giovedì 22 settembre 2011

Un brutto momento per tutti gli anti-sionisti



Sì, è vero, ho notato anch'il refrain: Israele è isolato, Israele è assediato. E' il momento peggiore per Israele, e così via. Eppure a me sembra il contrario: è la Turchia ad essere isolata nelle sue mire neo-ottomane; è la Siria del sanguinario Assad ad essere più isolata dai tremila morti che si è lasciati alle spalle; è Abbas ad essere isolato dalla sua fuga in avanti, inimitata anche dall'omologo di Gaza; è Ahmadinejad ad essere isolato a Teheran, sempre più solo di fronte agli ayatollah; è l'Egitto ad isolarsi sul piano internazionale.
L'economia israeliana invece tira: +5% di crescita nel primo trimestre; roba che di questi tempi nessun paese al suo occidente riesce ad emulare, tanto che l'americana Standard&Poor's si vede costretta per una volta a migliorare il rating, anziché tagliarlo impietiosamente. I posti di lavoro sono abbondanti e ben pagati, e c'è solo un problema di come dividere la ricchezza creata.
Una sconfitta per quelli che "io sono amico degli ebrei, ho tanti amici ebrei, ma mi riservo il diritto di criticare Israele" (come se qualcuno pensasse di "criticare l'America": si critica Bush, si critica Obama, si critica Berlusconi, si critica la Merkel; ma nessuno si sogna di mettere alla berlina gli Stati Uniti, la Germania o perché no anche l'Italia). Israele è esempio di pacifica e gioiosa convivenza, modello economico e sociale per tutto il mondo, sempre più triste, sempre più frustrato.
Qui, di seguito, l'intervento di
Jonatan Della Rocca, apparso oggi sul sito della Comunità Ebraica di Roma.

C’è molto pessimismo sulle pagine dei giornali in vista della prossima Assemblea delle Nazioni Unite. Thomas Friedman ha scritto sulle pagine del New York Times di non essere mai stato così preoccupato per il futuro d’Israele. E via poi con il valzer dei cosiddetti intellettuali, anche sulle pagine della stampa ebraica italiana. Non c’è da stupirsi che questo pessimismo abbia contagiato anche tanti ebrei romani.

Sono tornato da pochi giorni da Roma dove in molti mi hanno domandato un solenne ‘Che aria tira?’, quasi che Israele fosse sul patibolo.

Tutto ciò non è che il metro del successo della propaganda palestinese e della nostra incapacità di spiegare, a noi stessi ed agli altri, i successi di Israele.

Caro Sig. Friedman, cari tutti, io non sono mai stato tanto ottimista per il futuro di Israele!

Nonostante l’instabilità dell’Egitto, il voltafaccia della Turchia e la crisi della Siria. Nonostante i missili degli Hezbollah al nord e di quelli di Hamas al sud, Israele non è mai stato così forte.

“Alza gli occhi attorno a te e guarda, tutti si sono raccolti, sono venuti a te”, dice il Profeta Isaia. Bisogna guardarsi attorno a volte e vedere quanto si è fatto e non solo piangersi addosso, dice Rav Mordechai Elon shlita.

Quando io alzo gli occhi vedo un paese stabile, con un economia vibrante che è appena stata premiata con l’innalzamento del rating da parte di S&P, mentre il mondo va a picco. Vedo la capitale tecnologica mondiale: un hub di eccellenza con miliardi di dollari di investimenti l’anno e la corte delle multinazionali come Google, Intel, Microsoft e SAP. Una nazione che si appresta nel giro dei prossimi anni a diventare una potenza energetica di livello mondiale. Un paese che è diventato membro dell’OECD e sta diventando membro del CERN. Che sforna più start-ups di Europa e Asia messe assieme, per non parlare dei Nobel.

Vedo una generazione di ragazzi che studiano, che sono più preparati dei loro omologhi europei ed americani, più intraprendenti, più maturi, più responsabili. Ragazzi pieni di voglia di fare, di riuscire. Ragazzi che guardano al futuro con determinazione, senza piagnistei di precarietà. Che parlano le lingue e sono a loro agio sulle trincee del Golan come nei salotti del business di Berlino ed Hong Kong.

Vedo una generazione che faticosamente si sta riapropriando del suo patrimonio culturale ebraico: è un processo lento, certo, ma bisogna essere ciechi per non vedere il rinnovato interesse per la tradizione nelle stesse strade di Tel Aviv. Vedo un paese che non fa sconti a nessuno, a cominciare da se stesso. Un paese capace di mandare in carcere politici corrotti e presidenti molesti. Capace di interrogarsi, di farsi l’esame di coscienza, di fare scelte che a volte sembrano impossibili. Vedo una società multietnica nella quale si vive in un armonia impensabile in qualsiasi altro posto. Un paese nel quale negli asili si parlano dozzine di lingue e si cantano le preghiere d’Israele con tutte le note della nostra immensa diaspora.

Problemi? Certo che ce ne sono! Ma l’Israele che vedo io è drammaticamente più forte, più sano, più moderno e migliore di quello di quattordici anni fa quando sono arrivato.

Sono trent’anni che cercano di spaventarci con il mantra del ‘tempo che è contro di noi’. In questi trent’anni noi siamo fioriti e gli arabi persistono nel loro medioevo. Lo spread tra Israele e i suoi vicini non solo è cresciuto ma è divenuto incolmabile. Il tempo è contro di noi? Ma vi siete visti attorno?

Abbiamo i migliori ospedali del mondo, le migliori università ed i migliori laboratori.

Ci hanno offeso con minacce che avrebbero messo in ginocchio chiunque altro, ma noi siamo qui. Abbiamo sconfitto i kamikaze di Arafat & Co. con il muro della vita e con il coraggio dei nostri ragazzi così come stiamo sconfiggendo i missili di Hamas con l’Iron Dome, il primo sistema anti missili a corto raggio al mondo (ne sta abbattendo nove su dieci, abbiate pazienza è in rodaggio…).

Questo è quello che facciamo. Risolviamo problemi. Miglioriamo, cresciamo e prosperiamo.

Hanno detto che siamo la nuova Singapore. Non è vero. Siamo molto di più, siamo la nuova Sion.

Se i palestinesi volessero davvero il bene dei loro figli si sarebbero già seduti al tavolo della pace per far beneficiare anche loro di quel miracolo che si chiama Israele. Ma non è certo questo che interessa loro.

Se i paesi arabi limitrofi avessero il buon senso di studiare invece che sbraitare nelle strade, se scegliessero il dialogo anzicché la prevaricazione questo sarebbe già un Medio oriente di pace e prosperità.

Una bugia resta una bugia anche se la si ripete un milione di volte. Si accomodi pure Abu Mazen a quelle Nazioni Unite che hanno fatto della Libia di Gheddafi la presidente della Commissione per i diritti dell’Uomo. Si goda l’applauso dei dittatori africani ed arabi, finché sono in sella.

Nel buio di quell’ONU dove è già stato ambasciatore, ancora una volta, Benjamin Netanyahu seguirà il consiglio di Rabbì Menachem Mendel Schneerson zz’l. “Accendi un lume di verità, nella casa della menzogne!”. E già hanno detto i nostri Saggi: ‘Un poco di luce, scaccia molto buio’.

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