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venerdì 9 maggio 2014

Sull'amore degli arabi per i palestinesi

Gli arabi sono storicamente molto più dediti a sabotare in ogni modo e con ogni mezzo Israele; che non a preoccuparsi delle sorti dei "fratelli" palestinesi. Che da decenni vivono in luridi campi profughi in Egitto, in Siria, in Giordania, e nello stesso West Bank: senza cittadinanza, senza diritto, senza possibilità di esercitare diverse professioni, in condizioni penose di dipendenza economica e sudditanza psicologica dei paesi ospitanti. Se non carne da cannone, massa disperata da utilizzare cinicamente contro lo stato ebraico.
Di tanto in tanto si registrano episodi confortanti; ma si tratta di eccezioni alla regola, prontamente stroncate e neutralizzate da chi non è interessato alla normalizzazione. Il mese scorso un professore palestinese, Mohammad Dalani, ha condotto una scolaresca di 27 ragazzi in visita guidata ad Auschwitz. Un'esperienza come sempre toccante, che se da un lato ha aperto gli occhi a questi fortunati giovani palestinesi; dall'altro ha messo in una scomoda posizione il docente: espulso dall'associazione degli insegnanti a causa della sua visita al campo di prigionia in Polonia. Il suo comportamento «contravviene le norme e la politica dell'organizzazione»: un modo elegante per ricordare che non ci si può opporre al boicottaggio accademico e culturale che l'unione degli insegnanti ha sancito.

venerdì 23 agosto 2013

Quel lavoro ancora da completare...

Con un po' di perizia, pazienza e fortuna, gli italiani hanno appreso ieri dell'attacco lanciato da formazioni paramilitari palestinesi (si tratta del FPLP) dal sud del Libano, dal campo profughi palestinese di Tyre verso le comunità abitanti nel nord di Israele. Un razzo è stato intercettato dall'Iron Dome, gli altri tre sono caduti senza provocare fortunatamente vittime (ma i danni, chi li paga?)
Immediata l'opera di generosa disinformazione delle redazioni online dei giornali italiani, che hanno anteposto l'inevitabile reazione dell'aviazione israeliana all'aggressione, addirittura collocandola prioritariamente rispetto al genocidio in Siria e alla sofferta presa di posizione delle Nazioni Unite. Come se difendere la popolazione dagli attacchi terroristici sia più deprecabile di 100 mila morti, di cui diverse centinaia - a quanto pare - vittime soltanto l'altro ieri di gas nervino. E ieri, leggiamo, 27 palestinesi residenti in un campo profughi siriano sono rimasti vittima di un nuovo attacco aereo dell'esercito di Assad; ancora una volta, clamorosamente senza che ciò sia stato riportato (Assad a quanto pare non è ebreo: è appurato e accertato. Dunque, non interessa ad alcuno che abbia ucciso inermi palestinesi).

martedì 23 luglio 2013

Ti difendi dagli attacchi? paga la multa!

C'è ancora chi crede che le Nazioni Unite siano state istituite per garantire la pace nel mondo, meglio di quanto sia stato fatto fino ad allora dalla defunta e poco rimpianta Società delle Nazioni. Fantasie. L'ONU è un organismo, in cui i cosiddetti "paesi non allineati" (esponenti di primo piano della tolleranza, della democrazia e del rispetto delle libertà individuali del calibro di Afghanistan, Bielorussia, Cuba Iran, Libia, Pakistan, Arabia Saudita, Sudan, Siria, Venezuela; in rigoroso ordine alfabetico), oggi maggioranza, impongono un'agenda piuttosto discussa.
Ma non polemizziamo. Il Palazzo di Vetro sforna alacremente risoluzioni o pronunciamenti, che danno lavoro a 5 mila persone; a 50 mila dipendenti, in tutto il mondo. Una bella macchina che crea posti di lavoro; e pazienza se in questa operosa frenetica smania produttiva, finisca di mezzo il solito capro espiatorio: quello stato talmente piccolo - esteso quanto la Puglia - e talmente ostracizzato dagli stati confinanti; che può essere benissimo sacrificato sull'altare del politicamente corretto.

venerdì 12 ottobre 2012

La dura condizione dei profughi palestinesi

Alla fine del 1947 le Nazioni Unite ripartirono l'ex protettorato britannico palestinese - ricevuto in consegna dopo la dissoluzione dell'impero ottomano di inizio anni '20 - in due stati: uno arabo, e uno ebraico. Gli ebrei accettarono la partizione, e l'anno successivo proclamarono lo stato di Israele. Gli arabi non accettarono la decisione storica, e convinsero gli arabi che vivevano nel neonato stato a riparare negli stati confinanti, prima di scatenare un conflitto che si risolse l'anno successivo in una bruciante sconfitta.
Gli arabi che ripararono in Egitto, in Libano, in Siria, in Giordania e in Iraq furono sistemati in campi profughi nei quali hanno vissuto per lunghi decenni. Senza diritti, senza cittadinanza - unico caso al mondo - senza possibilità di integrarsi nella società, di frequentarne le scuole, di praticarne le istituzioni. Cittadini di serie B a tutti gli effetti. I 6-700 mila arabi del 1948 sono diventati milioni. Così tanti, che l'ONU ha previsto una apposita agenzia: l'UNRWA. Un gigante burocratico che amministra fondi e li versa ai profughi palestinesi. Caso eclatante: a differenza dei profughi di tutti gli altri stati al mondo, i figli e i figli dei figli hanno conservato lo status di rifugiato.
La situazione è particolarmente precaria in Libano, come ci ricorda oggi
Elder of Ziyon, in un articolo che traduco in calce, e che cita importanti studi di Lancet.

La rivista medica britannica Lancet ha pubblicato una serie di anticipazioni tratte da un convegno di ricercatori sulla salute pubblica tenutosi a Beirut a marzo 2012.
Secondo uno degli studi, condotti da ricercatori the American University of Beirut, "le leggi discriminatorie e decenni di emarginazione" hanno reso i rifugiati palestinesi in Libano socialmente, politicamente ed economicamente svantaggiati. Più della metà di essi vive in campi profughi sovraffollati, dove "la disponibilità di un'abitazione, di acqua, di elettricità e di altri servizi essenziali, risulta inadeguata e contribuisce ad una salute precaria".
Su 2500 famiglie interpellate, il 42% lamenta infiltrazioni di acqua dai muri o dal tetto, e l'8% vive in dimore costruitr con materiali pericolosi per la salute, come l'amianto. Hoda Samra, portavoce in Libano dell'UNRWA (UN Relief and Works Agency for Palestinian Refugees) dichiara che molti rifugiati vivono in rifugi privi di ventilazione e di luce naturale. Circa 5000 rifugi abbisognano di manutenzione, ma l'agenzia ha fondi soltanto per 730 di essi. In quattro campi su dodici occorre manutenere le infrastrutture, ma mancano i fondi.
La gente nei campi continua a crescere, ma gli spazi disponibili sono sempre gli stessi. Il conseguente sovraffollamento ha esacerbato i problemi di sanità pubblica. "Alcuni campi crescono verticalmente, non orizzontalmente", denuncia Samra, puntando il dito sui criteri precari con cui le abitazioni sono costruite: senza fondamenta, e troppo vicine l'una all'altra.
Lo studio evidenzia una correlazione diretta fra le precarie condizioni abitative e la salute dei residenti: negli ultimi sei mesi il 31% soffre di malattie croniche e il 24% ha sofferto di riacutizzarsi di malanni.

I ricercatori hanno evidenziato anche una forte correlazione fra miseria e precarietà della salute. I rifugiati palestinesi che vivono in Libano non possono accedere ai servizi sociali, sanità inclusa, e non possono svolgere circa 50 professioni. UNRWA e la International Labour Organization fanno pressioni sul governo libanese affinché allenti queste restrizioni, ma un emendamento alla normativa sul lavoro, approvato ad agosto 2010, e che dovrebbe agevolare l'accesso al lavoro da parte dei rifugiati, attende ancora di essere reso operativo dal ministero competente.
Secondo un altro studio citato su Lancet, sempre da parte dei ricercatori di Beirut, il 59% dei rifugiati vive al di sotto della soglia nazionale di povertà, il 63% non mangia regolarmente, e il 13% fa fatica a procurarsi il cibo. Solo i più poveri - un altro 13% - ha i requisiti per poter accedere ai buoni mensa e a piccoli sussidi in denaro elargiti dall'UNRWA.
La combinazione di scarsa alimentazione, di condizioni di vita insalubri e di infelicità, alimentano "tutti i tipi di malattie", conclude Samra.
"Nel complesso", rileva Lancet, "questi dati evidenziano la crisi nascosta che affrontano i rifugiati palestinesi, le cui esigenze di salute sono dolorosamente trascurate".
Ovviamente, Lancet evita di rimarcare un'ovvietà: è la classificazione artificiosa di questa gente come "rifugiati" - anche se la maggioranza di essi è nata in Libano - a rappresentare la cause dei loro problemi. Se i bambini nati in Libano fossero resi cittadini libanesi, non ci sarebbe discriminazione ai loro danni e non sarebbero costretti a vivere in squallidi campi profughi, che le autorità oltretutto vietano di espandersi.
Ma rivelare una verità ovvia nel mondo arabo non è consentito. Difatti, l'unica ragione per cui oggi soffrono, come arabi che vivono in Libano, è che la Lega Araba li ha sempre utilizzati come mezzo per fare pressione su Israele. Sicché gli arabi palestinesi, e solo essi, hanno una condizione speciale nel mondo arabo di privi permanentemente di cittadinanza, senza possibilità di sfuggire. Il mondo arabo, e il Libano in particolare, è interamente da biasimare per questa situazione. Ma le "organizzazioni dei diritti umani" si rifiutano di ammetterlo. Poiché il mondo arabo ha accusato per 65 anni Israele di "apartheid" nei confronti dei palestinesi, così deve fare il resto del mondo.

Fonte: Elder of Ziyon.

venerdì 1 giugno 2012

La legge del contrappasso

Dopo aver minacciato, sequestrato e ammazzato centinaia di israeliani, americani, francesi e in generale occidentali, Hezbollah subisce lo stesso trattamento.
Debka rende noto che gli oppositori del regime siriano di Assad, sostenuti dal Libero Esercito di Siria, hanno catturato cinque alti esponenti dell'organizzazione terroristica di stanza nel sud del Libano, fra cui il nipote del fondatore Nasrallah (di recente intervistato da Julian Assange per la TV russa, e che guardacaso ha avuto parole di elogio per il macellaio di Damasco - quasi 15 morti in 14 mesi).
Irritazioni a Teheran per il sequestro dei dirigenti di Hezbollah, maturato ad una quindicina di chilometri da Damasco.

martedì 31 gennaio 2012

Il mondo convivrà con l'incubo della Atomica iraniana

Il tempo scorre inesorabile, e il regime iraniano degli ayatollah si avvicina sempre più al "sogno" della bomba atomica: un incubo per il mondo occidentale e per la regione sottostante.
Le sanzioni economiche imposte all'Iran vedono il mondo diviso sulla loro applicazione, e nel frattempo paradossalmente agevolano Ahmadinejad in due modi: anzitutto favorendo una crescita delle quotazioni petrolifere, poiché una contrazione dell'offerta iraniana priva il mercato mondiale di una considerevole fonte. Il livello di pareggio è fissato a 80 dollari: quotazioni superiori producono entrate maggiori della spesa pubblica, qualora l'Iran dovesse riuscire a collocare comunque la sua produzione. Il mondo impatterebbe negativamente sulla leadership iraniana soltanto con quotazioni del greggio inferiori a questa soglia; non superiori.
In secondo luogo, l'applicazione delle sanzioni e l'attesa del loro concretizzarsi, fornisce prezioso tempo al regime degli ajatollah. Anziché avvicinare il momento di una soluzione decisa, lo allontana irrimediabilmente: difficile paventare missioni di distruzione delle installazioni nucleari, prima che le sanzioni incomincino a fare effetto.



Oltretutto ci sono forti dubbi circa l'efficacia di uno "strike". Il regime iraniano sta procedendo con sollecitudine allo spostamento delle installazioni nucleari nel sottosuolo. Il sito di arricchimento dell'uranio di Natanz è situato a 6 metri (25 piedi) di profondità, mentre l'aviazione israeliana è dotata di munizioni che penetrano un muro di cemento armato fino a 20 piedi. Gli Stati Uniti ammettono che le armi in loro possesso non sarebbero in grado di colpire tutte le attuali installazioni nucleari iraniane.
L'Occidente insomma comincia a recitare il mea culpa: la malevole miopia di El Baradei, quando a capo dell'Agenzia Internazionale dell'Energia ha rifiutato di ammettere la natura bellica della ricerca nucleare iraniana, e l'eccessiva indulgenza dell'Occidente, con l'assurda politica "delle mani tese", hanno fornito al regime di Ahmadinejad tempo utile per portare a termine la realizzazione di - forse - quattro bombe atomiche ad alto potenziale. Si stima che a metà anno il processo sarà completato, e l'Iran potrà schierare il suo arsenale nucleare. Minacciando l'unico stato verso il quale si manifesta quotidiana ostilità, e inducendo le altre potenze locali a correre ai ripari, dotandosi di analogo arsenale nucleare a scopo di deterrenza.
Nel frattempo l'unico stato disponibile a sobbarcarsi l'eventualità di una missione eroica quanto potenzialmente suicida - Israele - fronteggia il rischio di dolorose rappresaglie; ancora una volta, favorite dall'ottusità occidentale. Ieri un alto diplomatico italiano ha chiarito che qualora gli Hezbollah a sud del Libano (e nel governo di Beirut) dovessero aggredire le città settentrionali di Israele, in risposta ad un attacco di questi alle installazioni iraniane; l'esercito italiano non muoverà un dito. Bizzarra posizione, dal momento che missione dell'UNIFIL è proprio quella di disarmare l'organizzazione terroristica sciita, e di prevenirne nuovi attacchi nei confronti di Israele. Non è più agevole la posizione sul fronte meridionale, con Hamas rafforzata dalla vittoria schiacciante delle organizzazioni integralista islamiche nel vicino Egitto, con le forze democratiche e liberali invece annichilite.
Senza considerare che secondo gli esperti, un attacco ben riuscito alle postazioni nucleari iraniane riuscirebbe a rimandare di due, al massimo tre anni il conseguimento di una bomba atomica; non a prevenirlo del tutto. Un incubo che si fa sempre più concreto, e che rappresenta una concreta minaccia per la pace nel mondo da qui ai prossimi anni.

martedì 11 ottobre 2011

Corriere: Cassase lascia il TSL per "motivi di salute"



Sì ma che ci faceva un prestigioso magistrato italiano nel "tribunale speciale del Libano"? Una vistosa omissione da parte del Corriere della Sera, mai reticente e cerchiobottista come questa volta...

Il tribunale in questione è stato istituito dall'ONU per indagare sulla morte di Rafik Hariri, ex primo ministro ucciso in un attentato. Le responsabilità sono subito ricadute su Hezbollah, l'organizzazione terroristica di stanza nel sud del paese, che di tanto in tanto per vincere la noia lancia qualche attacco contro le città settentrionali di Israele; fregandosene del contingente internazionale a guida italiana (Unifil), che fra l'altro avrebbe proprio il compito di far deporre le armi ad Hezbollah.
A Rafik è subentrato il figlio, Saad, che ha iniziato a promuovere indagini nei confronti del movimento finanziato dall'Iran, e con sede principale a Damasco. Pressioni e intimidazioni si sono succedute, e sono aumentate quando il tribunale speciale stava per emettere una prevedibile sentenza di condanna.
Alla fine il governo di Saad, anche allo scopo di prevenire una nuova e sanguinosa guerra civile, è stato costretto alle dimissioni, ed Hezbollah come premio per la sua condotta è stato ammesso al nuovo governo, che fa del disgraziato Libano di nuovo una dependence della Siria. Cassese faceva parte di quel tribunale, che ha prodotto una mole impressionante di prove contro Hezbollah. Evidentemente i "motivi di salute" addotti erano nel senso preventivo del termine...

Certo c'è chi non è d'accordo con queste denunce.
Per esempio l'ex ministro degli Esteri italiano D'Alema è tanto amichetto di Hezbollah da farsi fotografare a passeggio per Beirut con un suo esponente sotto braccio...

Il Borghesino si è occupato in passato di questa vicenda:

- Hezbollah al potere in Libano;
- Guerra imminente fra Libano-Hezbollah e Israele;
- Il Borghesino: Hezbollah sta ammassando armi per attaccare Israele.

sabato 17 settembre 2011

I palestinesi non saranno mai cittadini di Palestina

L'ambasciatore dell'OLP in Libano afferma che i "profughi" palestinesi (i figli, nipoti e pronipoti degli arabi che furono convinti dagli stati confinanti a lasciare Israele nel 1948, con la promessa che vi sarebbero rientrare una volta conclusa la guerra che stavano per scatenare) sostiene che non diventeranno MAI cittadini del nuovo stato di Palestina. Anche quelli che attualmente vivono in campi profughi all'interno degli stessi territori palestinesi...



Abdullah Abdullah ha chiarito che la nascita eventuale del nuovo stato di Palestina non muterà affatto la sorte dei circa sei milioni di discendenti di coloro che lasciarono Israele con la promessa che vi sarebbero tornati in tempi brevi per impossessarsi di tutti i beni degli israeliani che avrebbero perso la guerra (così per fortuna non è andata). Essi sono sì palestinesi, ma manterranno lo status di rifugiati, sostanzialmente privi di diritti di ogni sorta. Che siano residenti nei campi in Giordania, in Siria, in Libano, in Egitto; o che si trovino negli stessi territori palestinesi.
A chi non conosce il disprezzo che gli stati arabi confinanti hanno nutrito nei confronti dei palestinesi può sfuggire il motivo di questo diniego. Gli stati arabi insistono nell'assurda pretesa di inserire i discendenti dei palestinesi del 1948 in Israele, contribuendo ad una deflagrazione demografica che ucciderebbe lo stato ebraico; ma si guardano bene dal riconoscere, dopo 63 anni, che ai discendenti sia concessa la possibilità di vivere nel proprio stato. Come d'altro canto la stessa ONU concesse loro nel 1947, con la risoluzione che divideva il mandato britannico in Palestina in due stati sovrani.

Questo purtroppo conferma ancora una volta a cosa servono i profughi palestinesi, da decenni ammassati in luridi campi ai confini con Israele: sono carne da cannone, armi umane nelle mani di chi non si è ancora stancato di combattere una sporca guerra. Se divenissero cittadini, non potrebbero più essere utilizzati come strumento di pressione e di ostilità nei confronti dello stato israeliano.
Il conflitto israelo-palestinese non terminerà con il probabile voto all'assemblea generale alle Nazioni Unite. Anzi, probabilmente conoscerà una nuova intensificazione.

mercoledì 29 giugno 2011

Hezbollah sta ammassando armi per attaccare Israele



In un'intervista al quotidiano Al-Mustaqbal, Antoine Saad, deputato libanese oppositore dell'attuale governo a guida Hezbollah, e alleato del precedente governo moderato di Saad Hariri, ha affermato: Hezbollah sta spostando giorno e notte armi dalla Siria in crisi al Libano, senza che alcuno stia intervenendo" (si riferisce al contingente ONU che dovrebbe garantire da anni la smilitarizzazione dell'organizzazione terroristica di stanza nel sud del Libano, NdR?). "Queste armi saranno impiegate nel futuro nei confronti di Israele: Hezbollah ha bisogno di munizioni affinché la guerra abbia luogo per diverso tempo".

E' noto che il regime sanguinario di Assad in Siria sta meditando di scatenare una guerra contro lo stato israeliano, con il supporto di Hezbollah che ha assunto il pieno controllo del Libano, onde distogliere l'opinione pubblica internazionale dall massacro della popolazione siriana in atto da troppo tempo.

venerdì 17 giugno 2011

Hezbollah al potere in Libano



Dopo cinque mesi il Libano ha un nuovo governo. Quello precedente è caduto dopo che il premier Saad Hariri si è rifiutato di prendere le distanze dal tribunale dell'ONU che stava accertando la diretta responsabilità di Hezbollah nell'assassinio di Rafiq Hariri, padre di Saad e suo predecessore al governo di Beirut.
Il nuovo governo è composto per due terzi proprio da esponenti di Hezbollah, il movimento terroristico sciita vicino alle posizioni di Siria e Iran. E da Hezbollah proviene il nuovo ministro della "Difesa", si dice finanziato proprio dalla famiglia Assad che gestisce il potere nel terrore a Damasco. Quando la popolazione libanese e siriana sarà utilizzata per violare i confini con Israele la prossima volta, possiamo stare virtualmente certi che l'esercito libanese avrà ben altro da fare che impedire una nuova invasione.
Hezbollah controlla ora anche il ministero degli Interni, quello delle Telecomunicazioni, della Giustizia e dell'Energia. 18 delle 30 poltrone ministeriali sono ora nelle mani del movimento politico estremista.

Il tribunale dell'ONU che emetterà probabilmente una sentenza di condanna nei confronti di Hezbollah a proposito dell'assassinio di Rafiq Hariri, renderà noto il verdetto al più tardi all'inizio di luglio.

giovedì 16 giugno 2011

Il Muftì del Libano ai palestinesi: siete feccia

Che ne è stato dell'antica fratellanza fra arabi? adesso un palestinese non può neanche fidarsi dei suoi simili, di quelli che hanno sempre difeso la "causa" palestinese nei confronti dei "cattivi" israeliani, colpevoli di tutte le nefandezze di questo mondo.
Quando gli arabi convinsero i simili che abitavano il neocostituito Israele nel 1948 a lasciare la terra dove abitavano per stabilirsi temporaneamente negli stati vicini (Libano, Siria e Giordania soprattutto), riuscirono facilmente a convincerli della temporaneità dello spostamento: la guerra che di lì a breve avrebbero scatenato avrebbe fatto piazza pulita degli ebrei e di quello stato proclamato dopo il voto dell'ONU dell'anno precedente.
E invece successe che le radici dello stato israeliano si irrobustirono, e la guerra scatenata dalla Lega Araba si risolse in una sconfitta, ancora oggi ricordata. Gli arabi che decisero di rimanere in Israele oggi accedono a tutte le cariche, sono membri della Knesset (parlamento), sono giudici supremi, insomma godono di tutti i diritti e sicuramente godono di privilegi sconosciuti agli arabi residenti in tutti gli stati del Medio Oriente. Oggi la popolazione araba in Israele conta quasi 1.5 milioni di individui, tutti felici del loro passaporto.
Viceversa, i 600 mila arabi residenti in Israele fino al 1948, e "provvisoriamente" accampati in luridi campi profughi al confine con lo stato con capitale Gerusalemme, vivono in condizioni pietose, senza diritti, senza lavoro, senza cibo e senza dignità; schiacciati dai loro stessi fratelli. Gli arabi del 1948 naturalmente non sono più su questa terra: i figli, i figli dei figli, e i figli dei figli dei figli sono cresciuti fino a rappresentare oggi circa 5 milioni di individui.

Mai nessuno stato arabo ha lontanamente tentato un processo di integrazione. E anzi, oggi il malcontento è sempre meno celato.
Il Muftì del Libano, Mohammed Rashid Qabbani, ha affermato che i palestinesi non sono più ospiti graditi dello stato dei cedri, definendoli letteralmente "immondizia". Oltre 400 mila palestinesi vivono in campi profughi al sud del Libano. "Vi abbiamo ospitati, ma adesso non vi vogliamo più", ha affermato il Muftì ad una delegazione esterefatta di palestinesi.

sabato 28 maggio 2011

Continua la macelleria siriana...



Secondo fonti diplomatiche la Siria sarebbe dietro l'attentato di ieri che ha provocato la morte di un soldato italiano e il ferimento di altri quattro nel sud del Libano.
Poco prima dell'esplosione un ministro siriano ha avvisato l'Unione Europea che si sarebbe pentita delle sanzioni imposte al "presidente" Assad e ai vertici siriani.

Secondo una ONG, dopo undici settimane di proteste i morti ammazzati dal regime siriano sono almeno 1.100; 16 mila gli arrestati, 300 gli scomparsi e 4.000 i feriti.
E l'Occidente sta a guardare: su pressione della Russia, il G8 ha rimosso dal comunicato finale qualsiasi accenno al genocidio che il regime di Assad (alleato di Mosca) sta compiendo ai danni della popolazione.
Mentre in Italia il cardinale Bagnasco denuncia l'"eccesso di violenza" in Siria. Ma quando mai la violenza è da condannare quando eccessiva? forse se i morti fossero "soltanto" 110 sarebbero tollerabili? forse lo sarebbero per la coscienza di questo vescovo?..

UNIFIL (Libano): un missione insensata



E' evidente a tutti la posizione del contingente italiano nel sud del Libano: sulla carta, quello di indurre il disarmo delle milizie di Hezbollah, che ricevono armi e munizioni dalla Siria, e che lanciano attacchi verso il nord di Israele. Di fatto, la missione UNIFIL ha l'ingrato compito di farsi gli affari propri, e di girarsi dall'altro lato quando i terroristi giocano alla guerra con la pelle dei civili. Quando questo mandato è disatteso, come è successo ieri, i soldati sono fatti saltare in aria.
Antonio Martino, ex ministro degli Esteri, ha giustamente usato parole di fuoco nei confronti dell'allora "responsabile" della Farnesina, che in seguito si è fatto immortalare a braccetto con uno sgherro di Hezbollah in un viale di Beirut.
La riflessione, sconsolata, è tratta dal blog del professore Martino
.

L’attacco terroristico del quale sono state vittime nostri militari ripropone con drammaticità un quesito finora irrisolto: qual è l’obiettivo della nostra massiccia presenza all’interno di Unifil, la missione delle Nazioni Unite? Quella missione, come il mulo, non ha motivo di essere orgogliosa dei suoi ascendenti né speranza di avere discendenti. Nasce, infatti, per una ragione assai poco commendevole: il ministro degli esteri del governo Prodi, infatti, per farsi perdonare la precipitosa fuga dall’Iraq si adoperò con tutte le sue forze per dar vita a una missione, forte di una massiccia presenza italiana, in Libano.
Il ministro, forte di ben sette sottosegretari, aveva dovuto immediatamente cancellare la seconda fase della missione irachena, venendo meno agli impegni assunti dall’Italia con le Nazioni Unite, per compiacere i pacifisti violenti che sostenevano il suo governo. La missione concordata era civile, organizzata dal Ministero degli Esteri su mandato dell’Onu e guidata da un funzionario italiano delle Nazioni Unite.
L’italico Talleyrand post-comunista, per motivare la decisione di scappare dall’Iraq, fece ricorso al mendacio intenzionale. Rilasciò, infatti, un’intervista a La Stampa nella quale sosteneva che la prosecuzione della presenza italiana in Iraq sotto forma di missione a scopi civili era frutto di un accordo segreto fra Berlusconi e Martino con gli americani, senza informarne il Parlamento. Quando gli ricordai che quella decisione corredata di tutti i dettagli era stata da me presentata alle commissioni congiunte esteri e difesa di Camera e Senato, pur essendo stato colto con le mani nel sacco, rifiutò di scusarsi per la sua grossolana menzogna.
Ma il debutto del nostro ministro degli Esteri (uno dei due a non essersi laureato nella storia d’Italia), non fu caratterizzato solo dalla spudorata menzogna. Perché fosse chiara la sua competenza internazionale, in occasione di una visita a Teheran, tenne a dichiarare che il diritto dell’Iran al nucleare era “inalienabile” (sic). Seguì la nota passeggiata per le strade di Beirut a braccetto di un caporione di Hezbollah e la dichiarazione di “equivicinanza” (sic) fra Israele e i palestinesi.
La nostra missione in Libano, quindi, è nata male, per ragioni di politica interna e senza alcuna seria riflessione sulle sue finalità. Il mandato dell’Onu prevedeva il blocco delle forniture militari che, attraverso la Siria, affluivano a Hezbollah e il disarmo di quest’ultimo. Ma nessuno ha mai ordinato di eseguirle e la loro fattibilità era comunque dubbia. Cosa ci stanno a fare allora i nostri militari in Libano? La risposta ufficiale è che sono un “cuscinetto”, una forza d’interposizione fra Hezbollah e Israele, che ha anche l’obiettivo di stabilizzare la regione. Quanto sia riuscito il tentativo di stabilizzare il Libano è platealmente dimostrato dalle vicissitudini di quel martoriato paese nel periodo in cui ha goduto della presenza di Unifil.
Né appare convincente la tesi secondo cui si tratterebbe di una forza d’interposizione. Quest’ultima, infatti, interviene quando i due contendenti raggiungono una tregua e concordano sulla necessità che una forza terza si frapponga fra loro per impedire che venga violata. Non mi risulta che queste condizioni siano mai esistite per il Libano.
Hezbollah si propone, come sempre, la distruzione d’Israele e non mi sembra che Israele sia disposta a lasciarsi distruggere. Il favore con cui i pacifisti violenti del governo Prodi videro la missione era dovuto alla loro convinzione che sarebbe servita a proteggere Hezbollah dall’esercito israeliano, Si tratta di tutelare le forze progressiste del “partito di Dio” dalla ferocia dei sionisti servi dell’America!
Il mulo, come tutti gli ibridi, è sterile; temo che Unifil non sia soltanto sterile, perché priva di obiettivo serio, ma anche pericolosa per i nostri militari che, come quest’ultima tragedia dimostra, rischiano la vita per una missione insensata voluta solo ad pompam vel ostentationem.

lunedì 16 maggio 2011

I profughi palestinesi usati come mezzo



E' triste constatare come dopo diversi decenni, centinaia di migliaia di essere umani sono ammassati negli stati confinanti con Israele - Siria, Giordania, Libano - in squallidi campi profughi, senza diritti, senza lavoro, senza cibo, senza dignità, discriminati, talvolta vessati e spesso esasperati dagli stati ospitanti.
Bisogna ricordare che gli arabi israeliani lasciarono Israele nel 1948 convinti dagli stati confinanti, che paventarono per loro rischi concreti per la loro stessa vita, e ventilarono l'ipotesi di un immediato ritorno dopo le guerre scatenate contro Israele dopo il 1947.
Sono passati 63 anni, quei profughi hanno generato figli, poi nipoti, ma sono sempre rimasti ammassati ai confini con Israele, in condizioni disperate. Mai integrati, mai dotati di diritti (chessò, al voto), di lavoro, di una misera abitazioni. Spesso discriminati dagli altri arabi, mentre gli arabi che tuttora vivono in Israele godono di diritti come in nessun altro posto in Medio Oriente - fra l'altro, possono votare ed essere eletti in parlamento; e possono legittimamente contestare nella Knesset il governo, come in ogni altro stato democratico.
Triste constatare l'inutilità dell'Unifil, che staziona nella parte meridionale del Libano, dove opera attivamente Hezbollah. I nostri soldati sono dissuasi dall'intervenire "per non surriscaldare ulteriormente gli animi" (ma allora che stanno a fare lì?), e nel frattempo assistono passivamente al contrabbando di armi, alla militarizzazione di quest'area che altrimenti avrebbero dovuto smilitarizzare.
Triste constatare come uno stato debba essere quotidianamente sottoposto ad attacchi di ogni tipo e da diversi fronti, senza che il mondo occidentale - pavido: basti vedere come si stia girando dall'altro lato a fronte del genocidio in Siria ad opera del regime di Assad - abbia nulla di dire a difesa dell'unico bastione di democrazia del Medio Oriente. Ma come efficacemente sintetizza lo striscione qui in basso, costoro non voglio democrazia e libertà (come qualche ingenuo buontempone vaticinava con l'avvento della "primavera araba"); vogliono soltanto l'Islam, con tutto il suo pesante carico di privazioni delle libertà individuali, di applicazione della shaaria, di discriminazione delle altre religioni, di sottomissione della donna e di assoggettamento dello stato ai precetti del corano.