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domenica 19 novembre 2017
I palestinesi non l'hanno presa bene, e ora minacciano gli USA
Non l'hanno presa granché bene.
Come è noto, ieri l'amministrazione Trump ha annunciato il mancato rinnovo della licenza che consente all'OLP di mantenere negli Stati Uniti un ufficio di rappresentanza. Un modo diplomatico per prendere le distanze da un'organizzazione responsabile del rifiuto di tutte le proposte di pace pervenute da Gerusalemme negli ultimi decenni.
In un video pubblicato su Twitter Saab Erekat, capo negoziatore e segretario generale dell'OLP ha adottato toni fermi ma minacciosi, dichiarando «inaccettabile» la decisione americana, e aggiungendo: «se chiuderanno ufficialmente la nostre sede di Washington DC, cesseremo tutti nostri contatti diplomatici con l'amministrazione americana».
Pochi giorni prima, il Congresso USA aveva approvato una legge che vincola le sovvenzioni americane all'eliminazione di ogni forma di supporto a favore delle famiglie dei terroristi palestinesi. Ancora oggi, difatti, malgrado le rassicurazioni di facciata, una larga fetta dei contributi internazionali è impiegata per sussidiare i palestinesi - e relative famiglie - che compiano atti di terrorismo ai danni dei civili israeliani.
giovedì 28 settembre 2017
Un palestinese denuncia all'ONU la corruzione del regime di Abu Mazen
È stata una giornata memorabile, quella di lunedì a Ginevra. Dove si è tenuta la 36esima sessione del Consiglio ONU per i Diritti Umani (OHCHR), un organismo composto da 47 nazioni, che con i diritti umani sovente non hanno alcuna confidenza: Qatar, Venezuela, Cina, Cuba, Egitto, Iraq, Arabia Saudita vi dicono qualcosa?
Un organismo autoreferenziale, corrotto e degno di fare la stessa fine della omologa Commissione ONU per i Diritti Umani, cancellata nel 2006 per manifesta incapacità di perseguire l'obiettivo originario della «promozione ed incoraggiamento del rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali». Di fatto, questo costosi carrozzoni servono per fornire a stati canaglieschi una ribalta mediante la quale scagliarsi contro l'unico stato che in Medio Oriente garantisce da sempre democrazia, tutela delle minoranze, pluralità e libertà di pensiero, di culto e di espressione.
Anche questa sessione dell'OHCHR ha seguito il copione abituale: il tema all'ordine del giorno, manco a dirlo, era la situazione dei diritti umani in "Palestina". Erano iscritti a parlare il delegato dell'OLP: «Israele continua la sua politica coloniale e le sue violazioni»; quello siriano: «Israele persegue la giudeizzazione di Gerusalemme; il Qatar: «le violazioni razziste perpetuate da Israele...»; la Nord Corea: «Israele continua a commettere violazioni dei diritti umani in palestina». Di analogo tenore i deliri profferiti dai delegati di Pakistan, Venezuela e Iran: solita solfa, che ormai annoia anche chi odia a morte lo stato ebraico. Non se ne può più.
Ma quando il presidente dell'assemblea concede la parola al palestinese Mosab Hassan Yousef, il palazzo trema.
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lunedì 28 agosto 2017
Il Fronte popolare per la liberazione della palestina si presenta alle elezioni tedesche
Per fortuna le elezioni politiche calendarizzate in Germania per il prossimo 24 settembre, di tanto in tanto producono qualche scossone che risveglia dall'apatia che ci condurrà ad un prevedibilissimo quarto mandato di Cancellierato per la signora Merkel.
Il Jerusalem Post riporta oggi - e non sembra trattarsi di un Pesce d'Aprile tardivo - che il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (PFLP), una organizzazione terroristica classificata come tale in tutta Europa e negli Stati Uniti, responsabile dell'assassinio di diverse diecine di civili; punta addirittura a fare il suo ingresso nel Bundestag, la Camera bassa di Berlino. Il cavallo di Troia sarà prestato dal partito marxista-leninista tedesco, un'organizzazione di estrema sinistra che in questo modo punterebbe ad aggirare la soglia di sbarramento prevista dalla legge elettorale tedesca, e che ha rigettato oggi la richiesta di chiarimenti della stampa.
domenica 16 novembre 2014
Le agenzie di stampa lavorano sotto dettatura palestinese?
di Pesach Benson*
Alcuni giorni fa, l'Organizzazione per la liberazione della palestina ha diffidato i giornalisti stranieri dall'impiegare la denominazione "Monte del Tempio" nell loro corrispondenze dai luogi sacri di Gerusalemme. Secondo l'OLP, il luogo sacro dell'ebraismo si troverebbe in territori occupati, per cui ogni riferimento ad esso diverso da Haram al Sharif (traducibile in "santuario nobile") lederebbe le aspirazioni palestinesi.
Il sito è denominato Monte del Tempio (Har HaBayit in ebraico) perché è dove si collocava il Tempio fatto costruire da Salomone e poi da Erode. Ebrei e cristiani conoscono questo luogo con questo nome da millenni, prima che una linea verde intersecasse fittiziamente la Città Santa.
Ora arriva l'OLP e sostiene che "Monte del Tempio" è un nome improprio e politicizzato.
A questo punto mi chiedo se questa breve del corrispondente Reuters Jeffrey Heller è scritto per compiacere i palestinesi, o è soltanto sciatteria. Tenuto conto dell'ammonimento dell'OLP, le mie antenne hanno incominciato a vibrare:
Alcuni giorni fa, l'Organizzazione per la liberazione della palestina ha diffidato i giornalisti stranieri dall'impiegare la denominazione "Monte del Tempio" nell loro corrispondenze dai luogi sacri di Gerusalemme. Secondo l'OLP, il luogo sacro dell'ebraismo si troverebbe in territori occupati, per cui ogni riferimento ad esso diverso da Haram al Sharif (traducibile in "santuario nobile") lederebbe le aspirazioni palestinesi.
Il sito è denominato Monte del Tempio (Har HaBayit in ebraico) perché è dove si collocava il Tempio fatto costruire da Salomone e poi da Erode. Ebrei e cristiani conoscono questo luogo con questo nome da millenni, prima che una linea verde intersecasse fittiziamente la Città Santa.
Ora arriva l'OLP e sostiene che "Monte del Tempio" è un nome improprio e politicizzato.
A questo punto mi chiedo se questa breve del corrispondente Reuters Jeffrey Heller è scritto per compiacere i palestinesi, o è soltanto sciatteria. Tenuto conto dell'ammonimento dell'OLP, le mie antenne hanno incominciato a vibrare:
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lunedì 31 marzo 2014
Il boicottaggio europeo dei prodotti israeliani poggia su argomentazioni viziate
di Timon Dias*
In un mondo turbolento, governi e compagnie europee cercano ancora di boicottare i prodotti realizzati dalle società israeliane nel cosiddetto "West Bank". I boicottatori poggiano le loro argomentazioni sul fatto che il West Bank è un territorio occupato e che la presenza israeliana è un ostacolo ad una pace duratura. Entrambe le tesi sono completamente infondate.
In Occidente, si fa riferimento alla cosiddetta "Green Line" quando si discute del processo di pace. Alcuni sono soliti affermare che Israele dovrebbe ripiegare al di qua della Linea Verde, onde mantenere un profilo di legittimità e legalità. La Linea Verde è citata a proposito dei "confini del 1967"; ma si tratta di un'argomentazione errata. Sostenendo che la Linea Verde coincide con i confini del 1967, si fornisce l'impressione che questa linea sia stata varcata per porre in essere un'operazione militare espansionistica. La verità invece è opposta: la Green Line altro non è che la linea armistiziale del 1949; il punto dove la guerra di sterminio promossa dagli arabi si interruppe e dove Israele alla fine riuscì a neutralizzare il tentativo di genocidio del proprio popolo.
Anche la locuzione "territori occupati" sebbene non sia corretta, è sufficiente a mettere in difficoltà il sostenitore delle tesi di Israele, e ad esaltare progressisti e musulmani. È il caso di soffermarsi sulla fondatezza legale del termine "occupato", con riferimento al West Bank.
In un mondo turbolento, governi e compagnie europee cercano ancora di boicottare i prodotti realizzati dalle società israeliane nel cosiddetto "West Bank". I boicottatori poggiano le loro argomentazioni sul fatto che il West Bank è un territorio occupato e che la presenza israeliana è un ostacolo ad una pace duratura. Entrambe le tesi sono completamente infondate.
In Occidente, si fa riferimento alla cosiddetta "Green Line" quando si discute del processo di pace. Alcuni sono soliti affermare che Israele dovrebbe ripiegare al di qua della Linea Verde, onde mantenere un profilo di legittimità e legalità. La Linea Verde è citata a proposito dei "confini del 1967"; ma si tratta di un'argomentazione errata. Sostenendo che la Linea Verde coincide con i confini del 1967, si fornisce l'impressione che questa linea sia stata varcata per porre in essere un'operazione militare espansionistica. La verità invece è opposta: la Green Line altro non è che la linea armistiziale del 1949; il punto dove la guerra di sterminio promossa dagli arabi si interruppe e dove Israele alla fine riuscì a neutralizzare il tentativo di genocidio del proprio popolo.
Anche la locuzione "territori occupati" sebbene non sia corretta, è sufficiente a mettere in difficoltà il sostenitore delle tesi di Israele, e ad esaltare progressisti e musulmani. È il caso di soffermarsi sulla fondatezza legale del termine "occupato", con riferimento al West Bank.
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giovedì 21 febbraio 2013
I palestinesi meritano uno stato?
Con il presidente Obama atteso presto in Israele, mi permetto di formulare quella che per molti è una domanda retorica: ma i palestinesi, lo meritano uno stato autonomo? Obama e buona parte della comunità internazionale ritengono di sì. Ma se diamo un'occhiata da vicino alla situazione, scopriamo diversi aspetti che non vanno ignorati. Ad esempio, si tratterebbe di un vicino pacifico per Israele? migliore risposta non può che sopravvenire esaminando alcune linee guida dell'OLP e del Fatah, il partito dominante di cui Mahmoud Abbas è presidente.
Dallo stato dell'OLP in effetti apprendiamo: "...la fondazione dello stato di Israele è illegale" (articolo 19); "gli ebrei non costituiscono un singolo stato con un'identità autonoma" (articolo 20). Nello stato di Fatah leggiamo: "...la completa liberazione della Palestina, e lo sradicamente dell'esistenza economica, politica, militare e culturale sionista" (articolo 12); "la rivoluzione popolare armata è il metodo ineluttabile per liberare la Palestina" (articolo 17); "la lotta non si esaurirà fino a quando lo stato sionista sarà demolito, e la Palestina liberata completamente" (articolo 19). Sono questi obiettivi e finalità di uno stato pacifico?
mercoledì 12 dicembre 2012
Uno stato che non si comporta da stato
Probabilmente se potesse tornare indietro, Abu Mazen deciderebbe per una volta di risparmiare il denaro speso per l'ennesimo viaggio all'estero, e rinuncerebbe alla richiesta di accoglimento dell'autorità palestinese alle Nazioni Unite come stato osservatore non membro. Questa decisione non ha prodotto vantaggi per alcuno: non per il presidente dell'OLP, sempre accusato apertamente dalla sua gente di inefficienze e corruzione; non per lo stato palestinese, che rimane lungi dall'essere realizzato; ne' per il processo di pace, che anzi compie drammatici passi indietri; ne' infine per il popolo palestinese, che risulta ancor più penalizzato.
Abbiamo dunque un territorio, che aspira a diventare stato, ma è privo di confini definiti, privo di governo - anzi, a ben vedere ne ha addirittura due: uno a Ramallah, uno a Gaza; solo che i due leader non si parlano e si guardano in cagnesco - e privo di accordi con gli stati confinanti. In verità, con Israele l'ANP aveva un accordo, e che accordo: il Trattato di Pace sottoscritto ad Oslo nel 1993, che appunto istituiva l'embrione del futuro stato palestinese, riconoscendogli cospicui finanziamenti internazionali (5 miliardi di euro dall'Europa soltanto negli ultimi otto anni) in cambio dell'impegno alla disponibilità a negoziare le dispute territoriali con Gerusalemme, al riconoscimento dello stato israeliano e alla rinuncia al terrorismo.
Abbiamo dunque un territorio, che aspira a diventare stato, ma è privo di confini definiti, privo di governo - anzi, a ben vedere ne ha addirittura due: uno a Ramallah, uno a Gaza; solo che i due leader non si parlano e si guardano in cagnesco - e privo di accordi con gli stati confinanti. In verità, con Israele l'ANP aveva un accordo, e che accordo: il Trattato di Pace sottoscritto ad Oslo nel 1993, che appunto istituiva l'embrione del futuro stato palestinese, riconoscendogli cospicui finanziamenti internazionali (5 miliardi di euro dall'Europa soltanto negli ultimi otto anni) in cambio dell'impegno alla disponibilità a negoziare le dispute territoriali con Gerusalemme, al riconoscimento dello stato israeliano e alla rinuncia al terrorismo.
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domenica 9 dicembre 2012
I palestinesi non imparano mai
di Emanuele Ottolenghi*
Il voto alle Nazioni Unite che ha avanzato la condizione dell'OLP a stato osservatore non membro non ha fatto nulla per far progredire la condizione della questione palestinese. Al contrario, ripete un vecchio copione della storia: anziché cercare un compromesso con Israele, i leader palestinesi ripongono il loro destino nelle mani di altri, ingenuamente credendo che essi consegneranno loro ciò che non sono in grado di conseguire.
Quando gli stati mondiali si riunirono all'ONU nel 1947 per votare il piano di partizione del mandato britannico in Medio Oriente in due stati - uno arabo, uno ebraico - i leader palestinesi si fidarono della Lega Araba, opponendosi all'accordo, convinti dagli eserciti arabi che avrebbero ottenuto con la forza tutto il territorio. Ma non andò così.
Il voto alle Nazioni Unite che ha avanzato la condizione dell'OLP a stato osservatore non membro non ha fatto nulla per far progredire la condizione della questione palestinese. Al contrario, ripete un vecchio copione della storia: anziché cercare un compromesso con Israele, i leader palestinesi ripongono il loro destino nelle mani di altri, ingenuamente credendo che essi consegneranno loro ciò che non sono in grado di conseguire.
Quando gli stati mondiali si riunirono all'ONU nel 1947 per votare il piano di partizione del mandato britannico in Medio Oriente in due stati - uno arabo, uno ebraico - i leader palestinesi si fidarono della Lega Araba, opponendosi all'accordo, convinti dagli eserciti arabi che avrebbero ottenuto con la forza tutto il territorio. Ma non andò così.
domenica 26 agosto 2012
L'OLP accusa l'Iran di essere filosionista!
Dura presa di posizione dell'OLP, e in parole povere dell'Autorità Palestinese che amministra i territori di Giudea e Samaria (West Bank; una volta: cisgiordania) dopo gli accordi di Oslo del 1993.
La materia del contendere l'invito che da Teheran ha raggiunto sia l'AP, embrione di un futuro stato palestinese; sia Hamas, che di fatto governa la Striscia di Gaza dal 2007, due anno dopo lo sgombero israeliano, un anno dopo il sanguinoso colpo di stato con cui fu esautorato il partito rivale Al Fatah, che amministra oggi Ramallah.
Il primo ministro di Ramallah, Salam Fayyad, denuncia il tentativo iraniano di attentare all'unità palestinese, invitando una fazione che a suo dire non ha alcun potere di rappresentanza. Un membro di Al Fatah di recente ha accusato Hamas di trescare con Israele in modo da favorire l'annesione di Gaza all'Egitto, forse contando sul fatto che l'organizzazione terrorista che controlla la Striscia è una diretta emanazione dei Fratelli Musulmani che ora comandano al Cairo.
Inutile ricordare la scarsa legittimità di entrambi i governi: sia l'Esecutivo di Ramallah, che quello di Gaza, risultano decaduti da due-tre anni. Elezioni generali non si tengono da tempo per convenienza politica. Voci e accordi di collaborazione sono proclamati un giorno e accantonati il giorno successivo. Ma ciò non impedisce ad uno dei due contendenti di ragguiungere sublimi vette di comicità, quando accusa l'Iran di essere fiancheggiatrice di Israele...
Il primo ministro di Ramallah, Salam Fayyad, denuncia il tentativo iraniano di attentare all'unità palestinese, invitando una fazione che a suo dire non ha alcun potere di rappresentanza. Un membro di Al Fatah di recente ha accusato Hamas di trescare con Israele in modo da favorire l'annesione di Gaza all'Egitto, forse contando sul fatto che l'organizzazione terrorista che controlla la Striscia è una diretta emanazione dei Fratelli Musulmani che ora comandano al Cairo.
Inutile ricordare la scarsa legittimità di entrambi i governi: sia l'Esecutivo di Ramallah, che quello di Gaza, risultano decaduti da due-tre anni. Elezioni generali non si tengono da tempo per convenienza politica. Voci e accordi di collaborazione sono proclamati un giorno e accantonati il giorno successivo. Ma ciò non impedisce ad uno dei due contendenti di ragguiungere sublimi vette di comicità, quando accusa l'Iran di essere fiancheggiatrice di Israele...
martedì 1 maggio 2012
E fu così che fu inventato il "popolo palestinese"...
Oggi l’Italiano Medio si commuove pronunciando la parola “Palestina”, perché crede sia il nome della Terra di Gesù. Ne è convinto: un po’ perché a scuola ha studiato svogliatamente la storia, un po’ perché i libri di testo spesso fanno schifo. Così accade che l’Italiano Medio ignori che il nome “Palestina” fu imposto a quella terra solo nell’anno 70, come dispregiativo (Palestina=terra dei Filistei, popolo già a quel tempo estinto da secoli), insieme al nome di ”Aelia Capitolina” per Gerusalemme. Nomi imposti con odio verso gli ebrei che proprio non volevano arrendersi alla potenza di Roma.
E così fu inventata la “Palestina”, quell’area formata dalle province che gli stessi Romani avevano sempre chiamato “Iudea”, “Samaria”, “Galilaea”.
“Palestina”, quella che in seguito, per molti secoli, è stata ”Sancak-i Kudüs-i Şerif”, sangiaccato di Gerusalemme, la regione a maggioranza ebraica della “Suriye eyaleti“, la provincia di Siria dell’Impero Ottomano. “Palestina”. Nome che ritorna in uso solo dal 1920 al 1948 con il ”Mandato Britannico” (modo ipocrita e molto inglese per dire “colonia”).
“Palestina”, terra che gli Ebrei hanno sempre chiamato “Israele”, così come i Greci hanno sempre chiamato “Hellas” la loro terra, quella regione del Mediterraneo che per noi è “Grecia” e per i Turchi era, ed è tutt’oggi, “Yunanistan”. Il 14 maggio del 1948, con la nascita di “Medinat Israel” (lo Stato d’Israele) il nome “Palestina” muore. Muore, ma poi risorge il 17 luglio 1968 con la “Risoluzione del Consiglio Nazionale Palestinese”, che recita:
«La Palestina è la patria del popolo arabo palestinese; è parte indivisibile della nazione araba, di cui il popolo palestinese è parte integrante. La Palestina, entro i limiti che aveva ai tempi del Mandato Britannico (ossia gli attuali Israele + Giordania + Territori dell’Autonomia Palestinese + Gaza, n.d.r), è un’indivisibile unità territoriale.»
Insomma, la “Palestina” rinasce, allo scopo di eliminare Israele, lo stato degli Ebrei. Ma agli occhi dell’Italiano Medio la sua rinascita appare come una lotta di poveri contro ricchi, invertendo, per chissà quale mistero, il ruolo dei due attori. Non sono ricchi i latifondisti arabi, NO. Sono ricchi gli ebrei, anche quelli più sventurati!
È ricca la gente che arriva su carrette del mare per ricongiungersi ai propri connazionali, sfuggendo a un’Europa che li ha perseguitati per secoli, tenuti ai margini, messi al rogo, infornati ad Auschwitz.
È ricca la gente che, dopo millenni trascorsi nei paesi del Nord Africa, è costretta a lasciare da un giorno all’altro tutto, per sfuggire all’odio fomentato dalla propaganda.
È ricca la gente vestita alla men peggio che, senza casa e senza nulla, fonda comunità basate su principi socialisti e prende la zappa in mano per dissodare terra rimasta incolta per secoli in mano a latifondisti egiziani o siriani, riscattata a peso d’oro, pagandola a quegli stessi padroni che con quei soldi pensavano alle armi da comprare per riprendersi tutto.
È ricca quella gente. Ed è davvero molto ricca: ricca di fame, ricca di miseria, ma soprattutto ricca di speranza, ricca di inventiva, ricca di spiritualità, ricca di senso pratico, ricca della propria cultura pluri-millenaria e di tutte le culture con cui si è confrontata...
Mentre è povera la “Palestina”. E lo è soprattutto nell’immaginario dell’Italiano Medio: è come una sorta di Sierra Maestra mediorientale, in cui il prode Arafat, presentato come un Guevara, combatte contro l’arroganza degli israeliani, ricchi e prepotenti, paragonabili agli yankee e perfino ai boeri razzisti del Sud Africa!
La “Palestina” di Arafat l’egiziano, il pupillo di Muhammad Amīn al-Husaynī, alleato di Hitler e fondatore della Legione Araba, quell’esercito di criminali che marciavano al passo dell’oca sulla terra degli Ebrei e che intendeva attuare la Soluzione Finale anche lì!
“Palestina”. Una lotta di liberazione per l’Italiano Medio. In realtà, uno sporco gioco degli Inglesi prima, dei Russi e degli Americani poi, come ci raccontano David Horowitz e Guy Millière in Comment le peuple palestinien fut inventé, libro non ancora tradotto in Italiano e di cui vi propongo alcuni passi.
Speriamo di vederlo nelle nostre librerie al più presto.
Fulvio Del Deo
(dal libro: Comment le peuple palestinien fut inventé, di David Horowitz, Guy Millière)
(...) Fu, nota Ion Mihai Pacepa, ex-capo della Securitate rumena, nel suo libro “The Kremlin Legacy“, in un giorno del 1964, «fummo convocati a una riunione congiunta del KGB a Mosca». Il soggetto della riunione era di estrema importanza: «si trattava di ridefinire la lotta contro Israele, considerato un alleato dell’Occidente nel quadro della guerra fredda che conducevamo». La guerra araba per la distruzione di Israele non era suscettibile di attirare molti sostegni nei «movimenti per la pace», satelliti de l’Unione Sovietica. Dovevamo ridefinirla. Era l’epoca delle lotte di liberazione nazionali. Fu deciso che sarebbe stata una lotta di liberazione nazionale: quella del “POPOLO PALESTINESE”. L’organizzazione si sarebbe chiamata OLP: Organizzazione per la Liberazione della Palestina. Alla riunione parteciparono membri dei servizi siriani e egiziani. I Siriani proposero il loro uomo, come futuro leader del movimento: Ahmed Shukairy¹, e fu accettato. Gli Egiziani avevano il loro candidato: Yasser Arafat. Quando fu chiaro che Shukairy non sarebbe stato all’altezza della situazione, fu deciso di rimpiazzarlo con Arafat, e, spiega Pacepa, costui fu “fabbricato”: abbigliamento da Che Guevara medio-orientale, barba di tre giorni da avventuriero. «Dovevamo sedurre i nostri militanti e i nostri contatti in Europa».
Quaranta e passa anni dopo, l’opera di seduzione sembra aver avuto un netto successo. Non solo la «lotta di liberazione nazionale del popolo palestinese» appare giusta e legittima, ma nessuno mette più in discussione l’esistenza del “popolo palestinese”. nessuno osa dire che questo popolo fu inventato a fini di propaganda: nessuno sembra voler ricordarsene. Nessuno sembra volersi ricordare che la creazione del “popolo palestinese” fu un utile strumento della lotta dell’Unione Sovietica contro l’Occidente, durante la Guerra fredda.
E infatti: la lotta di liberazione nazionale inventata dal KGB ha fatto la sua strada: ci sono stati gli accordi di Oslo e la creazione dell’autorità palestinese in Giudea Samaria, c’è stata l’emergenza di Hamas poi, dopo la caduta dell’URSS, l’inserimento di una dimensione islamista nel conflitto. C’è stato, soprattutto, con Oslo, il riconoscimento da parte del governo israeliano dell’invenzione del KGB, il “popolo palestinese”, invenzione che è sfociata nell’idea dei “territori palestinesi” “occupati” da Israele.
Noi siamo oggi in uno dei momenti nei quali la parte islamista che tiene Gaza e la parte derivata dall’OLP che tiene Ramallah, cercano di ottenere un riconoscimento internazionale all’ONU, avendolo già ottenuto all’Unesco, con il sostegno di paesi come la Francia.
Fonte: Il blog di Barbara.
martedì 24 aprile 2012
Scintille fra Abu Mazen e Salam Fayyad
Montano le tensioni fra il presidente dell'Autorità Palestinese (AP) Abu Mazen (nome di guerra di Mahmoud Abbas) e il primo ministro dell'AP Salam Fayyad, il "moderato" di gradimento dell'Occidente. Proprio l'Occidente, che finanzia generosamente e senza porre condizioni il governo di Ramallah in seguito agli accordi di pace di Oslo del 1993 - che prevedevano fra le altre condizioni il pieno riconoscimento dello stato di Israele, e la cessazione della lotta armata - vedono con crescente preoccupazione il tentativo di Abu Mazen di ridimensionare il potere del primo ministro palestinese da parte del successore di Arafat. Le tensioni montano da tempo, ma la goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata la lettera, contenente le solite pretese impossibili, che Abu Mazen ha fatto recapitare al primo ministro israeliano tramite una delegazione che si è recata a Gerusalemme. Della delegazione avrebbe dovuto fare parte Salam Fayyad, il quale all'ultimo momento si è defilato: «non faccio il postino di Abu Mazen ne' di Al Fatah», avrebbe sbottato Fayyad. Il quale non ha mai apprezzato il gesto unilaterale di Abu Mazen dello scorso settembre, quando il maggiore esponente dell'OLP tentò l'avventura del riconoscimento unilaterale dello stato palestinese, di fatto infrangendo la roadmap sancita ad Oslo.
Abu Mazen appare sempre più isolato e nervoso, come evidenzia il modo sempre più brutale con cui viene soffocato il dissenso interno. L'abbraccio mortale con Hamas e la prospettiva di un peraltro improbabile governo unitario da un lato rappresenta il tentativo di perpetrare il potere, dall'altro indebolisce ulteriormente la leadership di Ramallah, comportando il prosciugamento dei finanziamenti internazionali per l'evidente sterzata radicale. Da qui il tentativo di ridimensionare il potere di Fayyad, mettendo direttamente le mani sulle casse dell'AP, di cui è responsabile il primo ministro. Un tentativo che però non vede comprensibilmente d'accordo i finanziatori, che si vanno progressivamente defilando.
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sabato 4 giugno 2011
ANP: "non abbiamo mai inteso riconoscere Israele"
"Fatah non ha mai riconosciuto il diritto di Israele ad esistere e non potrà mai farlo". Lo sostiene Azzam al-Ahmed, braccio destro di Abu Mazen nella "moderata" ANP, che governa la Cisgiordania, e che ha stretto un'allenza con Hamas - che governa Gaza, dopo alcuni anni in cui per conoscersi meglio si sono arrestati e torturati a vicenda.
Questo svela finalmente la reale natura della "parte moderata" della dirigenza palestinese: altro che territori occupati, altro che qualche chilometro quadrato da riconsegnare ai palestinesi, altro che Gerusalemme Est. La dirigenza palestinese vuole tutta Israele, "dal Giordano al mare". Poveri illusi europei, che pensavano di poter saziare le brame di questi loschi figuri con qualche concessione.
Dunque Al Fatah condivide la politica di Hamas, che nel proprio atto costitutivo prevede (art. 7):
"L’Ultimo Giorno non verrà finché tutti i musulmani non combatteranno contro gli ebrei, e i musulmani non li uccideranno"
oppure, più avanti, all'articolo 15:
"il jihad diventa un obbligo individuale per ogni musulmano. Questo richiede la propagazione di una coscienza islamica tra il popolo a livello locale, arabo e islamico. È necessario diffondere lo spirito del jihad all’interno della umma, scontrarsi con i nemici, e unirsi ai ranghi dei combattenti".
Non che la parte "moderata" scherzi:
"La lotta armata è la sola via per liberare la Palestina. E' la strategia generale non solamente una fase tattica" (art. 9 dello statuto dell'OLP, di cui l'AP di Abu Mazen è espressione).
Tutto bene, se non fosse che a settembre questi "signori" chiederanno all'assemblea generale dell'ONU il riconoscimento come stato.
Come ciò si possa conciliare con gli intenti bellicosi resta un mistero. Se è vero che, se non è cambiato stanotte, lo statuto dell'ONU da alcuni decenni recita:
"Tutti gli Stati Membri dirimeranno le proprie controversie internazionali con mezzi pacifici in modo che la pace, la sicurezza internazionale e la giustizia non siano messe in pericolo".
"Nelle rispettive relazioni internazionali gli Stati Membri dovranno astenersi dalla minaccia o dall'uso della forza contro l'integrità territoriale o l'indipendenza politica di qualsiasi Stato".
"Possono diventare membri delle Nazioni Unite tutti gli Stati amanti della pace che accettino gli obblighi del presente Statuto e che a giudizio dell’Organizzazione, abbiano la capacità e la volontà di adempiere tali obblighi"
Dopotutto, però, se i palestinesi sono davvero intenzionati ad ammazzare qualche milione di ebrei, in nome della pace universale, potremmo anche fare una piccola eccezione, e concederlo loro, no?...
giovedì 5 maggio 2011
Prima che nasca la Palestina occorrerà deporre le armi

Se si dovesse contare sull'umano buon senso (non sempre una prospettiva realistica), bisognerebbe concludere che i recenti "accordi" (tattici?) fra Hamas e al Fatah minacciano di ritardare, anziché accellerare, la prospettiva di uno stato di Palestina.
Il primo ministro inglese Cameron ha precisato che il Regno Unito non riconoscerà (a settembre, NdR) uno stato di Palestina, se prima non ci sarà rinuncia al terrorismo. Paradossalmente, malgrado gli Accordi di Oslo rendano necessario giungere a questo obiettivo dopo un negoziato bilaterale, e non mediante forzatura e annunci unilaterali (come si accingeva a fare Abu Mazen); un governo palestinese unitario a probabile guida Hamas (che ha dichiarato di non voler rinunciare al terrorismo, di non voler riconoscere Israele e di non voler onorare i trattati sottoscritti dall'OLP di Arafat) rischia di azzerare le possibilità che a settembre l'assemblea generale dell'ONU procedesse ad un riconoscimento dello stato di Palestina, sulla scia di quanto fatto da alcuni pittoreschi paesi sudamericani e anche da alcuni stati europei.
Ciò darebbe ragione a chi ritiene la mossa di Hamas dettata dalla disperazione di trovarsi in un angolino, dopo la crisi del regime siriano di Assad, sponsor principale dell'organizzazione terroristica che con un colpo di stato governa Gaza dal 2007. Il governo palestinese unitario insomma sarebbe una mossa tattica e contingente; non una strategia. E pertanto, destinata a durare poco e ad essere travolta dagli eventi e dalle reciproche incomprensioni.
P.S.: "Come stato, non tollereremo mai una minaccia alla nostra sicurezza, ne' resteremo passivi quando la nostra gente sarà ammazzata. Difenderemo i nostri cittadini senza un attimo di riposo".
Non l'ha detto il primo ministro israeliano Netanyahu, riferendosi agli attacchi dei terroristi islamici di Hamas. L'ha detto Obama, riferendosi agli attacchi dei terroristi islamici di al Qaeda. Il parallelo fra Hamas e al Qaeda regge benissimo...
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