domenica 28 dicembre 2014

Il conflitto israelo-palestinese, in poche parole


Un'associazione israeliana ha organizzato una visita in Israele e nel West Bank per 37 bambini palestinesi che hanno perso un genitore questa estate durante la Guerra di Gaza. I bambini, i cui padri erano perlopiù appartenenti all'organizzazione terroristica Hamas, caduti nel tentativo di uccidere gli israeliani, avrebbero dovuto incontrarsi con coetanei israeliani in comunità residenti nei pressi del confine con la Striscia di Gaza, avrebbero dovuto visitare uno zoo, e per essi era prevista un'audizione a Ramallah al cospetto del presidente dell'Autorità Palestinese. Il governo di Gerusalemme aveva rilasciato i permessi di ingresso per i bambini e per cinque accompagnatori adulti, e la visita era stata coordinata con le autorità israeliane.
Stamattina, mentre le associazioni israeliane attendevano i bambini con regali e dolcetti, il gruppo è stato bloccato poco prima della frontiera da Hamas, che ha sostenuto di aver disposto la revoca del viaggio perché esporrebbe i bambini a "normalizzazione"; un modo per definire il mutuo riconoscimento e la comprensione fra israeliani e palestinesi.
«Questi bambini un giorno potrebbero governare Gaza. A quel punto avrebbero ricordato questo viaggio e compreso che potremmo vivere in pace, fianco al fianco», ho sospirato uno degli organizzatori. «Questo viaggio avrebbe potuto rappresentare un enorme abbraccio per essi».
L'odiosa crudeltà di Hamas - che non risparmia i bambini orfani dei padri ad essi affiliati - è sconcertante, ma non sorprendente. La differenza fra noi ed essi non potrebbe essere più lampante.

Dalla pagina Facebook di Avi Mayer.

sabato 27 dicembre 2014

Vendere case ad ebrei è punibile con la morte

In un recente articolo, Reuters ha documentato l'esistenza di un cospicuo numero di arabi israeliani, che vivono nei quartieri a maggioranza ebraica di Gerusalemme. Ovviamente, non è proprio così che si è espressa l'agenzia di stampa a proposito della località di residenza: Reuters parla di «insediamenti ebraici nelle terre occupate di Gerusalemme Est». L'articolo si sofferma anche sul fatto che di recente alcuni arabi abbiano abbandonato questi luoghi per «l'escalation di violenze», come se i recenti attachi terroristici siano stati condotti a Gerusalemme contro arabi anziché contro gli ebrei.
Ma parte più cialtronesca dell'articolo si rileva quando si descrive il caso di un proprietario ebreo, che si è rifiutato di vendere il proprio terreno ad un arabo; il quale in seguito è riuscito ad entrarne in possesso servendosi di un intermediario ebreo. Quello che l'articolo non menziona è che, secondo il diritto vigente nell'Autorità Palestinese, gli arabi che vendono terre agli ebrei commettono un reato punibile con i lavori forzati se non con la morte. Riporta il Times of Israel:

giovedì 18 dicembre 2014

Israele deve prendere l'iniziativa alle Nazioni Unite


di Emmanuel Navon*

A quanto pare l'Organizzazione per la liberazione della palestina (OLP) intende proporre una bozza di risoluzione al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (UNSC), finalizzato ad imporre un pieno e incondizionato ritiro israeliano, dietro le linee armistiziali che hanno separato lo stato ebraico dalla Giordania fra il 1949 e il 1967. Ma anziché fare pressioni sugli Stati Uniti affinché oppongano il veto, e piuttosto che convincere la Francia a proporre una bozza di risoluzione apparentemente più benigna; Israele dovrebbe sottoporre la propria, di risoluzione, all'UNSC.
Una risoluzione da parte di Gerusalemme chiederebbe la rinuncia definitiva da parte dei palestinesi al cosiddetto "diritto al ritorno", e l'impegno da parte dell'ONU a smantellare la United Nations Relief and Works Agency (UNRWA) entro due anni. In questo modo, i membri del Consiglio di Sicurezza dovrebbero esprimersi su due risoluzioni: una, proveniente dall'OLP, che chiede il ritiro incondizionato di Israele; e l'altra, supportata da Israele, che impone la cessazione del cinico perpetrarsi dell'annosa questione dei rifugiati palestinesi. I membri dell'UNSC che supportano la "soluzione dei due stati" dovrebbero chiarire perché intendono proporre un elemento di questa soluzione (la cessazione del controllo parziale di Israele su alcuni territori del West Bank); e non un altro: vale a dire l'assurda pretesa secondo cui sei milioni di persone dovrebbero da un giorno all'altro diventare cittadini israeliani, il che presto risulterebbe incompatibile con la sopravvivenza del secondo stato.
Il rifiuto dell'OLP di accantonare tutte le rivendicazioni - inclusa quella secondo cui tutti i discendenti all'infinito di chi nel 1948 abbandonò Israele, dovrebbero vantare un diritto ad insediarsi nello stato ebraico - è il motivo per cui Yasser Arafat respinse a fine 2000 la proposta di pace avanzata da Clinton, che assicurava allo stato palestinese il 96% del West Bank; e per cui Mahmoud Abbas fece altrettanto a settembre 2008 nei confronti della proposta del PM Olmert, che prevedeva per lo stato palestinese il 99% del West Bank, mediante scambi territoriali. Abbas (noto anche col nome di battaglia di Abu Mazen, NdT) chiarì che non aveva alcuna intenzione di tornare alla sua città natale, ma avrebbe pur potuto cambiare idea; senza però fare altrettanto a proposito dei sei milioni di "rifugiati" palestinesi. Appena un paio di mesi fa, in un'intervista ad un quotidiano egiziano, ha precisato: «non sbatteremo la porta in faccia a chi desidera ritornare».

mercoledì 17 dicembre 2014

L'ipocrisia occidentale si abbatte sui bambini

Il massacro di ieri a Peshawar, in Pakistan, dove almeno 126 bambini hanno perso la vita, trucidati da estremisti islamici talebani che li hanno cercati aula per aula, per spezzare il sogno di una vita dignitosa attraverso lo studio; è l'ultimo crimine all'infanzia da parte dell'Islam "radicale"; 'che se esiste un Islam moderato, che si sta mobilitando e scorrendo impetuoso per le strade per dichiarare il proprio sdegno e la propria condanna e dissociazione, è pregato di farsi notare meglio. Drammatiche le testimonianze riportate: «Venivano a cercarci nelle classi». I terroristi, di numero imprecisato ma compreso fra sei e nove "uomini", intendeva così vendicare (sic!) l'assegnazione del premio Nobel per la Pace alla pakistana Malala Yousafzai, rea anch'essa di aver rifiutato l'intransigenza talebana, e la cui frequentazione delle scuole fu punita con un colpo di proiettile alla testa.

martedì 16 dicembre 2014

Denunciamo tutti l'apartheid in Medio Oriente!

di Jerold S. Auerbach*

Il presidente dell'Autorità Palestinese Mahmoud Abbas, in carica per il decimo anno di un mandato di quattro anni, di recente ha diffamato il governo israeliano, bollandolo come «di apartheid». Parlando al Cairo nell'ambito di una riunione di emergenza della Lega Araba, ha sentenziato: «non riconosceremo mai l'ebraicità dello stato di Israele». Abbas appare vistosamente disturbato dal disegno di legge "stato ebraico", proposto dal Primo Ministro Netanyahu, che identificherebbe Israele come «lo stato-nazione del popolo ebraico». Nessuna nazione araba del Medio Oriente immaginerebbe mai, ne' tantomeno proporrebbe, una normativa che prevede un così ampio spettro di diritti e tutele per le minoranze religiose, culturali ed etniche, come si appresterebbe a fare Israele. Gli ebrei, tanto per dire, da decenni sono stati sbattuti fuori dalle loro abitazioni e privati di ogni bene da regimi palesemente antisemiti.
Abbas è l'ultimo a poter formulare accuse di apartheid. Come è noto, la sua tesi di laurea sosteneva che i sionisti fossero collusi con il regime criminale nazista. Più volte si è cimentato in oltraggiosi giri di parole a proposito dell'Olocausto: pur avendolo etichettato come «odioso crimine», ha ripetutamente additato i "sionisti" come corresponsabili per la morte di un milione (sic! non sei milioni!) di ebrei. In più occasioni il boss palestinese ha promesso che non un solo ebreo metterà piede in quello che si avvia a diventare un razzista stato di Palestina, se e quando sarà costituito. E tuttora supporto la famigerata risoluzione ONU del 1975, secondo cui il sionismo sarebbe una forma di razzismo; benché quella risoluzione sia stata ritirata 16 anni dopo.

venerdì 12 dicembre 2014

Acidità morale

Un palestinese è fermo sulla Statale nel Gush Etzion, a sud di Gerusalemme. Fa l'autostop. L'auto di una famiglia, con a bordo tre bambini, si ferma e gli offre un passaggio. Il palestinese sale a bordo e spruzza un acido sul volto delle bambine, ferendole. Poi cerca di dileguarsi, e nella fuga aggredisce un passante con un giravite. Poi viene ferito e neutralizzato, e condotto all'Hadassah Medical Center, dove sarà curato con la consueta professionalità.
Subirà un processo e sarà probabilmente condotto in carcere. Nel frattempo Abu Mazen condannerà la barbarie israeliana, verserà un lauto compenso alla famiglia del terrorista, e andrà al Palazzo di Vetro per denunciare "l'occupazione sionista". Del terrorista attentatore, e di centinaia di altri come lui, sarà chiesta la scarcerazione; denunciandola come "detenzione illegittima di prigionieri politici". Una volta presumibilmente rilasciato - dopo la liberazione di civili israeliani sequestrati, presumibilmente; anche il "ministro palestinese" rimasto l'altroieri vittima di infarto è stato scarcerato in cambio della liberazione di oltre mille prigionieri - tornerà a delinquere, e ad attentare alla vita di altri innocenti.
Mezza Unione Europea nel frattempo impartirà lezioni di moralità allo stato ebraico, chiamato a piegarsi a questi e ad altri attacchi, per dimostrare la propria statura; e, nel frattempo a «non esasperare ulteriormente gli animi».

giovedì 11 dicembre 2014

I palestinesi servono un'altra bufala: la morte di Ziad Abu Ein

Un soldato israeliano soccorre Ziad Abu Ein, prima di essere allontanato.
I fatti sono ormai noti a tutti: stampa e telegiornali ci hanno ricamato abbondantemente sopra, capitalizzando al massimo un assist imperdibile. Un "ministro senza portafoglio" - carica che in una sedicente Autorità, screditata dalla riluttanza da sei anni a sottoporsi al giudizio degli elettori, non si rifiuta certo ad alcuno - dell'ANP è rimasto ucciso nell'ambito di scontri con l'esercito israeliano; incaricato dagli Accordi di Oslo sottoscritti dall'OLP della sicurezza nelle aree B e C del West Bank. Questo, tanto per chiarire come la presenza dell'IDF in quelle zone sia non solo legittima, ma anche auspicata dalle parti contendenti.
Il dubbio verteva sulle cause del decesso, sebbene impettiti mezzibusti di mezzo mondo abbiano immediatamente sentenziato in modo inappellabile una precisa responsabilità. L'esercito israeliano, che si è precipitato a fornire immediate cure mediche al dirigente palestinese, ha affermato che Ziad Abu Ein sia morto per un attacco cardiaco, ma i palestinesi hanno respinto le proposte di intervento sanitario, indugiando in pose drammatiche davanti ai flash dei fotografi, prima di fiondarsi verso l'ospedale, dove il ministro è giunto privo di vita.
È doloroso perdere una persona simile. Abu Ein era membro del Consiglio rivoluzionario di Al Fatah, noto anche con il nome di Organizzazione Abu Nidal, riconosciuta da vent'anni come di natura terroristica fra le più pericolose al mondo. Dopo essere stato estradato dagli Stati Uniti nel 1981 per l'assassinio di due israeliani nel 1979, in cui lo stesso Abu Ein ebbe un ruolo principale, è stato condannato all'ergastolo nel 1982, prima di essere scarcerato tre anni dopo. Bizzarro che una persona priva di scrupoli, senza cuore; possa essere tradita proprio dal cuore.

martedì 9 dicembre 2014

La chiamano la "religione di pace"

Un nuovo studio internazionale evidenzia che ci sono stati quasi 10.000 attacchi terroristici nel 2013: il 44% in più rispetto all'anno precedente; perlopiù in quattro stati, fra cui il Pakistan.
L'Institure for Economics and Peace, con sede a Londra, afferma che questi attacchi hanno provocato quasi 18.000 vittime.
Il Global Terrorism Index, elaborato dall'IEP, indica in quattro gruppi i principali responsabili di questi attacchi: lo Stato Islamico, Boko Haram, Al Qaida e i talebani. Da solo, sono responsabili dei due terzi delle uccisioni.
Sempre secondo il rapporto, più dell'80% delle vittime è stato registrato in Iraw, Afghanistan, Pakistan, Nigeria e Siria. Aggiunge che l'Iraq è lo stato più flagellato dal terrorismo, con 2.492 attacchi e complessivamente oltre 6.300 vittime. La maggior parte per mano dello Stato Islamico.
Segue l'Afghanistan con 1.148 attacchi terroristici e 3.111 morti. Il Pakistan si attesta al terzo posto su 162 nazioni monitorate, con 2.345 vittime di 1.933 attacchi.

Fonte: VinMedia.

sabato 6 dicembre 2014

Perché uno stato palestinese diventerà fonte di instabilità in Medio Oriente

di Khaled Abu Toameh*

I palestinesi sanno bene che se e quando avranno un loro stato, non potranno più contare sui loro fratelli arabi. Gli stati arabi hanno la fama di aver sempre voltato le spalle ai palestinesi: non solo dal punto di vista finanziario, ma anche per bisogni basilari come i trattamenti sanitari.
Che cosa succederà dopo la creazione di uno stato palestinese? i palestinesi sanno da ora che non potranno contare sulle nazioni arabe per costruire il loro stato. Oggi è molto più facile per un palestinese ottenere assistenza sanitaria in Israele, o in Turchia o in Germania, che in qualunque stato arabo. La tragica vicenda di Razan al-Halkawi, la ragazzina di 11 anni proveniente dalla Striscia di Gaza, è uno dei tanti pro-memoria del disinteresse degli arabi verso i palestinesi.
Al-Halkawi, malata da mesi, è morta questa settimana dopo che le autorità egiziane le hanno rifiutato l'ingresso alle strutture sanitarie locali. Al pari di centinaia di palestinesi, alla bambina non è stato concesso l'uscita dalla Striscia di Gaza a causa della permanente chiusura del valico di Rafah, chiuso un mese fa dalle autorità del Cairo dopo che un attacco terroristico nel Sinai ha prodotto 30 morti fra i soldati egiziani.
Il giorno successivo alla morte della bambina di Gaza, l'Egitto ha finalmente riaperto il valico, ma solo per due giorni, onde consentire ai palestinesi che si trovavano in Egitto di ritornare a casa. Migliaia di palestinesi attendevano da quattro mesi questo momento. Diversi residenti a Gaza hanno lamentato ai giornalisti il duro trattamento nelle mani degli egiziani: «preferivamo i missili che ci cadevano in testa (durante la guerra di questa estate, NdT)», ha esclamato una donna.

giovedì 4 dicembre 2014

Quei "giornalisti" e "politici" al servizio del terrorismo palestinese

Col passare delle settimane si ridimensiona inevitabilmente il conteggio delle vittime civili del conflitto della scorsa estate a Gaza. Il numero complessivo dei moti rimane immutato; si modifica la composizione: prevalgono militari e militanti, si riducono i civili, fra cui purtroppo spiccano gli scudi umani adottati da Hamas in spregio alla Convenzione di Ginevra. Un crimine di guerra che sarà fatto pesare, quando finalmente i territori palestinesi saranno riconosciuti come stato.
Nel frattempo tardano ad asciugarsi le lacrime versate da Irina Bokova, direttore generale dell'UNESCO, che ad agosto denunciava l'uccisione di Abdullah Murtaja, di professione giornalista. L'agenzia ONU sottolineava il ruolo insostituibile della stampa nella società moderna. Il fatto che il reporter in questione fosse dotato di un moderno fucile non ne sminuisce la missione: chi non possiede un'arma da fuoco?

mercoledì 3 dicembre 2014

Hamas recluta pescatori e muratori per la prossima guerra di Gaza

Dopo aver dilapidato miliardi di euro nel vano tentativo di persuadere i palestinesi ad intavolare finalmente negoziati di pace con gli israeliani, l'Europa decide di firmare una nuova cambiale in bianco riconoscendo preventivamente uno stato lungi dall'essersi costituito; privo di un governo, privo di confini definiti e definitivi, privo di un'economia e persino di una moneta; e soprattutto privo della volontà di vivere in pace con tutti gli stati confinanti, nessuno escluso.
Ma su una cosa sono imbattibili i palestinesi: nell'arte di dissimulare, trafficare e tradire la fiducia dei malcapitati disposti a fornirgliela. Hamas non ha rimpianto per molto la distruzione dei tunnel sotterranei che collegavano la Striscia di Gaza all'Egitto, e che fornivano cospicue entrate grazie alla lucrosa cresta praticata sulle merci in transito. Quell'opera di demolizione, è vero, è costata la vita a centinaia di ignari palestinesi, fatalmente sorpresi dall'allagamento praticato con acque di fogna, dalla demolizione con le ruspe e dai bombardamenti dell'aviazione del Cairo mentre contrabbandavano; ma la vita terrena è un concetto relativo e secondario, davanti al conseguimento dell'Obiettivo Supremo della distruzione dell'odiato nemico ebraico. Così, si apprende che Hamas sta attivamente collaborando con la filiale giordana dei Fratelli Musulmani per trafugare armi nel West Bank e a Gaza.