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mercoledì 30 novembre 2016

L'improbabile "diritto al ritorno" millantato dai palestinesi

Famiglia ebrea residente in Iran nel 1880 circa

Secondo le Nazioni Unite, nel 1948 si contavano circa 710 mila arabi che lasciarono il neonato Israele o furono indotti a farlo in conseguenza dello scoppio della Guerra di Indipendenza (seguita all'attacco degli stati arabi che rifiutarono la risoluzione ONU che dava vita a due stati - uno ebraico e uno arabo - in luogo della Palestina mandataria britannica, NdT). All'epoca - siamo immediatamente dopo la cessazione delle ostilità del secondo conflitto mondiale, c'erano circa 50 milioni di rifugiati in tutto il mondo. Ma tutti, nel tempo, trovarono una nuova dimora. Al contrario la questione palestinese, grazie al contributo onusiano, è peggiorato nel tempo, e oggi si calcolano ben 5 milioni di palestinesi che rivendicano lo stato di rifugiato.

sabato 28 febbraio 2015

La questione dei rifugiati palestinesi

Lei è una rifugiata palestinese del campo profughi di Jabalya, nella Striscia di Gaza. Questo foto è stata scattata al funerale di suo zio, membro delle Brigate dei Martiri di Al Aqsa (braccio armato di Al Fatah, NdT), colpito dall'aviazione israeliana.
Non si può negare la rabbia e la frustrazione che avranno motivato suo zio. Nessuno può negare che i rifugiati palestinesi a Gaza e nel West Bank, in Libano e in Siria stiano soffrendo. Ma chi vuole risolvere la crisi dei rifugiati, deve prima realizzare come questa gente ha conseguito lo stato di profugo, e cosa stia perpetuando oggi le loro sofferenze.
Definiamo anzitutto il termine "rifugiato". Secondo le Nazioni Unite un rifugiato è una persona che «manifestando il fondato timore di essere perseguitato, si trovi al di fuori dello stato di sua nazionalità». Come fa la gente a diventare rifugiato? Diventano rifugiati a causa di guerre e conflitti, in conseguenza dei quali la gente è spostata con la forza, o fugge dal pericolo.


Mia nonna divenne profuga, fuggendo dalla Romania dopo la Seconda Guerra Mondiale. Per tre anni non ebbe alcun domicilio permanente, ma alla fine trovò ospitalità in Israele nel 1948, e al pari di altre centinaia di migliaia di rifugiati ebrei, trovò dimora definitiva nello stato ebraico.
Occupiamoci dunque dei rifugiati palestinesi. Ci sono due orientamenti che intervengono a tal proposito. Il presidente dell'Autorità Palestinese Mahmoud Abbas ha scritto un editoriale nel 2011 sul New York Times, in cui sosteneva che dopo il voto di partizione delle Nazioni Unite del 1947, con cui si istituiva uno stato ebraico e uno stato arabo, «le forze sioniste espulsero gli arabi palestinesi per garantirsi una maggioranza ebraica decisiva nel futuro stato di Israele, e a quel punto intervennero gli eserciti arabi. Seguirono guerra e ulteriori espulsioni». In parole povere, ciò che afferma è che gli ebrei espulsero i rifugiati palestinesi, gli eserciti arabi intervennero in difesa di essi, e la guerra che seguì è responsabilità di Israele.

mercoledì 17 settembre 2014

L'elisir di eterna giovinezza palestinese

Nella versione internazionale del New York Times, i rifugiati palestinesi sembrano aver bloccato il processo di invecchiamento. I palestinesi che abbandonarono o furono espulsi da Israele nel 1948 resteranno per sempre giovani. O così sembra, leggendo l'articolo apparso sulla versione in edicola dell'The International New York Times. Questi rifugiati, che oggi avranno non meno di 66 anni, sono gli avi dei bambini che studiano nelle scuole elementari di Gaza. Qui al lato l'articolo contenente lo strafalcione.
Ci sono due evidenti errori nell'affermazione riportata. Anzitutto, l'articolo forse intendeva parlare di «nipoti e pronipoti dei palestinesi che lasciarono Israele o ne furono espulsi». Difatti, in un'altra versione dell'articolo, apparsa precedentemente sul NY Times, si parla correttamente di «discendenti dei palestinesi che furono espulsi o che lasciarono Israele e il West Bank».
È impossibile che i genitori di studenti di età compresa fra 5 e 14 anni abbiano lasciato in qualche modo Israele nel 1948.
Se i genitori fossero vivi nel 1948, oggi avrebbero almeno 66 anni. Evidentemente, i genitori dei bambini che frequentano le scuole dell'obbligo palestinesi non hanno una simile età.

lunedì 19 maggio 2014

Che brutta giornata, per i palestinisti...

È un brutto momento per i "palestinisti"; insomma, non per i palestinesi in quanto tali, che non da oggi devono subire un regime intento più ad autoperpetrarsi e a tendere ad Occidente il braccio con il palmo della mano rivolto verso l'alto, che non a impiegare l'oceano di liquidità su cui galleggiano per risolvere i problemi della popolzione; ma per tutti quelli che ammiccano, adulano e sponsorizzano questo mondo. Ilblogdibarbara ha proposto un interessante testo, che documenta le conseguenze nefaste e le distorsioni al sistema provocati degli "aiuti finanziari" alle popolazioni dell'Africa. Non si fa fatica a credere che l'approccio paternalistico adottato dal Dopoguerra ad oggi nei confronti della questione dei "profughi" palestinesi - nel frattempo moltiplicatisi dai 500 mila originari ai 5-6 milioni di oggi - abbia esacerbato la questione, anziché risolverla. Ma stiamo sul leggero...

domenica 22 settembre 2013

Urge una immediata riforma dell'UNRWA

di Timon Dias*

Secondo un recente studio, il popolo palestinese ha ricevuto, in termini reali aiuti pari a 25 volte quelli ricevuti dagli europei delle nazioni devastate dalla II Guerra Mondiale sotto il Piano Marshall. Secondo lo studio, la maggior parte di questi fondi sono stati veicolati verso il popolo palestinese tramite la United Nations Relief and Work Agency for Palestine Refugees in the Near East (UNRWA). Si tratta dell’unica agenzia delle Nazioni Unite concepite specificatamente per una sola popolazione; l’unica che definisce come rifugiati coloro che hanno vissuto per almeno due anni in una specifica area nel momento in cui è scoppiata la guerra arabo-israeliana del 1948. E si tratta anche dell’unica agenzia che identifica i discendenti degli originari rifugiati come anch’essi rifugiati, sebbene il 90% di quelli che l’UNRWA originariamente definì come tali che non si sono mai allontanati dal luogo di origine.
L’UNRWA, inoltre, viola la convenzione dei rifugiati dell’UNHCR, continuando a considerare rifugiati due milioni di persone (il 40% dei beneficiari delle erogazioni dell’UNRWA) che godono di piena cittadinanza in Giordania, Siria e Libano, incoraggiando loro oltretutto a pretendere un fantomatico “diritto al ritorno”.

mercoledì 21 agosto 2013

Gonfiato il numero dei "rifugiati" palestinesi


Secondo le stime ufficiali, la guerra fra Israele e stati arabi del 1948-49 ha prodotto circa 711 mila rifugiati arabi palestinesi. Per mettere questo dato in prospettiva, si consideri che dal 1948 all'inizio degli anni Settanta si contano circa 850 mila rifugiati ebrei, in uscita dagli stati arabi.
Un pertinente documento dell'assemblea generale delle Nazioni Unite, datato 23 ottobre 1950, così si esprime a proposito del problema dei rifugiati palestinesi: «la stima degli esperti di statistica, ritenuta attendibile, indica che i rifugiati in uscita dai territori controllati dagli israeliani, ammonti a circa 711.000 unità».
Se da un lato si stima che qualcosa come 30-50 mila arabi palestinesi siano ancora viventi, rispetto a questo dato; la UNRWA (United Nations Relief and Works Agency) consente a figli, nipoti, pronipoti e discendenza all'infinito dei rifugiati effettivi di continuare a fregiarsi di tale titolo. Per cui, sulla base di questa pratica (unica al mondo: in nessun altro stato al mondo i discendenti dei rifugiati conservano lo status dei loro genitori, NdT), si calcolano oggi ufficialmente 4.9 milioni di palestinesi che possono vantare la condizione di "rifugiato", accedendo ai relativi benefici.

lunedì 22 aprile 2013

UNRWA, il nemico dei palestinesi

C’è un’Agenzia ONU che non è mai in crisi, un’agenzia costantemente sommersa di dollari, che si occupa di un gruppo esclusivo di rifugiati, nati e cresciuti nei loro luoghi di residenza, in alloggi e non in tende. Rifugiati che spesso hanno un lavoro e un reddito, che hanno regolare accesso alla sanità pubblica e all’istruzione. Ma qual è questa Agenzia prospera dal miliardo di dollari l’anno? Ma è l’UNRWA è ovvio! E i profughi sono quelli che non sono più tali da cinquant’anni: i “profughi” palestinesi. La Siria è distrutta, i siriani non hanno da bere acqua fresca, ma l’Unrwa non se ne preoccupa, loro “servono” esclusivamente i Palestinesi.
L’Unrwa, come sappiamo, è quell’organismo incaricato, dal 1948, di assegnare lo status di rifugiato a tutti i discendenti di quei Palestinesi che lasciarono Israele durante la prima guerra di aggressione sferrata contro lo Stato ebraico. Bastava aver risieduto due mesi in Eretz Israel per aver diritto ad uno status da lasciare in eredità ai propri figli e ai figli dei figli. Cosi’, quelli che nel 1949 non arrivavano a 700.000 unità, ora sono diventati cinque milioni. Neanche uno dei rifugiati originari è stato mai reinsediato dall’Unrwa. Secondo la sua definizione, i profughi rifugiati rimangono tali anche dopo l’acquisizione della cittadinanza di un altro paese.

Continua a leggere su Bugie dalle gambe lunghe.

mercoledì 14 novembre 2012

Salvate i palestinesi dagli arabi!

E' motivo di tristezza constatare la difficile condizione in cui versano i rifugiati palestinesi nei paesi arabi. Siria, Libano, Egitto; lo stesso West Bank da decenni "ospitano" i discendenti - figli, nipoti e pronipoti - degli arabi che nel 1948 furono persuasi dagli stati confinanti con Israele, a lasciare lo stato ebraico, con la promessa che vi sarebbero tornati, più ricchi, una volta vinta la guerra che le potenze arabe si accingevano a scatenare contro il neonato stato. Le cose purtroppo per loro andarono diversamente. Ma per fortuna di una ipertrofica burocrazia, i rifugiati palestinesi sono diventati una fonte inesauribile di prebende, posti di lavoro, potere e ricchezza. Al punto da creare una agenzia specifica dell'ONU, diversa da quella istituita per gestire tutte le altre spinose situazioni simili.
E mentre i rifugiati di tutto il mondo - inclusi i 700 mila ebrei residenti nei paesi arabi, che furono brutalmente espulsi da stati in cui erano pienamente e attivamente integrati - si inserivano in nuove realtà, e diventavano cittadini di un nuovo stato a partire dalla prima discendenza; i rifugiati palestinesi sono rimasti tali per generazioni: gli stati ospitanti non hanno mai fornito loro la cittadinanza. Peggio: li hanno sempre trattati con disprezzo, negando i basilari diritti civili. Costretti in luridi campi profughi, privi della possibilità di accedere a lavori e a vantare qualsiasi diritto, i rifugiati palestinesi sono stati impiegati dalle nazioni arabe come arma di pressione contro il vicino Israele, dove gli arabi rimasti godono viceversa di tutti i diritti (incluso l'elettorato attivo e passivo).
L'Occidente si è reso complice di questo maltrattamento. Voltandosi dall'altro lato, ha concesso generosi finanziamenti alle istituzioni sovranazionali incaricate di gestire una situazione inizialmente provvisoria. Ma i nodi stanno venendo al pettine: i fondi scarseggiano, e l'UNRWA ha lanciato il suo grido di dolore. Del tutto inascoltato da chi prima di altri dovrebbe risultare sensibile: gli stati arabi, che negano ulteriori fondi. Mentre l'Europa ha già la sua crisi da risolvere...


Fonte: Elder of Ziyon*

Di recente il Commissario Generale dell'UNRWA Filippo Grandi ha fornito un discorso appassionato ad una sotto-commissione ONU circa la condizione critica in cui versano i rifugiati arabi palestinesi, e su quanto sia importante che l'UNRWA sia dotata di nuovi fondi. Nascosto fra le pieghe del discorso, Grandi a malincuore ha ammesso che le nazioni arabe hanno discriminato i rifugiati siriani di origine palestinese. Da notare la sua riluttanza ad ammettere esplicitamente quello che gli stati arabi stanno facendo, e la cautela nel criticarli per aver di fatto gettato i confratelli sotto un treno:
«Nell'ambito del Piano Regionale di Risposte, l'UNRWA chiede altresì 10 milioni di dollari per assistere i rifugiati palestinesi che stanno abbandonando la Siria per dirigersi in Giordania e Libano: allo stato attuale, rispettivamente 1600 e 8000 persone. La loro situazione, difficile come quella di tutti i profughi siriani, è aggravata dalla situazione preesistente. Malgrado il numero ristretto, la loro condizione critica tristemente conferma che, a prescindere da quanto tempo vivano negli stati ospitanti e quanto confortevolmente vi abbiano vissuto, essi restino estremamente vulnerabili ed esposti allo shock della crisi.
Apprezziamo molto che gli stati confinanti con la Siria ancora una volta si siano sobbarcati questo onere, ancora una volta senza il contributo internazionale. Voglio ricordare che i rifugiati palestinesi che abbandonano la Siria in cerca di una protezione temporanea, sono esposti agli stessi rischi e pericoli degli altri profughi. Purtroppo, però, l'UNRWA è al corrente di diversi casi di palestinesi a cui è stata negata questa protezione. Mi appello ancora una volta agli stati confinanti affinché sia rispettato un criterio umanitario nel trattare questi casi, senza distinguere fra diverse categorie di rifugiati, evitando qualunque maltrattamento fino a quando la crisi siriana sarà risolta».

Quello che sappiamo con certezza, è che Giordania e Libano, se da un lato hanno accettato molti profughi siriani, dall'altro stanno respingendo quelli di origine palestinese in Siria, dove affronteranno un futuro incerto, se non la morte. Quello che il Commissario non dice esplicitamente è che molti altri palestinesi scapperebbero dalla Siria, se fossero sicuri che Giordania e Libano accogliessero loro; ma così non è, evidentemente.
Grandi usa una enorme cautela per non inimicarsi le nazioni arabe, che stanno maltrattando le persone che egli desidererebbe proteggere.
Non è il momento di analizzare la situazione sotto una differente prospettiva? Nello specifico, l'UNRWA dovrebbe ritornare al suo mandato originario di integrare gli arabi palestinesi negli stati ospitanti.
Ho appena scoperto un documento, scritto da Lance Bartholomeusz, responsabile della divisione Diritto Internaizonale dell'UNRWA in occasione del 60esimo anniversario dele 2010. E' davvero sconvolgente, perché ammette che l'UNRWA ha un mandato di ricollocare i rifugiati: qualcosa che ha smesso di fare da tempo.

* Continua a leggere su Elder of Ziyon.

giovedì 18 ottobre 2012

Palestinesi: in Israele c'è lavoro (e sesso) per tutti!

La repubblica israeliana ha di recente visto confermato il suo merito di credito da parte delle agenzie di rating americane. E' l'unico stato occidentale ad aver beneficiato di un upgrade nel rating negli ultimi cinque anni. Esempio di democrazia, di crescita economica, di benessere diffuso, di progresso civile e tecnologico, di un sistema giudiziario che funziona egregiamente (al punto da mettere sul banco degli imputati un ex presidente della repubblica ed un ex primo ministro). Insomma, un esempio per il resto del Medio Oriente. Forse è anche per questo che il mondo arabo manifesta nei suoi confonti una crescente verbosità, se non vera e propria aggressività.
Non che l'Occidente faccia qualcosa per mitigare questi sentimenti. L'UNRWA, l'agenzia speciale dell'ONU per i "rifugiati" (e relativi discendenti) palestinesi si è vista opporre un secco rifiuto da parte dei docenti giordani, davanti alla proposta di introdurre nei corsi di insegnamento la tragedia immane dell'Olocausto: «danneggerebbe la causa palestinese, e altererebbe la visione degli studenti circa il principale nemico: l'occupazione israeliana», è stata la sconcertante risposta di un corpo docente, pagato dall'Occidente, e al servizio di 122 mila studenti frequentanti le 172 scuole presenti in una diecina di campi profughi in Giordania. L'UNRWA tace.
Malgrado questa ostilità, Israele continua a promuovere lo sviluppo delle economie degli stati arabi circostanti. In particolare nei confronti dell'Autorità Palestinese. Alla fine di settembre i permessi di lavoro rilasciati ai palestinesi sono stati incrementati di 5000 unità a 46.450, per un incremento del 49% rispetto ad un anno e mezzo fa. Oltre ai palestinesi che lavorano in Israele, altri 24660 palestinesi sono occupati in Giudea e Samaria, percependo un salario pari a due volte la retribuzione media corrisposta dalle aziende arabe del West Bank.

Come però fa rilevare Rights Reporter, il boicottaggio minacciato o praticato nei confronti delle aziende israeliane che operano nei territori contesi minaccia il posto di lavoro di diecine di migliaia di palestinesi. Le rimesse degli arabi che lavorano in Israele contribuiscono al 35% del PIL palestinese. Sciaguratamente però questo aspetto sfugge a chi professa, comodamente dal divano di casa propria, l'ostracismo nei confronti di un'economia e di uno stato che distribuisce benessere alle popolazioni vicine.
Si ricorre a tutti i mezzi; alcuni davvero rocamboleschi, per non dire ridicoli. Adesso si alimenta l'accusa di "molestie sessuali". Il blog "Bugie dalle gambe lunghe" riporta la curiosa denuncia di un quotidiano arabo, secondo cui i lavoratori palestinesi in Israele sarebbero vittima di molestie sessuali da parte delle provocatorie donne israeliane. Non è esplicitata la modalità di questa provocazione, che riguarderebbe addirittura il 77% dei lavoratori palestinesi, secondo la denuncia del sindacato di categoria, che ammette la presenza di circa 55 mila palestinesi.
Nell'immaginario collettivo, la donna disponibile era di origine scandinava. Non più. Secondo l'istituto di statistica palestinese, ci sono datrici di lavoro letteralmente infoiate in Israele, che addescano i malcapitati palestinesi mostrando loro una caviglia scoperta, o un polso voluttuoso, o magari un capello sale e pepe che è il massimo del messaggio erotico. Secondo questa accusa, la maggiore disponibilità di permessi di lavoro sarebbe strumentale al soddisfacimento di bisogni carnali di diaboliche infedeli.
Stendiamo su tutto ciò un velo pietoso. Possibilmente, molto spesso. In modo da non lasciar trapelare nulla alla visione dei poveri lavoratori.

venerdì 12 ottobre 2012

La dura condizione dei profughi palestinesi

Alla fine del 1947 le Nazioni Unite ripartirono l'ex protettorato britannico palestinese - ricevuto in consegna dopo la dissoluzione dell'impero ottomano di inizio anni '20 - in due stati: uno arabo, e uno ebraico. Gli ebrei accettarono la partizione, e l'anno successivo proclamarono lo stato di Israele. Gli arabi non accettarono la decisione storica, e convinsero gli arabi che vivevano nel neonato stato a riparare negli stati confinanti, prima di scatenare un conflitto che si risolse l'anno successivo in una bruciante sconfitta.
Gli arabi che ripararono in Egitto, in Libano, in Siria, in Giordania e in Iraq furono sistemati in campi profughi nei quali hanno vissuto per lunghi decenni. Senza diritti, senza cittadinanza - unico caso al mondo - senza possibilità di integrarsi nella società, di frequentarne le scuole, di praticarne le istituzioni. Cittadini di serie B a tutti gli effetti. I 6-700 mila arabi del 1948 sono diventati milioni. Così tanti, che l'ONU ha previsto una apposita agenzia: l'UNRWA. Un gigante burocratico che amministra fondi e li versa ai profughi palestinesi. Caso eclatante: a differenza dei profughi di tutti gli altri stati al mondo, i figli e i figli dei figli hanno conservato lo status di rifugiato.
La situazione è particolarmente precaria in Libano, come ci ricorda oggi
Elder of Ziyon, in un articolo che traduco in calce, e che cita importanti studi di Lancet.

La rivista medica britannica Lancet ha pubblicato una serie di anticipazioni tratte da un convegno di ricercatori sulla salute pubblica tenutosi a Beirut a marzo 2012.
Secondo uno degli studi, condotti da ricercatori the American University of Beirut, "le leggi discriminatorie e decenni di emarginazione" hanno reso i rifugiati palestinesi in Libano socialmente, politicamente ed economicamente svantaggiati. Più della metà di essi vive in campi profughi sovraffollati, dove "la disponibilità di un'abitazione, di acqua, di elettricità e di altri servizi essenziali, risulta inadeguata e contribuisce ad una salute precaria".
Su 2500 famiglie interpellate, il 42% lamenta infiltrazioni di acqua dai muri o dal tetto, e l'8% vive in dimore costruitr con materiali pericolosi per la salute, come l'amianto. Hoda Samra, portavoce in Libano dell'UNRWA (UN Relief and Works Agency for Palestinian Refugees) dichiara che molti rifugiati vivono in rifugi privi di ventilazione e di luce naturale. Circa 5000 rifugi abbisognano di manutenzione, ma l'agenzia ha fondi soltanto per 730 di essi. In quattro campi su dodici occorre manutenere le infrastrutture, ma mancano i fondi.
La gente nei campi continua a crescere, ma gli spazi disponibili sono sempre gli stessi. Il conseguente sovraffollamento ha esacerbato i problemi di sanità pubblica. "Alcuni campi crescono verticalmente, non orizzontalmente", denuncia Samra, puntando il dito sui criteri precari con cui le abitazioni sono costruite: senza fondamenta, e troppo vicine l'una all'altra.
Lo studio evidenzia una correlazione diretta fra le precarie condizioni abitative e la salute dei residenti: negli ultimi sei mesi il 31% soffre di malattie croniche e il 24% ha sofferto di riacutizzarsi di malanni.

I ricercatori hanno evidenziato anche una forte correlazione fra miseria e precarietà della salute. I rifugiati palestinesi che vivono in Libano non possono accedere ai servizi sociali, sanità inclusa, e non possono svolgere circa 50 professioni. UNRWA e la International Labour Organization fanno pressioni sul governo libanese affinché allenti queste restrizioni, ma un emendamento alla normativa sul lavoro, approvato ad agosto 2010, e che dovrebbe agevolare l'accesso al lavoro da parte dei rifugiati, attende ancora di essere reso operativo dal ministero competente.
Secondo un altro studio citato su Lancet, sempre da parte dei ricercatori di Beirut, il 59% dei rifugiati vive al di sotto della soglia nazionale di povertà, il 63% non mangia regolarmente, e il 13% fa fatica a procurarsi il cibo. Solo i più poveri - un altro 13% - ha i requisiti per poter accedere ai buoni mensa e a piccoli sussidi in denaro elargiti dall'UNRWA.
La combinazione di scarsa alimentazione, di condizioni di vita insalubri e di infelicità, alimentano "tutti i tipi di malattie", conclude Samra.
"Nel complesso", rileva Lancet, "questi dati evidenziano la crisi nascosta che affrontano i rifugiati palestinesi, le cui esigenze di salute sono dolorosamente trascurate".
Ovviamente, Lancet evita di rimarcare un'ovvietà: è la classificazione artificiosa di questa gente come "rifugiati" - anche se la maggioranza di essi è nata in Libano - a rappresentare la cause dei loro problemi. Se i bambini nati in Libano fossero resi cittadini libanesi, non ci sarebbe discriminazione ai loro danni e non sarebbero costretti a vivere in squallidi campi profughi, che le autorità oltretutto vietano di espandersi.
Ma rivelare una verità ovvia nel mondo arabo non è consentito. Difatti, l'unica ragione per cui oggi soffrono, come arabi che vivono in Libano, è che la Lega Araba li ha sempre utilizzati come mezzo per fare pressione su Israele. Sicché gli arabi palestinesi, e solo essi, hanno una condizione speciale nel mondo arabo di privi permanentemente di cittadinanza, senza possibilità di sfuggire. Il mondo arabo, e il Libano in particolare, è interamente da biasimare per questa situazione. Ma le "organizzazioni dei diritti umani" si rifiutano di ammetterlo. Poiché il mondo arabo ha accusato per 65 anni Israele di "apartheid" nei confronti dei palestinesi, così deve fare il resto del mondo.

Fonte: Elder of Ziyon.

lunedì 28 maggio 2012

Una soluzione per i profughi palestinesi

E' in discussione al Senato americano un disegno di legge la cui approvazione definitiva farebbe cambiare sensibilmente la questione mediorientale e i rapporti fra mondo arabo e Israele.
Come è noto, alla fine del 1947 le Nazioni Unite ripartirono l'ex protettorato britannico palestinese - ricevuto in consegna dopo la dissoluzione dell'impero ottomano di inizio anni '20 - in due stati: uno arabo, e uno ebraico. Gli ebrei accettarono la partizione, e l'anno successivo proclamarono lo stato di Israele. Gli arabi non accettarono la decisione storica, e convinsero gli arabi che vivevano nel neonato stato a riparare negli stati confinanti, prima di scatenare un conflitto che si risolse l'anno successivo in una bruciante sconfitta.
Gli arabi che ripararono in Egitto, in Libano, in Siria, in Giordania e in Iraq furono sistemati in campi profughi nei quali hanno vissuto per lunghi decenni. Senza diritti, senza cittadinanza - unico caso al mondo - senza possibilità di integrarsi nella società, di frequentarne le scuole, di praticarne le istituzioni. Cittadini di serie B a tutti gli effetti. I 6-700 mila arabi del 1948 sono diventati milioni. Così tanti, che l'ONU ha previsto una apposita agenzia: l'UNRWA. Un gigante burocratico che amministra fondi e li versa ai profighi palestinesi. Caso eclatante: a differenza dei profughi di tutti gli altri stati al mondo, i figli e i figli dei figli hanno conservato lo status di rifugiato.

Ma le più nobili intenzioni ad un certo punto si scontrano con la dura realtà. Mantenere 5 milioni di palestinesi costa. Un'impresa impossibile. I figli dei figli a loro volta si riproducono, e il conto delle bocche da sfamare e degli impiegati necessario per tenere il conto si moltiplica a perdita d'occhio. E' per questo che un senatore dell'Illinois ha presentato una proposta di legge che distingue fra gli arabi che lasciarono Israele nel 1946-48, e tutti coloro che sono nati successivamente. Il consistente contributo americano all'UNRWA (più di un miliardo di dollari) sarebbe da prevedersi soltanto per i primi. Ma in questo caso, l'investimento umanitario si ridimensionerebbe sensibilmente: a 30 mila dollari annui. I discendenti di chi si fece convincere dagli stati arabi belligeranti dovrebbero convincere gli stati ospitanti - come la Giordania, dove un terzo della popolazione vanta lo status di rifugiato - a concedere finalmente la cittadinanza a tutti gli effetti. Non a caso, Amman sta premendo sul Senato americano, in compagnia del Dipartimento di Stato, affinché la legge non venga promulgata.

Si tratterebbe di una svolta epocale. I profughi palestinesi non potrebbero essere più impiegati come arma nei confronti di Israele. Mancando un importante fonte di reddito, essi sarebbero indotti ad integrarsi negli stati arabi che da decenni ne ospitano la discendenza, senza riconoscere loro cittadinanza, a differenza di quanto si fa in ogni stato al mondo nei confronti dei figli degli emigranti. Il cosiddetto "diritto al ritorno", ancora oggi sbandierato dalla dirigenza palestinese come pre-condizione all'instaurazione di negoziati bilaterali, cesserebbe d'un tratto, e finalmente si potrebbe discutere di mutuo e pieno riconoscimento, di confini e - perché no? - di collaborazione economica e sociale.
Auguriamoci che la proposta di legge conosca una rapida approvazione. Dopo decenni di umiliazioni - l'Autorità Palestinese ha chiarito in passato che i profughi ospitati nei suoi campi (come quello di Betlemme, mostrato nella foto) non diventeranno mai suoi cittadini, nemmeno quando un giorno nascerà lo stato di Palestina, accanto a quello di Israele - di privazioni, di rinunce, forse il prossimo futuro farà assistere alla cessazione di questa vergognosa strumentalizzazione.

martedì 1 maggio 2012

La questione dei rifugiati palestinesi (II Parte)

di Danny Ayalon

La prima parte è leggibile qui.


La triste verità è che i rifugiati arabi (convinti dagli stati confinanti ad abbandonare Israele nel 1948 prima di scatenare la guerra di annientamento, conclusasi però con una sconfittà, NdT) non hanno mai avuto un'opportunità. I tentativi di insediarsi nei nuovi stati sono sempre stati vanificati da una serie di leggi discriminatorie, come il diniego di concessione della cittadinanza - con l'eccezione della Giordania - il divieto di esercitare diverse professioni, restrizioni al diritto di proprietà delle terre, limitazioni alla libertà di circolazione, e il mancato accesso all'istruzione e alle prestazioni sanitarie.
Sir Alexander Galloway, ex direttore dell'agenzia ONU per i rifugiati in Giordania, così spiegò i motivi di queste discriminazioni: «le nazioni arabe non vogliono risolvere il problema dei rifugiati. Lo vogliono mantenere in essere, come una ferita aperta, come arma contro Israele». Il presidente egiziano Nasser spiegò in seguito gli effetti di questa "arma", finalizzata a eclissare Israele dal punto di vista demografico, con generazioni di rifugiati educati e istigati all'odio: «se i rifugiati dovessero tornare in Israele, Israele cesserà di esistere».
Quale è stato il ruolo delle Nazioni Unite? tristemente tutt'altro che utile. Mentre tutti i rifugiati del mondo sono assistiti dall'UNHCR, l'agenzia ONU per i rifugiati, una agenzia apposita - l'UNWRA - è stata istituita specificamente per i palestinesi. Per quale motivo i rifugiati palestinesi non possono condividere un'agenzia ONU con i rifugiati - fra gli altri - di Bosnia, del Congo o del Darfur? Perché l'agenzia principale dell'ONU è impegnata a favorire il reinsediamento dei rifugiati nei paesi ospitanti; mentre l'agenzia per i rifugiati palestinesi è finalizzata a perpetrare la loro condizione mediante l'applicazione di criteri unici.
Ad esempio: i rifugiati perdono la loro condizione dopo aver ricevuto la cittadinanza di uno stato riconosciuto come tale; per i palestinesi, questo non è previsto. I rifugiati non trasmettono la loro condizione di generazione in generazione, come invece è previsto e consentito per i palestinesi. I rifugiati di tutto il mondo sono incoraggiati a integrarsi in altri stati o in quelli ospitanti; l'UNRWA non contempla queste politiche. Le Nazioni Unite spendono per ogni singolo palestinese quasi il triplo rispetto alla spesa per i rifugiati non palestinesi, ed impiega un personale di 30 volte superiore.
In definitiva, durante il XX Secolo le Nazioni Unite hanno escogitato soluzioni durature per diecine di milioni di rifugiati, mentre l'agenzia per i rifugiati palestinesi non ha prodotto nulla. Qualcuno potrebbe sostenere che sia tutta ipocrisia. E allora consentitemo una riflessione personale: la famiglia di mio padre fu cacciata via dall'Algeria, assieme agli ebrei - 600 mila - di altri stati arabi, che ripararono in Israele. La storia del secolo scorso ha dimostrato che il reinsediamento e l'integrazione ha aiutato diecine di milioni di rifugiati a ritornare alla vita. Tuttavia, i rifugiati palestinesi sono intrappolati fra i leader arabi indisponibili ad accettare i loro fratelli, e le agenzie ONU che non applicano principi universali previsti per tutti i rifugiati del mondo.

domenica 19 febbraio 2012

Vergogna! gli arabi disprezzano i palestinesi!



L'UNWRA è l'agenzia delle Nazioni Unite che si occupa dei cosiddetti "rifugiati" palestinesi: i milioni di arabi che vivono in campi profughi in Siria, in Libano, in Giordania, in Egitto, ammassati dai governi locali in condizioni fatiscenti a ridosso dei confini con Israele: una formidabile arma di pressione e di condizionamento dell'Occidente. Si tratta ormai dei lontani discendenti di coloro i quali nel 1948 furono convinti dagli stati arabi a lasciare Israele, dove sarebbero tornati a guerra (scatenata e perduta) finita. I 600 mila arabi sono diventati nel frattempo sei milioni. Privi di diritti, di istruzione, di lavoro, di prospettive e di dignità. Magari ci si immagina che i "fratelli arabi" provino per loro compassione almeno finanziando le iniziative di sostegno alla loro causa.

Non è così. Lungi dall'occuparsi delle sorti dei circa 60 milioni di veri rifugiati di tutto il mondo, l'UNWRA destina ingenti fondi ad una causa da tempo non più politica, ma solo umanitaria. Il grafico mostra i primi venti contributori al mondo nel 2010: spiccano gli Stati Uniti e l'Unione Europea.
Ma, gravemente, non c'è alcuno dei ricchi stati arabi. Il petrolio a 100 dollari per barile fornisce profitti senza precedenti, eppure nessuno degli stati arabi figura fra i finanziatori della "causa palestinese".

Questo legittima le accuse loro rivolte: dei palestinesi agli arabi non importa nulla, se non dell'utilità che essi rappresentano per combattere il "nemico sionista". Una volta che Israele sarà cancellata, "dal Giordano al Mediterraneo", come auspicano alcuni, i palestinesi potranno seguire la stessa sorte. L'assenza degli stati arabi fra i principali finanziatori dell'agenzia ONU per i rifugiati palestinesi dovrebbe far riflettere...

sabato 4 febbraio 2012

L'Huffington Post metterà in imbarazzo "La Repubblica?"



Interessante analisi dell'Huffington Post (il colosso editoriale americano che sta per sbarcare in Italia in joint venture con l'Espresso-la Repubblica). "Abu Mazen" ad un certo punto ha ottenuto ciò che dichiarava di volere - lo stato palestinese - ma l'ha respinto: forse perché non era quello che realmente desiderava.
Me ne sono occupato diversi mesi fa. In effetti i palestinesi vivono da decenni in condizioni agghiaccianti e disumane negli stati arabi confinanti (in Siria, in Libano e in Giordania soprattutto); senza cittadinanza, senza diritto all'istruzioni o a svolgere attività lavorative. Sono i paria degli arabi. A cui interessa soltanto distruggere Israele. Dei palestinesi purtroppo a loro non frega niente...

sabato 28 gennaio 2012

La questione dei rifugiati palestinesi (I Parte)

La questione dei rifigiati è un elemento chiave per comprendere il conflitto israelo-palestinese. Ma chi sono i rifugiati, e perché dopo 60 anni questo è ancora un problema?
Nel maggio del 1948 (in coincidenza con la dichiarazione di indipendenza israeliana, NdT), la popolazione araba locale fu affiancata da sette stati arabi confinanti nel tentativo di distruggere il neonato stato ebraico.
Incoraggiati dai leader arabi, che promisero loro il ritorno in Israele come vincitori e, più tardi, come conseguenza dell'insuccesso del loro attacco, circa 500 mila arabi lasciarono Israele dirigendosi verso gli stati arabi confinanti. Ma è questa tutta la verità? Diamo un'occhiata a queste immagini:





Molti potrebbero pensare ad essi come arabi, in uscita da Israele. In realtà invece sono ebrei, che lasciano gli stati arabi in cui hanno vissuto da sempre. Questa mappa illustra la situazione complessiva dei rifugiati:




Ci sono molti più rifugiati ebrei che non rifugiati arabi! Oltre 850 mila ebrei, appartenenti ad antiche comunità, furono costretti ad abbandonare le loro case, privati della cittadinanza e confiscati dei loro beni. Di converso, 160 mila arabi accettarono di buon grado l'offerta di rimanere in Israele, e oggi sono diventati oltre un milione di cittadini arabi-israeliani, con gli stessi diritti dei cittadini di religione ebraica.
Una domanda sorge spontanea: avete mai sentito parlare di campi di rifugiati ebrei? Non penso proprio: i rifugiati furono immediatamente accolti ed assorbiti dallo stato di Israele o da altre nazioni. Perché dunque, dopo più di sessant'anni, i rifugiati arabi non sono ancora accolti ed assorbiti dagli stati loro ospitanti? e come è possibile che questo numero sia cresciuto da 500 mila a 4.7 milioni di unità?

Fonte: Danny Ayalon, The Truth About the Refugees.