martedì 10 giugno 2014

Chi si preoccupa più dei palestinesi?

Il povero Abu Mazen è esemplare delle sofferenze patite dai palestinesi. Il 79enne presidente dell'Autorità Palestinese vanta un mandato scaduto da cinque anni e mezzo; ma non può passare il testimone... perché non si tengono elezioni a Ramallah. Qualcuno potrà obiettare che dovrebbe essere egli stesso a convocare i comizi elettorali; ma si rischierebbe di essere accusati di superficialità: così vanno le cose in Medio Oriente. Mica per niente in Israele le elezioni si tengono regolarmente, e giusto oggi ben cinque candidati si contendevano la poltrona appartenuta fino a ieri a Shimon Peres: vogliamo mettere, lo stato ebraico con la democraticissima ANP?
Sarcasmo a parte, spiace dover riconoscere come soltanto siti e blog bollati di filosionismo come questo, si impegnano a descrivere i dolori e le sofferenze del popolo palestinese; al di là delle denunce ridicole che sistematicamente sono smontate e classificate pochi giorni dopo nella categoria "Pallywood".
Un esempio? l'operazione Pillar of Defense, che ha posto fine ai quotidiani attacchi palestinesi scatenati dalla Striscia di Gaza, ha provocato nella Striscia un centinaio di morti; "161", precisò all'epoca RaiNews, indicando orgogliosa in Mohamed Morsi il vincitore morale di quel Cessate il fuoco. Stendiamo un velo pietoso sulla pietosa lungimiranza nonché scarsa obiettività della testata pubblica, che in questi giorni ha fatto tutto il possibile per mettere in ombra la visita del presidente israeliano in Vaticano, fino al punto da mandare la pubblicità quando sono state intonate le invocazioni in ebraico; e sorvoliamo sull'effettiva contabilità dei decessi da parte palestinese durante la risposta di Gerusalemme: dovremmo altrimenti precisare quante di quelle vittime sono state tali per il fuoco amico, quanti sono caduti come scudi umani usati senza ritegno, quanti fossero militanti vestiti in abiti civili, e via dicendo.
Diciamo che le vittime sono 161. Se questo dato, certo doloroso, ha suscitato tanta riprovazione, interpellanze parlamentari, istanze alle Nazioni Unite, denuncia di quotidiani, settimanali e mensili, con tutto il corredo ammuffito di bandiere della pace, flottiglie arcobaleno e ciclostilati semiclandestini; cosa diremmo se i morti fossero stati molti, ma molti di più?
Sebastiano Nino Fezza è un coraggioso reporter italiano, che conosce molto bene il Medio Oriente per recarvisi per lavoro. Sabato ha pubblicato sul suo sito una denuncia agghiacciante: ammontano a 2290 i palestinesi - in rilevante misura bambini - uccisi; sì, ma non da Israele, ma da altri arabi. Segnatamente dall'aviazione di Assad, che dal 2011 bombarda indiscriminatamente i campi profughi siriani. La fonte riportata è del tutto credibile. In tre anni sono morti 14 volte i palestinesi presuntamente caduti durante le operazioni militari israeliane di fine 2012; non è strano che nessuno ne parli?

Qualche giorno fa ha suscitato clamore l'intervista concessa da Hillary Clinton, segretario di Stato della prima Amministrazione Obama, la quale ha stigmatizzato la decisione del governo USA di assecondare le richieste palestinesi di congelamento dell'attività edilizia israeliana nei territori contesi. Quella scelta, argomenta il candidato in pectore alla nomination democratica del 2016, ha rafforzato in Abu Mazen le proprie convinzioni, al punto di rilanciare ripetutamente, arrivando a chiedere analogo blocco delle costruzioni nella Città Vecchia di Gerusalemme, e infine congelando il tormentato processo di pace. Tutti ricordano come il presidente di ANP-OLP-Fatah ignorò gli inviti di Netanyahu a sedersi al tavolo dei negoziati per buona parte del 2010, chiedendo un nuovo blocco soltanto a pochi giorni dalla fine della "finestra di opportunità".


Si tratta di un atteggiamento ricorrente nella strategia dilatoria palestinese. Nel suo libro State of Failure Jonathan Schanzer rimarca che l'appoccio americano è fallito perché l'amministrazione USA non ha imposto alla controparte palestinese un atteggiamento maturo e responsabile. Assecondando ripetutamente le pretese di Ramallah, al punto da ottenere da Gerusalemme concessioni che la signora Clinton non ha esitato a definire «senza precedenti», il governo americano si è reso in parte responsabile della corruzione e inefficienza dilaganti nell'Autorità Palestinese. È ormai evidente a tutti come l'ANP, involucro formale che contiene il ben più operativo e rilevante OLP - che a sua volta è filiazione del partito di Abu Mazen - sia una combriccola di professionisti della politica, intenti ad ammassare potere e ricchezza, e a perpetrare la loro condizione più a lungo possibile, aderendo a tattiche dilatorie e illudendo lo stesso popolo palestinese, prima di rifuggire da una pace definitiva all'ultimo momento.
Esempi di malgoverno abbondano. L'ANP paga gli stipendi al personale "statale" di stanza a Gaza... anche se praticamente nessun esponente del Fatah-OLP-ANP è operativo nella Striscia, dopo il sanguinoso colpo di stato del 2007. Europa e Stati Uniti versano generose donazioni ad Abu Mazen, affinché questi paghi stipendi ad impiegati che non lavoreranno mai: soltanto per mantenere una base formale a Gaza. Ben poca cosa, rispetto all'oceano di denaro sperperato per pagare la casta palestinese: dagli Accordi di Oslo del 1993 si sono succeduti a Ramallah 12 governi, ciascuno con almeno 24 ministeri. Fa un totale di 228 ministri, a cui andrebbero aggiunti viceministri, sottosegretari, portaborse e consulenti. Tutti dotati di pingui stipendi, di lussuose auto e generosi fringe benefit. Non è mica vero che gli Accordi del 1993 non abbiano beneficiato i palestinesi... soltanto alcuni, per la verità.
Una spending review della Commissione Europea rivela che nel quinquennio 2008-2012 ben 2 miliardi (sic!) di euro sono stati sottratti dall'ANP alle destinazioni a cui erano previsti. Il vizietto di Arafat di girare i finanziamenti internazionali sui propri conti correnti è continuato e si è esasperato sotto Abu Mazen. Le banche giordane conoscono segreti inconfessabili. Consoliamoci sapendo che di recente l'ANP, nella sua frenesia associativa, ha aderito alla United Nations Convention Against Corruption: un scudo che le consentirà ora di mettersi al riparo da qualunque riforma.

Nessun commento:

Posta un commento