venerdì 9 maggio 2014

Sull'amore degli arabi per i palestinesi

Gli arabi sono storicamente molto più dediti a sabotare in ogni modo e con ogni mezzo Israele; che non a preoccuparsi delle sorti dei "fratelli" palestinesi. Che da decenni vivono in luridi campi profughi in Egitto, in Siria, in Giordania, e nello stesso West Bank: senza cittadinanza, senza diritto, senza possibilità di esercitare diverse professioni, in condizioni penose di dipendenza economica e sudditanza psicologica dei paesi ospitanti. Se non carne da cannone, massa disperata da utilizzare cinicamente contro lo stato ebraico.
Di tanto in tanto si registrano episodi confortanti; ma si tratta di eccezioni alla regola, prontamente stroncate e neutralizzate da chi non è interessato alla normalizzazione. Il mese scorso un professore palestinese, Mohammad Dalani, ha condotto una scolaresca di 27 ragazzi in visita guidata ad Auschwitz. Un'esperienza come sempre toccante, che se da un lato ha aperto gli occhi a questi fortunati giovani palestinesi; dall'altro ha messo in una scomoda posizione il docente: espulso dall'associazione degli insegnanti a causa della sua visita al campo di prigionia in Polonia. Il suo comportamento «contravviene le norme e la politica dell'organizzazione»: un modo elegante per ricordare che non ci si può opporre al boicottaggio accademico e culturale che l'unione degli insegnanti ha sancito.
Al Dr Dalani tutto sommato va bene. Benché la sua occupazione sia minacciata dal coraggio dimostrato nell'infrangere un tabu che rende impraticabile ogni iniziativa di pace (e ingenuo o in mala fede chi ad essa crede nelle attuali condizioni di ostracismo); non corre attualmente pericolo di vita. Come accade agli sfortunati palestinesi, "ospiti" dei campi profughi in Siria. La guerra civile ha tragicamente superato il terzo anno di anzianità, e le vittime ormai superano abbondantemente le cento mila unità. L'aspetto che irrita chi ha davvero a cuore la "questione palestinese", è il numero di vittime dei bombardamenti indiscriminati dell'aviazione di Assad del campo profughi di Yarmouk: fra 700 e 1600 palestinesi sono periti in questo modo, secondo il quotidiano non certo di parte Arab Today. E la stima è aggiornata soltanto allo scorso mese di ottobre. Da nessuna parte si è sollevata alcuna voce di condanna per il massacro: nessuna risoluzione dalle Nazioni Unite o dalle tante agenzie onusiane a servizio permanente dell'odio arabo, nessuna flottiglia partita dai porti turchi, con o meno il supporto della marina militare (come si apprende oggi fosse stato nelle intenzioni del governo di Ankara nei confronti della Mavi Marmara); nessun extraparlamentare di sinistra che si fa fotografare nei pressi delle residenze delle vittime, nessun corteo pacifinta, nessuna interpellanza parlamentare, nessuna denuncia dei giornali.
Se ciò non bastasse a rivelare la vergognosa ipocrisia del mondo arabo nei confronti dei palestinesi, giunge la denuncia di una fonte non certo imparziale in questo caso come l'emittente televisiva qatariota Al Jazeera: che riporta l'espulsione forzata di 41 rifugiati palestinesi in Siria, dopo che questi erano fuggiti dagli orrori della repressione di Assad, entrando legalmente in Libano. Strano paese, quello dei Cedri: che accoglie canaglie internazionali, al punto da farle sedere nel governo di Beirut; ma accompagna con metodi spicci i profughi palestinesi alla frontiera, anche quando dispongono di regolari documenti. E, stando alle testimonianze raccolte, si tratterebbe di un'opera sistematica di espulsione e respingimento, che ha indignato persino Human Right Watch. La cui denuncia però è espressa abbastanza bisbigliata da non giungere alle orecchie della distratta opinione pubblica occidentale. Pronta a stigmatizzare sempre e soltanto uno stato. Quello.

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