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Coloni ebrei sgomberati con la forza da una sinagoga di Amona |
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giovedì 2 febbraio 2017
Stavamo scherzando: nuovi insediamenti ebraici non si costruiscono da 25 anni!
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lunedì 2 gennaio 2017
La Risoluzione 2334 affossa le prospettive di uno stato palestinese
di Moshe Dann*
Aspramente criticata da Israele e da più parti, la risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell'ONU (UNSC) 2334 è stata giudicata una pugnalata alla schiena. È una pugnalata; ma al petto. Oltretutto, vista l'ostilità dell'amministrazione Obama e dei membri del Consiglio di Sicurezza, era prevedibile e inevitabile. Ironia della sorte, però, la risoluzione getta le basi per una legittima annessione di Giudea e Samaria da parte di Gerusalemme.
La risoluzione infatti stravolge le regole del gioco: di fatto, abroga il Trattato di Oslo del 1993 e gli accordi interinali del 1995, che divisero Giudea e Samaria in area A e B, sotto il controllo dell'Autorità Palestinese; e area C, in cui sotto il controllo israeliano era prevista la possibilità di insediamento di comunità ebraiche. La questione degli insediamenti era demandata ad accordi fra le parti contendenti, assieme alla questione del "ritorno" dei discendenti dei profughi arabi che lasciarono Israele nel 1948, nonché allo status di Gerusalemme. Ma imponendo uno stato arabo palestinese senza precedenti negoziati bilaterali come fatto compiuto, e dichiarando unilateralmente gli insediamenti illegali, la Risoluzione 2334 ha spazzato via tutte le precedenti intese formali.
Aspramente criticata da Israele e da più parti, la risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell'ONU (UNSC) 2334 è stata giudicata una pugnalata alla schiena. È una pugnalata; ma al petto. Oltretutto, vista l'ostilità dell'amministrazione Obama e dei membri del Consiglio di Sicurezza, era prevedibile e inevitabile. Ironia della sorte, però, la risoluzione getta le basi per una legittima annessione di Giudea e Samaria da parte di Gerusalemme.
La risoluzione infatti stravolge le regole del gioco: di fatto, abroga il Trattato di Oslo del 1993 e gli accordi interinali del 1995, che divisero Giudea e Samaria in area A e B, sotto il controllo dell'Autorità Palestinese; e area C, in cui sotto il controllo israeliano era prevista la possibilità di insediamento di comunità ebraiche. La questione degli insediamenti era demandata ad accordi fra le parti contendenti, assieme alla questione del "ritorno" dei discendenti dei profughi arabi che lasciarono Israele nel 1948, nonché allo status di Gerusalemme. Ma imponendo uno stato arabo palestinese senza precedenti negoziati bilaterali come fatto compiuto, e dichiarando unilateralmente gli insediamenti illegali, la Risoluzione 2334 ha spazzato via tutte le precedenti intese formali.
mercoledì 28 settembre 2016
La storia degli insediamenti ebraici nel West Bank
Per "coloni" si intendono gli ebrei israeliani che correntemente vivono nei territori contesti del "West Bank". Come sono arrivati qui, e cosa la loro presenza comporta per il conflitto arabo-israeliano? La questione è più retorica che bellica, sebbene le armi utilizzate certo non manchino. Ambo le parti avanzano rivendicazioni sul territorio in questione, proponendo ora le norme del diritto internazionale, ora i vincoli storici, ora la successione ereditaria.
La retorica dei coloni si basa sul ritorno, e non sulla conquista. I coloni israeliani rivendicano il ritorno alle terre dove in precedenza abitavano i loro avi. Questo, secondo la retorica palestinese, impedisce la formazione di uno stato: sarebbe impossibile pervenirvi, senza rimuovere una comunità di oltre 400.000 persone.
Ma come siamo arrivati a questo punto? la trascrizione del video che proponiamo, propone la storia degli insediamenti ebraici in Giudea e Samaria.
Eccomi alla guida della mia auto, in quello che credo sia il luogo più strano al mondo. Ho appena lasciato Israele, per entrare nel West Bank. Se osservaste una cartina, notereste un groviglio di città e villaggi palestinesi, in verde; e di insediamenti israeliani, in blue.
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giovedì 8 settembre 2016
Israele e i "Territori" secondo il diritto internazionale
di Alan Baker*
Il diritto internazionale parla di "occupazione" quando una potenza occupa il territorio di uno stato sovrano. Nel caso di Israele, non c'è alcuna occupazione di un territorio sovrano: lo stato ebraico è entrato nell'area conosciuta come "West Bank" nel 1967, assumendone il controllo e l'amministrazione dalla Giordania, che non è mai stata considerata sovrana su quell'area.
In effetti, Israele e il popolo ebraico rivendicano parti di quell'area da secoli. Chiunque abbia mai letto la Bibbia può apprezzare il fatto che c'è una base legale storica molto consistente a supporto di territori che non possono essere considerati occupati; ma tutt'al più contesi.
Apprezzabile il fatto che anche i palestinesi abbiano rivendicazioni su quel territorio. Ma Israele ritiene che le sue argomentazioni sono ben più solide e meglio documentate. Ciononostante, è impegnato a condurre negoziati con i palestinesi per pervenire ad una soluzione definitiva della disputa.
I giordani, che invasero l'area dopo la guerra del 1948, procedettero ad annessione; ma quella annessione non è mai stata riconosciuta dalla comunità internazionale. Più tardi il re di Giordania rinunciò unilateralmente ad ogni sovranità o rivendicazione sui territori. Per cui i giordani sono arrivati e andati via. La questione va risolta fra israeliani e palestinesi.
Il diritto internazionale parla di "occupazione" quando una potenza occupa il territorio di uno stato sovrano. Nel caso di Israele, non c'è alcuna occupazione di un territorio sovrano: lo stato ebraico è entrato nell'area conosciuta come "West Bank" nel 1967, assumendone il controllo e l'amministrazione dalla Giordania, che non è mai stata considerata sovrana su quell'area.
In effetti, Israele e il popolo ebraico rivendicano parti di quell'area da secoli. Chiunque abbia mai letto la Bibbia può apprezzare il fatto che c'è una base legale storica molto consistente a supporto di territori che non possono essere considerati occupati; ma tutt'al più contesi.
Apprezzabile il fatto che anche i palestinesi abbiano rivendicazioni su quel territorio. Ma Israele ritiene che le sue argomentazioni sono ben più solide e meglio documentate. Ciononostante, è impegnato a condurre negoziati con i palestinesi per pervenire ad una soluzione definitiva della disputa.
I giordani, che invasero l'area dopo la guerra del 1948, procedettero ad annessione; ma quella annessione non è mai stata riconosciuta dalla comunità internazionale. Più tardi il re di Giordania rinunciò unilateralmente ad ogni sovranità o rivendicazione sui territori. Per cui i giordani sono arrivati e andati via. La questione va risolta fra israeliani e palestinesi.
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domenica 21 agosto 2016
Le dieci principali calunnie nei confronti di Israele
di Alan Baker*
Ogni giorno Israele è bersagliato da risoluzioni a senso unico, dichiarazioni di principio, "piani di pace" e raccomandazioni formulate da governi, organizzazioni internazionali, capi di stato e di governo, sedicenti esperti e soggetti di vario tipo della comunità internazionale.
La maggior parte di queste assunzioni, nei confronti dello stato ebraico, dei suoi leader, del governo di Gerusalemme, benché ampiamente condivise; si rivelano dopo rapida verifica false e/o erronee. È per questo motivo che oggi diventa inderogabile affrontarle una ad una, smascherando la mistificazione e la calunnia.
1) «Il ritiro dai territori di Giudea e Samaria garantirà ad Israele sicurezza e accettazione internazionale»: FALSO.
Prima della conquista di questi territori da parte di Israele dopo la guerra subita nel 1967, gli stati arabi commisero tutti gli sforzi per indebolire diplomaticamente e militarmente lo stato ebraico. I tentativi arabi e iraniani di confutare le radici ebraiche in Israele e a Gerusalemme, e la legittimità dello stato ebraico, ancora oggi risuonano nella comunità internazionale; con l'UNESCO che fa da cassa di risonanza.
I palestinesi nel frattempo sono impegnati a creare un loro stato su tutta la Palestina mandataria britannica, indottrinando i loro bambini in questo senso.
Ogni giorno Israele è bersagliato da risoluzioni a senso unico, dichiarazioni di principio, "piani di pace" e raccomandazioni formulate da governi, organizzazioni internazionali, capi di stato e di governo, sedicenti esperti e soggetti di vario tipo della comunità internazionale.
La maggior parte di queste assunzioni, nei confronti dello stato ebraico, dei suoi leader, del governo di Gerusalemme, benché ampiamente condivise; si rivelano dopo rapida verifica false e/o erronee. È per questo motivo che oggi diventa inderogabile affrontarle una ad una, smascherando la mistificazione e la calunnia.
1) «Il ritiro dai territori di Giudea e Samaria garantirà ad Israele sicurezza e accettazione internazionale»: FALSO.
Prima della conquista di questi territori da parte di Israele dopo la guerra subita nel 1967, gli stati arabi commisero tutti gli sforzi per indebolire diplomaticamente e militarmente lo stato ebraico. I tentativi arabi e iraniani di confutare le radici ebraiche in Israele e a Gerusalemme, e la legittimità dello stato ebraico, ancora oggi risuonano nella comunità internazionale; con l'UNESCO che fa da cassa di risonanza.
I palestinesi nel frattempo sono impegnati a creare un loro stato su tutta la Palestina mandataria britannica, indottrinando i loro bambini in questo senso.
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mercoledì 15 giugno 2016
La bufala degli insediamenti ebraici che ostacolerebbero la pace in Medio Oriente
Da anni un tema ricorrente sulla stampa, consiste nel dipingere come un "ostacolo alla pace" l'attività edilizia israeliana presso le comunità ebraiche in Giudea e Samaria e nei quartieri periferici di Gerusalemme. Di recente il corrispondente della BBC per il Medio Oriente Jeremy Bowen ha commentato che «l'idea della soluzione dei due stati è in grave pericolo [...] a causa della colonizzazione dei territori occupati da parte degli israeliani; con gli insediamenti che crescono a ritmo forsennato».
Inoltre: «molti in questi giorni ritengono che a causa della crescita degli insediamenti- quelli israeliani sui territori occupati; illegalmente, secondo il diritto internazionale - sarà materialmente molto difficile per i palestinesi pervenire ad uno stato indipendente».
Chi legge è indotto a ritenere che ci sia stata di recente un'impennata dell'attività edilizia in Giudea e Samaria, e a concludere che mai negoziati di pace potranno essere condotti, fino a quando gli israeliani continueranno a costruire abitazioni in un luogo ove secondo la BBC ciò non sarebbe consentito. Il problema di queste posizioni ideologizzate è che celano una serie di fatti rilevanti, e decisivi per la formazione dell'opinione pubblica.
Inoltre: «molti in questi giorni ritengono che a causa della crescita degli insediamenti- quelli israeliani sui territori occupati; illegalmente, secondo il diritto internazionale - sarà materialmente molto difficile per i palestinesi pervenire ad uno stato indipendente».
Chi legge è indotto a ritenere che ci sia stata di recente un'impennata dell'attività edilizia in Giudea e Samaria, e a concludere che mai negoziati di pace potranno essere condotti, fino a quando gli israeliani continueranno a costruire abitazioni in un luogo ove secondo la BBC ciò non sarebbe consentito. Il problema di queste posizioni ideologizzate è che celano una serie di fatti rilevanti, e decisivi per la formazione dell'opinione pubblica.
mercoledì 16 marzo 2016
L'UE usa l'immunità diplomatica per occupare illegalmente Israele
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Ambasciata degli Stati Uniti a Roma |
Quello raffigurato in alto è Palazzo Margherita: è la sede dell'ambasciata americana in Italia. Si trova a Roma, in Via Veneto, e gode come noto del requisito dell'extraterritorialità: al pari di tutte le ambasciate e consolati del mondo, è di fatto territorio sottratto alla giurisdizione nazionale. In parole povere, è un pezzettino di Stati Uniti a Roma. Sono le consuetudini internazionali a renderlo tale: un principio universalmente accettato e rispettato.
Ora, Via Veneto è uno degli scorci più iconici della nostra capitale. Nessuno mette in dubbio la giurisdizione italiana su una strada che ha fatto la storia d'Italia. Tutti hanno il diritto di passeggiarvi sopra, di calpestarne il suolo, di sostarvi senza arrecare danno o nocumento ad alcuno; nel rispetto delle normative vigenti. Il piacere di sorseggiare un cappuccino in uno dei suoi bar è con pochi eguali.
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Passeggiata in Via Veneto |
Adesso, poniamo per un momento che gli americani si mettano in testa di sistemare alcune migliaia di profughi siriani, requisendo un ampio tratto di Via Veneto per costruirvi degli edifici più o meno provvisori. Escono dall'ambasciata, dotati di cemento, tubolari, mattoni e altri materiali da costruzione, con l'intento di edificare centri di accoglienza per rifugiati, abbattendo le costruzioni esistenti con le ruspe, e prendendo possesso per le proprie esigenze. Piazzando delle belle bandierine a stelle e strisce sulle costruzioni edificate. Alla prevedibile reazione indignata del governo, seguirebbe l'opposizione di una eccezione di immunità diplomatica da parte dei responsabili: insomma, «siamo diplomatici, non ci potete fermare, non potete farci niente. Continueremo a costruire capannoni e a piazzare prefabbricati sul vostro suolo, che diventerà nostro suolo». Una palese colonizzazione e occupazione illegale e illegittima.
Quale sarebbe la vostra reazione? Stupore? incredulità? rabbia? indignazione per la prevaricazione e l'abuso di potere subiti? bene, siete in ottima compagnia. Il Daily Mail ha pubblicato un dettagliato resoconto circa gli abusi perpetrati dall'Unione Europea nell'area C del West Bank: un'area che gli Accordi di Oslo, sottoscritti anche da Bruxelles, assegnano a Gerusalemme, in attesa che i negoziati fra palestinesi e israeliani ne sancisca la destinazione definitiva.
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martedì 10 novembre 2015
Quelle volte in cui siamo andati vicini alla nascita di uno stato palestinese...
Come una volta ebbe a dire il leggendario negoziatore israeliano Abba Eban a proposito delle relazioni fra lo stato ebraico e il mondo arabo: «gli arabi non perdono mai l'opportunità di perdere un'opportunità»; e in effetti si contano diverse occasioni in cui la leadership palestinese ha dato un calcio all'opportunità di pervenire finalmente ad uno stato.
Perché i palestinesi si rifiutano di intavolare negoziati di pace? perché una pace concordata implicherebbe la fine del conflitto. I palestinesi invece vogliono uno stato che comporti la continuazione del conflitto, ma da posizioni di forza: ecco perché insistono in questo preteso "diritto al ritorno".
Al margine dovrebbe essere notato come una eventuale dichiarazione statuale unilaterale da parte dei palestinesi, o il portare la questione alle Nazioni Unite, costituirebbe una grave violazione degli Accordi di Oslo sottoscritti fra OLP e Israele; che esplicitamente escludono questa scappatoia, nonché il ricorso a terze parti. Questi accordi fra l'altro sono stati sottoscritti con il patrocinio di Stati Uniti, Russia, Norvegia e Unione Europea; per cui se qualcuno di questi stati dovesse contravvenire agli accordi supremamente controfirmati, solleverebbero forti dubbi circa la credibilità della loro firma.
Si contano almeno tre volte in cui i palestinesi hanno respinto la prospettiva di pervenire ad uno stato; in due casi in tempi recenti.
Perché i palestinesi si rifiutano di intavolare negoziati di pace? perché una pace concordata implicherebbe la fine del conflitto. I palestinesi invece vogliono uno stato che comporti la continuazione del conflitto, ma da posizioni di forza: ecco perché insistono in questo preteso "diritto al ritorno".
Al margine dovrebbe essere notato come una eventuale dichiarazione statuale unilaterale da parte dei palestinesi, o il portare la questione alle Nazioni Unite, costituirebbe una grave violazione degli Accordi di Oslo sottoscritti fra OLP e Israele; che esplicitamente escludono questa scappatoia, nonché il ricorso a terze parti. Questi accordi fra l'altro sono stati sottoscritti con il patrocinio di Stati Uniti, Russia, Norvegia e Unione Europea; per cui se qualcuno di questi stati dovesse contravvenire agli accordi supremamente controfirmati, solleverebbero forti dubbi circa la credibilità della loro firma.
Si contano almeno tre volte in cui i palestinesi hanno respinto la prospettiva di pervenire ad uno stato; in due casi in tempi recenti.
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mercoledì 4 novembre 2015
Tesoro, mi si sono ristretti gli insediamenti!
Il profilo minaccioso di un insediamento ebraico. |
Non c'era bisogno che un gruppo di buontemponi alterasse la home page di Twitter: bastava lasciarvi le considerazioni di Lara Friedman e Hagit Ofran, attiviste di Peace Now, che ivi riversavano tutta la loro frustrazione per le recenti dichiarazioni del primo ministro israeliano il quale, dati alla mano, ha dimostrato come l'attività edilizia nei territori contesi del West Bank non possa essere la causa delle violenze palestinesi, poiché la costruzione degli insediamenti in realtà si è ridotta durante il mandato di Netanyahu, rispetto a quello dei sui predecessori (laburisti inclusi).
lunedì 14 settembre 2015
Davvero gli insediamenti israeliani sono un ostacolo alla pace?
di Alan Dershowitz*
Davvero la politica israeliana finalizzata alla costruzione di edifici ad uso residenziale in un'area nota come West Bank, è il motivo principale per cui non si raggiunge una pace definitiva fra Gerusalemme e palestinesi? la risposta a questa domanda, nonostante tutto il clamore sollevato a proposito dei cosiddetti "insediamenti" è: NO. Gli insediamenti israeliani nel West Bank non sono il principale ostacolo ad un accordo di pace. Il collocare la questione in un contesto storico lo chiarirà appieno.
Per due decenni prima del giugno 1967, il West Bank - inclusa parte di Gerusalemme - è ricaduto sotto il controllo della Giordania. Durante questo arco di tempo, durante il quale Israele non ha detenuto alcun insediamento, si sono consumati diversi attentati terroristici contro lo stato nazione del popolo ebraico. In altre parole, i palestinesi hanno compiuto attacchi terroristici nei confronti di Israele, quando non esisteva alcun insediamento; e hanno continuato su questa strada, quando ci sono stati gli insediamenti. Se domani Israele si ritirasse da tutti gli insediamenti nel West Bank, è molto improbabile che le cose cambierebbero. Infatti, se la storia è maestra, il terrorismo ai danni di Israele aumenterebbe.
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giovedì 12 febbraio 2015
L'Europa accusata di colonialismo nel West Bank
di Ari Soffer*
Una nota ONG israeliana ha accusato l'Unione Europea per il suo presunto ruolo nel finanziare la costruzione di insediamenti illegali arabi in Giudea e Samaria, dichiarando che questo tentativo sovverte gli affari interni dello stato ebraico, e rappresenta una forma di colonialismo.
Le argomentazioni giungono sulla scia di un articolo apparso sul britannico Daily Mail, secondo il quale l'UE ha impiegato il denaro dei contribuenti europei per costruire circa 400 abitazioni e altre costruzioni illegalmente nell'area C di Giudea e Samaria.
Alla luce degli Accordi di Oslo del 1993 - sottoscritti non solo da israeliani e palestinesi, ma anche dalla stessa Unione Europea, fra gli altri - mentre l'Autorità Palestinese mantiene il controllo pieno o parziale delle aree "A" e "B" del West Bank (o Giudea e Samaria); Israele detiene il controllo civile e militare esclusivo dell'area C: il che include la possibilità di pianificazione e costruzione edilizia.
Se fossero confermate, le rivelazioni - anticipate alcuni mesi fa dalla ONG Regavim e riportate da Aruyz Sheva - costituirebbero una flagrante violazione del diritto internazionale da parte dell'Unione Europea.
«Non bastava che l'Europa finanziasse le organizzazione di boicottaggio di Israele, che lavorano attivamente all'annichilimento dell'identità ebraica e democratica dello stato dal suo interno; ora l'UE è apertamente schierata per combattere lo stato ebraico, finanziando la costruzione abusiva di abitazioni», dichiara il direttore della ONG Tirzu Matan Peleg ad Arutz Sheva.
«Il sovvertimento degli affari interni dello Stato di Israele da parte dell'Unione Europea è un attentato alla democrazia ed è colonialista», rincara la dose, aggiungendo che questo atteggiamento «mina la legittima integrazione della comunità beduina nella società israeliana», incoraggiando a violare la legge.
Una nota ONG israeliana ha accusato l'Unione Europea per il suo presunto ruolo nel finanziare la costruzione di insediamenti illegali arabi in Giudea e Samaria, dichiarando che questo tentativo sovverte gli affari interni dello stato ebraico, e rappresenta una forma di colonialismo.
Le argomentazioni giungono sulla scia di un articolo apparso sul britannico Daily Mail, secondo il quale l'UE ha impiegato il denaro dei contribuenti europei per costruire circa 400 abitazioni e altre costruzioni illegalmente nell'area C di Giudea e Samaria.
Alla luce degli Accordi di Oslo del 1993 - sottoscritti non solo da israeliani e palestinesi, ma anche dalla stessa Unione Europea, fra gli altri - mentre l'Autorità Palestinese mantiene il controllo pieno o parziale delle aree "A" e "B" del West Bank (o Giudea e Samaria); Israele detiene il controllo civile e militare esclusivo dell'area C: il che include la possibilità di pianificazione e costruzione edilizia.
Se fossero confermate, le rivelazioni - anticipate alcuni mesi fa dalla ONG Regavim e riportate da Aruyz Sheva - costituirebbero una flagrante violazione del diritto internazionale da parte dell'Unione Europea.
«Non bastava che l'Europa finanziasse le organizzazione di boicottaggio di Israele, che lavorano attivamente all'annichilimento dell'identità ebraica e democratica dello stato dal suo interno; ora l'UE è apertamente schierata per combattere lo stato ebraico, finanziando la costruzione abusiva di abitazioni», dichiara il direttore della ONG Tirzu Matan Peleg ad Arutz Sheva.
«Il sovvertimento degli affari interni dello Stato di Israele da parte dell'Unione Europea è un attentato alla democrazia ed è colonialista», rincara la dose, aggiungendo che questo atteggiamento «mina la legittima integrazione della comunità beduina nella società israeliana», incoraggiando a violare la legge.
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giovedì 2 ottobre 2014
Sì, sono un colono israeliano
di Paula R. Stern*
Lo sono. Vivo in una città situata oltre la "Linea Verde", per essa intendendosi una linea sulla mappa esistita per 19 anni dopo la guerra scatenataci contro da cinque potenze arabe, il cui obiettivo era di distruggere lo stato di Israele ancor prima che nascesse. Non ci sono riusciti: hanno perso. Hanno iniziato a piagnucolare; e il mondo, la Sinistra e gli orbi hanno concluso che meritassero una seconda opportunità: e gliel'hanno concessa.
Nel 1956, quando ci attaccarono nuovamente. E poi ancora nel 1967, quando avviarono una marcia per chiudere lo Stretto di Tiran, mobilitando i loro eserciti verso i nostri confini. E di nuovo nel 1973, quando ci aggredirono in occasione del giorno più sacro del calendario ebraico. Ogni anno, ogni mese e talvolta ogni giorno cercano di replicare ciò in cui non sono riusciti dal 1948 in poi.
Gli obiettivi non sono mai mutati: solo i metodi, e le convinzioni di troppi israeliani, che sono talmente ansiosi di cessare questo conflitto da abbandonarsi al delirio. E così facendo deludono essi stessi, mettono in pericolo l'intero Israele, pensando che tutto questo dipende dagli insediamenti. Non è così: non lo è mai stato dal primo istante successivo alla fine della Guerra dei Sei Giorni, ne' prima e neanche dopo.
Lo sono. Vivo in una città situata oltre la "Linea Verde", per essa intendendosi una linea sulla mappa esistita per 19 anni dopo la guerra scatenataci contro da cinque potenze arabe, il cui obiettivo era di distruggere lo stato di Israele ancor prima che nascesse. Non ci sono riusciti: hanno perso. Hanno iniziato a piagnucolare; e il mondo, la Sinistra e gli orbi hanno concluso che meritassero una seconda opportunità: e gliel'hanno concessa.
Nel 1956, quando ci attaccarono nuovamente. E poi ancora nel 1967, quando avviarono una marcia per chiudere lo Stretto di Tiran, mobilitando i loro eserciti verso i nostri confini. E di nuovo nel 1973, quando ci aggredirono in occasione del giorno più sacro del calendario ebraico. Ogni anno, ogni mese e talvolta ogni giorno cercano di replicare ciò in cui non sono riusciti dal 1948 in poi.
Gli obiettivi non sono mai mutati: solo i metodi, e le convinzioni di troppi israeliani, che sono talmente ansiosi di cessare questo conflitto da abbandonarsi al delirio. E così facendo deludono essi stessi, mettono in pericolo l'intero Israele, pensando che tutto questo dipende dagli insediamenti. Non è così: non lo è mai stato dal primo istante successivo alla fine della Guerra dei Sei Giorni, ne' prima e neanche dopo.
martedì 9 settembre 2014
Le notizie che non interessano a nessuno
Hamas non doveva scomodarsi nel dettare ai giornalisti internazionali le linee guida sul corretto comportamento da assumere a Gaza: i media sono già sbilanciati di loro, e non farebbero nulla - salvo poche lodevoli eccezioni - per mettere in cattiva luce i fondamentalisti islamici che dal 2007 detengono il potere a Gaza. Inutile cercare prove della loro condotta riprovevole su stampa e TV, che praticano sistematicamente una sorta di autocensura preventiva.
Così, dopo averci frantumato i benedetti sui danni collaterali provocati dai bombardamenti israeliani a Gaza durante la Guerra dei 50 giorni; si apprende oggi - e la fonte è decisamente credibile: le Nazioni Unite! - che gli strike dell'aviazione israeliana hanno vantato precisione chirurgica nel colpire le installazioni terroristiche; risparmiando le strutture civili circostanti. Meno del 5% del territorio è stato interessato dai bombardamenti dell'IAF, mentre le zone più popolose di Gaza e dintorni sono risultate sorprendentemente intatte o danneggiate in misura trascurabile. Un resoconto asciutto e incontestabile; eppure, non trova menzione sulla stampa ufficiale.
Così, dopo averci frantumato i benedetti sui danni collaterali provocati dai bombardamenti israeliani a Gaza durante la Guerra dei 50 giorni; si apprende oggi - e la fonte è decisamente credibile: le Nazioni Unite! - che gli strike dell'aviazione israeliana hanno vantato precisione chirurgica nel colpire le installazioni terroristiche; risparmiando le strutture civili circostanti. Meno del 5% del territorio è stato interessato dai bombardamenti dell'IAF, mentre le zone più popolose di Gaza e dintorni sono risultate sorprendentemente intatte o danneggiate in misura trascurabile. Un resoconto asciutto e incontestabile; eppure, non trova menzione sulla stampa ufficiale.
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lunedì 1 settembre 2014
Israele "sottrae" 1000 acri di terra ai palestinesi: notizia o bufala?
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Il ponte con galleria che collega Gerusalemme al Gush Etzion |
Gush Etzion è un'area, situata ad est delle linee armistiziali del 1949 (conosciute anche come "Linea Verde": sono confini che le parti in conflitto indicarono come provvisori, in attesa di accordi di pace che tuttora tardano ad essere stretti), che include diversi sobborghi; dei quali quello di Beitar Illit (circa 40.000 abitanti) è il più popoloso. Trattasi di insediamenti istituiti in tempi diversi fra il 1970 e il 2002; talvolta legali (settlement), in altri casi illegali (outpost), in quanto non autorizzati, e successivamente smantellati per decisione dell'autorità giudiziaria.
martedì 18 febbraio 2014
Israele viola la Convenzione di Ginevra?
di Michael Curtis*
Una visita al Museo della Scienza e dell'Industria di Chicago suscita alcune riflessioni circa le accuse di crimini di guerra mosse da certi ambienti ad Israele, ritenuto reo di violare le Convenzioni Internazionali di Ginevra del 1929 e del 1949. Il museo ospita l'U Boat 505, di fabbricazione tedesca: il sottomarino che dava la caccia alle imbarcazioni americane e alleate nei mari dell'Africa Occidentale durante la II Guerra Mondiale. L'U Boat fu l'unico sottomarino catturato dalla flotta navale americana: intercettato dall'USS Chatelain nel Giugno 1944, fu rimorchiato verso Bermuda.
L'aspetto rilevante è che la Marina americana catturò non solo l'intero equipaggio, ma sequestrò anche due apparecchiatura Enigma: lo strumento che consentiva di decrittare i messaggi in codice tedeschi. Comprendendo la rilevanza di Enigma, l'ammiraglio Ernest J. King, responsabile delle operazioni navali e Comandante in Capo della flotta americana, emise un ordine che rese segreta la cattura dell'U Boat 505. Egli non voleva che i nazisti comprendessero che il loro sistema di codifica fosse entrato in mano al nemico, rendendo così necessario il suo accantonamento. King sapeva che questa condotta violata la Terza Convenzione di Ginevra, relativa al trattamento dei prigionieri, e stilata il 27 luglio 1929. I suoi ordini comportarono che la Croca Rossa non fu informata della cattura e delle identità dei tedeschi arrestati.
All'articolo 36, la Convenzione recita: «entro e non oltre una settimana dall'arrivo nei campi (di prigionia, NdT), e similmente in caso di malattia, ogni prigioniero deve essere messo in condizione di comunicare con la sua famiglia, la quale deve essere informata della sua cattura e dello stato di salute». Sebbene i prigionieri tedeschi fossero ben trattati, essi erano isolati dal resto dei prigionieri e non erano in grado di comunicare con le rispettive famiglie. Ma il comportamento di King riuscì nell'intento: la marina del Reich informò le famiglie che l'equipaggio dell'U Boat era da considerarsi deceduto. L'ammiraglio King evidentemente violò la Convenzione del 1929, ma lo fece al chiaro scopo di ridurre la minaccia nazista, salvaguardare la sicurezza nazionale e infine vincere la guerra.
L'aspetto essenziale è se il conseguimento di un simile importante risultato giustificasse la violazione. Nel prendere la sua decisione, King non poteva essere in alcun modo accusato di crimini di guerra: la stessa Convenzione del 1929 non indicava come tale la violazione delle sue norme.
Una visita al Museo della Scienza e dell'Industria di Chicago suscita alcune riflessioni circa le accuse di crimini di guerra mosse da certi ambienti ad Israele, ritenuto reo di violare le Convenzioni Internazionali di Ginevra del 1929 e del 1949. Il museo ospita l'U Boat 505, di fabbricazione tedesca: il sottomarino che dava la caccia alle imbarcazioni americane e alleate nei mari dell'Africa Occidentale durante la II Guerra Mondiale. L'U Boat fu l'unico sottomarino catturato dalla flotta navale americana: intercettato dall'USS Chatelain nel Giugno 1944, fu rimorchiato verso Bermuda.
L'aspetto rilevante è che la Marina americana catturò non solo l'intero equipaggio, ma sequestrò anche due apparecchiatura Enigma: lo strumento che consentiva di decrittare i messaggi in codice tedeschi. Comprendendo la rilevanza di Enigma, l'ammiraglio Ernest J. King, responsabile delle operazioni navali e Comandante in Capo della flotta americana, emise un ordine che rese segreta la cattura dell'U Boat 505. Egli non voleva che i nazisti comprendessero che il loro sistema di codifica fosse entrato in mano al nemico, rendendo così necessario il suo accantonamento. King sapeva che questa condotta violata la Terza Convenzione di Ginevra, relativa al trattamento dei prigionieri, e stilata il 27 luglio 1929. I suoi ordini comportarono che la Croca Rossa non fu informata della cattura e delle identità dei tedeschi arrestati.
All'articolo 36, la Convenzione recita: «entro e non oltre una settimana dall'arrivo nei campi (di prigionia, NdT), e similmente in caso di malattia, ogni prigioniero deve essere messo in condizione di comunicare con la sua famiglia, la quale deve essere informata della sua cattura e dello stato di salute». Sebbene i prigionieri tedeschi fossero ben trattati, essi erano isolati dal resto dei prigionieri e non erano in grado di comunicare con le rispettive famiglie. Ma il comportamento di King riuscì nell'intento: la marina del Reich informò le famiglie che l'equipaggio dell'U Boat era da considerarsi deceduto. L'ammiraglio King evidentemente violò la Convenzione del 1929, ma lo fece al chiaro scopo di ridurre la minaccia nazista, salvaguardare la sicurezza nazionale e infine vincere la guerra.
L'aspetto essenziale è se il conseguimento di un simile importante risultato giustificasse la violazione. Nel prendere la sua decisione, King non poteva essere in alcun modo accusato di crimini di guerra: la stessa Convenzione del 1929 non indicava come tale la violazione delle sue norme.
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lunedì 16 dicembre 2013
Il profilo legale di Giudea e Samaria
Da anni, il mondo considera Giudea e Samaria un territorio palestinese occupato illegalmente da Israele. Ma ora un gruppo di giuristi israeliani e di tutto il mondo sta combattendo una battaglia legale per il riconoscimento della verità storica e giuridica.
Se la legittimità internazionale dell'impresa degli insediamenti fosse un cavallo, si potrebbe affermare è che rimasto troppo tempo fuori dalla stalla. Chi occupa le stanze del potere in tutto il mondo - dalla Casa Bianca di Barack Obama e John Kerry, alle Nazioni Unite - ha per anni liquidato Giudea e Samaria come territori palestinesi attualmente sotto occupazione.
L'atteggiamento ostile verso gli insediamenti è una conseguenza diretta e immediata di questa logica. Se dovessimo compiere una generalizzazione, dovremmo dire che il mondo ha adottato la retorica palestinese per definire lo status legale dei Territori. Anche chi negozia per conto dello stato israeliano, uomini e donne che ufficialmente sottoscrivono la tesi secondo cui Giudea e Samaria - la culla della civiltà e del popolo ebraico - non siano territori occupati; hanno da tempo cessato di affermarlo in pubblico, per non sopportare la seccatura di elencare la lunga lista di considerazione legali e storiche che supportano questa tesi.
Se la legittimità internazionale dell'impresa degli insediamenti fosse un cavallo, si potrebbe affermare è che rimasto troppo tempo fuori dalla stalla. Chi occupa le stanze del potere in tutto il mondo - dalla Casa Bianca di Barack Obama e John Kerry, alle Nazioni Unite - ha per anni liquidato Giudea e Samaria come territori palestinesi attualmente sotto occupazione.
L'atteggiamento ostile verso gli insediamenti è una conseguenza diretta e immediata di questa logica. Se dovessimo compiere una generalizzazione, dovremmo dire che il mondo ha adottato la retorica palestinese per definire lo status legale dei Territori. Anche chi negozia per conto dello stato israeliano, uomini e donne che ufficialmente sottoscrivono la tesi secondo cui Giudea e Samaria - la culla della civiltà e del popolo ebraico - non siano territori occupati; hanno da tempo cessato di affermarlo in pubblico, per non sopportare la seccatura di elencare la lunga lista di considerazione legali e storiche che supportano questa tesi.
giovedì 31 ottobre 2013
L'Independent ne inventa un'altra delle sue
In Italia le notizie dal Vicino Oriente arrivano con il contagocce; il che non è necessariamente un male, visto che quando ci giungono cronache da Israele o dagli stati confinanti, esse sono sempre distorte, rilette, tagliate sapientemente per offrire al lettore una prospettiva parziale e falsata degli eventi.
Non potendo biasimare il rilascio di 26 terroristi palestinesi, ospiti da anni delle prigioni israeliane, come condizione per poter accedere al privilegio di discutere di pace con una dirigenza corrotta e scaduta nel mandato da anni - dal momento che nessuno stato democratico al mondo avrebbe fatto altrettanto - i giornali dovevano pure inventarsi qualcosa per mettere lo stato ebraico sotto una cattiva luce. Non vale la pena di disturbarsi nel riportare l'attacco simultaneo condotto da Gaza nei confronti delle città meridionali di Israele: saranno razzi difettosi - sicuramente sabotati da quei perfidi e diabolici dei sionisti - ricaduti in terra. In territorio israeliano, s'intende.
Non potendo biasimare il rilascio di 26 terroristi palestinesi, ospiti da anni delle prigioni israeliane, come condizione per poter accedere al privilegio di discutere di pace con una dirigenza corrotta e scaduta nel mandato da anni - dal momento che nessuno stato democratico al mondo avrebbe fatto altrettanto - i giornali dovevano pure inventarsi qualcosa per mettere lo stato ebraico sotto una cattiva luce. Non vale la pena di disturbarsi nel riportare l'attacco simultaneo condotto da Gaza nei confronti delle città meridionali di Israele: saranno razzi difettosi - sicuramente sabotati da quei perfidi e diabolici dei sionisti - ricaduti in terra. In territorio israeliano, s'intende.
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lunedì 30 settembre 2013
Facce da coloni
La Guerra dei Sei Giorni, mossa da Egitto, Siria e Giordania nei confronti di Israele nel 1967, si è conclusa il 10 giugno di quell'anno con la riunificazione della capitale Gerusalemme, occupata dalle truppe giordane nel 1948, e con la conquista della penisola del Sinai, poi riconsegnata all'Egitto dopo sottoscrizione di trattato di pace del 1979, e delle Alture del Golan, annesse due anni dopo. Quanto ai territori di Giudea e Samaria, strappati alla Giordania che li aveva occupati nel 1949, e noti anche come West Bank per la circostanza di occupare la parte occidentale del fiume Giordano, essi non hanno mai guadagnato un pieno stato giuridico, dopo la formalizzazione posta in essere dalla Conferenza di Sanremo del 1920 che assegnò queste terre, provenienti dal disfacimento dell'impero ottomano, alla locale popolazione ebraica.
Il tentativo di Gerusalemme di dirimere da subito questa controversia - famosa la dichiarazione di Moshe Dayan, allora ministro della Difesa, che attendeva invano "un colpo di telefono" da parte dei leader arabi - ha sempre trovato il deciso rifiuto degli stati arabi; a partire dai famosi "tre no di Karthoum", dal nome della città dove si tennero gli incontri degli stati arabi belligeranti fra agosto e settembre 1967: no alla pace con Israele, no al riconoscimento di Israele, no a negoziazioni con Israele. La pace era una opzione non presa in considerazione; e quando l'Egitto coraggiosamente (ma inevitabilmente, dopo la disfatta della guerra dello Yom Kippur del 1973) abbandonò le armi, fu punito con l'espulsione dalla Lega Araba. Lo stato di guerra permanente nei confronti di uno stato grande quanto la Puglia è un'opzione inevitabile per regimi antidemocratici, illiberali e spesso brutali e spietati nei confonti della propria popolazione.
Il tentativo di Gerusalemme di dirimere da subito questa controversia - famosa la dichiarazione di Moshe Dayan, allora ministro della Difesa, che attendeva invano "un colpo di telefono" da parte dei leader arabi - ha sempre trovato il deciso rifiuto degli stati arabi; a partire dai famosi "tre no di Karthoum", dal nome della città dove si tennero gli incontri degli stati arabi belligeranti fra agosto e settembre 1967: no alla pace con Israele, no al riconoscimento di Israele, no a negoziazioni con Israele. La pace era una opzione non presa in considerazione; e quando l'Egitto coraggiosamente (ma inevitabilmente, dopo la disfatta della guerra dello Yom Kippur del 1973) abbandonò le armi, fu punito con l'espulsione dalla Lega Araba. Lo stato di guerra permanente nei confronti di uno stato grande quanto la Puglia è un'opzione inevitabile per regimi antidemocratici, illiberali e spesso brutali e spietati nei confonti della propria popolazione.
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mercoledì 5 dicembre 2012
Il principale ostacolo alla pace? una cinquantina di palazzi in periferia!
Si discute molto in questi giorni della rivitalizzazione di un vecchio progetto di espansione edilizia ad est di Gerusalemme, in un'area nota come "E1". Trattasi di un vecchio piano esistente dai tempi di Yitzhak Rabin, icona dei pacifisti di tutto il mondo e premio Nobel per la pace, rilanciato in questi giorni dal premier israeliano, all'indomani della decisione scellerata del leader dell'OLP Abu Mazen di recarsi all'ONU per sbriciolare il Trattato di Pace firmato ad Oslo nel 1993. Questa scelta ha avuto molteplici effetti collaterali sgradevoli, come già discusso; uno dei quali appunto è l'accantonamento della disponibilità di pervenire alla soluzione del Problema mediante discussioni bilaterali. Il governo di Gerusalemme già acconsentì nel 2010 a sospendere l'attività edilizia nelle zone contese per dieci lunghi mesi, ma tutto ciò che ottenne dall'altra parte fu un rumoroso silenzio: Ramallah non si degnò mai di sedersi al famoso "tavolo delle trattative", pretendendo una estensione del blocco dell'attività edilizia a pochi giorni dalla moratoria di dieci mesi.
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mercoledì 13 giugno 2012
Le priorità dell'Europa in Medio Oriente

Per esempio, qual è il problema più grave in Medio-Oriente?
fino ad un anno e mezzo fa, molti avrebbero risposto, con lo stesso automatismo con cui blaterano i pappagalli, "il conflitto arabo-israeliano". Risolvete quel conflitto, era l'argomentazione - a volta in buona fede, spesso no - e il Medio Oriente vedrà ridurre la tensione che lo affligge. La "primavera araba" si è manifestata in diverse forme e con differenti intensità. Ma in Tunisia, in Libia, in Egitto, nel Bahrein e nello Yemen, bisogna dirlo, è apparso subito evidente che gli israeliani non c'entravano proprio nulla.
Qual è oggi il problema principale in Medio Oriente? vediamo, ce ne sono tanti:
- un dittatore in Siria che ha ammazzato quasi 16 mila connazionali (per la verità di etnia diversa dalla minoranza shiita-alawita che regna a Damasco), con il supporto finanziario e le armi della Russia? no.
- Un ciclo di elezioni in Egitto che finalmente sta giungendo ad epilogo, con una maggioranza parlamentare schiacciante in mano ai fondamentalisti islamici, assistiti da "ultra-fondamentalisti", e con un probabilissimo presidente iscritto alla "loggia" dei Fratelli Musulmani? nemmeno.
- Una sanguinosa guerra civile in Libia, con tanto di regolamento di conti fra bande rivali? macché.
- Un autunno islamico in Tunisia, dove gradualmente si sta imponendo la shaaria? figuriamoci...
- Un Libano lacerato da una presenza non più simbolica ma anche formale di Hezbollah, il "partito di Dio" finanziato dall'Iran, presente ora nel governo dopo le dimissioni di Hariri, resesi necessarie dopo che il Tribunale Speciale per il Libano, istituito dall'ONU, sta per rivelare la responsabilità di Hezbollah nell'assassinio del padre di Hariri, a sua volta primo ministro? troppo poco...
- Un Iran che procede a passo spedito verso la bomba atomica, al punto da aver aperto una terza centrale, sotterranea, dove le centrifughe lavorano a pieno ritmo, mentre in superficie i delegati ONU brancolano nel buio? e che sarà mai...
Il problema più urgente, in Medio Oriente, è l'espansione delle comunità ebraiche in Giudea e Samaria. Prima che qualcuno chiami il servizio di sanità mentale, sappiate che a pronunciare questa affermazione è stata nientepopodimeno che "Alto rappresentante per gli affari esteri dell'Unione europea", baronessa Catherine Ashton. Lo smantellamento degli insediamenti ebraici nei territori conquistati da Israele dopo la Guerra dei Sei Giorni del 1967, e mai restituiti per il rifiuto da parte araba di avviare negoziati finalizzati ad una pace - come fatto in altri tempi, e con successo, con Egitto e Giordania - e la riunificazione di Gerusalemme, occupata nei quartieri orientali dall'esercito giordano nel 1948, e liberata 19 anni dopo; sono queste le priorità fondamentali dell'Unione Europea, afferma la ministra degli Esteri.
Che dire... speriamo solo che sia abbastanza nobile e benestante da non aver bisogno di ritirare il gettone di presenza...
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