L'attività terroristica a Gaza ha raggiunto un livello particolarmente elevato, se anche un'organizzazione spesso parziale come Human Right Watch ha sentito il bisogno di lanciare l'allarme sull'escalation sperimentata nella Striscia durante il mese di novembre. Addirittura HRW ha additato Hamas, il Jihad Islamico e il FPLP come organizzazioni «terroristiche», sfuggendo al politicamente corretto che porta i media e le ONG occidentali a definire militanti o semplici combattenti, chi attenta alla vita altrui.
Il direttore della sezione mediorientale di HRW non ha esitato a denunciare l'atteggiamento deliberatamente criminale di Hamas prima e durante l'operazione "Pillar of Defense" lo scorso agosto: «gruppi armati palestinesi hanno esplicitato la volontà di colpire la popolazione civile [...] sparando missili e razzi da aree densamente popolate, nei pressi di abitazioni, fabbricati industriali e alberghi, esponendo la popolazione locale al rischio di essere esposti alla reazione israeliana». E ancora: «il diritto di guerra vieta gli attacchi di rappresaglia contro la popolazione civile nemica. Ciò dimostra l'intento di commettere un crimine di guerra».
Fra il 14 e il 21 novembre, oltre 1500 missili sono stati sparati dalla Striscia di Gaza verso Israele, ferendo o uccidendo 40 persone, senza contare morti e feriti nell'enclave palestinese per missili difettosi ripiombati a terra, o le vittime scaturite dall'impiego spietato di donne e bambini come scudi umani.
HRW continua nella sua denuncia puntando il dito sull'Iran, che avrebbe fornito armi e munizioni ai terroristi palestinesi. Lo stato islamico e i terroristi palestinesi vanno puniti per le loro gravi violazioni del diritto, è la conclusione dell'organizzazione non governativa. Ci si chiede dove si trovasse HRW prima delle operazioni israeliane, resesi necessarie proprio in seguito agli attacchi incessanti provenienti da Gaza verso il milione di persone abitanti nell'Israele meridionale. Forse il clima natalizio rende tutti più sinceri; forse lo stesso clima permette di recitare un comodo mea culpa, nella fondata convinzione che l'atto di denuncia risulti in larga misura inascoltato.
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