martedì 16 settembre 2014

I prodigi dell'economia palestinese

Ci siamo già occupati in passato dei prodigi dell'economia israeliana: fra le poche realtà in netta espansione fra i paesi occidentali, capace di assicurare ai suoi cittadini - tutti: ebrei, arabi, drusi - un'espansione del benessere senza eguali. Basti pensare che negli ultimi dieci anni il reddito pro-capite si è espanso del 25%; mentre in Italia si è contratto del 7.5% nel medesimo arco di tempo. Persino nella formidabile Germania l'espansione del reddito negli ultimi dieci anni non è andata oltre il 15%.
Noti i motivi di questo boom, per un'economia dalle dimensioni paragonabili a quelle del Cile: un ottimo sistema scolastico, una massiccia spesa per investimenti in ricerca e sviluppo, e una ossessione per l'innovazione, che colloca lo stato ebraico addirittura al terzo posto al mondo, dietro Finlandia e Svizzera. Per non parlare di un pragmatismo, in politica estera e nell'economia internazionale, che sta consentendo ad Israele di violare tabu storici e consolidati: nelle ultime settimane hanno fatto notizia gli accordi di fornitura pluriennale di gas naturale, nei confronti di Egitto e Giordania. Alcun mesi fa il primo ministro della Malesia Najib Razak ha fatto visita ai leader di Hamas a Gaza, enfatizzando la propria contiguità alle posizioni palestinesi; ma ciò non impedisce un boom dell'interscambio, raddoppiato nel 2013 rispetto all'anno precedente (e quest'anno siamo a +27% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno), grazie soprattutto alle  importazioni che Gerusalemme affluiscono a Kuala Lumpur.


Ma faremmo un torto di parzialità, se non ci occupassimo anche della contigua economia palestinese. Il reddito pro-capite, è vero, non è particolarmente cospicuo: nel 2011 il West Bank si colloca al 157esimo posto al mondo, in termini "PPP" (parità dei poteri d'acquisto), malgrado le ingenti donazioni internazionali ricevute; anzi, secondo ormai molti, proprio per questo. Zimbabwe, Montenegro, Somalia, Eritrea vantano un reddito pro-capite molto più basso, senza beneficiare di comparabile visibilità; e nella classifica del reddito stilata dalla CIA ci sono ben 72 economie che se la passano peggio, e di cui nessuno si cura.
Il problema fondamentale è l'emergenza abitativa. Non che le abitazioni manchino, a Gaza. Certo, il recente conflitto ha ridotto l'offerta immobiliare, ma le case disponibili non scarseggiano in assoluto. Il problema è che i proprietari sono riluttanti a concederle in locazione ad Hamas, sospettando fondatamente che l'organizzazione terroristica ne faccia delle basi logistiche per sferrare attacchi nell'àmbito del prossimo conflitto che puntualmente si manifesterà a tempo debito. I vertici di Hamas appaiono irritati da questa tendenza, e non li si potrà biasimare se collocheranno le rampe di lancio di missili e razzi da scuole, ospedali ed edifici pubblici: sarà stata colpa dei biechi protocapitalisti palestinesi, sicuramente al soldo dell'"entità sionista".
Ma Hamas potrà sempre vantare un fiore all'occhiello; anzi due: il sistema scolastico, anzitutto. In questi giorni si stanno chiudendo i campi estivi gestiti dai terroristi islamici, in cui i ragazzini palestinesi hanno potuto apprendere materie di primaria importanza: odio razziale, tecniche di guerriglia urbana, elementi di negazione della storia, principi di crimini di guerra, fondamenti di propaganda antisemita. Si riaprono le scuole, ma non c'è alcun problema per chi non potrà frequentare le classi; quelle non occupate dalle munizioni di Hamas: il periodico online Al-Fateh, ogni mese impartisce ai piccoli palestinesi tutti i sani principi di un moderno jihadista. Non è ancora una scuola a distanza, ma l'apprendimento dei principi del fondamentalismo è assicurato.
Da una buona scuola, discende una buona formazione. Tecnica, possibilmente. E i frutti di questi sforzi si incominciano a manifestare; l'unica centrale elettrica di Gaza, dichiarata completamente distrutta dagli strike israeliani, è stata prodigiosamente ricostruita in appena due settimane; mentre proprio in questi giorni è stata mostrata al pubblico una straordinaria opera dell'ingegno palestinese: un robot capace di trasportare cariche esplosive, da far esplodere in piazze e luoghi pubblici affollati da auspicabilmente quanti più sionisti possibile. In una realtà dove gli aspiranti omicidi-suidici purtroppo sono stati decimati dall'ultima guerra, l'automazione della morte procurata può rivelarsi vincente. Magari non tanto per cancellare lo Stato di Israele e i suoi abitanti, come auspica a chiare lettere lo statuto di Hamas; ma quantomeno per il progresso economico e tecnologico. Israele, con il suo boom economico persistente e con il suo Technion, sono avvisati.


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