fra le più vivaci e dinamiche al mondo. Nonostante la costante minaccia proveniente dagli stati confinanti, e pur priva di materie prime, l'eccellenza nella tecnologia e nel settore medico hanno consentito negli ultimi anni una vistosa espansione del prodotto interno lordo e una costante crescita del reddito delle famiglie; 1/5 delle quali sono arabe.
Altri arabi stanno ora beneficiando di questo boom economico (dall'inizio della Grande Recessione Israele è l'unico stato al mondo che ha visto migliorare il proprio merito di credito - rating - ad opera di Standard&Poor's). Le relazioni politiche fra Israele e West Bank sono ancora complicate dalla scarsa volontà da parte palestinese di sedersi al famoso tavolo delle trattative per il mutuo e pacifico riconoscimento. Ma ciò non sta impedendo il fiorire di relazioni commerciali. Certo, i volumi dell'interscambio sono ancora modesti: 4.3 miliardi di dollari nel 2011, in buona misura esportazioni israeliane. Ma la crescita economica dello stato ebraico ha consentito all'economia dell'Autorità Palestinese di aumentare le proprie "esportazioni" del 18%.
E nel frattempo si tengono iniziative bilaterali di scambi culturali, prima ancora che commerciali. Il Jerusalem Post rende nota una recente conferenza tenutasi nel Negev, che ha visto la presenza di uomini di affari sia israeliani che palestinesi. L'incontro è culminato con una competizione - questa volta, amichevole - fra studenti universitari arabi ed ebrei.

Il governo unitario palestinese è ancora lungi dal realizzarsi, malgrado le promesse roboanti di un anno fa. Nel frattempo il governo unitario israeliano viaggia a pieni giri, e partorisce proposte che non si esita a definire clamorose. Ieri il ministro della Difesa Barak ha dichiarato che non è da escludersi la possibilità che Israele si ritiri unilateralmente dai territori contesi, ottenuti dopo la Guerra dei Sei Giorni del 1967. I negoziati fra le parti, auspicati dagli Accordi di Oslo che hanno originato l'Autorità nazionale palestinese tardano a manifestarsi, malgrado i ripetuti inviti in tal senso di Gerusalemme. Israele ha sempre restituito i territori occupati in seguito ai conflitti in cambio di pace: così ha fatto con l'Egitto, a cui restituiì il Sinai, e altrettanto ha fatto con la Giordania. Il disimpegno dal Libano e più avanti quello dalla Striscia di Gaza è stato invece unilaterale, e ha prodotto il terrorismo di Hezbollah a nord e di Hamas a sud. La prospettiva di liberare l'1.5% di territorio palestinese nel West Bank ancora occupato viene salutata con un misto di stupore e approvazione, ma c'è il concreto timore che ciò possa nuocere ancora una volta ai civili.
Nel frattempo, un'altra concreta iniziativa a favore della distensione, sempre purtroppo proveniente da Israele (e dire che ci vorrebbe ben poco dall'altra parte: ma Abu Mazen è impegnato ad usare il pugno di ferro contro i rivali di Hamas e contro la stessa opposizione interna ad Al Fatah...): il governo di Gerusalemme si è impegnato a restituire alle rispettive famiglie i corpi di 91 terroristi palestinesi, rimasti vittima di attentati da essi stessi scagliati nelle città israeliane. Fra questi, ci sono l'attentatore che uccise 18 persone ad una fermata d'autobus a Gerusalemme, l'autore di un attentato simile a Be'er Sheva (16 morti) e l'autore dell'attentato al Café Hillel di Gerusalemme (sei morti). Si spera che la restituzione dei corpi non sia seguita da deplorevoli episodi di celebrazione e di onoranza. Spesso in passato a questi criminali sono state intitolate strade e piazze. Speriamo che si volti pagina.

martedì 10 aprile 2012

Gli insediamenti nel West Bank sono legali

fonte: Elad Benari, Arutz Sheva


Meir Rosenne, ex ambasciatore israeliano negli Stati Uniti e in Francia, ha affermato mercoledì che le comunità ebraiche in Giudea e Samaria sono legittime, secondo il diritto internazionale.
Rosenne ha commentato con Arutz Sheva la decisione della Corte Penale Internazionale con sede all'Aja, che ha respinto una istanza dell'Autorità Palestinese nei confronti di Israele, per presunti crimini di guerra durante l'operazione Piombo Fuso a Gaza nel 2009.
Il procuratore ha evidenziato che soltanto gli stati sovrani possono fare un esporto alla CPI, mentre l'AP è soltanto un osservatore in seno alle Nazioni Unite, e non un membro effettivo.
Rosenne ha notato come "l'AP non è uno stato. C'è l'Autorità Palestinese, e poi c'è Hamas che controlla Gaza, ma essi non sono definibili uno stato. Tutti i documenti ufficiali dell'ONU connessi alla Risoluzione 242 non citano mai l'aggettivo "Palestinese". E ha aggiunto che secondo il diritto internazionale le comunità ebraiche residenti in Giudea e Samaria hanno una piena legittimità giuridica: «i giuristi americani affermano che Israele è titolare di più diritti su questo territorio. Qualunque esperto di diritto che esamina questi documenti rileverà che non si fa alcuna menzione di concetti come il "West Bank" o i "territori occupati", ma casomai di Giudea e Samaria. E' questa la terminologia che compare nei documenti ufficiali dell'ONU».
Secondo la Convenzione di Ginevra tutte le comunità ebraiche sono legittime: «l'articolo 49 afferma che una potenza occupante non può forzare la propria popolazione ad occupare i territori contesi. E' quanto occorse durante la II Guerra Mondiale, quando la Germania costrinse con la forza i tedeschi a risiedere nella Polonia occupata. Ma nel nostro caso, Israele non ha mai occupato la Giudea e la Samaria: questa è un'area mai appartenuta ad alcun altro stato. L'occupazione giordana (fra il 1948 e il 1967, NdT) non è mai stata riconosciuta, al pari dell'occupazione egiziana della Striscia di Gaza. Il destino di queste aree dovrebbe risultare da negoziati fra le parti. I coloni non sono mai stati costretti ad entrare in questi territori, per cui agiscono nella piena legittimità».
Sempre secondo il diritto internazionale, i terroristi detenuti in Israele non devono essere considerati prigionieri di guerra: «la Convenzione di Ginevra afferma che un prigioniero di guerra è tale quando impiega manifestamente armi, indossa una uniforme e rispetta il diritto di guerra. I terroristi non mostrano apertamente le armi, non vestono uniformi e non rispettano certo il diritto di guerra quando ammazzano i bambini (o li usano come scudi umani, NdT)». Ciononostante, Israele comunque consente loro di vedere i propri avvocati, pur se terroristi.