venerdì 12 ottobre 2012

La dura condizione dei profughi palestinesi

Alla fine del 1947 le Nazioni Unite ripartirono l'ex protettorato britannico palestinese - ricevuto in consegna dopo la dissoluzione dell'impero ottomano di inizio anni '20 - in due stati: uno arabo, e uno ebraico. Gli ebrei accettarono la partizione, e l'anno successivo proclamarono lo stato di Israele. Gli arabi non accettarono la decisione storica, e convinsero gli arabi che vivevano nel neonato stato a riparare negli stati confinanti, prima di scatenare un conflitto che si risolse l'anno successivo in una bruciante sconfitta.
Gli arabi che ripararono in Egitto, in Libano, in Siria, in Giordania e in Iraq furono sistemati in campi profughi nei quali hanno vissuto per lunghi decenni. Senza diritti, senza cittadinanza - unico caso al mondo - senza possibilità di integrarsi nella società, di frequentarne le scuole, di praticarne le istituzioni. Cittadini di serie B a tutti gli effetti. I 6-700 mila arabi del 1948 sono diventati milioni. Così tanti, che l'ONU ha previsto una apposita agenzia: l'UNRWA. Un gigante burocratico che amministra fondi e li versa ai profughi palestinesi. Caso eclatante: a differenza dei profughi di tutti gli altri stati al mondo, i figli e i figli dei figli hanno conservato lo status di rifugiato.
La situazione è particolarmente precaria in Libano, come ci ricorda oggi
Elder of Ziyon, in un articolo che traduco in calce, e che cita importanti studi di Lancet.

La rivista medica britannica Lancet ha pubblicato una serie di anticipazioni tratte da un convegno di ricercatori sulla salute pubblica tenutosi a Beirut a marzo 2012.
Secondo uno degli studi, condotti da ricercatori the American University of Beirut, "le leggi discriminatorie e decenni di emarginazione" hanno reso i rifugiati palestinesi in Libano socialmente, politicamente ed economicamente svantaggiati. Più della metà di essi vive in campi profughi sovraffollati, dove "la disponibilità di un'abitazione, di acqua, di elettricità e di altri servizi essenziali, risulta inadeguata e contribuisce ad una salute precaria".
Su 2500 famiglie interpellate, il 42% lamenta infiltrazioni di acqua dai muri o dal tetto, e l'8% vive in dimore costruitr con materiali pericolosi per la salute, come l'amianto. Hoda Samra, portavoce in Libano dell'UNRWA (UN Relief and Works Agency for Palestinian Refugees) dichiara che molti rifugiati vivono in rifugi privi di ventilazione e di luce naturale. Circa 5000 rifugi abbisognano di manutenzione, ma l'agenzia ha fondi soltanto per 730 di essi. In quattro campi su dodici occorre manutenere le infrastrutture, ma mancano i fondi.
La gente nei campi continua a crescere, ma gli spazi disponibili sono sempre gli stessi. Il conseguente sovraffollamento ha esacerbato i problemi di sanità pubblica. "Alcuni campi crescono verticalmente, non orizzontalmente", denuncia Samra, puntando il dito sui criteri precari con cui le abitazioni sono costruite: senza fondamenta, e troppo vicine l'una all'altra.
Lo studio evidenzia una correlazione diretta fra le precarie condizioni abitative e la salute dei residenti: negli ultimi sei mesi il 31% soffre di malattie croniche e il 24% ha sofferto di riacutizzarsi di malanni.

I ricercatori hanno evidenziato anche una forte correlazione fra miseria e precarietà della salute. I rifugiati palestinesi che vivono in Libano non possono accedere ai servizi sociali, sanità inclusa, e non possono svolgere circa 50 professioni. UNRWA e la International Labour Organization fanno pressioni sul governo libanese affinché allenti queste restrizioni, ma un emendamento alla normativa sul lavoro, approvato ad agosto 2010, e che dovrebbe agevolare l'accesso al lavoro da parte dei rifugiati, attende ancora di essere reso operativo dal ministero competente.
Secondo un altro studio citato su Lancet, sempre da parte dei ricercatori di Beirut, il 59% dei rifugiati vive al di sotto della soglia nazionale di povertà, il 63% non mangia regolarmente, e il 13% fa fatica a procurarsi il cibo. Solo i più poveri - un altro 13% - ha i requisiti per poter accedere ai buoni mensa e a piccoli sussidi in denaro elargiti dall'UNRWA.
La combinazione di scarsa alimentazione, di condizioni di vita insalubri e di infelicità, alimentano "tutti i tipi di malattie", conclude Samra.
"Nel complesso", rileva Lancet, "questi dati evidenziano la crisi nascosta che affrontano i rifugiati palestinesi, le cui esigenze di salute sono dolorosamente trascurate".
Ovviamente, Lancet evita di rimarcare un'ovvietà: è la classificazione artificiosa di questa gente come "rifugiati" - anche se la maggioranza di essi è nata in Libano - a rappresentare la cause dei loro problemi. Se i bambini nati in Libano fossero resi cittadini libanesi, non ci sarebbe discriminazione ai loro danni e non sarebbero costretti a vivere in squallidi campi profughi, che le autorità oltretutto vietano di espandersi.
Ma rivelare una verità ovvia nel mondo arabo non è consentito. Difatti, l'unica ragione per cui oggi soffrono, come arabi che vivono in Libano, è che la Lega Araba li ha sempre utilizzati come mezzo per fare pressione su Israele. Sicché gli arabi palestinesi, e solo essi, hanno una condizione speciale nel mondo arabo di privi permanentemente di cittadinanza, senza possibilità di sfuggire. Il mondo arabo, e il Libano in particolare, è interamente da biasimare per questa situazione. Ma le "organizzazioni dei diritti umani" si rifiutano di ammetterlo. Poiché il mondo arabo ha accusato per 65 anni Israele di "apartheid" nei confronti dei palestinesi, così deve fare il resto del mondo.

Fonte: Elder of Ziyon.

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