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mercoledì 5 settembre 2012

Rende bene dedicarsi al terrorismo

I nemici dello stato ebraico sostengono la strampalata proposta dell'OLP di favorire il "ritorno" dei discendenti degli arabi che nel 1948 furono convinti dagli stati confinanti a lasciare Israele alla vigilia della guerra che avrebbero mosso contro il neonato stato israeliano. Nel frattampo i 6-700 mila arabi si sono decuplicati, e un "ritorno" dei loro figli, nipoti e pro-nipoti equivarrebbe all'annichilimento di Israele. Da questo punto di vista non c'è granché differenza fra la "mission" di Hamas, che dichiara questa volontà nel suo atto costitutivo, e quella dell'OLP, che mira di fatto allo stesso obiettivo, anche se ufficialmente solo con l'uso dell'arma demografica.
C'è da chiedersi però se questo intento sia condiviso dagli arabi che ancora oggi abitano in Israele: un quinto della popolazione complessiva. Secondo un recente sondaggio, reso noto dal Jerusalem Post, il 60% degli arabi israeliani dichiara di avversare un eventuale matrimonio delle loro figlie con palestinesi del West Bank; quasi uno su cinque (il 18% del campione intervistato) cambierebbe casa se il nuovo vicino di casa provenisse da Giudea o Samaria.

Lo scarso sostegno di cui la "causa palestinese" gode fra gli arabi israeliani deve aver indotto il governo di Abu Mazen a Ramallah a destinare le risorse finanziarie altrove. Inutile promuovere con una comunicazione efficace un programma in cui crede soltanto una dirigenza interessata ad auto-perpetrarsi in eterno. Meglio ricompensare adeguatamente chi si "sacrifica" contro l'odiato nemico.
Si apprende così che, malgrado la grave crisi finanziaria in cui versa l'Autorità Palestinese, i cui vertici sono in continuo pellegrinaggio alla ricerca di nuovi fondi, l'anno scorso il governo ha triplicato l'assegno mensile inviato alle famiglie dei palestinesi detenuti nelle carceri israeliane per atti di terrorismo, incluso quello suicida. I sussidi (un welfare state con i fiocchi - neri - non c'è che dire...) sono erogati non solo agli affiliati ad Al Fatah, il partito di Abu Mazen; ma anche ai criminali appartenenti agli odiati rivali di Hamas. Secondo un canale televisivo israeliano, che ha mostrato documenti firmati dal primo ministro dell'ANP, 11 milioni di dollari al mese sono spesi per sostenere le famiglie dei terroristi: il 6% del bilancio dello stato. La paga è commisurata agli anni di reclusione comminati dal tribunale, dal numero di figli a carico, e dalla "anzianità terroristica": Abdullah Barghouti, condannato a 67 ergastoli per l'uccisione di altrettanti israeliani, beneficia di un sussidio mensile di 1500 dollari: una sommetta niente male, in un'area dove il reddito mensile medio non supera i 600 dollari. Rende bene fare i terroristi, da queste parti...

giovedì 7 giugno 2012

Ma gli arabi vogliono restare in Israele

I rapporti in Israele fra la minoranza araba e la maggioranza ebrea non sono sempre stati idilliaci, è inutile negarlo. Il risentimento originato dalla vittoria dello stato ebraico nei confronti degli stati arabi confinanti che attaccarono Israele subito dopo la dichiarazione di indipendenza del 1948 è ancora vivo, come testimoniano in continuazione i sondaggi tenuti di tanto in tanto fra il milione e mezzo di arabi che vivono qui. Eppure, nonostante questo, la netta maggioranza degli arabi israeliani (il 68.3%) ammette che preferisce vivere in Israele piuttosto che in qualunque altro stato. E' il risultato di una indagine statistica condotta dal professore Sami Samuha dell'Università di Haifa, e che sarà presentata ufficialmente oggi.
Si può fare di meglio per le minoranze, non c'è dubbio: ogni stato ha il suo Mezzogiorno. Ma intelligentemente, gli arabi israeliani riconoscono che in nessun altro stato arabo godrebbero di libertà e diritti come in Israele. Una dura lezione per gli odiatori professionali, che lamentano da tempo la scarsa popolarità delle iniziative di boicottaggio e di attacco vero e proprio - dalla "marcia globale su Gerusalemme" alla "Flytilla", dall'insuccesso nell'organizzare una seconda Freedom Flotilla al solito ma sempre più desertico "Nakba day" - ad Israele.

giovedì 12 aprile 2012

Un sentimento divergente


Un diffuso convincimento è che la creazione di due stati confinanti, nel Vicino Oriente, sarebbe la soluzione al secolare conflitto fra ebrei-israeliani e arabi-palestinesi. Lo ha ricordato qualche giorno fa Monti, in visita a Gerusalemme, lo ripetono meccanicamente tutti i policy-maker internazionali: due stati per due popoli. Bella affermazione, di quelle che fanno tanto cool. Chi potrebbe mai affermare il contrario? sarebbe come ascoltare una candidata a miss Italia affermare candidamente che NON desidera la pace nel mondo, o la lotta all'inquinamento, o tanti bei propositi politicamente corretti.
Quando si rimuove la patina di ipocrisia e di conformismo, si fanno purtroppo delle scoperte interessanti. Qualche giorno fa il Palestinian Center for Public Opinion (PCPO) ha realizzato un sondaggio nei territori contesi di Giudea e Samaria, consistito nel proporre agli intervistati due affermazioni che partono dal presupposto che tutti desiderino uno stato palestinese, al fianco di uno stato israeliano; sorvolando sulla triste circostanza secondo cui ancora molti, oggi, dichiarino apertamente di auspicare la distruzione dello stato ebraico, in linea con l'atto costitutivo di Hamas.
Le affermazioni su cui pronunciarsi erano:
- l'obiettivo della soluzione dei due stati è quello di consentire ad essi di vivere fianco al fianco;
- il vero obiettivo è quello di partire con due stati, ma poi agire in modo che si pervenga ad un unico stato palestinese.

Tristemente, la seconda opzione ha raccolto il 68% dei consensi. Solo una minoranza desidera vivere in pace e benessere, al fianco degli israeliani.

Il sospetto che l'opzione prospettata fosse vaga viene sgoberato subito da una seconda domanda:
- Israele ha il diritto inviolabile di esistere in quanto patria del popolo ebraico;
- nel tempo i palestinesi agiranno per riprendersi tutta la Palestina.
Il 91% ha concordato in un modo o nell'altro con questa seconda affermazione: la creazione di due stati è una soluzione temporanea per pervenire all'obiettivo finale, che è quello di distruggere lo stato di Israele e chi vi abita.

Questa conclusione, che spazza via l'eccesso di buonismo attorno alla questione israelo-palestinese, stride in contrasto ad un altro sondaggio, tenuto questa volta in Israele, fra la popolazione araba, che rappresenta il 20% della popolazione complessiva. Si è scritto più volte: gli arabi israeliani godono di diritti come in nessun altro stato del Medio Oriente, e nessuno si sognerebbe mai di chiedere la cittadinanza di un futuro stato palestinese. Uno studio dell'Israel Democracy Institute rivela come il 52.8% degli arabi residenti in Israele sia fiero della propria cittadinanza, e il 70% si fida del sistema giudiziario nazionale. Certo, non mancano dubbi e incomprensioni; ma il sentimento della popolazione araba di Israele si pone in netto contrasto con i risultati - tristi, ma prevedibili - del sondaggio condotto fra la popolazione araba che vive ad oriente del Giordano.