Malcelato imbarazzo alla Casa Bianca per le rivelazioni della stampa sulla condotta del fratello presidenziale. Malik Obama è stato immortalato qualche anno fa ad una conferenza, dove indossava una kefya con le insegne di Hamas, con su impressa evidenti slogan anti-israeliani, del tipo «Gerusalemme è nostra», «Stiamo arrivando», oppure «Dalla terra al mare», con i quali si negherebbe legittimità allo stato ebraico. Le foto apparvero sul sito della fondazione intitolata a Barack Hussein Obama, che il fratello dalle deplorevoli simpatie ha fondato e tuttora gestisce.
Il sito di Walid Shoebat oggi rivela che un giornale arabo a suo tempo promosse la conferenza, indicando fra i partecipanti tale Bülent Yildirim, comandante della Freedom Flotilla che nello stesso anno avrebbe tentato l'incursione a Gaza, prima di essere intercettata dalla marina israeliana al largo delle coste dell'enclave palestinese. Quello scontro avrebbe prodotto morti e feriti, un "incidente" diplomatico fra Israele e Turchia, e un lungo contenzioso risolto prima con una telefonata chiarificatrice del governo di Gerusalemme ad Erdogan, con tanto di scuse (sollecitate forzatamente dallo stesso Obama); ed, infine, a breve, un discutibile indenizzo si dice di 20 milioni di dollari.
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sabato 8 febbraio 2014
Le discutibili frequentazioni di Obama
mercoledì 8 maggio 2013
Arabi che ammazzano altri arabi: non fa notizia

domenica 17 febbraio 2013
Continuano le vessazioni dei palestinesi
Ciò che sorprende e rattrista, è che le restrizioni avvengano anche sul versante meridionale della Striscia di Gaza.
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sabato 26 gennaio 2013
Leggende e falsificazioni sulla guerra Hamas-Israele (III Parte)
di IPT News*
6. Hamas è una fonte credibile di informazioni.
E' nell'interesse di Hamas il gonfiare il numero delle vittime palestinesi. Negli anni, Hamas ha impiegato immagini fasulle, allestito finerali finti e mentito sulle reali vittime del conflitto, per creare la sensazione che Israele commetta deliberatamente dei crimini. La recente escalation non ha fatto eccezione. Poco dopo l'inizio delle ostilità ha iniziato a circolare una foto che raffigurava un bambino ucciso; presumibilmente, per mano degli israeliani. Invece, il bambino era una delle 30 mila (ad oggi, le vittime documentate sono quasi 48 mila, NdT) della guerra civile in Siria. Un'altra immagine infame, comparsa sulle prime pagine dei giornali, ritrae il primo ministro egiziano Hisham Qandil e il primo ministro di Hamas Ismail Haniyeh che abbracciano un bambino rimasto ucciso, hanno detto, da un attacco aereo israeliano. Per quanto, esperti del "Palestinian Centre for Human Rights" hanno ammesso che l'esplosione letale sia stata cagionata da un missile palesinese difettoso ricaduto a terra poco dopo il lancio. Hamas non è nuova a queste macchinazioni e mente per guadagnare credito nella guerra delle pubbliche relazioni: l'unica battaglia che può vincere. Nell'epoca dei social media, la propaganda è una componente vitale della comunicazione di Hamas.
6. Hamas è una fonte credibile di informazioni.
E' nell'interesse di Hamas il gonfiare il numero delle vittime palestinesi. Negli anni, Hamas ha impiegato immagini fasulle, allestito finerali finti e mentito sulle reali vittime del conflitto, per creare la sensazione che Israele commetta deliberatamente dei crimini. La recente escalation non ha fatto eccezione. Poco dopo l'inizio delle ostilità ha iniziato a circolare una foto che raffigurava un bambino ucciso; presumibilmente, per mano degli israeliani. Invece, il bambino era una delle 30 mila (ad oggi, le vittime documentate sono quasi 48 mila, NdT) della guerra civile in Siria. Un'altra immagine infame, comparsa sulle prime pagine dei giornali, ritrae il primo ministro egiziano Hisham Qandil e il primo ministro di Hamas Ismail Haniyeh che abbracciano un bambino rimasto ucciso, hanno detto, da un attacco aereo israeliano. Per quanto, esperti del "Palestinian Centre for Human Rights" hanno ammesso che l'esplosione letale sia stata cagionata da un missile palesinese difettoso ricaduto a terra poco dopo il lancio. Hamas non è nuova a queste macchinazioni e mente per guadagnare credito nella guerra delle pubbliche relazioni: l'unica battaglia che può vincere. Nell'epoca dei social media, la propaganda è una componente vitale della comunicazione di Hamas.
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venerdì 5 ottobre 2012
La futura Striscia di Gaza
Il governo di Hamas a Gaza ha una connotazione sempre più autonomista. Lontani i tempi in cui "dialogava" con Al Fatah per la costituzione di un governo palestinese unitario: la realtà sta procedendo in direzione opposta. Non solo il movimento terroristico islamico rigetta la retorica dell'"occupazione israeliana", ancora cara ad alcuni (sempre meno, per la verità) irriducibili filo-palestinesi. Ma agisce sempre più in piena autonomia rispetto a Ramallah. La prospettiva di un corridoio che avrebbe dovuto collegare la Striscia di Gaza al West Bank, per concretizzare un futuro stato palestinese, avanzata in passato dai governi israeliani nell'ambito delle proposte per una pace definitiva, sembra sbiadita rispetto al trascorrere degli eventi in campo palestinese.
Sì, perché Hamas si sta orientando diversamente. Non bisogna dimenticare che il movimento integralista è una costola dei Fratelli Musulmani che ora governano l'Egitto, non senza ambiguità (ma il crollo delle entrate valutarie dal turismo obbliga i nuovi padroni ad una realpolitik che include copiosi finanziamenti occidentali; e di fronte a quelli, si è ben disposti ad indossare la grisaglia). Così, mentre da un lato Hamas accetta a malincuore la chiusura del migliaio di tunnel illegali che collegano l'Egitto alla Striscia; dall'altro apre alla prospettiva di una progressiva apertura del valico di Rafah, che integrerà sempre più Gaza al Cairo; al punto che non pochi osservatori ormai immaginano una Striscia integrata ormai politicamente nel nuovo Egitto della Fratellanza Musulmana.
D'altro canto, le recenti elezioni successive alla defenestrazione di Mubarak hanno consegnato il potere ad una schiacciante maggioranza in cui prevalgono i Fratelli Musulmani, ma in cui sono ben rappresentati gli ultra-integralisti salafiti. Che, guardacaso, insidiano dalle estremità la stessa Hamas a Gaza. Si ripropone insomma nell'enclave palestinese un tandem consacrato dalle elezioni democratiche nel vicino Egitto.
E in questa prospettiva non meravigliano le prime timide discussioni fra Hamas e Jihad Islamica che stanno prendendo corpo in questi giorni. Come riporta Challah hu Akbar, i militanti salafiti stanno celebrando in pompa magna l'anniversario della loro fondazione. Le foto testimoniano una folta rappresentanza di integralisti tunisini, che a pochi chilometri dalle coste siciliane stanno islamizzando la società nordafricana, e soprattutto di Mahmoud Zahar, co-fondatore di Hamas. Le foto evidenziano la militarizzazione della società palestinese, che purtroppo lascia poco spazio all'immaginazione. La retorica antisionista è sempre più accesa e coinvolge donne e bambini fin dalla tenera età. Si noti in una di queste immagini la raffigurazione di uno "stato palestinese" in cui Israele non trova alcun spazio. Cancellato senza pudore con tutta la sua popolazione.
Sì, perché Hamas si sta orientando diversamente. Non bisogna dimenticare che il movimento integralista è una costola dei Fratelli Musulmani che ora governano l'Egitto, non senza ambiguità (ma il crollo delle entrate valutarie dal turismo obbliga i nuovi padroni ad una realpolitik che include copiosi finanziamenti occidentali; e di fronte a quelli, si è ben disposti ad indossare la grisaglia). Così, mentre da un lato Hamas accetta a malincuore la chiusura del migliaio di tunnel illegali che collegano l'Egitto alla Striscia; dall'altro apre alla prospettiva di una progressiva apertura del valico di Rafah, che integrerà sempre più Gaza al Cairo; al punto che non pochi osservatori ormai immaginano una Striscia integrata ormai politicamente nel nuovo Egitto della Fratellanza Musulmana.
D'altro canto, le recenti elezioni successive alla defenestrazione di Mubarak hanno consegnato il potere ad una schiacciante maggioranza in cui prevalgono i Fratelli Musulmani, ma in cui sono ben rappresentati gli ultra-integralisti salafiti. Che, guardacaso, insidiano dalle estremità la stessa Hamas a Gaza. Si ripropone insomma nell'enclave palestinese un tandem consacrato dalle elezioni democratiche nel vicino Egitto.
E in questa prospettiva non meravigliano le prime timide discussioni fra Hamas e Jihad Islamica che stanno prendendo corpo in questi giorni. Come riporta Challah hu Akbar, i militanti salafiti stanno celebrando in pompa magna l'anniversario della loro fondazione. Le foto testimoniano una folta rappresentanza di integralisti tunisini, che a pochi chilometri dalle coste siciliane stanno islamizzando la società nordafricana, e soprattutto di Mahmoud Zahar, co-fondatore di Hamas. Le foto evidenziano la militarizzazione della società palestinese, che purtroppo lascia poco spazio all'immaginazione. La retorica antisionista è sempre più accesa e coinvolge donne e bambini fin dalla tenera età. Si noti in una di queste immagini la raffigurazione di uno "stato palestinese" in cui Israele non trova alcun spazio. Cancellato senza pudore con tutta la sua popolazione.
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mercoledì 27 giugno 2012
In Iran le donne sono sacre. In Egitto, a quanto pare, non ancora
Quel tal comico sostiene che in Iran le donne sono al centro delle attenzioni degli uomini. Insomma, non le si tocca con un fiore. Un affermazione che ha fatto ridere in pochi; ma si sa, le provocazioni sono il pane quotidiano dello showman genovese con residenza a Lugano, e non bisogna credere che riflettano la realtà.
Perché altrimenti, se le donne in Iran se la passano benone, bisognerebbe credere che altrettanto avvenga in Egitto, ormai gemellato con la repubblica islamica iraniana dopo le recenti elezioni che hanno visto l'affermazione del candidato dei Fratelli Musulmani.
A questo punto però non si riesce a capire se il protagonista indimenticato di "Te la do io l'America" (e poi "il Brasile", e presto "l'Iran") stesse scherzando, o fosse serio. Perché in Egitto le donne sono ancora malmenate.
E' successo infatti che un residente di Alessandria abbia picchiato la moglie, incinta, dopo aver appreso che essa non aveva votato per Mohammed Morsi, il fondamentalista islamico ora presidente d'Egitto. La donna è stata in seguito trasportata in ospedale, dove è morta per le ferite riportate. La notizia è stata riportata dalla versione online della TV Al Arabiya, che cita un quotidiano locale.
Perché altrimenti, se le donne in Iran se la passano benone, bisognerebbe credere che altrettanto avvenga in Egitto, ormai gemellato con la repubblica islamica iraniana dopo le recenti elezioni che hanno visto l'affermazione del candidato dei Fratelli Musulmani.
A questo punto però non si riesce a capire se il protagonista indimenticato di "Te la do io l'America" (e poi "il Brasile", e presto "l'Iran") stesse scherzando, o fosse serio. Perché in Egitto le donne sono ancora malmenate.
E' successo infatti che un residente di Alessandria abbia picchiato la moglie, incinta, dopo aver appreso che essa non aveva votato per Mohammed Morsi, il fondamentalista islamico ora presidente d'Egitto. La donna è stata in seguito trasportata in ospedale, dove è morta per le ferite riportate. La notizia è stata riportata dalla versione online della TV Al Arabiya, che cita un quotidiano locale.
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lunedì 25 giugno 2012
E tanti saluti alla primavera araba

un bambino salta in aria per colpa dell'esplosivo che portava nel suo zainetto, destinato ad Hamas? è colpa dei vicini israeliani che costringono i terroristi a servirsi di anime innocenti per evitare di essere intercettati prima di scagliare i loro attacchi.
Una bambina di due anni è colpita da un razzo difettoso scagliato da Hamas contro le città meridionali dello stato israeliano? colpa di Gerusalemme, che pratica un attento blocco navale che lascia passare tutto - alimentari, farmaci, materiali da costruzione, tessuti, eccetera - tranne armi e munizioni che pure l'Iran sarebbe ben felice di fornire mediante le navi che adesso attraversano liberamente lo Stretto di Suez.
Così, il morto e i tre feriti vittima dei "festeggiamenti" per l'affermazione di Morsi in Egitto, espressione pallida dei Fratelli Musulmani, saranno presto addebitati ad Israele, che da Gaza ha fatto le valigie nel 2005, rompendo una consuetudine invalsa da sempre: quello di riconsegnare le terre conquistate dopo i conflitti subiti dagli stati confinanti, dopo aver sottoscritto accordi di pace con gli stessi stati. E' stato così con la Giordania, e con lo stesso Egitto: terra in cambio di pace. Nei confronti di Gaza il governo Sharon fornì una generosa apertura di credito: il disimpegno senza alcuna contropartita, per dimostrare la buona volontà di raggiungere una pace. Risultato: serre e coltivazioni trasformate in trincee e piattaforme di lancio, un governo a Gerusalemme spaccato, e un milione di cittadini sotto quotidiana minaccia.
Proprio la presenza del regime fondamentalista islamico a Gaza fa riflettere: Hamas è giunta al potere di fatto "democraticamente", con elezioni tenutesi nel 2006 e che videro l'affermazione della filiale palestinese dei Fratelli Musulmani, assieme ai rivali storici di Al Fatah. L'anno successivo il partito da cui proviene Abu Mazen fu letteralmente cacciato con un sanguinoso colpo di stato, e da allora iniziò una coabitazione a distanza. Si parla ancora oggi di governo unitario, invano.
Ma il punto è: elezioni si tennero a Gaza; elezioni si tennero a Ramallah. Quella parvenza di istituzioni democratiche sono oggi scadute: da un paio d'anni. Non si tengono più elezioni, e chissà quando si terranno nuovamente. Non occorre: è stata fatta la volontà di Allah. La democrazia da queste parti non si misura con la celebrazione di stucchevoli elezioni; si misura con il rinnovo di questa liturgia politica periodica. Se elezioni non si tengono più a Gaza (nel qual caso Hamas dovrebbe cedere fette di potere ai più rivoluzionari gruppetti che iniziano a fare i comodi loro) ne' a Ramallah, dove Abu Mazen teme di essere esautorato proprio dai rivali di Hamas; perché mai fra quattro-cinque anni dovrebbero essere tenute nuovamente in Egitto?
Con tanti saluti alla primavera araba, e ai pochi che ancora la celebrano in Europa.
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domenica 24 giugno 2012
Il nuovo che avanza
Dunque Mohammed Morsi, espressione dei Fratelli Musulmani - la cui filiale a Gaza si chiama Hamas - è il nuovo presidente d'Egitto. Succede a Hosni Mubarak.
Giusto per capire di cosa stiamo parlando, questo è il bigliettino da visita del neo-presidente dello stato arabo più popoloso al mondo:
«La nostra capitale non è ne' Mecca ne' Medina. Con la volontà di Allah, la nostra capitale sarà Gerusalemme. Milioni di martiri stanno già marciando verso Gerusalemme.
E' Gerusalemme il nostro obiettivo. E' lì che pregheremo».
Poco più di tre anni fa un ometto mediocre, che poco prima per una serie di fortunose circostanze storiche, era stato eletto presidente dello stato più potente al mondo, con il suo famigerato discorso al Cairo dava il via alla rivoluzione araba, ancora oggi chiamata da alcuni primavera araba. Un suo predecessore, al quale oggi è accostato, nel 1979 salutava con entusiasmo la fine dell'esilio dell'ayatollah Khomeini che tornando in Persia inaugurava la rivoluzione iraniana.
Così, mentre l'accondiscendenza occidentale nei confronti della Siria ha indotto la Turchia a trovare la smoking gun che aprirà le ostilità fra i due stati, con la NATO nell'imbarazzata posizione di alleata di Erdogan, più a sud Egitto e Iran convergono verso l'unica democrazia del Medio Oriente.
E noi che ci lamentiamo dei nostri politici ladri di polli. Ne vedremo delle "belle" nei prossimi mesi...
Giusto per capire di cosa stiamo parlando, questo è il bigliettino da visita del neo-presidente dello stato arabo più popoloso al mondo:
«La nostra capitale non è ne' Mecca ne' Medina. Con la volontà di Allah, la nostra capitale sarà Gerusalemme. Milioni di martiri stanno già marciando verso Gerusalemme.
E' Gerusalemme il nostro obiettivo. E' lì che pregheremo».
Poco più di tre anni fa un ometto mediocre, che poco prima per una serie di fortunose circostanze storiche, era stato eletto presidente dello stato più potente al mondo, con il suo famigerato discorso al Cairo dava il via alla rivoluzione araba, ancora oggi chiamata da alcuni primavera araba. Un suo predecessore, al quale oggi è accostato, nel 1979 salutava con entusiasmo la fine dell'esilio dell'ayatollah Khomeini che tornando in Persia inaugurava la rivoluzione iraniana.
Così, mentre l'accondiscendenza occidentale nei confronti della Siria ha indotto la Turchia a trovare la smoking gun che aprirà le ostilità fra i due stati, con la NATO nell'imbarazzata posizione di alleata di Erdogan, più a sud Egitto e Iran convergono verso l'unica democrazia del Medio Oriente.
E noi che ci lamentiamo dei nostri politici ladri di polli. Ne vedremo delle "belle" nei prossimi mesi...
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mercoledì 13 giugno 2012
Le priorità dell'Europa in Medio Oriente

Per esempio, qual è il problema più grave in Medio-Oriente?
fino ad un anno e mezzo fa, molti avrebbero risposto, con lo stesso automatismo con cui blaterano i pappagalli, "il conflitto arabo-israeliano". Risolvete quel conflitto, era l'argomentazione - a volta in buona fede, spesso no - e il Medio Oriente vedrà ridurre la tensione che lo affligge. La "primavera araba" si è manifestata in diverse forme e con differenti intensità. Ma in Tunisia, in Libia, in Egitto, nel Bahrein e nello Yemen, bisogna dirlo, è apparso subito evidente che gli israeliani non c'entravano proprio nulla.
Qual è oggi il problema principale in Medio Oriente? vediamo, ce ne sono tanti:
- un dittatore in Siria che ha ammazzato quasi 16 mila connazionali (per la verità di etnia diversa dalla minoranza shiita-alawita che regna a Damasco), con il supporto finanziario e le armi della Russia? no.
- Un ciclo di elezioni in Egitto che finalmente sta giungendo ad epilogo, con una maggioranza parlamentare schiacciante in mano ai fondamentalisti islamici, assistiti da "ultra-fondamentalisti", e con un probabilissimo presidente iscritto alla "loggia" dei Fratelli Musulmani? nemmeno.
- Una sanguinosa guerra civile in Libia, con tanto di regolamento di conti fra bande rivali? macché.
- Un autunno islamico in Tunisia, dove gradualmente si sta imponendo la shaaria? figuriamoci...
- Un Libano lacerato da una presenza non più simbolica ma anche formale di Hezbollah, il "partito di Dio" finanziato dall'Iran, presente ora nel governo dopo le dimissioni di Hariri, resesi necessarie dopo che il Tribunale Speciale per il Libano, istituito dall'ONU, sta per rivelare la responsabilità di Hezbollah nell'assassinio del padre di Hariri, a sua volta primo ministro? troppo poco...
- Un Iran che procede a passo spedito verso la bomba atomica, al punto da aver aperto una terza centrale, sotterranea, dove le centrifughe lavorano a pieno ritmo, mentre in superficie i delegati ONU brancolano nel buio? e che sarà mai...
Il problema più urgente, in Medio Oriente, è l'espansione delle comunità ebraiche in Giudea e Samaria. Prima che qualcuno chiami il servizio di sanità mentale, sappiate che a pronunciare questa affermazione è stata nientepopodimeno che "Alto rappresentante per gli affari esteri dell'Unione europea", baronessa Catherine Ashton. Lo smantellamento degli insediamenti ebraici nei territori conquistati da Israele dopo la Guerra dei Sei Giorni del 1967, e mai restituiti per il rifiuto da parte araba di avviare negoziati finalizzati ad una pace - come fatto in altri tempi, e con successo, con Egitto e Giordania - e la riunificazione di Gerusalemme, occupata nei quartieri orientali dall'esercito giordano nel 1948, e liberata 19 anni dopo; sono queste le priorità fondamentali dell'Unione Europea, afferma la ministra degli Esteri.
Che dire... speriamo solo che sia abbastanza nobile e benestante da non aver bisogno di ritirare il gettone di presenza...
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domenica 11 marzo 2012
Israele sotto il fuoco palestinese

Circa 135 missili sono stati lanciati nelle ultime 36 ore dalla Striscia di Gaza verso le città meridionali di Israele, dove vivono un milione di persone. In media, un attacco è stato sferrato ogni 20 minuti. Le persone hanno 15 secondi di tempo dal suono della sirena per abbandonare le case e guadagnare i rifugi.

L'Amministrazione Obama, per bocca del segretario di Stato Hillary Clinton, ha condannato l'aggressione palestinese, sostenendo che Israele ha il sacrosanto diritto a difendersi dagli attacchi. L'Europa segue l'evolversi degli eventi con preoccupazione. Al di la' di dichiarazioni di facciata, emerge l'impotenza del fronte (una volta) "moderato" dell'Autorità Palestinese, strettasi in un abbraccio mortale con gli amici-nemici di Hamas, che governano col terrore la Striscia di Gaza dal 2007, dopo un sanguinoso colpo di stato con cui ha esautorato proprio la Al Fatah di Abu Mazen.
Gli attacchi sono stati finora condotti dalla Jihad Islamica (missili a lungo raggio: Grad) e dal Comitato di Resistenza Popolare (missili a corto raggio: Qassam).

Il sistema di protezione "Iron Dome" ha intercettato il 90% (28 su 31) delle minacce sotto la sua copertura, ma purtroppo esso copre men della metà del necessario, per cui la restante parte dei 74 missili piovuti su Israele ha raggiunto l'obiettivo, rendendo necessario l'intervento dell'aviazione per rimuovere la minaccia di nuovi attacchi dal nord della Striscia di Gaza. Nessun civile è stato colpito nelle azioni condotte; 16 terroristi hanno invece raggiunto le 77 vergini che loro spettano in paradiso secondo una diffusa convinzione nel mondo del terrorismo islamico.
Sebbene non direttamente coinvolta, Hamas ha dato il via libera all'aggressione - o comunque non l'ha ostacolata - e secondo molti ha armato i terroristi, impiegando allo scopo postazioni mobili acquisite alcuni mesi fa dalla Libia subito dopo la disgregazione del regime di Gheddafi. Le postazioni mobili multi-missile sono passate per l'Egitto a guida musulmana (Hamas è una costola dei Fratelli Musulmani, usciti trionfanti dalle recenti elezioni egiziane).
Le ostilità sono cominciate dopo l'eliminazione di Zuhair Qaisi, capo del CRP, responsabile della strage di Eilat, in cui ad agosto hanno perso la vita otto turisti israeliani che si recavano verso la località costiera sul Mar Rosso. Il bus che li trasportava è stato oggetto di attentato, che ha provocato anche 40 feriti. Il CRP è stato fondato a settembre 2000. Lo stesso mese in cui è partita l'aggressione terroristica altrimenti nota come "Seconda Intifada", che ha provocato oltre 1000 morti in Israele.
Zuhair Qaisi era stato di recente rilasciato nell'ambito dello scambio di mille criminali detenuti nelle carceri israeliane con il caporale Gilad Shalit, sequestrato nel 2006 in territorio israeliano, e tenuto prigioniero per più di cinque anni. Si apprestava a compiere un nuovo grave attentato terroristico al confine fra Israele ed Egitto.
Nonostante gli attacchi dalla Striscia di Gaza, i valichi di Erez e di Kerem Shalom resteranno aperti per consentire l'ingresso di merci, materie prime e generi alimentari da Israele verso la Striscia. Al valico meridionale è atteso il passaggio di circa 200 convogli pesanti.
Il sibilo dei missili che piovono da Gaza su Israele, e le continue devastazioni e feriti che essi provocano, non impediranno il tentativo di perseguire la pace fra israeliani e palestinesi. Purtroppo però per fare la pace bisogna essere in due. E mai sul fronte palestinese si è scorta alcuna volontà in tal senso. Spesso si pensa che la colpa è della sciagurata leadership, interessata a perpetrarsi al potere: senza tensione, senza ostilità tutta la dirigenza sarebbe costretta a tornare a casa e a lavorare, anziché incitare all'odio, intascando i fruttuosi contributi del resto del mondo, che quasi mai vanno a beneficio della popolazione.
Ma bisogna prendere atto che spesso l'indisponibilità a mettere da parte antichi odi e rancori si annida anche nelle giovani generazioni. Qualche giorno fa due soldati israeliani hanno tenuto un seminario presso la UCLA (University of California - Los Angeles). Quale migliore occasione per un dialogo fruttuoso e costruttivo?
L'ospite ha iniziato ad evidenziare gli aspetti storici più recenti: gli 8 mila missili piovuti su Israele fra il 2000 e il 2008 dalla Striscia di Gaza, e l'operazione "Piombo Fuso" resasi necessaria per porre fine a questo stillicidio quotidiano. Quando d'un tratto un nutrito gruppo di filo-palestinesi ha inscenato una singolare protesta, rifiutando il dialogo e il confronto, e abbandonando l'aula malgrado gli inviti dei relatori a porre domande a cui sarebbe stata data risposta.
La direzione dell'UCLA ha stigmatizzato l'evento, scusandosi per l'accaduto. Un'altra occasione persa per la pace.
Aggiornamento delle 10.30. Sono ripartiti gli attacchi dalla Striscia di Gaza: 11 missili sparati verso le città meridionali di Israele, di cui 5 intercettati dall'Iron Dome. Le scuole qui oggi sono chiuse.
La vita per gli abitanti di questa terra si fa sempre più difficile.

Aggiornamento delle 12.30. I terroristi palestinesi si appresterebbero a lanciare i missili Fajr-3 (gittata di 60 km) e Fajr-5 (110 km), in grado di raggiungere Tel Aviv. I missili sono di fabbricazione iraniana, e sono assolutamente precisi e devastanti.
L'esercito di Gerusalemme ha fatto pervenire alla Jihad Islamica un severo avvertimento tramite l'intelligence egiziana, che sta lavorando a Washington per far cessare gli attacchi dalla Striscia di Gaza: in caso di lancio di missili Faj, la risposta non sarà più soltanto chirurgica, cioé limitata alle installazioni dalle quali partono gli attacchi.
Secondo una fonte dell'intelligence israeliana, l'escalation degli attacchi sarebbe dovuta al relativo successo del contenimento opposto dall'Iron Dome, che ha limitato i danni per la popolazione e le infrastrutture del sud dello stato ebraico. Così, la Jihad Islamica si appresterebbe a lanciare i temibili Fajr per provocare vittime e danni estesi, prima di cessare le ostilità, in modo da porsi sotto un'immagine "vincente" (?!?!) agli occhi del popolo arabo.
Di sicuro questa aggressione sta riuscendo nell'impresa di distogliere l'attenzione internazionale dalle nefandezze del macellaio di Damasco, e dalla corsa alla bomba atomica in Iran da parte di Ahmadinejad; ritenuto regista dell'aggressione delle ultime 48 ore.
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lunedì 31 ottobre 2011
Manca solo la dichiarazione di guerra

Il sud di Israele è stato continuamente martorizzato nel fine settimana da lanci di missili e colpi di mortaio provenienti dalla Striscia di Gaza. I ripetuti attacchi hanno provocato un morto e una quindicina di feriti. Raggiunte fra le altre le città di Ashkelon e Ashdod: la capacità di penetrare si spinge sempre più a nord, e non sembra lontano il momento in cui sarà raggiunta la periferia di Tel Aviv, specie se si considera che i lanci sono partiti dal sud della Striscia di Gaza; per l'esattezza da una località che fino allo sgombero del 2005 ordinato da Sharon ha ospitato un insediamento ebraico. Triste constatare che laddove fino a qualche anno fa c'erano vita e prosperità, oggi ci sono trincee e basi missilistiche.
L'organizzazione terroristica Jihad Islamica, alleata di Hamas a Gaza, si è assunta la responsabilità degli attacchi.
In risposta, l'aviazione israeliana ha colpito installazioni terroristiche nei pressi del confine fra Gaza ed Egitto, uccidendo sette terroristi.
Il presidente di Israele Shimon Peres ha rilevato come l'attacco palestinese rappresenti una dichiarazione di guerra vera e propria. Per fortuna una minima dose di buon senso impedisce a chiunque di parlare di "reazione spropositata" da parte dell'esercito israeliano, e di "resistenza" palestinese, come qualche buontempone ha denunciato in passato. D'altro canto, l'aggressione palestinese è giunta improvvisa, inaspettata e tutt'altro che provocata. In questo contesto, manca solo una formale dichiarazione di guerra da parte delle organizzazioni terroristiche che governano a Gaza. Il presidente israeliano ha rilasciato le sue dichiarazioni mentre inaugurava una scuola medica nel nord: bizzarro che negli ospedali servano medici e infermieri israeliani come palestinesi, che siano curati arabi ed ebrei senza alcuna distinzione o discriminazione. "Se possono convivere pacificamente malati di entrambe le parti, perché non possono convivere in pace le persone sane", è stata la conclusione sconsolata di Peres.
Sarà difficile raggiungere questo obiettivo, se c'è gente - come il miliardario saudita Khaled bin Talal - che offre un milione di dollari per la cattura di un soldato israeliano, da impiegare come ostaggio per la liberazione dei criminali palestinesi detenuti nelle carceri israeliano dopo regolare processo.

Gli attacchi provenienti dalla Striscia di Gaza minacciano di far ritardare o deragliare il rilascio di ulteriori 550 detenuti da parte di Israele, in ossequio agli accordi che hanno portato alla liberazione di Gilad Shalit. Hamas sta cercando di riportare alla ragionevolezza la Jihad Islamica, supportata da Teheran, e responsabile delle prime aggressioni sin da mercoledì notte, quando ha lanciato un Grad verso Israele in commemorazione di Fathi Shikaki, un fanatico ideologo arabo, fautore degli attentati suicidi. Il lancio di Grad è stato seguito sabato dall'azione dell'esercito israeliano, che ha colpito una postazione palestinese nel sud della Striscia di Gaza, uccidendo cinque terroristi, e provocando il nuovo attacco da parte della Jihad islamica, che nel fine settimana ha fatto piovere diecine di missili e razzi, che hanno causato feriti e la morte di un israeliano, padre di quattro figli.
La scorsa settimana un rappresentante dei Fratelli Musulmani ha visitato la Striscia di Gaza, per la prima volta da quando Hamas ha preso il potere con la forza nel 2007. Questo evidenzia ancora di più i legami fra quelli che i sondaggi indicano come i futuri detentori del potere in Egitto e l'organizzazione terroristica che governa a Gaza, filiazione stessa dei Fratelli Musulmani.

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domenica 11 settembre 2011
La primavera araba è ormai solo un ricordo in Egitto
Fine della cosiddetta "primavera araba" in Egitto: il regime militare provvisorio (????), che dovrebbe guidare il paese ad elezioni generali nel prossimo autunno, dalle quali usciranno quasi sicuramente vincenti i Fratelli Musulmani, di fronte ai disordini di piazza che hanno costretto l'evacuazione dell'ambasciata israeliana, starebbe considerando il ripristino delle leggi di emergenza di Mubarak, che hanno consentito un ordine apparente quanto antidemocratico per più di trent'anni. Le stesse leggi che hanno provocato la sollevazione popolari.
L'assalto all'ambasciata israeliana è stato letto come reazione isterisca della popolazione proprio di fronte alla paralisi decisionale: dopo le manifestazioni di piazza Tahrir nulla è cambiato, salvo la promessa di elezioni che però tardano ad arrivare, ma che al tempo stesso promettono di incoronare un regime ancora più dispotico e illiberale di quello precedente. Secondo altri, le manifestazioni di venerdì di fronte (e dentro) all'ambasciata israeliana sono la risposta irata alla morte di cinque guardie egiziane nel Sinai al confine con Israele, in seguito all'attentato di Eilat in cui hanno perso la vita otto israeliani. Peraltro, le cause della morte delle guardie egiziane è tutta da accertare: non si esclude che esse siano state colpite in modo accidentale, con il commando palestinese che si sarebbe "nascosto" fra le guardie, in modo da facilitarne l'uccisione con la inevitabile reazione dell'esercito israeliano. Gerusalemme ha cautamente sottolineato come una efficiente preservazione dei confini avrebbe impedito ai terroristi palestinesi di penetrare il Sinai da nord-ovest a sud-est, scatenando l'assalto al bus israeliano che si recava presso la località di villeggiatura sul Mar Rosso.
Il ripristino delle "leggi di emergenza" di Mubarak, che consentivano la detenzione senza processo dei dissidenti, rappresentano una svolta autoritaria da parte del governo militare, che sembra deciso a non tollerare più disordini che possano "minacciare la sicurezza interna e la posizione internazionale", a detta di un ministro del governo provvisorio. Gli scontri con l'esercito hanno provocato tre morti e più di mille feriti, con una ventina di arrestati che saranno ascoltati direttamente da un tribunale militare, e non da una corte civile. Ma non manca chi fa notare la leggerezza con cui le forze dell'ordine hanno affrontato il tentativo di penetrazione all'interno dell'ambasciata, addirittura favorendo le incursioni. Molte sedi diplomatiche hanno sottolineato la grave violazione del diritto internazionale, e la concreta minaccia che simili episodi si possano ripetere, evidenziando la perdita di credibilità del governo provvisorio. Pochi hanno evidenziato come anche la vicina ambasciata saudita sia stata oggetto di attenzioni della piazza.
In un discorso alla nazione, Netanyahu ha ringraziato le forze speciali egiziane che con il concorso degli Stati Uniti hanno consentito di porre al sicuro lo staff diplomatico e le guardie di sicurezza. Il primo ministro di Gerusalemme ha tentato più volte, invano, di mettersi in contatto con il governo provvisorio egiziano, e ha confermato che Israele compirà tutti gli sforzi per mantenere gli accordi di pace con l'Egitto, per ripristinare ordinate relazioni con la Turchia e per perseguire la pace con i palestinesi, invitandoli a riconsiderare azioni unilaterali.
Ferma condanna dell'episodio è giunta dall'Europa, mentre il ministro degli esteri del Bahrain ha sottolineato come l'assalto all'ambasciata israeliana al Cairo rappresenti una violazione della Convenzione di Vienna del 1961.
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venerdì 9 settembre 2011
Chi sono i Fratelli Musulmani
Giulio Meotti verga oggi un ritratto del gruppo estremista islamico che ha coordinato da dietro le quinte la "primavera araba", e che si appresta a conquistare formalmente il potere con le elezioni del prossimo autunno.
Nel 2007 Foreign Affairs, organo ufficiale dell’establishment americano di politica estera, fece scoppiare un caso pubblicando un saggio di Robert Leiken e Steven Brooke. I due studiosi chiedevano al Dipartimento di stato americano di avviare un dialogo con i Fratelli musulmani, definiti “moderati”, sulla base della loro “evoluzione non violenta”. Leiken e Brooke descrivevano il maggiore gruppo egiziano come una macchina pragmatica che l’occidente non doveva temere. Il Foglio ne trasse un’inchiesta in tre puntate per capire se ci fosse del vero.
Adesso Foreign Affairs fa marcia indietro e pubblica un dossier di venti pagine dal titolo emblematico: “Gli indistruttibili Fratelli musulmani”. Sottotitolo: “Le pessime prospettive per un Egitto liberale”. Il dossier è costruito su trenta interviste a membri della Fratellanza, dati per favoriti in autunno alle elezioni, le prime dopo la caduta di Hosni Mubarak.
Scrive Eric Trager, autore dell’inchiesta, che “i manifestanti che hanno guidato la rivolta in Egitto erano giovani e liberali. Lungi dall’emulare l’ayatollah Ruhollah Khomeini, si abbeveravano da Thomas Paine, chiedevano libertà civili, uguaglianza religiosa e fine della dittatura. La loro determinazione ha alimentato l’ottimismo che la Primavera araba fosse finalmente esplosa e che il medio oriente non sarebbe più stato una eccezione autocratica in un mondo democratico. La transizione politica seguita alla rivolta ha soffocato l’ottimismo”.
I Fratelli musulmani stanno dominando il processo politico seguito alla fine di Mubarak. La Fratellanza “non tempererà la propria ideologia”, dice Foreign Affairs, perché per diventare un “fratello” si deve superare un percorso di otto lunghissimi anni, “in cui gli aspiranti membri sono osservati da vicino nella loro lealtà e indottrinati all’ideologia della Fratellanza”.
“Quando emergerà in autunno con un potere elettorale, se non con una aperta maggioranza dei voti, la Fratellanza userà la posizione conquistata per spostare l’Egitto in una direzione teocratica e antioccidentale”.
Foreign Affairs racconta il reclutamento della Fratellanza che inizia addirittura “con i bambini di nove anni”. Il ciclo si apre con il “muhib”, il seguace, che entra in una “usra”, famiglia, guidata da un “naqib”, un capitano. Poi si diventa “muayaad”, un sostenitore, quindi “muntasib”, membro, si passa a “muntazim”, un organizzatore, concludendo il noviziato con il titolo di “ach ‘amal”, fratello. “Nessun altro gruppo egiziano può contare sulla stessa rete”, spiega Foreign Affairs. “Dopo la caduta di Mubarak, la Fratellanza ha continuato a dimostrare la propria capacità unica di mobilitare i sostenitori”.
Foreign Affairs sfata il mito della rivolta solo “laica”. Scrive invece che la Fratellanza ha avuto un ruolo “pivotal”, centrale. “La Fratellanza all’inizio ha evitato un coinvolgimento nelle manifestazioni, iniziate il 25 gennaio, a causa della minaccia di arresto di Mohammed Badie, Guida suprema della Fratellanza. Ma il giorno dopo il bureau ha reso ‘obbligatoria’ la partecipazione alle proteste del 28 gennaio. Sebbene la maggioranza dei dimostranti non fossero affiliati a partiti politici, l’ordine della Fratellanza ha catalizzato il trionfo sulle forze di sicurezza. Non appena finivano le preghiere nelle moschee, attivisti stazionavano all’ingresso e ordinavano un confronto con la polizia di Mubarak. Molti erano Fratelli musulmani”.
Secondo l’organo del Council on Foreign Relations, uno dei più prestigiosi think tank di politica estera, “la Fratellanza si appresta a vincere la grande maggioranza dei seggi in cui si presenta”. Il progetto è chiaro: “L’islamizzazione della società egiziana”. Politicamente, “Washington deve guardare con preoccupazione l’ascesa della Fratellanza, perché nonostante l’insistenza dei Fratelli secondo cui i loro obiettivi sono ‘moderati’, loro definiscono il mondo in modo diverso dall’occidente”. La Fratellanza cercherà di “incrementare i legami con la grande nemesi americana, l’Iran, e di denigrare gli accordi di Camp David con Israele”. La Casa Bianca dovrebbe aumentare “gli aiuti ai liberali”, “deve promettere che riconoscerà il risultato elettorale soltanto se chi vincerà si impegnerà a non partecipare in conflitti fuori dai confini egiziani” (riferimento a Israele) e “deve parlare a nome dei cristiani ogni volta che sono attaccati”. “I 600 mila Fratelli sono devoti a idee non moderate. Gli Stati Uniti devono concentrarsi sugli altri 81 milioni di egiziani. La Fratellanza può conquistarli se gli Stati Uniti non agiranno velocemente per un’alternativa – la visione liberale per la quale i giovani di piazza Tahrir hanno combattuto valorosamente”.
Fonte: Il Foglio.
Nel 2007 Foreign Affairs, organo ufficiale dell’establishment americano di politica estera, fece scoppiare un caso pubblicando un saggio di Robert Leiken e Steven Brooke. I due studiosi chiedevano al Dipartimento di stato americano di avviare un dialogo con i Fratelli musulmani, definiti “moderati”, sulla base della loro “evoluzione non violenta”. Leiken e Brooke descrivevano il maggiore gruppo egiziano come una macchina pragmatica che l’occidente non doveva temere. Il Foglio ne trasse un’inchiesta in tre puntate per capire se ci fosse del vero.
Adesso Foreign Affairs fa marcia indietro e pubblica un dossier di venti pagine dal titolo emblematico: “Gli indistruttibili Fratelli musulmani”. Sottotitolo: “Le pessime prospettive per un Egitto liberale”. Il dossier è costruito su trenta interviste a membri della Fratellanza, dati per favoriti in autunno alle elezioni, le prime dopo la caduta di Hosni Mubarak.
Scrive Eric Trager, autore dell’inchiesta, che “i manifestanti che hanno guidato la rivolta in Egitto erano giovani e liberali. Lungi dall’emulare l’ayatollah Ruhollah Khomeini, si abbeveravano da Thomas Paine, chiedevano libertà civili, uguaglianza religiosa e fine della dittatura. La loro determinazione ha alimentato l’ottimismo che la Primavera araba fosse finalmente esplosa e che il medio oriente non sarebbe più stato una eccezione autocratica in un mondo democratico. La transizione politica seguita alla rivolta ha soffocato l’ottimismo”.
I Fratelli musulmani stanno dominando il processo politico seguito alla fine di Mubarak. La Fratellanza “non tempererà la propria ideologia”, dice Foreign Affairs, perché per diventare un “fratello” si deve superare un percorso di otto lunghissimi anni, “in cui gli aspiranti membri sono osservati da vicino nella loro lealtà e indottrinati all’ideologia della Fratellanza”.
“Quando emergerà in autunno con un potere elettorale, se non con una aperta maggioranza dei voti, la Fratellanza userà la posizione conquistata per spostare l’Egitto in una direzione teocratica e antioccidentale”.
Foreign Affairs racconta il reclutamento della Fratellanza che inizia addirittura “con i bambini di nove anni”. Il ciclo si apre con il “muhib”, il seguace, che entra in una “usra”, famiglia, guidata da un “naqib”, un capitano. Poi si diventa “muayaad”, un sostenitore, quindi “muntasib”, membro, si passa a “muntazim”, un organizzatore, concludendo il noviziato con il titolo di “ach ‘amal”, fratello. “Nessun altro gruppo egiziano può contare sulla stessa rete”, spiega Foreign Affairs. “Dopo la caduta di Mubarak, la Fratellanza ha continuato a dimostrare la propria capacità unica di mobilitare i sostenitori”.
Foreign Affairs sfata il mito della rivolta solo “laica”. Scrive invece che la Fratellanza ha avuto un ruolo “pivotal”, centrale. “La Fratellanza all’inizio ha evitato un coinvolgimento nelle manifestazioni, iniziate il 25 gennaio, a causa della minaccia di arresto di Mohammed Badie, Guida suprema della Fratellanza. Ma il giorno dopo il bureau ha reso ‘obbligatoria’ la partecipazione alle proteste del 28 gennaio. Sebbene la maggioranza dei dimostranti non fossero affiliati a partiti politici, l’ordine della Fratellanza ha catalizzato il trionfo sulle forze di sicurezza. Non appena finivano le preghiere nelle moschee, attivisti stazionavano all’ingresso e ordinavano un confronto con la polizia di Mubarak. Molti erano Fratelli musulmani”.
Secondo l’organo del Council on Foreign Relations, uno dei più prestigiosi think tank di politica estera, “la Fratellanza si appresta a vincere la grande maggioranza dei seggi in cui si presenta”. Il progetto è chiaro: “L’islamizzazione della società egiziana”. Politicamente, “Washington deve guardare con preoccupazione l’ascesa della Fratellanza, perché nonostante l’insistenza dei Fratelli secondo cui i loro obiettivi sono ‘moderati’, loro definiscono il mondo in modo diverso dall’occidente”. La Fratellanza cercherà di “incrementare i legami con la grande nemesi americana, l’Iran, e di denigrare gli accordi di Camp David con Israele”. La Casa Bianca dovrebbe aumentare “gli aiuti ai liberali”, “deve promettere che riconoscerà il risultato elettorale soltanto se chi vincerà si impegnerà a non partecipare in conflitti fuori dai confini egiziani” (riferimento a Israele) e “deve parlare a nome dei cristiani ogni volta che sono attaccati”. “I 600 mila Fratelli sono devoti a idee non moderate. Gli Stati Uniti devono concentrarsi sugli altri 81 milioni di egiziani. La Fratellanza può conquistarli se gli Stati Uniti non agiranno velocemente per un’alternativa – la visione liberale per la quale i giovani di piazza Tahrir hanno combattuto valorosamente”.
Fonte: Il Foglio.
lunedì 27 giugno 2011
I Fratelli Musulmani si organizzano per le prossime elezioni
Fratelli Musulmani sempre più attivi in Egitto.
Il gruppo politico, messo al bando da Mubarak negli ultimi decenni, con attivi legami con Hamas nella Striscia di Gaza, e sicuro vincitore delle elezioni generali che si terranno a settembre, ha annunciato la formazione di una grande coalizione che include il "Partito per la Liberta e la Giustizia" (non si sa bene sulla base di quali principi: forse quelli della Shaaria, che i FM vogliono introdurre in Egitto nei prossimi mesi, NdR), il partito Wafd, partiti di sinistra e il neocostituito Salafi, espressione politica dei fondamentalisti islamici.
Alcuni gruppi liberali e di ispirazione occidentale hanno chiesto sommessamente di rimandare le elezioni almeno al prossimo anno, per meglio organizzarsi capillarmente, ma il consiglio militare che "temporaneamente" detiene il potere non ha fornito risposte in tal senso, e il tempo sembra ormai scaduto.
Poco dopo la destituzione di Mubarak, un funzionario dei Fratelli Musulmani ha dichiarato ad un giornale in lingua araba che gli egiziani "devono prepararsi alla guerra contro Israele". E ti pareva...
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martedì 7 giugno 2011
I Fratelli Musulmani si preparano a comandare in Egitto
E' la "primavera araba", baby: fuorilegge dal 1954, i Fratelli Musulmani sono ora un partito politico egiziano a tutti gli effetti. Il nome con cui si presenteranno alle elezioni (prevedibilmente vincenti, per loro), a settembre, fa correre i brividi ai benpensanti italiani: Partito per la Libertà e Giustizia (sì, come il movimento di area progressista sponsorizzato da De Benedetti, che a sua volta stringe l'occhio a "Giustizia e Libertà" postbellica).
Facile immaginare il provvedimento quando i FM saliranno al potere: l'imposizione della sharia, la legge coranica che prevede il taglio della mano per i ladri e la lapidazione per le adultere (presunte), l'obbligo per le donne di indossare l'hijab, il divieto di consumo di alcoolici e in generale il bando di tutti i comportamenti “immorali".
giovedì 26 maggio 2011
E' la "primavera araba", baby
State attenti a ciò che chiedete, perché potreste finire per ottenerlo.
Secondo un quotidiano egiziano, un gruppo di "politici" e militari locali starebbe lavorando ad una versione in salsa araba del partito nazista. L'iniziativa partirebbe da un ex ufficiale militare, e raccoglierebbe "figure di spicco della società egiziana".
Secondo il quotidiano, che cita un portale informativo progressista, un partito nazista sarebbe esistito ai tempi di Mubarak, ma il regime del deposto rais egiziano avrebbe sempre impedito che operasse pubblicamente.
Due gruppi sarebbero stati attivati su Facebook, e non mancherebbero le manifestazioni di interesse.
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mercoledì 13 aprile 2011
Il nuovo volto dell'Egitto

Che teneri quelli che pensavano che in Egitto sarebbe sbocciata la democrazia: «Sobhi Saleh, il capo del partito "Libertà e giustizia" (sic!, NdR) che i Fratelli musulmani hanno scelto per presentarsi alle elezioni di settembre, ha annunciato che, fra le misure contemplate, “gli alcolici saranno banditi dai luoghi pubblici”. Alle donne sarà imposto l’uso del chador».
Pochi giorni fa a Qena, nel sud dell’Egitto, i fondamentalisti hanno tagliato un orecchio a un cristiano, colpevole ai loro occhi di avere una relazione con una musulmana.
«Il burqa non ha senso in Francia, un Paese dove le donne votano dal 1945. E poi il burqa non è l’Islam. L’Islam non obbliga nessuno a coprirsi. Non è una prescrizione religiosa, ma solo una prigione per le donne e uno strumento di dominazione sessista».
( Hassen Chalghoumi, coraggioso imam di una cittadina nella provincia di Parigi, intervistato oggi dalla Stampa).
E oggi si apprende che Goldstone, il giudice incaricato dall'ONU di redigere un rapporto sulla guerra del 2008/2009 fra Gaza e Israele, e che di recente ha ritrattato tutte le accuse contro Israele con un editoriale sul Washington Post; aveva offerto la sua verità tardiva al New York Times, ma il celebre giornale progressista USA rispose "no, grazie".
E poi ci si meraviglia che la gente non legge più i giornali...
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lunedì 21 marzo 2011
La protesta si accend in Siria, mentre il MENA si islamizza
Anche in Siria Assad è (giustamente) in seria difficoltà. E nessun manifestante brucia bandiere americane o israeliane. Non ce l'hanno con i sionisti o gli imperialisti (e dire che per tanti anni i politicamente corretti hanno cercato di far passare la tesi secondo cui i problemi del Medio Oriente risiedono nel conflitto fra Israele e palestinesi): ce l'hanno proprio con i loro corrotti governanti!
E in Egitto il popolo si avvia ad un regime di coabitazione fra gli eredi del PND di Mubarak, spalleggiati dall'esercito, e la Fratellanza Musulmana: gli unici pronti per le elezioni di giugno.
Mentre in Libia, se Gheddafi sarà effettivamente neutralizzato (speriamo di sì, senno' poveri noi...) sarà smembrata e consegnata alle tribù che faranno affari sanguinosi con l'Occidente.
Sullo sfondo la shaaria, che sarà imposta così in tutto il nord Africa.
L'involuzione antidemocratica e islamica dell'Egitto è emblematica, e stridente con i proclami di libertà e democrazia sbandierati entusiasticamente (ma ingenuamente) dall'Occidente.
Il referendum costituzionale in Egitto ha limitato i poteri del presidente, e allargato quelli dell'opposizione, facendo rientrare in gioco i Fratelli Musulmani estromessi da Mubarak da anni. Per contro, non è stata proposta l'abrogazione dell'articolo 2, che recita: «L'islam è la religione dello Stato, l'arabo è la sua lingua ufficiale, la sharia è la fonte principale della sua legislazione».
Anche il popolare (in Occidente) El Baradei, quello che ha consentito l'armamento atomico iraniano con il beneplacito dell'Occidente, è favorevole alla piena introduzione della shaaria in Egitto.
Come mai le donne italiane non hanno niente da dire contro questa prospettiva aberrante per le donne che abitano a poche centinaia di chilometri da casa loro?
Aberrante perché a due passi da casa nostra le donne si avviano ad essere lapidate, frustate, cancellate dalla vita pubblica, private della libertà di guidare un'auto, di studiare, di scegliere il proprio compagno e soprattutto della propria dignità.
Lo prevede la shaaria, la legge coranica che sarà introdotta fra due mesi in Egitto.
In Tunisia è stato sottoscritto un accordo fra esercito, che garantità le prossime elezioni presidenziali, e gli integralisti islamici, che non presenteranno propri candidati ma avranno i ministeri dell'istruzione, della religione e della magistratura.
Qualcuno davvero pensa che per una donna tunisina sia facile raccogliere mille euro per emigrare in Europa? ma neanche se si prostituisse per una vita intera riuscirebbe a racimolare una somma simile. Senza contare che fra qualche settimana, dopo che saranno tenute le elezioni, le donne saranno certamente private del passaporto, e non solo di quello.
domenica 20 marzo 2011
Elezioni prossime in Egitto
...E nel frattempo in Egitto passa a larga maggioranza il referendum sulle riforme costituzionali che di fatto apre la strada ad elezioni anticipate.
Di elezioni prossime si avvantaggeranno sicuramente due partiti: la "Fratellanza Musulmana", e gli eredi di Mubarak.
Le altre forze in campo infatti non si sono ancora formate come partito, o sono ancora troppo gracili e poco diffuse a livello nazionale per ambire ad una presenza forte nel prossimo parlamento egiziano.
Si va verso un califatto islamico?
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