venerdì 28 novembre 2014

Hamas SpA


di Moshe Elad*

Il concetto che esponenti di Hamas di primo piano come Mousa Abu Marzook e Khaled Meshal, che ordinano la violenza in nome del jihad, possano al contempo essere imprenditori che hanno ammassato una fortuna che farebbe invidia agli uomini d'affari di Londra, Parigi o New York; può colpire molti lettori ignari, o risultare propagandistico o fantascientifico. Ma in Medio Oriente la retorica politica o religiosa e i profitti terreni non sono affatto antitetici. Anzi, spesso procedono di pari passo.
Ne' la commistione fra interessi politici e militari, e interessi economici è di esclusiva pertinenza di Hamas, o di altre organizzazione islamiche. Quando ero governatore militare israeliano del distretto di Tiro durante la Prima Guerra del Libano, chiesi di incontrare il locale responsabile di polizia, ma mi fu riferito: «è disponibile soltanto di mattina. Nel pomeriggio si prende cura dei suoi affari». «Affari?», esclamai. «Certo!», rispose il mio interlocutore; «gestisce una catena di supermercati».
Nei miei due anni in Libano appresi che quasi tutti i dirigenti pubblici, incluse le forze dell'ordine, sono al contempo titolari di imprese private. Il capo di polizia in questione, per esempio, faceva pressione affinché le persone che ad egli si rivolgevano, acquistassero generi alimentari dal suo negozio. Poiché i valori occidentali come il conflitto di interessi, la trasparenza e l'efficienza della pubblica amministrazione, sono ignoti o trascurati in questa parte del mondo; molti dirigenti mediorientali considerano la funzione pubblica come un modo per fare fortuna, e molti dipendenti pubblici accettano questo atteggiamento, nella speranza di condividere le briciole della ricchezza del capo.

Ministeri palestinesi più soggetti a corruzione nel 2012 (fonte: Guardian)
Nel West Bank e a Gaza la situazione non è dissimile rispetto a quella che scoprii in Libano. La corsa al conseguimento di posizioni di potere è iniziata nel 1994, con l'implementazione degli Accordi di Oslo dell'anno precedente. Il governo che emerse risultava ne' più ne' meno come gli altri regimi arabi: era centralizzato e corrotto, mancava di efficienza e il nepotismo dilagava, con poche famiglie che beneficiavano dei monopoli di stato, gestendo i servizi essenziali e i generi primari.
L'Organizzazione per la liberazione della palestina ha diretto l'Autorità palestinese (AP) tramite il suo partito più rappresentato, Al Fatah, grazie al budget generosamente reso disponibile dalla comunità internazionale. Fra il 1995 e il 2005 l'AP, con una popolazione di 4 milioni di individui, ha ottenuto 8 miliardi destinati alla costruzione di infrastrutture, finalizzati alla creazione di posti di lavoro e al miglioramento delle condizioni di vita della popolazione. Malauguratamente, nessuno dei progetti è mai stato implementato. La maggior parte dei fondi è finita nelle tasche dei soliti noti, mentre la parte residua è stata impiegata dai leader dell'AP per assoldare le sue milizie. Il monopolio del petrolio, del gas, dei generi alimentari e della telefonia mobile sono entrati nell'orbita della famiglia del leader, o di ministri fedeli al regime. Chi non ha partecipato al banchetto non è rimasto in silenzio: un anno fa Mohammad Dahlan, già ufficiale superiore del Fatah per la sicurezza a Gaza, ha denunciato a livello internazionale il presidente Abu Mazen, sostenendo che Abbas ha rubato 1 miliardo di dollari dalle casse pubbliche.

Hamas, l'organizzazione fondamentalista palestinese fondata alla fine del 1987, non ha goduto dei fondi internazionalmente resi disponibili all'AP. Il movimento ha scelto la strada della violenza, unendosi al Jihad globale, come hanno fatto altre organizzazioni legate alla Fratellanza Musulmana. In questo modo, Hamas ha sviluppato le sue modalità di autofinanziamento, basato soprattutto su donazioni e contributi provenienti da Arabia Saudita, Kuwait e Qatar. Gli attentati promossi a metà anni Novanta hanno fatto guadagnare ad Hamas credito internazionale, il che ne ha gonfiato le entrate. Il canale ufficiale dal quale sono transitati questi fondi è stata la cassetta Zakat che esiste in ogni singola sezione del Waqf di Gaza e del West Bank. L'AP non può attingere a questi fondi se non con la forza.

Dopo aver acquisito con la violenza il controllo della Striscia di Gaza nel 2007, sempre più denaro è affluito ad Hamas, in riflesso al desiderio dei donatori arabi di vedere regolata l'enclava palestinese secondo la legge islamica della Sharia. Al contempo nel mondo occidentale - soprattutto in Europa e Stati Uniti - è stata organizzata una enorme raccolta di fondi, di diverse centinaia di milioni di dollari, passati attraverso le mani di Mousa Abu Marzook, all'epoca capo politico di Hamas. Secondo una corte federale del Texas, nel 2003 Marzook è stato incriminato per esportazione illecita di capitali verso ogni singola provincia del West Bank: da Jenin a nord, a Hebron a sud. A partire dall'inizio degli anni Novanta, e ogni anno, ha trasferito fondi per centinaia di milioni di dollari, sostenendo che essi servivano per finanziare progetti sociali, quando in realtà sono finiti nelle tasche delle famiglie degli attentatori, e per curare i terroristi feriti e rimasti invalidi. In virtù di questo massiccio e persistente trasferimento di denaro, Marzook ha finito per controllare personalmente attività e investimenti per oltre 2 miliardi di dollari.
L'attuale leader politico Khaled Meshal ha iniziato ad amministrare le finanze del movimento terroristico subito dopo l'arresto di Abu Marzook nel 1995 negli Stati Uniti. Nei due anni in cui Abu Marzook è rimasto dietro le sbarre, Meshal è stato nominato capo politico di Hamas, il che gli ha consentito di mettere le mani sulla casse del movimento. Fino al rilascio di Abu Marzook nel 1997, Meshal ha raggiunto quanti più leader arabi e musulmani possibile, allo scopo di rafforzare la posizione finanziaria di Hamas.
Durante il soggiorno a Damasco (1999-2012), Meshal ha architettato nuovi canali di finanziamento, che gli hanno consentito di ammassare una fortuna, non inferiore a quella di Abu Marzook. La maggior parte di questo denaro è stato reinvestito in banche egiziane e del Golfo, nonché in progetti residenziali. Meshal possiede la Fadil, una immobiliare basata a Doha, nel Qatar, che di recente ha costruito quattro torri residenziali, un centro commerciale da venti piani e altre iniziative immobiliari; tutte intestate a membri della sua famiglia.

Un altro modo per arricchirsi a Gaza dopo il colpo di stato del 2007 - un metodo impiegato soprattutto dai comandanti di campo di Hamas (appartenenti alle Brigate Ezzedin al Qassam) - è stato il contrabbando, realizzato mediante una fitta rete di gallerie, costruite per eludere i controlli egiziani ed israeliani. Il primo ministro di Hamas Ismail Haniyeh e i membri del governo hanno tratto beneficio da questo strumento economico, gestendolo attivamente come farebbe la mafia. Da quel momento in poi, ogni comandante distrettuale di Hamas ha guadagnato dall'esistenza di questi tunnel, mantenendo il pieno controllo sul transito di beni e merci attraverso i tunnel di propria pertinenza. Generi alimentari, carne e pollame, cemento e calcestruzzo, mobilio, petrolio e benzina, farmaci: tutti sono stati assoggettati a pesante tassazione. Un'auto entrata di contrabbando attraverso i tunnel, ad esempio, subiva una imposizione fissa di mille dollari più il 25% del suo valore; e si consideri che ogni giorno erano contrabbandate dalle 100 alle 200 vetture. L'importatore - per così dire - era tenuto a pagare una tassa di 75 shekel (circa 20 dollari) per ogni tonnellata di cemento (e ne passano 400 al giorno), 120 shekel per ogni tonnellata di lana (500 al giorno), 2 shekel per ogni litro di gasolio (6000 litri al giorno) e 0.75 shekel per ogni litro di benzina (6000 litri al giorno). Dal fronte egiziano della rete di tunnel, il responsabile del "progetto" rispondeva al nome di Khirat el-Shater, un prominente leader dei Fratelli Musulmani, che ha contribuito a finanziare la creazione di questa joint venture, e ha partecipato appieno alla spartizione dei proventi.
Raed al Atar, un alto esponente di Hamas a Rafah, ha guadagnato centinaia di milioni di dollari dal contrabbando mediante i tunnel. Al Atar vantava una gestione centralizzata dei flussi reali e finanziari che passavano attraverso i "suoi" tunnel, occupandosi personalmente di ogni singolo aspetto.
Economisti palestinesi stimano che il numero di palestinesi che hanno guadagnato almeno 1 milioni di dollari dall'economia dei tunnel, oscilla fra le 1000 e le 1200 unità. Tuttavia, i residenti a Gaza che possono essere definiti "milionari" è di circa la metà. Dovremmo anche ricordare che quasi un miliardo di dollari è stato trafugato ogni anno mediante le galleria, parte del quale è stato dedotto e pagato ai capi dei singoli distretti come sorta di "imposta sul reddito". Un'altra fonte illegale di reddito sono state le proprietà del Gush Katif - il precedente insediamento ebraico nella Striscia di Gaza - le cui terre sono state vendute a società immobiliari palestinesi, e alcune direttamente a costruttori che non vedevano l'ora di avviare nuovi cantieri edili. I fondi così ricevuti sono finiti direttamente nelle tasche dei leader di Hamas.


Un'altra fonte di entrata a Gaza è stata la donazione. I leader di Hamas hanno ottenuto ingenti fondi sotto forma di contributi e donazioni da Iran, Qatar, Arabia Saudita e altri stati del Golfo. Questi fondi sono stati donati a favore della Muqawama, la "resistenza islamica", il cui scopo è duplice: aggredire Israele in quanto nemico politico, e colpire l'Islam sciita come nemico religioso. Di solito il trasferimento di fondi dagli stati arabi, al contrario delle donazioni pervenute da Europa e Stati Uniti, è difficile da tracciare: i fondi non sono destinati a progetti specifici, e quelli senza specifica definizione sono perlopiù confiscati dai leader di Hamas.

Dalle recenti informazioni si apprende che il Qatar ha trasferito a febbraio dello scorso anno «agli abitanti della Striscia di Gaza» 250 milioni di dollari, buona parte dei quali non sono mai arrivati ai destinatari. Più avanti, dopo la caduta di Mohammad Morsi in Egitto, il Qatar ha versato altri 350 milioni e in seguito ulteriori 100 milioni di dollari. Il denaro è stato ricevuto dal PM Ismail Haniyeh. In passato ospite del campo profughi di Al Shati, Haniyeh possiede una ricchezza stimata in 4 milioni di dollari, e parte del denaro incassato è stato impiegato nell'acquisto di terreni e abitazioni intestati a membri della sua famiglia. Altri esponenti di Hamas e del governo di Gaza hanno beneficiato del denaro sottratto dalle donazioni internazionali, costruendo sontuose dimore dentro e fuori Gaza City.

Alla luce del fatto che queste evidenze sono sotto gli occhi di tutti i palestinesi, che sanno bene come e dove abitano i leader di Hamas, ci si chiede perché la gente rimanga indifferente e in silenzio. Le immagini diffuse durante l'operazione Margine Protettivo hanno mostrato uno stridente contrasto fra il lusso delle residenze di Meshal e Abu Marzook, e lo squallore della gente di Gaza. Ciononostante, è raro che i leader palestinesi siano attaccati all'interno: secondo la tradizione palestinese, i leader già soffrono abbastanza per la "occupazione" israeliana, per cui dovrebbero essere supportati da tutti. La critica è bandita, a prescindere dalla correttezza dell'operato della guida. I sondaggi rivelano che il 60% degli abitanti della Striscia denunciano la corruzione dilagante, ma solo un'esigua minoranza agisce di conseguenza. D'altro canto, le conseguenze potrebbero essere dolorose: durante Margine Protettivo, 20 persone sono state uccise in pubblico dopo un sommario processo in cui sono state accusate di "collaborazione con il nemico". Inutile dire che la natura di questa collaborazione è quantomeno fantasiosa.
I gazawi che hanno dimostrato contro la leadership di Hamas sono stati colpiti, gambizzati e in alcuni casi, uccisi. La corruzione nei territori palestinesi è destinata a prevalere.



* Hamas, Inc.
su Tabletmag.com.

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