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venerdì 1 maggio 2015

Le acrobazie della BBC sui "territori occupati"

Che magnifica equidistanza ostenta la Multinazionale britannica dell'informazione! Per non correre rischi di ingenerare inopportuni equivoci, la BBC mette a disposizione dei suoi giornalisti e corrispondenti un'agile guida, con cui si specifica il lessico da adottare, le etichette da appiccicare, e le consuetudini da promuovere, nella descrizione delle controversie geopolitiche. Così, quando si tratta del West Bank, il bravo giornalista deve sempre menzionare la circostanza che trattasi di "territori occupati" (da Israele, s'intende), che la circostanza subisce la censura del diritto internazionale, che è irrilevante che l'occupazione sia il risultato di una legittima guerra difensiva, che Gerusalemme abbia tentato più volte di disfarsi di uno scomodo West Bank senza successo («No, no e no», fu la risposta seccata della Lega Araba a Khartum meno di tre mesi dopo la fine delle ostilità), che prima del 1967 Giudea e Samaria erano occupati questa volta illegalmente dalla Giordania senza che alcuno abbia mai formulato una rivendicazione. Persino i quartieri orientali della capitale israeliana ("Gerusalemme Est") sarebbero "occupati", secondo gli standard della BBC.
Onde non ingenerare il sospetto di partigianeria, la Guida Stilistica dell'emittente britannica raccomanda di non indugiare nella redazione del testo sull'occupazione del West Bank: «si ingenererebbe il sospetto di partigianeria a favore di una parte». Per carità.

giovedì 25 luglio 2013

L'occupazione di cui in pochi parlano

Si sente molto discutere di "occupazione", di questi tempi. Il segretario di Stato americano John Kerry sta facendo del suo meglio per convincere i leader palestinesi a riprendere a dialogare di pace con Israele; ma essi chiedono che i negoziati si basino sulle linee armistiziali del 1949.
Di recente l'Unione Europea ha rilasciato le linee guide per gli investimenti per i 28 stati membri. Anche di questo si è parlato molto negli ultimi tempi. Ecco cosa ha riferito l'agenzia France Press: «le linee guida vietano di intraprendere relazioni o finanziare entità israeliane che si collochino al di là della cosiddetta Green Line del 1967: vale a dire, nel West Bank, a Gerusalemme est, a Gaza e sulle Alture del Golan. Esse esplicitamente prevedono che ogni futuro accordo preveda che queste zone non siano parte dello stato ebraico. Ciò crea un dilemma per Israele: continuare ad occupare il West Bank, a rischio di compromettere le relazioni con la comunità internazionale (per non parlare dei rapporti commerciali); o disimpegnarsi appieno».

lunedì 12 settembre 2011

Cosa si nasconde dietro i toni forti di Erdogan

Ankara sta per mandare tre navi da guerra nel Mediterraneo Orientale "per proteggere future spedizioni a Gaza, e per assicurare la navigazione in acque internazionali alle navi turche".
Aumenta dunque la retorica del governo di Erdogan. Insoddisfatto della risposta dell'ONU, che ha dichiarato legale e legittimo il blocco navale israeliano al largo delle coste di Gaza, con cui si impedì l'anno scorso l'attracco della Freedom Flottilla; non pago del rincrescimento di Gerusalemme, non accompagnato da scuse formali e consistenti indennizzi per le famiglie dei militanti turchi rimasti uccisi nello scontro con l'IDF; Erdogan aumenta ulteriormente i toni e minaccia di inviare presto tre navi da guerra nel Mediterraneo Orientale. Ufficialmente per proteggere future (eventuali) missioni umanitarie a Gaza, malgrado il rapporto Palmer abbia precisato che non vi sia alcuna emergenza umanitaria. Ed inoltre, per proteggere la navigazione delle navi turche "nelle acque internazionali".



Adesso tutto si chiarisce. La Turchia vuole mettere le mani su fonti di energia su cui non può vantare alcun diritto!
Il fatto è che alla fine del 2010 è stato rinvenuto un enorme giacimento di gas naturale proprio nel Mediterraneo Orientale; in parte in acque territoriali israeliane, in parte in acque internazionali, in parte in acque territoriali cipriote. Si tratta di uno dei più grandi rinvenimenti off-shore dell'ultimo decennio. La Turchia non può vantare alcuna aspirazione a questi giacimenti. Se non fosse che da quasi quarant'anni occupa la parte nord-orientale di Cipro, stato membro dell'Unione Europea, in spregio al diritto internazionale. La "Repubblica Turca di Cipro del Nord" non è riconosciuta da alcuno stato al mondo, eccezion fatta per la stessa Turchia. Che pertanto in ragione di questa occupazione vanta crediti e diritti nei confronti dei giacimenti di gas rinvenuti in parte al largo delle coste cipriote.
Il giacimento rappresenta un valore potenziale di decine di miliardi di dollari, e farebbe di Israele - per la parte di sua competenza - un esportatore netto di energia, potendosi così affrancare dalle costose e ora rischiose importazioni dall'estero. Per inciso questa energia - pulita - farebbe comodo anche all'Italia, costretta ad importare petrolio da Iran e Siria per l'embargo ONU sul greggio libico.
Questo spiega l'ulteriore prova retorica nazionalista del governo di Erdogan, e chiarisce la posizione ufficiale del governo di Gerusalemme, che su questa questione non transige, al punto da dichiarare che è pronta sin d'ora a difendere con tutti i mezzi i giacimenti in questione.
Ci si chiede quale sarà la posizione degli Stati Uniti nel momento in cui Israele - suo alleato storico - dovesse incrociarsi militarmente con la Turchia, membro della NATO. Erdogan sarà prossimamente in Egitto per una visita che verosimilmente servirà a stringere ulteriormente i legami con il regime provvisorio del Cairo che presto cederà il testimone ad un governo influenzato dall'integralismo dei Fratelli Musulmani. L'Egitto è in pace con Israele ufficialmente dal 1979, dopo aver sottoscritto il Trattato di pace a Camp David.