sabato 28 dicembre 2013

Gesù il palestinese

Bizzarro e grottesco che gli ebrei siano rimasti gli unici a difendere Gesù - nato ebreo, discendente da David, circonciso all'ottavo giorno come la Bibbia prescrive, crocifisso come «il Re degli Ebrei», e che perdipiù fece visita al Tempio di Gerusalemme (quello che per i palestinesti non sarebbe mai esistito), dal quale scacciò i "mercanti" - dall'indicazione di essere "palestinese"; mossagli dai musulmani, che da quelle parti sono arrivati sei secolo dopo la sua morte. Mentre i palestinesi sono stati inventati da Arafat nel 1964.
Saranno molto indignati, per questo, i cristiani. Ma non lo danno molto a vedere.
Forse perché i musulmani trasmettono loro calore, bruciandone le chiese e brutalizzandone i fedeli? (come ha timidamente ricordato Bergoglio a Natale?)
Sta di fatto che adesso fornisce il suo contributo anche il fantomatico sindaco di Ramallah, quella città palestinese il cui ordine pubblico è garantito da un efficiente servizio d'ordine municipale che preleva i malcapitati ebrei e li conduce alla più vicina stazione di polizia, dove subiscono adeguato trattamento.

lunedì 23 dicembre 2013

La fine conoscenza di Hamas dell'economia

I palestinesi, si sa, con l'economia sono in confidenza. Ci sanno fare. Soltanto l'UNRWA, la mastodontica ed elefantiaca agenzia ONU che si occupa di quella truffa storica nota con il nome di "rifugiati palestinesi", in tutta la sua esistenza ha beneficiato di fondi pari a 25 volte gli aiuti finanziari ricevuti dagli europei dopo il Secondo Conflitto Mondiale, nell'ambito del Piano Marshall (in termini reali, s'intende). I parlamentari beneficiano di un gettone di presenza pari a 24 volte il reddito medio di un cittadino palestinese. Lo stesso Abu Mazen da' il buon esempio, ammassando una ricchezza sconsiderata, fra una missione all'estero e un incontro con l'adorante sindaco di Napoli. E ancora a Gaza riescono a farsi fornire benzina sussidiata, per alimentare le centrali elettriche, fra una crisi energetica e l'altra; autoprodotta, s'intende.
Malgrado Israele possa vantare un cittadino che è stato eletto qualche anno fa il miglior banchiere centrale del mondo; al punto che da essere stato invitato a far parte del Consiglio direttivo della nuova Federal Reserve targata Janet Yellen (e vai con le tesi cospirazionistiche!...); da Gaza ci si preoccupa di condividere con gli amati vicini israeliani un po' di queste capacità economiche.

mercoledì 18 dicembre 2013

Scandalo: Israele allaga la Striscia di Gaza!

Il maltempo che ha investito il Vicino Oriente è praticamente senza precedenti. Da almeno cento anni non si registravano nevicate così' intense in Israele, in Egitto, in Giordania e nei territori palestinesi. Danni e disagi si sono accumulati, ma buon senso e organizzazione hanno evitato il peggio. Persino la decisione del governo di Gerusalemme di far circolare i mezzi pubblici di sabato, pur urtando la comunità religiosa, è servita a ridurre la paralisi delle grandi città e le difficoltà in cui si è imbattuta una popolazione non del tutto avezza alla neve.
Non sono mancati episodi di grande umanità. Come riportava ieri La Stampa, «Altre barriere sono cadute con la neve e l’emergenza. I valichi di Gaza sono stata aperti per consentire rifornimenti. L’esercito israeliano ha portato soccorsi ovunque, senza distinzioni di etnie, fedi, fronti. Ha spalato e spinto ambulanze impantanate nella neve di Betlemme, ha portato viveri e liberato famiglie intrappolate in auto nelle città e per le strade, israeliane o palestinesi che fossero. Magari si risolvessero sempre così, le emergenze».
Lo stato ebraico è da sempre in prima linea nel fornire supporto logistico e aiuti umanitari nelle gravi emergenze indotte da calamità naturali all'estero. È successo ad Haiti nel 2010, in Turchia due anni fa, entrambi gli stati funestati da terremoti devastanti; ed è successo di recente nelle Filippine, dopo l'IDF ha prestato soccorso.

lunedì 16 dicembre 2013

Il profilo legale di Giudea e Samaria

Da anni, il mondo considera Giudea e Samaria un territorio palestinese occupato illegalmente da Israele. Ma ora un gruppo di giuristi israeliani e di tutto il mondo sta combattendo una battaglia legale per il riconoscimento della verità storica e giuridica.

Se la legittimità internazionale dell'impresa degli insediamenti fosse un cavallo, si potrebbe affermare è che rimasto troppo tempo fuori dalla stalla. Chi occupa le stanze del potere in tutto il mondo - dalla Casa Bianca di Barack Obama e John Kerry, alle Nazioni Unite - ha per anni liquidato Giudea e Samaria come territori palestinesi attualmente sotto occupazione.
L'atteggiamento ostile verso gli insediamenti è una conseguenza diretta e immediata di questa logica. Se dovessimo compiere una generalizzazione, dovremmo dire che il mondo ha adottato la retorica palestinese per definire lo status legale dei Territori. Anche chi negozia per conto dello stato israeliano, uomini e donne che ufficialmente sottoscrivono la tesi secondo cui Giudea e Samaria - la culla della civiltà e del popolo ebraico - non siano territori occupati; hanno da tempo cessato di affermarlo in pubblico, per non sopportare la seccatura di elencare la lunga lista di considerazione legali e storiche che supportano questa tesi.

lunedì 9 dicembre 2013

Il morbo di Parkinson ha i giorni contati

Le malattie neurodegenerative, come il morbo di Parkinson o l'Alzheimer, stanno per essere sconfitte. È il senso di un recente annuncio dell'Università Ebraica di Gerusalemme, che in collaborazione con una start-up ha annunciato il conseguimento di signifativi risultati nella lotta all'invecchiamento delle cellule cerebrali. Nello specifico un farmaco ideato dalla TyrNovo, e noto con il nome in codice di NT219, consentirebbe di sviluppare farmaci mirati per le malattie citate, e privi di effetti collaterali sostanziali.
Il farmaco, hanno annunciato il CEO di TyrNovo e il direttore del dipartimento di Chimica biologica dell'Università del Monte Scopus, agirebbe sull'attività dell'insulina e di un ormone noto come IGF1, inibendone l'attività e prevenendone il meccanismo di segnalazione che porta alle malattie neurodegenerative.

giovedì 5 dicembre 2013

La verità sulla crisi energetica nella Striscia di Gaza

L'antefatto: Amnesy International (l'omissione di una consonante non è da giudicarsi necessariamente un refuso) ha sempre avuto un atteggiamento parziale e tutt'altro che obiettivo nei confronti di Israele. Priva di equilibrio, sforna rapporti in cui immancabilmente colloca sul banco degli imputati lo stato ebraico, sebbene Gerusalemme non evidenzi alcuna responsabilità.
Da tempo Hamas a Gaza importa il combustibile egiziano per far girare le proprie centrali elettriche. Poiché il regime di Mubarak sussidiava massicciamente le fonti di energia per smorzare le tensioni sociali, è sempre convenuto all'enclave palestinese approvvigionarsi dal vicino Egitto; specie quando al Cairo sono saliti al potere i Fratelli Musulmani, di cui Hamas è una specie di succursale.
Oltretutto, il combustibile egiziano entrava nella Striscia in larga misura attraverso il migliaio di tunnel illegali scavati sotto al confine: il che consentiva all'organizzazione terroristica islamica di praticare una lucrosa cresta. Le offerte israeliane di fornire combustibile sono state considerate un affronto: per la provenienza "sionista", e soprattutto praticamente perché il prezzo internazionale impediva ad Hamas di guadagnarci sopra, a discapito della popolazione palestinese. Dal 2011 in poi Hamas ha fatto girare le centrali elettriche solo con il petrolio egiziano, e dall'Egitto è provenuto il carburante che ha alimentato il parco macchine circolante nella Striscia.

mercoledì 4 dicembre 2013

Il pallone da' un calcio all'antisionismo (per ora solo a Francoforte)

Molti appassionati di calcio sono indignati per la scelta del capo della FIFA di assegnare al Qatar i campionati mondiali di calcio del 2022; financo consentendo di disputare gli incontri durante l'inverno, per non rischiare insolazioni e collassi ai "poveri" giocatori. Il potere del denaro, e l'influenza di Al Jazeera - riuscita a persuadere un laboratorio svizzero ad emettere un comunicato con cui "non esclude" in modo abbastanza rocambolesco la morte per avvelenamento da polonio di Arafat; mentre il resto del mondo scientifico ha escluso questa eventualità - sono riusciti a far andare di traverso quel poco di "bello" che ancora conserva il calcio.
Ma non tutto è perduto. Magari bisogna scendere di livello: nei campionati nazionali, meglio ancora nelle serie inferiori.

giovedì 28 novembre 2013

L'antisemitismo sta perdendo la guerra

Gentile redazione di "Il Borghesino",

congratulazioni per lo splendido blog. Vorrei esprimere un immenso ringraziamento per avermi aiutato in questi giorni a cambiare completamente la mia visione del conflitto medio-orientale. Da circa un anno ho cominciato a poco a poco a rivedere totalmente i miei (pre)giudizi su Israele, con una forte accelerazione in questi giorni grazie anche al vostro eccellente sito. Sto provando una rabbia e un senso di colpa tremendo, perchè mi sento ingannato dalla cattiva informazione su Israele, Palestina & dintorni che per anni ha intossicato e ottenebrato la mia capacità di giudizio.
Volevo porvi alcune domande in merito all'occupazione della Palestina, ma prima sento il bisogno di descrivervi il mio percorso di "cambiamento di prospettiva", che può essere molto istruttivo.

Ho 25 anni, vivo e studio a Napoli. Fin dall'adolescenza mi sono interessato (superficialmente) alle vicende medio-orientali; purtroppo, senza alcuna capacità di interpretazione, sviluppai precocemente un giudizio molto duro verso Israele.
Il primo contatto con il conflitto arabo-israeliano fu per me un vero shock: ero poco più di un bambino, e vidi al TG la morte del mio quasi coetaneo Mohamed al-Durrah. Scoppiai in lacrime, e mi chiesi com'era possibile che Israele fosse così "cattiva" contro i bambini palestinesi. Negli anni dell'Intifada, ogni volta che sentivo delle stragi dei kamikaze contro i civili israeliani, non potevo non avere in mente l'immagine di quel ragazzino terrorizzato, e pensavo che quindi, tutto sommato, se l'erano cercata...
Pochi giorni fa sono rimasto di stucco a leggere, proprio sul vostro blog, che non solo il piccolo al-Durrah non fu raggiunto dai proiettili israeliani, ma che addirittura la sua morte è stata probabilmente un' incredibile messinscena! Com'è possibile, mi sono chiesto stavolta, che sui media italiani non c'è stata traccia delle inchieste che hanno denunciato l'inganno?

mercoledì 27 novembre 2013

L'opzione è stata collocata sul tavolo

E meno male che si parlano da almeno un anno. Certo, non in pubblico, e non direttamente. La comunicazione in Oman deve essere risultata problematica, se è vero che la sottoscrizione degli accordi "provvisori" di Ginevra è stata seguita da toni trionfali da ambo le parti. Insomma, una situazione "win-win". Eppure ci deve essere qualcuno che perde...
Mentre Hussein Obama cerca di tranquillizzare l'opinione pubblica mondiale, spacciando la liberazione di sostanziosi flussi finanziari verso il regime degli ayatollah in cambio di generiche promesse per un passo significativo verso la pace; a Teheran il ritorno dei delegati è stato salutato trionfalmente: un po' perché viene riconosciuta la piena legittimità del programma nucleare iraniano; un po' perché le nuove entrate che arriveranno dagli acquisti di petrolio da parte soprattutto di Cina, India, Giappone e Corea del Sud, daranno una grossa mano ad uno stato sociale messo in crisi da quotazioni del greggio stabilmente sotto i 100 dollari per barile.

domenica 24 novembre 2013

Finalmente l'Iran diventerà una potenza atomica

Dunque è ufficiale: gli Stati Uniti di Hussein Obama infliggono al mondo un'ulteriore dolorosa automutilazione, accettando il programma di arricchimento dell'uranio della repubblica iraniana, e in premio offriranno agli ayatollah alcuni miliardi di dollari all'anno, mediante allentamento delle sanzioni esistenti e sblocco delle entrate congelate in alcune banche europee. L'ex senatore junior dell'Illinois, esemplare emulo di Chamberlain - il 30 settembre 1938 non è così lontano... - si appresta così a vincere un secondo premio Nobel per la pace; magari, questa volta ex aequo con il suo sodale Hassan Rowhani, che da Teheran ha benedetto l'intesa.
Un'intesa maturata per lungo tempo: non certo dal giorno successivo all'elezione del successore del rude e irritante Ahmadinejad: come ha rilevato il Times of Israel, che cita la Associated Press, fra Stati Uniti e Iran i colloqui sono andati avanti a livello diplomatico per tutti gli ultimi dodici mesi; almeno da marzo, per il tramite del vice segretatio di Stato William Burns (nomen omen). Il bonario Rowhani è stata la figura tranquillizante scelta da Ali Khamenei per far accettare all'opinione pubblica mondiale un'intesa apparsa fino a qualche tempo fa il frutto di una maggiore moderazione del regime persiano. Il desiderio degli Stati Uniti di assecondare le aspirazioni e le ambizioni dell'Iran a divenire potenza atomica - malgrado le ripetute violazioni dei diritti umani, la repressione della dissidenza e delle minoranze, gli imbrogli ai danni della comunità internazionale, il sostegno al terrorismo internazionale e l'appoggio al regime sanguinario di Assad in Siria - è arrivato al punto da salutare con soddisfazione la sconfitta subita ieri dalla nazionale a stelle e strisce di volley a Tokyo - guarda caso - proprio contro l'Iran...

venerdì 22 novembre 2013

Israele, paradiso del venture capital

Israele, culla dell'high tech mondiale. Il 2013 non sarà ricordato soltanto per l'acquisizione miliardaria (966 milioni di dollari, per l'esattezza) di Waze da parte di Google. Secondo un articolo apparso ieri sul Wall Street Journal, nei primi nove mesi di quest'anno sono state concluse ben 1183 transazioni, per un controvalore di 8,64 miliardi di dollari. È un dato impressionante sotto diversi punti di vista:
  • rispetto ad una popolazione di meno di 8 milioni di abitanti, le operazioni di fusione e acquisizione (M&A) hanno rappresentato un controvalore di oltre mille dollari pro-capite: un dato sensibilmente maggiore di quello relativo agli Stati Uniti, fermi ad "appena" 660 dollari pro-capite;
  • in relazione alle dimensioni dell'economia, le operazioni di M&A in Israele sono state pari al 3.5% del prodotto interno lordo; negli USA, il turnover non ha superato l'1.3% del PIL;
  • l'articolo del WSJ celebrava l'Irlanda come il paese dalla più spinta imprenditorialità dell'area Euro, con 311 transazioni complessive nei primi tre trimestri del 2013, per un controvalore di 1.3 miliardi di dollari. Spettacolare il gap rispetto al piccolo stato ebraico, che fa della ricerca e innovazione il suo punto di forza.

Come puntualizza il quotidiano finanziario americano, soltanto negli ultimi cinque anni, per ogni dollaro raccolto in Europa dai fondi di venture capital, ne sono stati raccolti ben 10 negli Stati Uniti e addirittura 23 in Israele. Nessuno stato europeo è riuscito a far meglio in questo arco di tempo: nemmeno la Germania.
L'inovazione tecnologica favorisce aumenti di produttività, che tengono sotto controllo l'inflazione e aumentano la ricchezza complessiva. Non è un caso che il PIL pro-capite sia passato dai 18200 dollari del 2004, ai 22129 dollari del 2012 (+22%); nel medesimo arco di tempo, il PILpc è cresciuto del 13.9% in Germania, del 4.1% in Francia, mentre è sceso del 6% in Italia.
Ricerca, innovazione, eccellenza nell'istruzione, lancio di nuovi prodotti e processi fanno del piccolo stato ebraico un punto di riferimento globale. Non a caso l'agenzia di rating americana Standard&Poor's assegna a Gerusalemme un rating elevato (A+) e stabile.
Chissà come mai le relazioni scarseggiano fra il mondo accademico, scientifico e industriale italiano, e lo stato ebraico. Che oltretutto, si accinge a sperimentare un boom energetico grazie agli immensi giacimenti di gas naturale rinvenuti al largo delle proprie coste.

mercoledì 20 novembre 2013

Pallywood familiare


Le immagini strazianti di un bambino per la verità un tantino bulimico (maledette merendine sioniste), che conforta la madre morente, che lo accarezza teneramente prima di spirare in un lago di sangue. Il volto disperato del minorenne, che piange la dipartita del genitore: vittima, spiega la didascalia, di una incursione aerea ovviamente israeliana nel sud del Libano.
La fortuna di un fotoreporter, trovatosi nel posto giusto e nel momento giusto, per immortalare questa sequenza che prontamente qualche agenzia di stampa generosamente donerà ai media mondiali, pronti a collocare sul banco degli imputati il solito colpevole "a prescindere": in questo caso, le prove e le verifiche non servono mai.

Riprendono i "negoziati" sull'Nucleare iraniano a Ginevra


Espressione eufemistica, dal momento che è stato ormai deciso tutto, ed è stata soltanto l'intransigenza francese, che ha generato un inedito asse fra Parigi e Riad, sponda Gerusalemme; ad impedire un accordo della prima ora.
Così, mentre la guida suprema iraniana precisa che il regime degli ayatollah "non indietreggerà di una virgola" sul proposito di fare dell'Iran una potenza atomica, inducendo i sauditi a rivolgersi al Pakistan per una fornitura di materiale bellico atomico (e chissà quanti altri stati del Golfo faranno altrettanto - magari rivolgendosi all'India - scatenando una proliferazione nucleare sulla quali i pacifisti europei non hanno nulla da dire); in Svizzera la ripresa delle "trattative" procede a passo svelto, malgrado il comprensibile disappunto - per usare un eufemismo - di Israele, che è fra coloro che credono che il nucleare iraniano sia tutt'altro che finalizzato a scopi pacifici; come d'altro canto suggerisce l'immagine scelta dall'agenzia di stampa iraniana Fars, che raffigura una dimostrazione più o meno spontanea, in cui un gruppo di donne inneggia all'arricchimento di uranio: per cancellare Israele dalla mappa geografica, puntualizza il cartello sulla destra.

lunedì 18 novembre 2013

Quando anche le interpreti non ne possono più


Non sono molti i momenti lieti per lo Stato di Israele, nei forum delle organizzazioni internazionali. Ma una piccola, significativa soddisfazione l’ha avuta di recente quando un’interprete delle Nazioni Unite, non essendosi accorta che il microfono era rimasto acceso, ha fatto un commento ingenuamente onesto sul trattamento spudoratamente fazioso che Israele stava subendo durante una conferenza sui diritti umani.
Domenica mattina il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha voluto rendere noto, con tanto di filmato, il “fuori-onda” dell’interprete che ha avuto luogo giovedì sera in una conferenza in corso a New York durante la quale, come osserva la stessa interprete, venivano votate a stragrande maggioranza una decina di risoluzioni di condanna di Israele e nessuna sul resto del mondo. Un dato che l’interprete, non pensando di essere udita, si è chiesta se non fosse francamente “un peu trop” (un po’ troppo), visto che “ci sono altre str…zate veramente brutte che succedono, ma nessuno dice niente delle altre cose”.


Accortasi d’essere amplificata, la donna ha immediatamente e ripetutamente chiesto scusa (fra gli sghignazzi dei presenti), mentre la segreteria della presidenza, definito l’incidente “un problema con la traduzione”, riprendeva i lavori come previsto.

“Chi avrebbe dovuto chiedere scusa, in realtà, è l’Onu – ha commentato su Times of Israel Hillel Neuer, direttore di “UN Watch” – Fondato su nobili ideali, l’organismo mondiale sta trasformando in un incubo il sogno degli internazionalisti amanti della libertà. Il prossimo mese, alla fine di questa sessione annuale, l’Assemblea Generale avrà adottato un totale di 22 risoluzioni che condannano Israele, e solo quattro su tutto il resto del mondo. L’ipocrisia, la faziosità e la politicizzazione sono sconcertanti”.

continua su Israele.net.

venerdì 8 novembre 2013

Stati Uniti "espulsi" dall'UNESCO

Ricordate la decisione clamorosa dell'UNESCO? sul finire del 2011 l'agenzia ONU con sede a Parigi, che dovrebbe occuparsi di cultura, di istruzione e di scienza e storia, decise a sorpresa di accogliere l'autorità palestinese fra i propri stati membri. Scatenando scalpore, dal momento che la decisione di riconoscere dignità di membership ad un'entità statuale deve essere il punto di arrivo di un lungo processo formale, fissato dal diritto internazionale nella Convenzione di Montevideo del 1933.
Quella decisione unilaterale, e puramente politica, irritò non pochi gli Stati Uniti, che non avevano ancora subito la macabra metamorfosi del secondo mandato Obama, i quali annunciarono che avrebbero cessato di foraggiare l'organizzazione; stracciando un assegno che ogni anno copriva oltre un quinto del bilancio dell'UNESCO.

giovedì 7 novembre 2013

Belle e brave


Leah e Lara, sorelle gemelle, italiane, sono emigrate in Israele e si sono immediatamente arruolate nell'IDF, l'esercito difensivo dello stato ebraico.
Come si dice in questi casi, mazel tov!

mercoledì 6 novembre 2013

Israele sta per diventare esportatore di energia

Il boom della produzione di gas naturale da rocce scistose (shale gas) sta favorendo una insperata primavera dell'industria manifatturiera americana. Il fenomeno della delocalizzazione sta rapidamente rientrando, e diverse grandi compagnie stanno ricollocando la produzione all'interno dei confini nazionali; incoraggiate da un costo dell'energia in caduta libera. Basti pensare che un milione di BTU (British Thermal Unit, l'unità di misura del gas naturale) costa 9 dollari e mezzo nel Regno Unito, 11 dollari in Germania e quasi 17 dollari in Giappone. In USA, 1 mBTU costa meno di 3 dollari e mezzo. Non sorprende che diverse abitazioni di nuova costruzione sono alimentate a gas naturale: una fonte di energia relativamente pulita, e di cui gli USA disporranno in crescenti quantità.

Ma c'è un altro stato al mondo, che sta lavorando alacremente alla propria indipendenza energetica. Per porre fine alle ostilità, Israele ha riconsegnato la penisola del Sinai, letteralmente galleggiante sul petrolio, all'Egitto del 1978, in cambio della sottoscrizione di un trattato di pace che dura tuttora. Lo stato ebraico è completamente dipendente dall'estero per l'approvvigionamento energetico, e non è un mistero che i ripetuti attentati terroristici agli oleodotti miravano proprio a minarne l'attività manifatturiera.
Ma come riporta oggi il Financial Times, Gerusalemme sta lavorando per diventare in tempi brevi addirittura un paese esportatore di energia. Al largo delle coste di Ashdod, nell'Israele meridionale, è in funzione la piattaforma di Tamar, frutto della joint venture fra un'azienda israeliana e la texana Noble Energy. Il progetto, del valore di 3.5 miliardi di dollari, ha iniziato a produrre gas da marzo, e contribuirà quest'anno al PIL israeliano per un punto percentuale pieno. Il gas destinato all'esportazione, ottenuto di recente il consenso dalla Corte Suprema  in tal senso, dovrebbe invece provenire dal giacimento "Levietano", situato una trentina di chilometri ad ovest di Tamar, e dalla capacità stimata in 19000 miliardi di piedi cubici.
Le destinazioni più immediata sarebbero la Turchia, la Grecia, la Giordania o anche l'Egitto; paesi che così beneficierebbero di drastiche riduzioni dell'attuale bolletta energetica. È una situazione "win-win", per usare le parole del responsabile operativo della Delek Drillings, l'azienda israeliana responsabile della ricerca e dell'estrazione. Malgrado i rapporti ufficiali siano quantomeno accidentati, le autorità turche si sono dichiarate molto interessate al gas israeliano. Ma al di là di aspetti commerciali ed economici, la prossima piena autosufficienza energetica del piccolo stato ebraico si riverbererà su tutti i rapporti con gli stati arabi confinanti, ai quali riuscirà meno facile il tentativo di mettere in ginocchio Gerusalemme strozzando le forniture di petrolio. Gli stessi Stati Uniti, che si stanno defilando maldestramente dal Medio Oriente, vedrebbero ridurre il loro attuale potere di condizionamento nei confronti di Israele.

Una figura di spicco per la presidenza dell'ANP

La presidenza dell'Autorità Palestinese è una carica ricca di prestigio e foriera di arricchimento personale. Non a caso l'attuale presidente, Abu Mazen, siede sulla poltrona più alta dell'ANP ininterrottamente dal 2005, essendosi dal 2009 fermamente opposto ad indire nuove elezioni; verosimilmente proprio nel fondato timore di perdere l'ambita carica che tanti vantaggi gli ha procurato.
Purtroppo il presidente è figura solitaria; si può sempre istituire la figura di presidente vicario, o presidente onorario, o presidente a vita (appunto); ma insomma, per chi non si chiama Mahmoud Abbas, bisogna accontentarsi delle posizioni più distanti dal vertice.
Sei mesi fa Salaam Fayyad ha gettato la spugna, rassegnando le dimissioni dalla carica di primo ministro dell'ANP. Al di là dei ringraziamenti di rito per il lavoro svolto, è apparso subito evidente il contrasto insanabile fra il capo del governo apprezzato dal mondo occidentale per il suo equilibrio, e le fameliche pretese del presidente, interessato soltanto a mettere le mani sulle casse dell'ANP.

giovedì 31 ottobre 2013

L'Independent ne inventa un'altra delle sue

In Italia le notizie dal Vicino Oriente arrivano con il contagocce; il che non è necessariamente un male, visto che quando ci giungono cronache da Israele o dagli stati confinanti, esse sono sempre distorte, rilette, tagliate sapientemente per offrire al lettore una prospettiva parziale e falsata degli eventi.
Non potendo biasimare il rilascio di 26 terroristi palestinesi, ospiti da anni delle prigioni israeliane, come condizione per poter accedere al privilegio di discutere di pace con una dirigenza corrotta e scaduta nel mandato da anni - dal momento che nessuno stato democratico al mondo avrebbe fatto altrettanto - i giornali dovevano pure inventarsi qualcosa per mettere lo stato ebraico sotto una cattiva luce. Non vale la pena di disturbarsi nel riportare l'attacco simultaneo condotto da Gaza nei confronti delle città meridionali di Israele: saranno razzi difettosi - sicuramente sabotati da quei perfidi e diabolici dei sionisti - ricaduti in terra. In territorio israeliano, s'intende.

mercoledì 30 ottobre 2013

È sempre il solito Israele che disturba i vicini

In Siria è ripreso il massacro degli oppositori, con la lista di vittime della repressione di Assad che torni ad allungarsi; in Libia è il caos. In Libano Hezbollah condiziona sempre più sensibilmente il governo, con le forze democratiche capitolate di fronte all'intransigenza degli estremisti sciiti di Hezbollah, partner privilegiato di Damasco. In Egitto la defenestrazione di Morsi avvenuta a luglio non ha placato i Fratelli Musulmani, e scontri fra islamici e militari, e fra simpatizzanti degli uni e degli altri, si susseguono a ritmo quotidiano. L'Iran adotta un politica del doppio binario: da un lato accarezza il pelo dell'Occidente, dall'altro lavora alacremente all'obiettivo della sua bella bomba atomica islamica, e secondo un ex esponente dell'AIEA mancherebbero addirittura soltanto un paio di settimane prima che l'ordigno nucleare sia terminato. A Gaza Hamas è sempre più in crisi, travolta da un lato dal crollo delle entrate (230 milioni di dollari al mese) conseguente alla distruzione dei tunnel illegali che la collegavano all'Egitto, fatti saltare in aria o allagati con liquami fognari dall'esercito del Cairo; dall'altro messa in ombra dal successo apparente di Abu Mazen, che in queste ore sta stringendo le mani sporche di sangue di vittime innocenti dei 26 terroristi palestinesi rilasciati da Gerusalemme, come seconda lacerante "prova di buona volontà" dopo quella di agosto.

lunedì 28 ottobre 2013

Ancora sulla dissolutezza palestinese

Autorità Palestinese ancora nell'occhio del ciclone. Come rilevato alcuni giorni fa, soltanto l'UNRWA - l'agenzia speciale dell'ONU per i "profughi" palestinesi - ha beneficiato di fondi pari a 25 volte gli aiuti finanziari ricevuti dagli europei dopo il Secondo Conflitto Mondiale, nell'ambito del Piano Marshall (in termini reali, s'intende). D'altro canto, frutta bene proporsi come amministratori dei palestinesi: i politici di Ramallah beneficiano di un gettone di presenza pari a 24 volte il reddito medio percepito dalla propria gente. Altro che casta! e lo stesso Abu Mazen ha occultato una ricchezza finanziaria, frutto di corruzione, vessazioni e intimidazioni del suo entourage, stimata in 100 milioni di dollari.
Adesso i conti in tasca alla dirigenza palestinese sono fatti addirittura dalla BBC; un'agenzia sempre ben disposta a chiudere almeno un occhio nei confronti del mondo arabo; specie quando è intanto ad atteggiamenti poco politicamente corretti. Sabato l'emittente di Sua Maestà ha denunciato l'ennesimo deficit di bilancio: costa molto mantenere le famiglie dei terroristi palestinesi detenuti nelle carceri israeliane. Soprattutto, l'embrione del futuro (?) stato palestinese, mostra la seconda peggiore disparità di distribuzione di reddito al mondo; il che non sorprende, visto che notoriamente a fronte di una dirigenza dissoluta e corrotta, permangono ampi strati di popolazione che non vedono nemmeno le briciole della distratta generosità internazionale.

venerdì 25 ottobre 2013

Che cosa devono fare gli ebrei?

La funzione "completamento automatico" di Google è comodissima. Mediante essa, l'utente è aiutato nella ricerca nel potente motore. Dubbi circa la localizzazione di quel parco giochi di cui non ricordi il nome? basta digitare "Dove si trova...", e l'algoritmo di Mountain View propone delle alternative: Malta, il punto G, Gardaland, la milza. Mio figlio ringrazia, io mi devo cimentare in una ricerca più problematica ("cosa spiegare a tuo figlio quando ti chiede cos'é il punto G?").
Ma come funziona il completamento automatico? è la stessa Google che ce lo spiega: «Le query di ricerca visualizzate dalla funzione di completamento automatico rispecchiano l'attività di ricerca di tutti gli utenti del Web e i contenuti delle pagine web indicizzate da Google». Insomma, se tutti gli italiani cercano ansiosamente riferimenti sulla localizzazione di questa misteriosa parte anatomica, Google ne prende atto, e stila una classifica delle ricerche più frequenti che sono state avviate digitando "dove si trova".
Naturalmente ci sono delle restrizioni, delle limitazioni. Precisa Google: «...escludiamo un gruppo limitato di query di ricerca relative a contenuti pornografici, di violenza, di incitamento all'odio e relative alla violazione del copyright». Buono a sapersi. Adesso siamo più tranquilli. E possiamo condurre un piccolo esperimento...

mercoledì 23 ottobre 2013

La saggezza di Hitler al servizio dei palestinesi

Una certa storiografia cerca di ripulire il giudizio un po' compromesso di personaggi storici, visti nel privato: si tenta di mettere in secondo piano le loro gesta non proprio eroiche, per riferirci l'immagine di uno statista scrittore di versi nel tempo libero, o collezionista maniacale di francobolli, o compositore di improbabili note musicali. Il tentativo alle volte riesce, altre produce un risultato grottesco, che non mitizza l'immagine compromessa.
Difficile scagionare Hitler dalle sue atrocità. Qualcuno cerca di riporne l'effigie su foschi calendari, o su bottiglie di vino ad alto contenuto alcolico, nella speranza che stordisca a sufficienza l'avventato compratore alla ricerca di memorabilia e paccottiglia da mostrare ad amici altrettanto ottusi. Difficile credere che ci sia qualcuno disposto a sorridere di fronte a figure e figuri del nazifascismo, senza supporre la necessità un immediato trattamento sanitario obbligatorio.

martedì 22 ottobre 2013

Venticinque volte il Piano Marshall

Non si smorza l'indignazione per la recente scoperta del tunnel costruito da Hamas fra la Striscia di Gaza e l'Israele meridionale. Realizzato in cemento made in Israel, e lungo quasi due chilometri, la galleria avrebbe condotto i terroristi alle soglie dell'asilo infantile di un kibbutz ben all'interno del territorio israliano, con una diramazione scoperta successivamente, che doveva prendere alle spalle una postazione dell'esercito israeliano.
Una circostanza prevista. Nel 2010 l'intelligence israeliana avvisò il governo di Gerusalemme circa i pericoli derivanti da un "uso improprio" del cemento da parte dell'organizzazione terroristica che governa l'enclave palestinese dal 2007. Ciò malgrado, a novembre 2011 il ministero della Difesa autorizzò l'invio di cemento a Gaza, destinato originariamente alla costruzione di 75 complessi scolastici gestiti dall'UNRWA, la facoltosa agenzia ONU che si dovrebbe occupare dei discendenti dei "profughi palestinesi" (gli arabi superstiti che furono persuasi dalle nazioni belligeranti vicine a lasciare Israele nel 1948 sono secondo le stime circa 35 mila).

sabato 19 ottobre 2013

Il Pentagono consegna finalmente le bombe buster. All'Arabia!

Israele è l'unico alleato rimasto agli Stati Uniti nel Vicino e Medio Oriente. Ciò non toglie che l'amministrazione Obama faccia di tutto per ostacolare, eclissare e indebolire lo stato ebraico. Costringendolo a subire l'improponibile agenda di pace di Ramallah, a "chiedere scusa" alla Turchia per l'incidente della Freedom Flotilla del 2011 (anche se un retroscena recentemente rivelato, permette di mettere sotto diversa luce l'apparente genuflessione di Netanyahu nei confronti di Erdogan), e addirittura a percorrere nuove strade diplomatiche: come l'inedita intesa con l'Arabia Saudita, preoccupata al pari di Gerusalemme - con la quale non sono in essere rapporti diplomatici ufficiali - della corsa all'armamento nucleare da parte dell'Iran di Rohani e (soprattutto e tutti) Alì Khamenei.
Ma Obama sa pesare i suoi alleati, e misurare le loro rivendicazioni. Così, mentre Washington ha frenato le preoccupazioni israeliane circa le aspirazioni atomiche di Teheran, bloccando la ventilata iniziativa dello scorso anno volta a distruggere gli impianti di arricchimento dell'uranio, quando era ancora possibile (Obama correva per la rielezione, e temeva di risultare penalizzato da una incursione salvavita di questo fastidioso alleato orientale); il prode presidente americano è stato invece lesto a tentare di riguadagnare le simpatie e la fiducia delle monarchie del Golfo.

venerdì 18 ottobre 2013

Le amazzoni di Gaza

lettera a Davide Frattini*

Buongiorno,
la lettura sul supplemento Io Donna dell’articolo recante la sua firma mi ha stupito non poco perché, conoscendola, mi aspettavo di trovarla più attento a non indurre il lettore a non corretti pensieri.
Già nel titolo, parlando di Gaza, si parla di terra contesa. Contesa? Tra chi? Forse tra Hamas e Fatah, ma non certo tra israeliani ed arabi, visto che Sharon ha obbligato tutti gli ebrei, pur tanti, ad abbandonare tutti i loro averi e ad abbandonare la Striscia.
Siamo poi al patetico quando si parla della giovane che viene al maneggio per dimenticare i blocchi sul confine verso Israele. Beh, a me sembra che i blocchi siano simili non solo verso Israele, ma anche verso l’Egitto, e bisognava forse spiegarlo bene al lettore meno informato, e illustrare anche il perché di tali blocchi, mentre i confini di Israele verso Egitto e Giordania che hanno riconosciuto il diritto di esistere di Israele sono aperti alla libera circolazione.

giovedì 17 ottobre 2013

Israeliani razzisti (e spioni), palestinesi tradizionalisti

Ogni guerra ha la sua connotazione di orrori legati agli abusi dei soldati sui civili. La guerra civile in Siria ha rivelato al mondo la tragedia di ragazze private della loro dignità e strappate dalle loro vite, per essere consegnate ai jihadisti affinché ne fosse saziato il "bisogno sessuale". Ragazze stuprate, e poi abbandonate come una vecchia lavatrice inutile e ingombrante; spesso, ammalatesi di AIDS. Tutti i conflitti recano con se' questa tragedia, nessuno escluso. Recita Wikipedia: «Si stima che durante la guerra in Bosnia ed Erzegovina tra le 20 000 e le 50 000 donne furono violentate. La maggioranza delle vittime delle violenze erano donne musulmane stuprate dai soldati serbi. [Le donne] subivano stupri di gruppo in strada, nelle loro case e/o di fronte alle loro famiglie. Gli stupri di guerra furono ordinati dagli ufficiali come parte della pulizia etnica, per obbligare il gruppo etnico oggetto delle violenze ad andarsene dalla regione»

martedì 15 ottobre 2013

L'uso palestinese della propaganda

Un bambino del Mississipi punito platealmente a scuola per non aver indossato la divisa d'ordinanza dell'istituto. Un esempio di "cattiva scuola", che avrebbe guadagnato a fatica un trafiletto delle pagine interne delle gazzette locali; se non fosse per quella immagine dolorosa e inquietante di un adolescente che esibisce delle raccapriccianti manette. Ma anche in questo caso, al massimo l'effigie avrebbe toccato in Italia il MOIGE; se non fosse che qualcuno coglie al volo l'occasione, e presenta l'immagine come quella di un bambino palestinese, detenuto nelle carceri israeliane. Aggiungendo: «Questa è l'età dei bambini palestinesi prigionieri; è democrazia questa?» (grazie a "Sionismo: istruzioni per l'uso", per la segnalazione).

Questo ennesimo esempio di mistificazione ad uso e consumo di un pubblico particolarmente orientato verso la creduloneria quando si tratta di diffamare Israele, di cui abbiamo avuto ampie manifestazioni durante l'operazione "Pillar of Defense" - durante la quale immagini strazianti di bambini siriani vittima del regime di Assad, erano spacciate come realizzate a Gaza - rilancia il problema della propaganda palestinese. Che non si fa scrupolo nel distorcere la verità, nell'inventare di sana pianta falsificazioni, nell'estrapolare grettamente dal contesto - ci sono adolescenti arrestati; ma sono i medesimi che pochi istanti prima, già abbastanza adulti da scagliare oggetti contundenti, attentano alla vita di malcapitati e innocenti civili - e nell'omettere colpevolmente particolari rivelatori. Come sempre, la responsabilità di una condotta esecrabile è condivisa da una platea troppo intenta ad ammirare il proprio ombellico, da non voler scorgere la verità con una minima dose di ragionevolezza e buon senso. In questo contesto la dirigenza palestinese ci sguazza; potendo continuare indisturbata ad attingere a generosi finanziamenti occidentali, a rubare, a corrompere, ad amministrare in modo inefficiente, a perpetrarsi e ad ammassare ricchezze a discapito degli stessi palestinesi.

lunedì 14 ottobre 2013

Dove è finito tutto il cemento?

Un mese fa il governo israeliano ha autorizzato l'incremento di camion (da 100 a 350) che ogni giorno trasportano nella Striscia di Gaza cemento, calcestruzzo, tondini in ferro e altri materiali da costruzione. Questo, nel tentativo di compensare il blocco totale del valico meridionale al confine con l'Egitto, disposto dal governo del Cairo dopo il colpo di stato di inizio luglio. Questo, mentre i "valichi" non ufficiali (tunnel sotterranei) sono fatti detonare o allagati con le acque delle fogne (e pazienza se qualche palestinese ci rimetterà la pelle: tanto non ne parlerà mai nessuno).
La speranza: che questo afflusso di materiali da costruzione servisse ad edificare nuove e più solide case per la popolazione palestinese; già stremata e prostrata dal regime di Hamas.
La realtà: nulla di tutto questo. Le case sono rimaste così com'erano. I cantieri, deserti. Ma allora dove è finito tutto questo cemento?
Nei nuovi tunnel che Hamas ha scavato nel sottosuolo, dalla Striscia fino al territorio israeliano. Nel tentativo di ripetere la "fortunata" operazione di sequestro del caporale Gilad Shalit del 2006. A corto di finanze per la bellicosa ostilità dell'Egitto, che l'ha privato di corposi introiti dal contrabbando illegale e dalla cresta che praticava sulle merci in transito provenienti dall'Egitto; Hamas è pronta a ricorrere a questo comportamento ripugnante. Che non esclude il rapimento di bambini, prelevati con la forza dagli asili delle città meridionali di Israele.

Non pronunciare il nome di Allah (invano o meno)

«Non nominare il nome di dio invano». Il comandamento cattolico, sistematicamente disatteso sui campi di gioco, nelle alcove domestiche e sugli schermi del cinema, al punto da risultare annacquato; risulta ora rafforzato in altra sede dal pronunciamento di una corte d'appello malese. Che ha rovesciato la precedente sentenza di primo grado che aveva assolto un giornale locale, di orientamento cristiano, reo di aver citato il nome di Allah. Il verdetto, all'unanimità, stabilisce che l'impiego del nome in questione è di esclusiva pertinenza del mondo musulmano, e che pertanto gli "infedeli" devono astenersi dal pronunciarlo; se non altro, per questioni di ordine pubblico.
La sentenza, annota Reuters, giunge al culmine di un periodo di scontri etnici e religiosi, seguiti ad elezioni contrastate che hanno visto l'affermazione di un governo che ha ristretto le libertà individuali e rovesciato le riforme liberali precedenti.

giovedì 10 ottobre 2013

In Italia l'Iran mostra il suo vero volto

Il titolo della conferenza suonava più o meno come "Il nuovo volto dell'Iran: le opportunità di dialogo che si aprono nei giorni della presidenza Rohani". L'Istituto italiano per l'Asia e il Mediterraneo aveva organizzato per martedì questo evento presso il parlamento italiano a Roma, sponsor l'ambasciata iraniana in Italia. L'istituto ha invitato il pubblico a partecipare e ha inviato inviti alla stampa. Anche un cittadino italiano, dipendente dell'ambasciata israeliana a Roma, si era iscritto all'evento.
Dopo aver avuto conferma che il dipendente dell'ambasciata aveva confermato la sua partecipazione all'incontro, l'ambasciatore iraniano in Italia, Jahanbakhsh Mozaffari, ha dichiarato che non avrebbe partecipato all'evento, se si fosse presentato il dipendente. Sollecitando gli organizzatori ad impedirne l'accesso.

Quello stupido di Netanyahu

I giornali internazionali sono sempre molto ben attenti a raffigurare lo stato isreaeliano e i suoi esponenti sotto una cattiva luce. Non importano i successi economici conseguiti, che consentono allo stato ebraico di mantenere invariato il suo merito di credito, e di vedere calare il tasso di disoccupazione (6.1%) a livelli da locomotiva tedesca (ma con un debito pubblico in rapporto al PIL inferiore e con un saldo di bilancia corrente pari al 3.7% del PIL). E passa in secondo piano la circostanza secondo cui 6 degli 8 vincitori di premi Nobel finora assegnati siano di nazionalità israeliana o comunque ebrei: passerebbe il messaggio che rimuove lo stereotipo di israeliani con il pensiero fisso alla guerra e alla "occupazione"; come se questo fosse il segreto del successo economico, scientifico e tecnologico di un lembo di terra grande quanto la Puglia, e il cui tenore di vita - di tutti i cittadini: arabi felicemente compresi - è salito del 22% soltanto negli ultimi sette anni: il PIL pro-capite è passato dai 18200 dollari del 2004 ai 22130 dollari del 2012.

martedì 8 ottobre 2013

Una raccomandazione per il Nobel per la pace

Malala Yousafzai è una giovane attivista pakistana, che combatte contro l'oscurantismo talebano e per l'emancipazione delle donne del suo Paese. Recita Wikipedia: «Il 9 ottobre 2012 è stata gravemente ferita alla testa e al collo da uomini armati saliti a bordo del pullman scolastico su cui lei tornava a casa da scuola. Ricoverata nell'ospedale militare di Peshawar, è sopravvissuta all'attentato dopo la rimozione chirurgica dei proiettili. Ihsanullah Ihsan, portavoce dei talebani pakistani, ha rivendicato la responsabilità dell'attentato, sostenendo che la ragazza “è il simbolo degli infedeli e dell'oscenità”; il leader terrorista ha poi minacciato che, qualora sopravvissuta, sarebbe stata nuovamente oggetto di attentati». Degna di ricevere un premio Nobel per la Pace, ma ci deve essere senz'altro qualche candidato vivente più autorevole.
Forse Denis Mukwege, il ginecologo congolese che assiste da 15 anni le donne vittime di stupro ad opera ad opera delle milizie ribelli. La solita Wikipedia elogia l'operato del medico africano, arrivato ad operare migliaia di donne: fino a 10 interventi in una giornata lavorativa di 18 ore. Impegno lodevole e commovente, ma l'Occidente ha bisogno di ben altro per commuoversi e concedere l'ambito riconoscimento: bisogna cercare qualcuno che regga il confronto con il presidente Obama; o, per salire a ritroso, con El Baradai, che ha consentito al regime iraniano di lavorare alla sua bomba atomica, senza subire le fastidiose intromissioni del mondo occidentale; o prima ancora con Jimmy Carter, che presto perderà il poco ambito riconoscimento di peggior presidente democratico statunitense, proprio a vantaggio dell'attuale inquilino della Casa Bianca; o ancora - ci sia consentito l'irriguardoso accostamento - con Yasser Arafat.

domenica 6 ottobre 2013

Rende bene "amministrare" i palestinesi

Come è noto Mahmūd Abbās, meglio noto al mondo occidentale per il nome di battaglia autoassegnatosi di Abu Mazen, è presidente dell'OLP, presidente del partito Al Fatah, nonché dal 2005 presidente dell'autorità nazionale palestinese (organo nato dagli Accordi di Oslo del 1993, e di fatto cestinati e sepolti dai palestinesi negli ultimi dodici mesi). Come ricorda sconsolata Wikipedia, «pur essendo il suo mandato scaduto a gennaio 2009, egli è ancora in carica, poiché ha prorogato unilateralmente la durata del suo mandato in base ad una clausola costituzionale e poi è rimasto al suo posto alla scadenza della proroga». Un despota a tutti gli effetti, inviso al suo stesso popolo, che ha chiarito il proprio orientamento con le elezioni amministrative tenutesi un annetto fa, da cui il partito di Abu Mazen è uscito sonoramente sconfitto. Ma ciò non gli impedisce di mantenere cariche scadute da quasi cinque anni: la necessità di ammassare ricchezza e potere possono ben far derogare ad un supremo principio democratico. D'altro canto, hanno aspettato così tanto tempo, i palestinesi; che non sarà un oltraggio per essi subire un simile congelamento delle istituzioni. E poi, se l'Occidente non ha nulla da obiettare - salvo contestare un giorno sì e l'altro pure il governo legittimamente rinnovato di Gerusalemme; quello sì... - andrà bene per tutti.

giovedì 3 ottobre 2013

Attenzione a raccontare la verità su Abu Mazen

Può costare caro manifestare opinioni sull'impero finanziario della famiglia Abbas, il cui capostipite Mahmoud, meglio noto al mondo occidentale con suo nome di battaglia "Abu Mazen", amministra i territori dell'autorità nazionale palestinese (ANP) pur essendo il termine decaduto da più di quattro anni. Elezioni presidenziali e legislative non si tengono a Ramallah nel timore fondato di perdere il potere: un anno fa sono state tenute elezioni amministrative, che hanno fatto registrare una pesante disfatta di Fatah, il partito di cui Abu Mazen è presidente (non si fa mancare niente: è presidente anche dell'OLP. Un triplo incarico, insomma).
Tutti questi impegni costano fatica, per cui è ragionevole che il povero Abu Mazen, perlomeno quando non è in giro per il mondo, possa dedicarsi ad accantonare qualche sudato risparmio. E se per motivi umani, quasi umanitari, non riesce in prima persona, ecco che demanda il compito ai due figli Yasser (che fantasia: il "Piersilvio" dei territori palestinesi...) e Tarek. Che negli anni devono aver ammassato una discreta fortuna.

Si vede che bramano la pace

La leadership palestinese non sembra granché intenzionata ad accogliere gli inviti al buon senso e alla ragionevolezza. Gli accordi di pace sono il risultato di concessione reciproche; ma a Ramallah e dintorni proprio non ne vogliono sapere. Sorge lo storico sospetto che da parte di Abu Mazen e di chi l'ha preceduto, non vi sia alcun interesse a cessare le ostilità; come d'altro canto è sempre stato. La Guerra dei Sei Giorni fu seguita da inviti al dialogo e al conseguimento nella pace; e nel 2000 e 2007 le proposte israeliane furono vantaggiosissime; al limite dell'autolesionismo. Ma la risposta fu sempre la stessa: no, no e ancora no.
Ma forse vediamo la questione dalla prospettiva sbagliata. La volontà di risolvere definitivamente l'annosa questione arabo-israeliana non la si scorge da queste scaramucce diplomatiche, ma dalla vita quotidiana. Che riserva sorprese impressionanti.

mercoledì 2 ottobre 2013

Il boicottaggio anti-israeliano evapora via

(Post in conflitto di interesse: chi scrive è un felice possessore di apparecchio SodaStream)

Massiccia manifestazione di protesta, qualche giorno fa, nel Regno Unito, nei confronti della israeliana SodaStream, che commercializza il suo fortunato apparecchio per la carbonazione domestica delle bevande in tutto il mondo; Italia compresa. La società israeliana, con sede legale nei pressi dell'aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv, e 13 impianti di produzione in tutto il mondo, è stata al centro dei rumor di borsa qualche mese fa, quando si è vociferato un interesse del colosso statunitense PepsiCo per la maggioranza del capitale. A quanto pare non se n'é fatto più niente, ma le ire dei fanatici del movimento BDS non si sono placate.

lunedì 30 settembre 2013

Facce da coloni

La Guerra dei Sei Giorni, mossa da Egitto, Siria e Giordania nei confronti di Israele nel 1967, si è conclusa il 10 giugno di quell'anno con la riunificazione della capitale Gerusalemme, occupata dalle truppe giordane nel 1948, e con la conquista della penisola del Sinai, poi riconsegnata all'Egitto dopo sottoscrizione di trattato di pace del 1979, e delle Alture del Golan, annesse due anni dopo. Quanto ai territori di Giudea e Samaria, strappati alla Giordania che li aveva occupati nel 1949, e noti anche come West Bank per la circostanza di occupare la parte occidentale del fiume Giordano, essi non hanno mai guadagnato un pieno stato giuridico, dopo la formalizzazione posta in essere dalla Conferenza di Sanremo del 1920 che assegnò queste terre, provenienti dal disfacimento dell'impero ottomano, alla locale popolazione ebraica.
Il tentativo di Gerusalemme di dirimere da subito questa controversia - famosa la dichiarazione di Moshe Dayan, allora ministro della Difesa, che attendeva invano "un colpo di telefono" da parte dei leader arabi - ha sempre trovato il deciso rifiuto degli stati arabi; a partire dai famosi "tre no di Karthoum", dal nome della città dove si tennero gli incontri degli stati arabi belligeranti fra agosto e settembre 1967: no alla pace con Israele, no al riconoscimento di Israele, no a negoziazioni con Israele. La pace era una opzione non presa in considerazione; e quando l'Egitto coraggiosamente (ma inevitabilmente, dopo la disfatta della guerra dello Yom Kippur del 1973) abbandonò le armi, fu punito con l'espulsione dalla Lega Araba. Lo stato di guerra permanente nei confronti di uno stato grande quanto la Puglia è un'opzione inevitabile per regimi antidemocratici, illiberali e spesso brutali e spietati nei confonti della propria popolazione.

venerdì 27 settembre 2013

Medicina senza frontiere

di Claudio Pagliara*

In 65 anni di esistenza, Israele ha raggiunto accordi di pace solo con due Paesi arabi: Egitto e Giordania. Alcuni membri di questo strano – e rissoso – condominio chiamato Medio Oriente si guardano bene dal chiamare lo Stato ebraico col suo nome, nel timore che così facendo ne giustifichino l’esistenza. Preferiscono l’eufemismo disprezzante di ”entità sionista”. Ma in questo buio orizzonte c’è almeno uno sprazzo di luce. I cittadini di questi Paesi si dimostrano più pragmatici dei loro leader. Una spia è il successo che stanno avendo nel mondo arabo i video con istruzioni sanitarie prodotti dalla mutua israeliana. I positivi talk back scritti dai fruitori contraddicono l’ostilità’ dichiarata dei loro leader.

Sei mesi fa Clalit – una delle mutue israeliane – ha postato su YouTube, in ebraico ed arabo, una serie di video educativi su argomenti quali allattamento, maternità , fisioterapia, diagnosi precoce di alcune malattie, ecc. L’iniziativa – che la nostra INPS farebbe bene a copiare – ha avuto un enorme successo: in poco tempo i video hanno superato il milione di click. Dall’analisi dei dati, emerge una relatà sorprendete. Solo 45 mila utenti sono israeliani. La metà, 560 mila, sono sauditi, 168 mila egiziani, 90 mila iracheni, 70 mila marocchini, 65 mila algerini, 42 mila giordani. Persino 11 mila cittadini della Siria dilaniata dalla guerra civile hanno visto i video educativi israeliani.

La stragrande maggioranza del pubblico arabo è stato attratto dal video sull’allattamento. è anche il video che ha ricevuto il più’ grande numero di commenti positivi. Come quello di Fatima: “Grazie per gli utili consigli”. Il Medio Oriente non smette mai di stupire, nel bene come nel male!

*Responsabile dell’Ufficio Rai per il Medio Oriente dal 2003. Riprodotto con il consenso dell'autore.

giovedì 26 settembre 2013

Chi è veramente Rohani?

Non convincono i modi gentili del neopresidente iraniano Rowhani. La barba curata, l'aspetto bonario da docente universitario in pensione, e l'approccio meno rude e cafonesco rispetto al predecessore Ahmadinejad ha colto di sorpresa l'opinione pubblica occidentale, che si era ben abituata ai deliri di Ahmadinejad. Ma la sostanza non cambia. E scavando nel passato del presidente designato de facto degli ayatollah, si hanno conferme sulla cautela giustamente adottata dai paesi più esposti alla minaccia atomica iraniana.
Nel 2003, sotto la presidenza Khatami, Rohani divenne capo negoziatore sul nucleare, e l'anno successivo firmò la sospensione del programma atomico: «sul suolo iraniano non ci saranno mai più centrali per l'arricchimento dell'uranio». Infatti furono spostare nel sottosuolo, disseminate in punti strategici e difficilmente attaccabili. È stato di parola.

martedì 24 settembre 2013

Come combattere le offese

Ce n'é per tutti. L'altro giorno il famigerato Ahmad Tibi, deputato arabo del parlamento israeliano (circostanza che maledettamente toglie molte argomentazioni a chi sostiene che da queste parti vi sia apartheid) e acceso antisionista, sostiene che la presenza di ebrei sul Monte del Tempio di Gerusalemme sia intollerabile per la contaminazione che essi producono ai danni del terzo luogo sacro dell'Islam, dopo la Mecca e Medina, e subito prima di Roma. E pazienza che il Monte del Tempio sia il luogo sacro per eccellenza dell'ebraismo, che da queste parti si trova da qualche secolo prima della comparsa sulla Terra di Maometto...
Dal punto di vista dell'esponente arabo della Knesset, è giusto accogliere i fedeli in visita al Tempio con lancio di sassi e oggetti contundenti da parte di disponibilissimi giovanotti palestinesi. Un modo energico di combattere una manifestazione del proprio credo religioso.

Spiragli di pace in Medio Oriente

Ci sarà mai la pace fra israeliani e palestinesi?
certo, come no.
A Gaza Hamas sfila per la pace. E sembra molto credibile.
Anche i teneri, innocenti bambini hanno negli occhi la normalità e la spensieratezza.
E i genitori fanno di tutto per coltivare questi valori.
C'è da essere fiduciosi nel futuro. La pace si coltiva ogni giorno e queste immagini ne sono la prova.

lunedì 23 settembre 2013

Alla Apple non conoscono la geografia

Dov'é Ittoqqortoormiit? non lo sa nessuno. Ci sono pochi dubbi sulla collocazione geografica e politica di Jakarta (Indonesia), o di Johannesburg (Sudafrica), ma la città dal nome impronunciabile citata è situata in Groenlandia: lo afferma con sicurezza il nuovo sistema operativo (iOS7) della Apple, che elenca le città di tutto il mondo per consentire i settaggi internazionali. Salvo rimediare una magra figura quando deve collocare Gerusalemme: non sa dove sia.
Alcuni fanno oggi ancora confusione, indicando in Tel Aviv anziché Gerusalemme come capitale dello stato ebraico. L'occupazione giordana, proceduta ininterrottamente dal 1948 fino alla Guerra dei Sei Giorni del 1967, ha inciso significativamente sui libri scolastici di storia e geografia, se è vero che molti anziani appaiono in tal modo confusi. Eppure la sede del governo israeliano è a Gerusalemme, qui si svolge l'attività legislativa della Knesset, il parlamento israeliano; e sempre qui risiede la Corte Suprema di Giustizia, la Banca Centrale di Israele e la maggior parte dei ministeri. Non dovrebbe essere così difficile stabilire in quale stato si collochi Gerusalemme.

domenica 22 settembre 2013

Urge una immediata riforma dell'UNRWA

di Timon Dias*

Secondo un recente studio, il popolo palestinese ha ricevuto, in termini reali aiuti pari a 25 volte quelli ricevuti dagli europei delle nazioni devastate dalla II Guerra Mondiale sotto il Piano Marshall. Secondo lo studio, la maggior parte di questi fondi sono stati veicolati verso il popolo palestinese tramite la United Nations Relief and Work Agency for Palestine Refugees in the Near East (UNRWA). Si tratta dell’unica agenzia delle Nazioni Unite concepite specificatamente per una sola popolazione; l’unica che definisce come rifugiati coloro che hanno vissuto per almeno due anni in una specifica area nel momento in cui è scoppiata la guerra arabo-israeliana del 1948. E si tratta anche dell’unica agenzia che identifica i discendenti degli originari rifugiati come anch’essi rifugiati, sebbene il 90% di quelli che l’UNRWA originariamente definì come tali che non si sono mai allontanati dal luogo di origine.
L’UNRWA, inoltre, viola la convenzione dei rifugiati dell’UNHCR, continuando a considerare rifugiati due milioni di persone (il 40% dei beneficiari delle erogazioni dell’UNRWA) che godono di piena cittadinanza in Giordania, Siria e Libano, incoraggiando loro oltretutto a pretendere un fantomatico “diritto al ritorno”.

mercoledì 18 settembre 2013

Israele corre in soccorso della Striscia di Gaza

Stretta sempre più d'assedio dall'esercito egiziano, che chiude ripetutamente il valico meridionale di Rafah, malmena i pescatori locali, distrugge e allaga i tunnel clandestini, e occupa porzioni sempre più ampie del territorio palestinese per prestunte "ragioni di sicurezza"; e oppressa dal regime oscurantista di Hamas, che ha fatto ormai terra bruciata attorno a se', ignorata dai Fratelli Musulmani prima della loro defenetrazione, e abbandonata da tutti gli stati arabi vicini (con la significativa ma sterile eccezione del Qatar); la Striscia di Gaza conta sempre più sull'aiuto umanitario insperato di Israele.
Il piccolo stato ebraico ha disposto un blocco navale al largo delle coste di Gaza nel 2007, con l'avvento al potere dopo sanguinoso colpo di stato da parte dei fondamentalisti islamici. Questo provvedimento, legittimo sul piano del diritto internazionale (lo certifica il rapporto ONU della Commissione Palmer), ha prevenuto l'arrivo a Gaza di armi e munizioni via mare, senza per ciò pregiudicare le attività marittime e di pesca della popolazione gazana. Non ha evitato ovviamente il contrabbando di armi tramite la penisola del Sinai e i tunnel clandestini scavati dai terroristi fra l'Egitto e la Striscia; ma ciò non ha mai impedito la collaborazione sanitaria, umanitaria e di supporto alla vita di tutti i giorni da parte di Gerusalemme.

martedì 17 settembre 2013

Il regno di Giordania non si vende al Qatar

Notizia passata inosservata (anzi: non pubblicata, in Italia. Siamo affetti da "benaltrismo": abbiamo ben altro a cui pensare). Il Qatar (proprietario di Al Jazeera, del Paris Saint Germain, di Harrod's, sponsor del Barcellona, organizzatore dei Mondiali di Calcio 2022, eccetera) ha offerto centinaia di milioni di dollari al Regno di Giordania affinché ospitasse la sede ufficiale di Hamas.
Hamas è un'organizzazione terroristica palestinese che fino ad un paio di anni fa risiedeva non a Gaza, che pur governa; ma in Siria. Poi il genocidio di Assad, con migliaia di palestinesi trucidati, ha convinto gli estremisti a smontare le tende, trovando sede temporanea prima nello stesso Qatar, e poi in Egitto.
Siccome tutti simpatizzano per i terroristi, ma nessuno è disposto a tenerseli in casa, Hamas è ancora alla ricerca di una sede. E siccome la Corea del Nord è troppo lontana, il Venezuela pure, e in Iran non tutti i gerarchi sono d'accordo nell'andarvi, si sono rivolti ai generosi finanziatori qatarioti; che hanno formulato la proposta al re di Giordania. Il quale ha sdegnatamente rifiutato.

giovedì 12 settembre 2013

L'assedio della Striscia di Gaza

La Striscia di Gaza è sotto un crudele assedio, che non tiene conto delle esigenze di base della popolazione. Ma il mondo rimane indifferente. Già sotto la presidenza dell'ora deposto Morsi, l'esercito egiziano ha iniziato un'opera di distruzione e di allagamento dei tunnel clandestini. Ora il confine è stato sigillato, e non si sa quando sarà riaperto. Sull'altro fronte, lo stato di Israele consente il transito di persone e mezzi verso la Striscia di Gaza, a cui fornisce elettricità e acqua, malgrado sia definito "entità ostile". Ecco tutta la verità su Gaza assediata.

Negli ultimi mesi l'assedio di Gaza è diventato più asfissiante. È quasi impossibile fare impresa, i movimenti dei civili sono stati limitati drasticamente e le varie possibilità di interscambio con l'esterno prima presenti sono state annullate. Il ministro degli Esteri di Hamas Razi Hamed ha affermato che «Gaza è diventata una gigantesca prigione».