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giovedì 17 maggio 2018
Il dramma di Gaza è responsabilità dei palestinesi
di Bret Stephens*
Per la terza volta in due settimane, i palestinesi di Gaza hanno dato fuoco al valico di Kerem Shalom, attraverso il quale giungono da Israele medicine, combustibili e altri aiuti umanitari essenziali. Presto leggeremo diffusamente del dramma di Gaza. Ma dovremmo compiere lo sforzo di non dimenticare che gli autori di questa tragedia sono al contempo le presunte vittime.
C’è un schema - fatti del male, e incolpa l’avversario – che necessita di denuncia nell’oceano di cecità morale e critica storica senza fondamento, a cui Israele è sistematicamente sottoposto ogni volta che si difende dai violenti assalti palestinesi.
Nel 1970, Israele istituì una zona industriale lungo il confine con la Striscia di Gaza (all’epoca, lo stato ebraico entrò in possesso della Striscia, in conseguenza della Guerra dei Sei Giorni che deflagrò all’indomani dell’aggressione dell’Egitto di Nasser, che fino al 1967 quel territorio possedeva, NdT), allo scopo di promuovere la cooperazione con la Striscia, creando posti di lavoro a favore dei palestinesi. È stata smantellata nel 2004 dopo innumerevoli attacchi terroristici, che hanno provocato 11 vittime fra gli israeliani.
Nel 2005 donatori ebrei americani hanno sborsato oltre 14 milioni di dollari, a favore dei proprietari delle serre che coloravano la Striscia, fino allo sgombero unilaterale disposto da Sharon. I palestinesi hanno devastato decine di queste serre il giorno successivo all’abbandono dei coloni israeliani.
lunedì 13 marzo 2017
Gaza adesso esporta le kippah: agli israeliani!
Cosa c'è di più gustoso di un fallimento epico del movimento internazionale che cerca in tutti i modi di screditare, danneggiare e colpire lo stato ebraico?
Uno delle consuetudini più simpatiche, per chi visita per la prima volta Israele, consiste nell'acquistare una kippah, il famoso copricapo ebraico. Le kippot sono disponibili ovunque e per tutte le tasche. Nei luoghi sacri, come il Muro Occidentale di Gerusalemme, sono prestate gratuitamente in occasione della visita; ma vale la pena di comprarne una nei tanti negozietti dei vicoli della capitale per portarla a casa come ricordo di questa straordinaria esperienza.
Succede talvolta che la produzione domestica è insufficiente a soddisfare la domanda; sicché Gerusalemme si rivolge all'estero, da cui importa una parte considerevole delle kippah. Fin qui nulla di strano, se non fosse che una parte di esse proviene dalla vicina Striscia di Gaza. Proprio così: in un campo profughi di al-Shati, assurto due anni fa agli onori della cronaca, le macchine lavorano incessantemente per produrre kippot che saranno vendute al vicino Israele.
Uno delle consuetudini più simpatiche, per chi visita per la prima volta Israele, consiste nell'acquistare una kippah, il famoso copricapo ebraico. Le kippot sono disponibili ovunque e per tutte le tasche. Nei luoghi sacri, come il Muro Occidentale di Gerusalemme, sono prestate gratuitamente in occasione della visita; ma vale la pena di comprarne una nei tanti negozietti dei vicoli della capitale per portarla a casa come ricordo di questa straordinaria esperienza.
Succede talvolta che la produzione domestica è insufficiente a soddisfare la domanda; sicché Gerusalemme si rivolge all'estero, da cui importa una parte considerevole delle kippah. Fin qui nulla di strano, se non fosse che una parte di esse proviene dalla vicina Striscia di Gaza. Proprio così: in un campo profughi di al-Shati, assurto due anni fa agli onori della cronaca, le macchine lavorano incessantemente per produrre kippot che saranno vendute al vicino Israele.
mercoledì 28 settembre 2016
La storia degli insediamenti ebraici nel West Bank
Per "coloni" si intendono gli ebrei israeliani che correntemente vivono nei territori contesti del "West Bank". Come sono arrivati qui, e cosa la loro presenza comporta per il conflitto arabo-israeliano? La questione è più retorica che bellica, sebbene le armi utilizzate certo non manchino. Ambo le parti avanzano rivendicazioni sul territorio in questione, proponendo ora le norme del diritto internazionale, ora i vincoli storici, ora la successione ereditaria.
La retorica dei coloni si basa sul ritorno, e non sulla conquista. I coloni israeliani rivendicano il ritorno alle terre dove in precedenza abitavano i loro avi. Questo, secondo la retorica palestinese, impedisce la formazione di uno stato: sarebbe impossibile pervenirvi, senza rimuovere una comunità di oltre 400.000 persone.
Ma come siamo arrivati a questo punto? la trascrizione del video che proponiamo, propone la storia degli insediamenti ebraici in Giudea e Samaria.
Eccomi alla guida della mia auto, in quello che credo sia il luogo più strano al mondo. Ho appena lasciato Israele, per entrare nel West Bank. Se osservaste una cartina, notereste un groviglio di città e villaggi palestinesi, in verde; e di insediamenti israeliani, in blue.
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sabato 24 settembre 2016
Le allegre donzelle vanno a Gaza
È la "flottiglia delle donne per Gaza", ma in realtà non è una flottiglia: è una singola imbarcazione di gaie donne che ambisce a violare il blocco navale al largo delle coste della Striscia di Gaza. Chiamare questa iniziativa flottiglia è un controsenso, certo; ma anche definirle "attiviste per la pace" lo è, per cui tanti auguri e andiamo avanti.
Quelle che queste simpatiche donzelle non sanno, è che il blocco navale è non solo moralmente valido, ma anche legalmente impeccabile. In un raro momento di onestà le Nazioni Unite hanno esaminato la questione, pervenendo al cosiddetto Rapporto Palmer, dal nome del presidente della commissione legale incaricata dall'ONU: in esso - ben 110 pagine di analisi! - a maggio 2011, si è riconosciuto la legittimità dell'operato del governo di Gerusalemme, fornendo al contempo suggerimenti e raccomandazioni affinché nel futuro si evitino incidenti come quelli scoppiati a bordo della Mavi Marmara. Come quello di non portare energumeni e armi a bordo, se la missione è realmente umanitaria...
Magari se l'avessero saputo, le "donne della flottiglia" (rido) per Gaza avrebbero posto problematiche più serie e impegnative al centro dei loro sforzi; tipo: la corruzione dilagante, la poligamia, i matrimoni combinati, la mutilazione genitale femminile, la violenza subita fra le mura domestiche, l'impossibilità di affermarsi professionalmente, la disparità di giudizio nei tribunali, l'obbligo di indossare abiti umilianti e mortificanti, i delitti d'onore, e via discorrendo. Tutta colpa di Israele? o nulla di che, rispetto alla prospettiva di una misura sacrosanta che impedisce il riarmo di Hamas?...
Quelle che queste simpatiche donzelle non sanno, è che il blocco navale è non solo moralmente valido, ma anche legalmente impeccabile. In un raro momento di onestà le Nazioni Unite hanno esaminato la questione, pervenendo al cosiddetto Rapporto Palmer, dal nome del presidente della commissione legale incaricata dall'ONU: in esso - ben 110 pagine di analisi! - a maggio 2011, si è riconosciuto la legittimità dell'operato del governo di Gerusalemme, fornendo al contempo suggerimenti e raccomandazioni affinché nel futuro si evitino incidenti come quelli scoppiati a bordo della Mavi Marmara. Come quello di non portare energumeni e armi a bordo, se la missione è realmente umanitaria...
Magari se l'avessero saputo, le "donne della flottiglia" (rido) per Gaza avrebbero posto problematiche più serie e impegnative al centro dei loro sforzi; tipo: la corruzione dilagante, la poligamia, i matrimoni combinati, la mutilazione genitale femminile, la violenza subita fra le mura domestiche, l'impossibilità di affermarsi professionalmente, la disparità di giudizio nei tribunali, l'obbligo di indossare abiti umilianti e mortificanti, i delitti d'onore, e via discorrendo. Tutta colpa di Israele? o nulla di che, rispetto alla prospettiva di una misura sacrosanta che impedisce il riarmo di Hamas?...
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giovedì 16 giugno 2016
La soluzione definitiva ai tunnel del terrore: un muro (sotterraneo)
Gerusalemme costruirà un muro in cemento al confine con la Striscia di Gaza, onde prevenire le sanguinose incursioni dei terroristi di Hamas in territorio israeliano. Onde prevenire le reprimende dei benpensanti, pacifisti con il corpo degli altri, i vertici militari dello stato ebraico precisano: il muro sarà invisibile, perché sotterraneo. Lo rivela il quotidiano Yediot Ahronot, secondo il quale la barriera difensiva sarà profonda diverse diecine di metri, e costerà poco più di due miliardi di dollari shekel.
La decisione segue a ruota la clamorosa rivelazione di ieri, secondo cui un alto esponente di Hamas si sarebbe consegnato alle autorità israeliane con moglie e figli al seguito; ma soprattutto, con una dettagliata mappa di tutte le gallerie scavate e in realizzazione da parte dell'organizzazione terroristica islamica che governa la Striscia di Gaza da quasi dieci anni. Da tempo i residenti nell'Israele meridionale denunciano insistenti rumori del sottosuolo, che lascerebbero intendere un'incessante attività poco distante dall'abitazione dei civili israeliani, e che ha cagionato finora la morte di oltre 160 bambini palestinesi: periti per soffocamento, o per il collasso di costruzioni precarie. Una tragedia denunciata soltanto da parte israeliana: tacciono le organizzazioni per i diritti umani. I dirigenti di Hamas e del Fatah sono nel frattempo riuniti nel Qatar per discutere di riappacificazione: dati i lutti cagionati fra la popolazione palestinese, hanno optato per una colazione di lavoro sobria ed essenziale.
La decisione segue a ruota la clamorosa rivelazione di ieri, secondo cui un alto esponente di Hamas si sarebbe consegnato alle autorità israeliane con moglie e figli al seguito; ma soprattutto, con una dettagliata mappa di tutte le gallerie scavate e in realizzazione da parte dell'organizzazione terroristica islamica che governa la Striscia di Gaza da quasi dieci anni. Da tempo i residenti nell'Israele meridionale denunciano insistenti rumori del sottosuolo, che lascerebbero intendere un'incessante attività poco distante dall'abitazione dei civili israeliani, e che ha cagionato finora la morte di oltre 160 bambini palestinesi: periti per soffocamento, o per il collasso di costruzioni precarie. Una tragedia denunciata soltanto da parte israeliana: tacciono le organizzazioni per i diritti umani. I dirigenti di Hamas e del Fatah sono nel frattempo riuniti nel Qatar per discutere di riappacificazione: dati i lutti cagionati fra la popolazione palestinese, hanno optato per una colazione di lavoro sobria ed essenziale.
domenica 5 giugno 2016
A Gaza «la vita è bella»
«La vita a Gaza è bella. Siamo tutti felici. Gaza è sicura e non ci sono ne' oppressori, ne' oppressi».
Lo ha dichiarato venerdì non un sospettato di simpatie per l'hasbara, ne' un ministro oltranzista di Gerusalemme; bensì, nel corso di un sermone, addirittura il leader di Hamas Ismail Haniyeh. E poiché il consumo di alcool da queste parti è ufficialmente bandito, c'è da ritenere che credesse sinceramente in ciò che ha affermato.
Per cui delle due, una: o chi si lagna per le condizioni difficili in cui versano gli abitanti della Striscia di Gaza dispone di informazioni fasulle o quantomeno datate (la popolazione palestinese è tristemente ai primi posti al mondo per tasso di obesità, e di nuovi invitanti ristoranti se ne aprono a cadenza settimanale); o Haniyeh si è divertito a prendere biecamente per i fondelli la popolazione che vive sotto il regime terrorista da ormai dieci anni.
E infatti le reazioni non hanno tardato a manifestarsi; se "reazione" può definirsi una sommessa lamentela circolata in modo carsico in queste ore. Su Twitter un gruppo di oppositori al regime ha lanciato una campagna dall'hashtag #WhatIsWonderful?, sottolineando il profondo distacco fra il benessere vissuto e ostentato dal regime terrorista e da gerarchi e gerarchetti che orbitano attorno ad Hamas; e le condizioni non drammatiche ma certamente dure in cui tuttora versa la maggior parte della popolazione, nonostante le massicce donazioni finanziarie - oltre 16 miliardi di dollari, soltanto negli ultimi sette anni - giunte da Europa e Stati Uniti (e piovute sistematicamente nelle solite tasche).
giovedì 14 aprile 2016
L'ipocrisia della "risposta sproporzionata"
di Gavin Kadey*
Al termine dell'ultimo conflitto mondiale, le perdite fra gli americani furono considerevoli: circa 420.000 vittime, di cui dodici mila civili. Poco, in confronto alle vittime giapponesi: fra 2,6 e 3,2 milioni di persone. Ma questa è la guerra, e il fine giustifica i mezzi. Qualcuno ha mai denunciato la risposta sproporzionata degli americani?
Nel 1990 l'Iraq di Saddam Hussein invade il Kuwait e la coalizione guidata dagli Stati Uniti giunge in soccorso dei kuwaitiani. Restano per terra circa 28.000 iracheni, fra cui 3000 civili. La coalizione perde in tutto 500 anime. Qualcuno si spinse a denunciare la risposta sproporzionata del mondo libero?
Al termine della Guerra di Corea, gli americani persero 35.000 soldati; i coreani, nel complesso, più di un milione. C'è qualche libro di storia che punta il dito contro gli americani?
Durante la Seconda Guerra Mondiale, i tedeschi persero 7 milioni e mezzo di vite, secondo le statistiche ufficiali; metà delle quali civili. Gli alleati nel complesso sacrificarono un milione di persone. Fu la loro azione sproporzionata? E sì che gli alleati deliberatamente colpirono le città e obiettivi civili, nel tentativo di porre fine quanto prima alle ostilità.
Al termine dell'ultimo conflitto mondiale, le perdite fra gli americani furono considerevoli: circa 420.000 vittime, di cui dodici mila civili. Poco, in confronto alle vittime giapponesi: fra 2,6 e 3,2 milioni di persone. Ma questa è la guerra, e il fine giustifica i mezzi. Qualcuno ha mai denunciato la risposta sproporzionata degli americani?
Nel 1990 l'Iraq di Saddam Hussein invade il Kuwait e la coalizione guidata dagli Stati Uniti giunge in soccorso dei kuwaitiani. Restano per terra circa 28.000 iracheni, fra cui 3000 civili. La coalizione perde in tutto 500 anime. Qualcuno si spinse a denunciare la risposta sproporzionata del mondo libero?
Al termine della Guerra di Corea, gli americani persero 35.000 soldati; i coreani, nel complesso, più di un milione. C'è qualche libro di storia che punta il dito contro gli americani?
Durante la Seconda Guerra Mondiale, i tedeschi persero 7 milioni e mezzo di vite, secondo le statistiche ufficiali; metà delle quali civili. Gli alleati nel complesso sacrificarono un milione di persone. Fu la loro azione sproporzionata? E sì che gli alleati deliberatamente colpirono le città e obiettivi civili, nel tentativo di porre fine quanto prima alle ostilità.
martedì 22 settembre 2015
10 cose che non sai sugli ultimi 10 anni a Gaza
Nel 2005, Israele si è disimpegnato unilateralmente dalla Striscia di Gaza. Nel 2006 il "Quartetto" (Nazioni Unite, Unione Europea, Stati Uniti e Russia) ha offerto il riconoscimento di Hamas, a condizione che esso accettasse tre condizioni: il riconoscimento di Israele, la rinuncia all'azione violento e il rispetto degli accordi precedentemente sottoscritti fra Gerusalemme e OLP. Hamas ha sistematicamente rigettato queste condizioni, e rimane determinata nella sua intenzione di distruggere Israele, come riportato nel suo statuto.
Nel 2007, Gaza è caduta sotto il controllo di Hamas. Dopo la conquista violenta della Striscia, Hamas ha iniziato a lanciare missili, razzi e colpi di mortaio all'indirizzo di Israele. Ciò ha costretto lo stato ebraico ad imporre il blocco dei rifornimenti di munizioni onde prevenire il tentativo dell'organizzazione terroristica di munirsi di nuove armi.
Al contempo, in collaborazione con l'ONU, Israele ha continuato a garantire la continua fornitura di generi di prima necessità alla popolazione residente nella Striscia. Nel Palmer Report, l'ONU ha confermato che il blocco navale della Striscia da parte di Israele è un modo legittimo per impedire che gli armamenti raggiungano Hamas; tuttora considerata un'organizzazione terroristica in buona parte del mondo, fra cui gli Stati Uniti, il Canada e l'Unione Europea.
Dal disimpegno di Israele, sotto il dominio di Hamas Gaza ha cessato di prosperare socialmente o economicamente.
domenica 30 agosto 2015
Chi finanzia le ONG israeliane "filopalestinesi"?
di Evelyn Gordon*
È pacifico che tutti si preoccupino giustamente di stigmatizzare in questo momento l'intesa con l'Iran. Ma non si può fare a meno di rilevare come la seguente notizia abbia ricevuto scarsa attenzione: durante il conflitto della scorsa estate a Gaza, due organizzazioni israeliane "per i diritti umani" - B’Tselem and Breaking the Silence hanno chiesto e ottenuto consistenti coperture finanziarie da parte dei palestinesi per finanziare la stesura di rapporti che accusano Israele di crimini di guerra.
In circostanze normali, accettare denaro dal nemico in tempi di guerra per realizzare propaganda avversa alla propria parte, sarebbe considerato un tradimento. In questo caso, dal punto di vista strettamente legale, non lo è. Ma moralmente, non è che siamo al limite: quel limite l'abbiamo abbondantemente superato.
Questa notizia è stata riportata per primo dal sito informativo in ebraico "NRG", curato da Gidon Dokow. Ma non è necessario prendere per buone le parole di Dokow: che ha opportunamente reso disponibile il bilancio annuale sulle fonti di finanziamento dell'organizzazione.
Questa organizzazione vanta il nome un po' ingombrante di Human Rights and International Humanitarian Law Secretariat. Secondo il suo bilancio, è «un progetto implementato da NIRAS NATURA AB, Svezia, e dall'Institute of Law, Università di Birzeit, "Palestina", con il generoso sostegno dei governi di Svezia, Danimarca, Olanda e Svizzera».
In altre parole, il denaro proviene dall'Europa. Ma chi decide cosa farne è la Niras Natura, che si definisce una società internazionale di consulenza nel campo dello sviluppo sostenibile, e la facoltà di Birzeit. E dal momento che la gente di Birzeit è quella effettivamente sul campo, si presume che essi abbiano l'ultima parola sulla destinazione del denaro.
È pacifico che tutti si preoccupino giustamente di stigmatizzare in questo momento l'intesa con l'Iran. Ma non si può fare a meno di rilevare come la seguente notizia abbia ricevuto scarsa attenzione: durante il conflitto della scorsa estate a Gaza, due organizzazioni israeliane "per i diritti umani" - B’Tselem and Breaking the Silence hanno chiesto e ottenuto consistenti coperture finanziarie da parte dei palestinesi per finanziare la stesura di rapporti che accusano Israele di crimini di guerra.
In circostanze normali, accettare denaro dal nemico in tempi di guerra per realizzare propaganda avversa alla propria parte, sarebbe considerato un tradimento. In questo caso, dal punto di vista strettamente legale, non lo è. Ma moralmente, non è che siamo al limite: quel limite l'abbiamo abbondantemente superato.
Questa notizia è stata riportata per primo dal sito informativo in ebraico "NRG", curato da Gidon Dokow. Ma non è necessario prendere per buone le parole di Dokow: che ha opportunamente reso disponibile il bilancio annuale sulle fonti di finanziamento dell'organizzazione.
Questa organizzazione vanta il nome un po' ingombrante di Human Rights and International Humanitarian Law Secretariat. Secondo il suo bilancio, è «un progetto implementato da NIRAS NATURA AB, Svezia, e dall'Institute of Law, Università di Birzeit, "Palestina", con il generoso sostegno dei governi di Svezia, Danimarca, Olanda e Svizzera».
In altre parole, il denaro proviene dall'Europa. Ma chi decide cosa farne è la Niras Natura, che si definisce una società internazionale di consulenza nel campo dello sviluppo sostenibile, e la facoltà di Birzeit. E dal momento che la gente di Birzeit è quella effettivamente sul campo, si presume che essi abbiano l'ultima parola sulla destinazione del denaro.
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venerdì 21 agosto 2015
Del boom economico israeliano possono beneficiare tutti
L'economia israeliana continua a presentare segni di estrema vitalità e stabilità. Il Credit Default Swap, che misura il grado di rischiosità finanziaria di un governo, è sceso a meno di 70 punti base: è il costo che occorre sostenere per assicurarsi dal rischio di insolvenza sovrana. A titolo di riferimento, tre anni fa il CDS di Gerusalemme sfiorava i 200 punti base. In Italia oggi il CDS è pari a 115 punti base.
L'elevata solvibilità del piccolo stato ebraico è testimoniata dai "parametri di Maastricht": il deficit di bilancio è inferiore al 3% del PIL, mentre il debito pubblico, in continuo calo in termini relativi grazie alla crescita economica, quest'anno si attesterà al 67.5% del prodotto interno lordo. Israele avrebbe tutti i requisiti per chiedere di entrare a far parte dell'Unione Monetaria Europea.
Si parlava dei prodigi dell'economia israeliana. Dopo il boom nel primo trimestre, il PIL è cresciuto dello 0.5% nel secondo quarto del 2015 (più della Germania, per intenderci). Negli ultimi vent'anni il PIL ha ostentato un'espansione annualizzata del 3.8%: un boom su cui non si è scritto a sufficienza.
L'elevata solvibilità del piccolo stato ebraico è testimoniata dai "parametri di Maastricht": il deficit di bilancio è inferiore al 3% del PIL, mentre il debito pubblico, in continuo calo in termini relativi grazie alla crescita economica, quest'anno si attesterà al 67.5% del prodotto interno lordo. Israele avrebbe tutti i requisiti per chiedere di entrare a far parte dell'Unione Monetaria Europea.
Si parlava dei prodigi dell'economia israeliana. Dopo il boom nel primo trimestre, il PIL è cresciuto dello 0.5% nel secondo quarto del 2015 (più della Germania, per intenderci). Negli ultimi vent'anni il PIL ha ostentato un'espansione annualizzata del 3.8%: un boom su cui non si è scritto a sufficienza.
venerdì 12 giugno 2015
Israele e la verità sui "500 bambini palestinesi uccisi"
di Thomas Wictor*
A quasi un anno dalla fine dell'operazione Margine Protettivo, gli odiatori di Israele tentano ancora una volta la ridicola accusa secondo cui lo stato ebraico avrebbe ucciso oltre cinquecento bambini durante le ostilità. Il numero effettivo non si conoscerà mai, ma è giunta l'ora una volta e per tutte di mettere a tacere questa frottola.
A tal fine, farò impiego dell'elenco dei nomi reso noto dall'Al-Mezan Center for Human Rights (AMCHR): un conteggio che proviene direttamente dal ministero della salute (MoH) palestinese. E da subito si scorgono le prime incongruenze, come evidenzia la freccia verde:
L'AMCHR afferma che sono stati uccisi 504 bambini, ma ne elenca 317 maschi e 190 femmine. Sono 507, non 504. Si ha la prima evidenza di come la stampa non fa altro che riportare sotto dettatura palestinese. Al Telegraph nonsi sono neanche presi la briga di conteggiare i nomi; ne' l'AMCHR si è curato di farlo. Questa è propaganda, e anche abbastanza sciatta.
A quasi un anno dalla fine dell'operazione Margine Protettivo, gli odiatori di Israele tentano ancora una volta la ridicola accusa secondo cui lo stato ebraico avrebbe ucciso oltre cinquecento bambini durante le ostilità. Il numero effettivo non si conoscerà mai, ma è giunta l'ora una volta e per tutte di mettere a tacere questa frottola.
A tal fine, farò impiego dell'elenco dei nomi reso noto dall'Al-Mezan Center for Human Rights (AMCHR): un conteggio che proviene direttamente dal ministero della salute (MoH) palestinese. E da subito si scorgono le prime incongruenze, come evidenzia la freccia verde:
L'AMCHR afferma che sono stati uccisi 504 bambini, ma ne elenca 317 maschi e 190 femmine. Sono 507, non 504. Si ha la prima evidenza di come la stampa non fa altro che riportare sotto dettatura palestinese. Al Telegraph nonsi sono neanche presi la briga di conteggiare i nomi; ne' l'AMCHR si è curato di farlo. Questa è propaganda, e anche abbastanza sciatta.
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lunedì 11 maggio 2015
La mia versione dei fatti sulla diffamazione di "Breaking the Silence"
Il soldato israeliano Matan risponde al dossier anonimo pubblicato da "Breaking the Silence", finalizzato alla demonizzazione delle Forze di Difesa Israeliane (IDF), sulla base della sua esperienza diretta a Gaza, avendo servito nell'esercito in diverse operazioni negli ultimi anni.
Beit Hanoun, Striscia di Gaza, 2006. Operazione "Nuvole autunnali". Entriamo in una casa. All'ingresso, incontriamo un uomo e sua moglie. Li accompagniamo in un'altra stanza e offriamo loro da bere. Chiediamo al padrone di casa se ha qualche legame con Hamas: «no, naturalmente no. Non abbiamo nulla a che fare con essi». Allora chiediamo se nascondono armi nel loro appartamento: la risposta è fermamente negativa. La squadra rimane nell'appartamento per alcune ore. Prima di andar via, i soldati che ispezionano una camera hanno l'idea di spostare un divano, e scoprono un congegno esplosivo impiegato per far saltare in aria automezzi. L'uomo è sano e salvo.
Beit Hanoun, Striscia di Gaza, 2006. Operazione "Nuvole autunnali". Siamo alla ricerca di armi nel centro città, e procediamo da una abitazione all'altra. In una di esse, un uomo di mezza età non sembra star bene. Il nostro medico, Roi, gli diagnostica una possibile cardiopatia. Interrompiamo la ricerca e procediamo verso altri edifici, in modo da consentire a Roi di prestargli le cure. Con l'ausilio della figlia dell'uomo, che parla un buon inglese, convochiamo la Croce Rossa locale e prolunghiamo la nostra permanenza, a costo di subire i rischi derivanti da una prolungata presenza.
Di lì a breve avvertiamo una potente esplosione. Schegge volano dappertutto. Una pattuglia dell'IDF, all'oscuro della nostra presenza in questa abitazione, attiva involontariamente un congegno esplosivo posto sull'uscio di una casa a poca distanza da noi. È un miracolo che nessuno sia rimasto ferito.
domenica 10 maggio 2015
BBC: a Gaza non ci sono scudi umani. Anzi, sì!
di Yarden Frankl*
Durante la guerra di Gaza della scorsa estate, Orla Guerin della BBC ha confezionato un servizio filmato. Siamo stati sconcertati nell'apprendere da questa testimonianza, trasmessa da "News at Ten" sulla BBC One, e poi resa disponibile sul sito; che secondo lei non ci sarebbero prove di impiego abituale da parte di Hamas di scudi umani, malgrado le prove rese disponibili.Abbiamo in passato pubblicato un video, il quale all'opposto dimostra come in effetti vi siano prove numerose e schiaccianti di questa ripugnante pratica. Abbiamo sollecitato gli utenti a denunciare le argomentazioni fuorvianti prodotte sulla BBC dalla giornalista con le sue dichiarazioni.
Bene: la BBC ha preso atto dei rilievi. L'emittente britannica ha ammesso che l'affermazione «non ci sono prove dell'utilizzo di scudi umani» sia errata. Ecco come si sono espressi:
«Fare affidamento sulle prove fornite da una parte belligerante non rappresenta necessariamente una validazione della versione degli eventi, e da questo punto di vista riconosciamo che questi avrebbero meglio potuto essere descritti».
domenica 29 marzo 2015
La dura vita dei capi palestinesi
A Gaza gli affari vanno benone per ristoranti e alberghi di lusso. La stagione estiva si intravede in lontananza, ma non manca il "turismo congressuale" e d'affari. Un sito palestinese ci informa, senza lesinare nei particolari, che il primo ministro dell'AP Rami Hamdallah si è intrattenuto nel fine settimana presso il famoso Movenpick Al Mashtal Hotel; rinomato cinque stelle di Gaza. Il "capo del governo" di Ramallah era accompagnato con tutto il suo entourage, e ha occupato ben 40 camere della struttura extralusso.
Secondo Elder of Ziyon la spesa sostenuta ammonta a non meno di 70.000 dollari, partendo da una tariffa media di 500 dollari a camera, e di 1400 dollari per la suite. Aggiungendo 20.000 dollari di vitto e 10.000 dollari per gli spostamenti, il fine settimana è costato alle casse dell'Autorità Palestinese non meno di 100.000 dollari, escludendo eventuali spese per "coperte" e altri oneri accessori.
Secondo Elder of Ziyon la spesa sostenuta ammonta a non meno di 70.000 dollari, partendo da una tariffa media di 500 dollari a camera, e di 1400 dollari per la suite. Aggiungendo 20.000 dollari di vitto e 10.000 dollari per gli spostamenti, il fine settimana è costato alle casse dell'Autorità Palestinese non meno di 100.000 dollari, escludendo eventuali spese per "coperte" e altri oneri accessori.
sabato 14 marzo 2015
Hamas prepara febbrilmente la prossima guerra di Gaza
Fra tre giorni in Israele la parola tornerà agli elettori. La Knesset è stata sciolta prima della sua scadenza naturale, e la coalizione di governo, guidata da Bibi Netanyahu, rischia di non essere rinnovata per un ulteriore mandato. Allo schieramento guidato dal Likud, artefice di un boom economico, si riconosce di aver garantito una maggiore sicurezza rispetto ai governi di sinistra, ma si rimproverà una disattenzione nel promuovere la redistribuzione delle risorse generate dalla tumultuosa espansione economica degli ultimi anni.
Una consistente fetta dell'elettorato risulta così attirata dai richiami della coalizione di centrosinistra capeggiata da Herzog e da Tzipi Livni: la cui piattaforma elettorale non demonizza Hamas, malgrado gli attacchi subiti dallo stato ebraico la scorsa estate. Insomma, in nome di una maggiore "equità sociale", non pochi elettori in Israele sarebbero disposti a sottoscrivere patti con il diavolo; anche se ciò si tradurrebbe in una minore sicurezza; e potenzialmente in un rischio esistenziale. Ma cosa ne pensa Hamas?
Una consistente fetta dell'elettorato risulta così attirata dai richiami della coalizione di centrosinistra capeggiata da Herzog e da Tzipi Livni: la cui piattaforma elettorale non demonizza Hamas, malgrado gli attacchi subiti dallo stato ebraico la scorsa estate. Insomma, in nome di una maggiore "equità sociale", non pochi elettori in Israele sarebbero disposti a sottoscrivere patti con il diavolo; anche se ciò si tradurrebbe in una minore sicurezza; e potenzialmente in un rischio esistenziale. Ma cosa ne pensa Hamas?
mercoledì 25 febbraio 2015
La bufala dell'inondazione di Gaza «per colpa di Israele»
Agence France Presse (AFP), fra le più grandi agenzie di stampa al mondo assieme a Reuters e Associated Press, ha pubblicato un video falso che mostrerebbe l'inondazione della Striscia di Gaza in seguito al diluvio della scorsa settimana, titolando «interi villaggi a Gaza allagati dopo che Israele ha aperto le porte delle dighe». Peccato che Israele non abbia alcuna diga a sud.
L'accusa infondata ha fatto il giro del web e dei media. Più tardi AFP ha ritirato la notizia.
Il video riportava le accuse di Ead Zino, residente a Al-Maghraqa, vicino Gaza: «ogni quattro anni scoppia una guerra, ma qui a Maghraqa ogni anno c'è un'inondazione. L'acqua proviene da Israele. Israele ci vuole distruggere» (in effetti, Ead Zino nell'intervista in arabo si è riferito a «gli ebrei», ma AFP ha tradotto in «Israele»).
Nell'articolo non è stata proposta alcuna replica da parte israeliana, atta a confutare la palese invenzione. L'articolo originario così riportava: «almeno 80 case palestinesi sono state allagate dopo che i livelli di acqua della Gaza Valley sono saliti di quasi tre metri, inducendo le famiglie a cercare altrove riparo, in seguito alla decisione delle autorità israeliane di aprire diverse dighe».
L'accusa infondata ha fatto il giro del web e dei media. Più tardi AFP ha ritirato la notizia.
Il video riportava le accuse di Ead Zino, residente a Al-Maghraqa, vicino Gaza: «ogni quattro anni scoppia una guerra, ma qui a Maghraqa ogni anno c'è un'inondazione. L'acqua proviene da Israele. Israele ci vuole distruggere» (in effetti, Ead Zino nell'intervista in arabo si è riferito a «gli ebrei», ma AFP ha tradotto in «Israele»).
Nell'articolo non è stata proposta alcuna replica da parte israeliana, atta a confutare la palese invenzione. L'articolo originario così riportava: «almeno 80 case palestinesi sono state allagate dopo che i livelli di acqua della Gaza Valley sono saliti di quasi tre metri, inducendo le famiglie a cercare altrove riparo, in seguito alla decisione delle autorità israeliane di aprire diverse dighe».
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giovedì 19 febbraio 2015
L’esercito dei bambini di Hamas
di Khaled Abu Toameh*
Negli ultimi mesi i capi di Hamas hanno lamentato la mancanza di fondi per la ricostruzione di Gaza, colpita dall’ultima guerra combattuta contro Israele. Tuttavia, sembra che Hamas abbia fondi a sufficienza per addestrare, armare e indottrinare migliaia di ragazzi e persino bambini palestinesi.
Mentre migliaia di famiglie palestinesi che hanno perduto la loro casa continuano a vivere in rifugi di emergenza in tutta la Striscia di Gaza, Hamas di recente ha istituito 18 campi di addestramento militare. L’iniziativa, dal nome “Le avanguardie della liberazione”, ha attirato circa 17.000 ragazzi, di età compresa fra 15 e 21 anni. Le reclute sono state addestrate all’utilizzo di diverse armi: incluse pistole, fucili e mortai. Sono stati “istruiti” circa la necessità di eliminare Israele e «ripristinare i diritti dei palestinesi».
Samir Abu Aitah, un palestinese di 15 anni arruolato nella milizia di Hamas, dichiara: «ora provo una enorme felicità, perché mi hanno insegnato come impiegare un’arma, in modo che possa unirmi nella lotta contro l’occupazione. Gli ebrei hanno ucciso migliaia di persone innocenti, ed è per questo che ho deciso di unirmi al sentiero della guerra santa. Vogliamo espellere gli ebrei dalla nostra terra occupata». Un altro ragazzino di 15 anni, Mahmoud al-Kurd, ammette di essersi divertito a maneggiare le armi ai campi di Hamas: «il nostro nemico conosce una sola lingua: quella delle lame». Un amico di Al-Kurd's friend, Ismail Elayan, anch’egli quindicenne, rivela ai giornalisti che hanno raggiunto il campo: «ho deciso di aderire perché questo spianerà la strada verso la liberazione della nostra terra. È questo il nostro obiettivo principale».
Negli ultimi mesi i capi di Hamas hanno lamentato la mancanza di fondi per la ricostruzione di Gaza, colpita dall’ultima guerra combattuta contro Israele. Tuttavia, sembra che Hamas abbia fondi a sufficienza per addestrare, armare e indottrinare migliaia di ragazzi e persino bambini palestinesi.
Mentre migliaia di famiglie palestinesi che hanno perduto la loro casa continuano a vivere in rifugi di emergenza in tutta la Striscia di Gaza, Hamas di recente ha istituito 18 campi di addestramento militare. L’iniziativa, dal nome “Le avanguardie della liberazione”, ha attirato circa 17.000 ragazzi, di età compresa fra 15 e 21 anni. Le reclute sono state addestrate all’utilizzo di diverse armi: incluse pistole, fucili e mortai. Sono stati “istruiti” circa la necessità di eliminare Israele e «ripristinare i diritti dei palestinesi».
Samir Abu Aitah, un palestinese di 15 anni arruolato nella milizia di Hamas, dichiara: «ora provo una enorme felicità, perché mi hanno insegnato come impiegare un’arma, in modo che possa unirmi nella lotta contro l’occupazione. Gli ebrei hanno ucciso migliaia di persone innocenti, ed è per questo che ho deciso di unirmi al sentiero della guerra santa. Vogliamo espellere gli ebrei dalla nostra terra occupata». Un altro ragazzino di 15 anni, Mahmoud al-Kurd, ammette di essersi divertito a maneggiare le armi ai campi di Hamas: «il nostro nemico conosce una sola lingua: quella delle lame». Un amico di Al-Kurd's friend, Ismail Elayan, anch’egli quindicenne, rivela ai giornalisti che hanno raggiunto il campo: «ho deciso di aderire perché questo spianerà la strada verso la liberazione della nostra terra. È questo il nostro obiettivo principale».
L'ossessione per Israele miete vittime fra i palestinesi
di Evelyn Gordon*
Mi sono dilungato diverse volte su come ossessione occidentale per i rapporti fra israeliani e palestinesi finisca per perpetrare la miseria globale, distogliendo l'attenzione da situazioni umane di ben peggiore gravità: basti pensare al genocidio in Siria o nel Sud Sudan. Inoltre, questa ossessione non migliora le condizioni di vita di un gruppo che si vorrebbe aiutare. Tre articoli apparsi di recente sul Jerusalem Post chiariscono il perché.
Uno denuncia il rischio di chiusura da parte di un importante ospedale palestinesi, a causa di un debito accumulato pari a 30 milioni di dollari. Per anni, l'Autorità Palestinese (AP) ha mancato di versare fondi al Mokassed Hospital, malgrado i numerosi pazienti in cura. E questo non già perché l'AP difetti di liquidità, dal momento che per pagare generose retribuzioni alle migliaia di criminali ospiti delle carceri israeliani, i soldi certo non mancano. È una questione di priorità: nella scala dei valori palestinesi, il pagamento dei terroristi che attentano alla vita degli israeliani risulta evidentemente più importante del pagamento dei medici che cercano di curare i palestinesi.
Mi sono dilungato diverse volte su come ossessione occidentale per i rapporti fra israeliani e palestinesi finisca per perpetrare la miseria globale, distogliendo l'attenzione da situazioni umane di ben peggiore gravità: basti pensare al genocidio in Siria o nel Sud Sudan. Inoltre, questa ossessione non migliora le condizioni di vita di un gruppo che si vorrebbe aiutare. Tre articoli apparsi di recente sul Jerusalem Post chiariscono il perché.
Uno denuncia il rischio di chiusura da parte di un importante ospedale palestinesi, a causa di un debito accumulato pari a 30 milioni di dollari. Per anni, l'Autorità Palestinese (AP) ha mancato di versare fondi al Mokassed Hospital, malgrado i numerosi pazienti in cura. E questo non già perché l'AP difetti di liquidità, dal momento che per pagare generose retribuzioni alle migliaia di criminali ospiti delle carceri israeliani, i soldi certo non mancano. È una questione di priorità: nella scala dei valori palestinesi, il pagamento dei terroristi che attentano alla vita degli israeliani risulta evidentemente più importante del pagamento dei medici che cercano di curare i palestinesi.
martedì 3 febbraio 2015
A.A.A.: Cercasi comparse per prossimo film di Pallywood
L'inverno si sta rivelando particolarmente rigido a Gaza, quest'anno. Al solito, se Hamas, che governa la Striscia dal 2007, si fosse preoccupata di impiegare i miliardi di dollari piovuti da tutto il mondo per costruire case e infrastrutture, anziché rampe di lancio e tunnel del terrore; a quest'ora nessuno avrebbe sofferto il freddo e la fame nell'enclave palestinese. Ma il tempo delle recriminazioni è passato: con i 5 miliardi di dollari in arrivo per la ricostruzione a Gaza le condizioni di vita miglioreranno. O forse no.
Sta di fatto che Chris Gunness, il portavoce dell'UNRWA - l'agenzia ONU specializzata nel (non) risolvere la questione dei rifugiati palestinesi - che sul sul profilo Twitter riporta subdolamente la gigantografia della desolazione del campo profughi di Yarmouk, in Siria, spacciandolo implicitamente per oggetto di responsabilità israeliane; è all'opera per produrre una nuova spettacolare bufala made in Hollywood.
Sta di fatto che Chris Gunness, il portavoce dell'UNRWA - l'agenzia ONU specializzata nel (non) risolvere la questione dei rifugiati palestinesi - che sul sul profilo Twitter riporta subdolamente la gigantografia della desolazione del campo profughi di Yarmouk, in Siria, spacciandolo implicitamente per oggetto di responsabilità israeliane; è all'opera per produrre una nuova spettacolare bufala made in Hollywood.
giovedì 29 gennaio 2015
Gaza: la prossima guerra passa dagli abusi su minori
Sono 20 in totale le risoluzioni di condanna di Israele adottate dall'assemblea generale dell'ONU (UNGA) nel corso della sessione 2014-2015; e soltanto 3, le risoluzioni adottate nei confronti di tutti gli altri stati al mondo: Siria, dove la guerra civile degli ultimi quattro anni ha mietuti circa 250.000 vittime, Corea del Nord e Iran. Risoluzioni peraltro sempre sussurrate e balbettanti. Non una singola parola di condanna è stata espressa per gli abusi sistematicamente commessi in Cina, a Cuba, in Egitto, nel Pakistan, in Russia, nell'Arabia Saudita, nel Sudan, nello Yemen e in diecine di stati dove i diritti umani sono calpestati, dove le minoranze sono ostracizzate, dove le donne sono emarginate, dove i gay sono malmenati, dove gli oppositori sono incarcerati, dove i giornalisti sono intimiditi, dove i bambini sono sfruttati e educati all'odio e alla guerra.
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