giovedì 5 dicembre 2013

La verità sulla crisi energetica nella Striscia di Gaza

L'antefatto: Amnesy International (l'omissione di una consonante non è da giudicarsi necessariamente un refuso) ha sempre avuto un atteggiamento parziale e tutt'altro che obiettivo nei confronti di Israele. Priva di equilibrio, sforna rapporti in cui immancabilmente colloca sul banco degli imputati lo stato ebraico, sebbene Gerusalemme non evidenzi alcuna responsabilità.
Da tempo Hamas a Gaza importa il combustibile egiziano per far girare le proprie centrali elettriche. Poiché il regime di Mubarak sussidiava massicciamente le fonti di energia per smorzare le tensioni sociali, è sempre convenuto all'enclave palestinese approvvigionarsi dal vicino Egitto; specie quando al Cairo sono saliti al potere i Fratelli Musulmani, di cui Hamas è una specie di succursale.
Oltretutto, il combustibile egiziano entrava nella Striscia in larga misura attraverso il migliaio di tunnel illegali scavati sotto al confine: il che consentiva all'organizzazione terroristica islamica di praticare una lucrosa cresta. Le offerte israeliane di fornire combustibile sono state considerate un affronto: per la provenienza "sionista", e soprattutto praticamente perché il prezzo internazionale impediva ad Hamas di guadagnarci sopra, a discapito della popolazione palestinese. Dal 2011 in poi Hamas ha fatto girare le centrali elettriche solo con il petrolio egiziano, e dall'Egitto è provenuto il carburante che ha alimentato il parco macchine circolante nella Striscia.
La caduta in disgrazia dei Fratelli Musulmani al Cairo ha scompaginato le carte. Anziché accettare i combustibili israeliani, Hamas ha giocato sporco, spegnendo le centrali elettriche e danneggiando gravemente le infrastrutture civili locali (impianti di depurazione e fogne) e nuocendo alla popolazione. Il ragionamento era cinico: gli stati arabi avrebbero subito gli strali dell'opinione pubblica internazionale per la grave situazione di crisi in cui avrebbe versato la Striscia: pressati dal mondo indignato, Egitto, Qatar e altri stati arabi sarebbero interventi con sollecitudine, fornendo carburante a basso costo ai terroristi di Hamas.
È andata diversamente. Stando ad Amnesty International, le colpe della grave crisi energetica palestinese ricadrebbero su Israele. Un'affermazione rocambolesca, provocatoria e in malafede (difficile credere ad ignoranza). Lo stato ebraico è sempre stato disposto a trasferire a Gaza petrolio, gasolio e altri combustibili; ma Hamas da due anni rifiuta cocciutamente. Il valico di Kerem Shalom è tecnicamente attrezzato per questo scopo; ma i terroristi palestinesi non acconsentono.

Il blog Elder of Ziyon ha contattato Amnesty International (AI) per sollecitare una doverosa precisazione. Ne è risultata una discussione estremamente istruttiva, e che getta una luca oscura sull'organizzazione non governativa che dovrebbe avere un atteggiamento sinceramente impegnato nella difesa dei diritti umani. Così non è, purtroppo. Questo carrozzone si rivela un veicolo di odio, propaganda e disinformazione. Pazienza per i palestinesi; purché Israele sia collocata sotto una cattiva luce.
Qui di seguito, la traduzione della trascrizione della conversazione avvenuta fra EoZ e Deborah Hyams, impiegata di AI e responsabile delle relazioni con i media.

Hyams mi ha spiegato che il comunicato stampa di AI era finalizzato non solo a discutere l'attuale esasperazione della crisi energetica a Gaza in essere dall'inizio di novembre, ma anche a discutere la lunga storia di restrizioni e vincoli israeliani alle esportazioni verso Gaza, in modo da evidenziare le "radici profonde" del problema; secondo la prospettiva di AI.
Quando ho chiesto nello specifico perché AI sollecita la rimozione delle restrizioni sul carburante, quando in effetti non sussiste alcuna restrizione, ella ha risposto che le restrizioni sarebbero previste soltanto per alcuni specifici tipi di combustibile. Nello specifico, il rifiuto di Israele di fornire carburante ad uso industriale indurrebbe Hamas ad approvvigionarsi di gasolio illecitamente, mediante i tunnel scavati al confine con l'Egitto. Pur ammettendo che il diverso prezzo è un fattore rilevante.
Le ho spiegato che Hamas ha riconvertito gli impianti per alimentarli con il gasolio egiziano, perché non intendevano rifornirsi da Israele. E che quando i Fratelli Musulmani sono saliti al potere, essi hanno erroneamente ritenuto di poter accedere ad una fonte di energia illimitata e a basso prezzo.

Hyams ha insistito nel sostenere che Israele praticherebbe delle restrizioni sul gasolio ad uso industriale. Ma ciò non corrisponde al vero, e le ho fatto presente che sono al corrente dei rapporti del COGAT degli ultimi due anni, in cui è documentato il rifiuto di Hamas di ricevere il combustibile che Israele sarebbe stato disposto a pompare. Ho già documentato come Israele abbia fornito gasolio a Gaza sin dal 2009.
Ho fatto presente che, anche se quanto AI afferma fosse vero, l'attuale crisi non ha nulla a che fare con Israele: è Hamas a rifiutarsi di pagare il combustibile ai prezzi di mercato, sulla base del protocollo di intesa stilato fra Gerusalemme e l'Autorità Palestinese. Ancora una volta ha negato, sostenendo che la disponibilità a singhiozzo di carburante debba essere collocato in una prospettiva storica e che Israele sarebbe tenuto ad fornire combustibile in quanto stato occupante. Sebbene sappia che Gaza non sia occupata da Israele (dal 2005, NdT); la posizione ufficiale di Amnesty è contraria (nel passato abbiamo discusso questa posizione di assoluta ipocrisia).


Ho fatto ulteriore pressione, argomentando che il comunicato stampa chiaramente cerca di guadagnare una posizione di vantaggio nell'ambito di una crisi che Israele non ha provocato, ma la risposta ha ignorato tutte le altri parti coinvolte. Ha ammesso che la causa scatenante è stata la distruzione dei tunnel da parte dell'esercito egiziano (il che non è neanche completamente vero, perché ciò è occorso durante l'estate, mentre Hamas ha deciso di non pagare più le imposte all'Autorità Palestinese ad ottobre). Tuttavia, questo comunicato stampa è servito ad AI per accusare Israele di una responsabilità nelle difficoltà di Gaza.
La conversazione aveva un tono surreale. Hyams non lo ha ammesso esplicitamente, ma in effetti ha riconosciuto che l'attuale crisi dello smaltimento delle fogne e del trattamento delle acque, è stato un pretesto adottato da AI per attirare l'attenzione pubblica, scagliandosi contro Israele. AI ha menzionato altri responsabili, alla fine del comunicato stampa e in modo molto blando; ma soltanto dopo diversi capitoli in cui ha demonizzato Israele, al quale ha ricondotto le responsabilità della crisi.

Dopo questa conversazione telefonica ho contattato Guy Inbar del COGAT, chiedendo se mai vi fossero restrizioni di sorta nei carburanti che possono entrare a Gaza: che siano ad uso industriale, o civile, o per il trasporto, o altro. La sua risposta è stato un inequivocabile «No».
E Deborah Hyams è parte del problema. Come ha documentato NGO Monitor, Deborah Hyams vanta una lunga e triste storia di attivismo radicale anti-israeliano:



- nel 2001, Hyams si offrì come scudo umano a Beit Jala, vicino Betlemme, per dissuadere l'esercito israeliano dal rispondere ai ricorrenti attacchi che bersagliavano le famiglie di Gerusalemme;
- Hyams adotta un linguaggio che demonizza sistematicamente Israele: nel 2008 ha sottoscritto assieme ad altri una lettura che accusa lo stato ebraico di essere «fondato sul terrorismo, sui massacri e sullo spossessamento di terre». Hyams ha anche affermato nel 2002 che «alcune delle azioni di Israele, sin dal 1948, possono essere considerate "pulizia etnica"».
- In un articolo del Jewish Week di Washington, Hyams dichiara che benché biasimi gli attentati suicidi, ritiene personalmente che essi rappresentano «una risposta all'occupazione». In un altro passaggio prende le difese del terrorismo, sostenendo che «l'occupazione è violenza... e conseguentemente ciò produce violenza» (ai danni di Israele).
- Hyams ha lavorato per alcune delle organizzazione più radicali e schierate nel conflitto arabo-israeliano: inclusi l'Alternative Information Center (AIC),il Jews for Justice in Palestine and Israel (JPPI),la Rachel Corrie Foundation, e l'agenzia Ma’an. Ciascuna di queste organizzazioni dovrebbe essere stigmatizzata da AI.

È chiaro che in Medio Oriente AI è rappresentata da persone che hanno finalità anti-israeliane. La tutela dei diritti umani è messa da parte per promuovere una campagna stampa quotidiana di diffamazione di Israele.

Nessun commento:

Posta un commento