giovedì 23 novembre 2017

Trump: ai palestinesi non basta concedere il 99%


I palestinesi se la sono menata di nuovo. Stavolta, perché pare che l'amministrazione Trump non ha sposato la loro tesi a proposito del conflitto arabo-israeliano. Sono adirati perché sospettano che l'amministrazione Trump non intenda costringere Israele ad accettare tutte le loro richieste.
La faccenda è postas in questi termini: «se non sei con noi, sei contro di noi. Se non accetti integralmente le nostre rivendicazioni, se un nostro nemico; pertanto, di te non ci possiamo fidare, e non ti riconosciamo come arbitro imparziale nella controversia».
La settimana scorsa sono trapelate voci secondo cui il presidente Trump sta lavorando ad un piano di pace organico in Medio Oriente. Ignoti sono al momento i dettagli del piano. Tuttavia, è certo che il progetto non accoglie tutte le richieste palestinese. D'altro canto, nessun piano di pace lo potrebbe.
Le richieste palestinesi sono quanto mai irrealistiche: includendo, tra l'altro, la richiesta che milioni di "rifugiati" palestinesi (in realtà i superstiti fra coloro che lasciarono Israele nel 1948 sono oggi circa 30 mila, NdT) siano accolti in Israele, e che lo stato ebraico rinunci a territori a favore di un futuro stato palestinese, arroccandosi all'interno di confini indifendibili, che collocherebbero Tel Aviv nel mirino di Hamas.
L'autorità palestinese e il suo leader, l'82enne Mahmoud Abbas, ora giunto al dodicesimo anno di presidenza del suo mandato quadriennale; continua ad insistere che non accetteranno nulla che non contempli uno stato palestinese, sovrano ed indipendente, con i quartieri orientali di Gerusalemme adibiti a capitale, e con i territori strappati da Israele alla Giordania dopo la Guerra dei Sei Giorni del 1967, che rientrino nella giurisdizione palestinese. Anche nell'improbabile ipotesi che Abbas firmi un qualche accordo, sussiste la concreta possibilità che un domani non troppo lontano un altro capo gli subentri, stracciando l'accordo e dichiarandone la nullità; poiché sottoscritto da un presidente irregolare.
Hamas, il movimento terroristico palestinese che controlla la Striscia di Gaza, rincara la dose: giurando che mai accetterà l'esistenza stessa di Israele su quello che viene rivendicato come un territorio di proprietà musulmana. Hamas vorrebbe papparsi l'interezza dello stato ebraico sorto nel 1948, verosimilmente per fondare un califfato islamico ove ai non musulmani sarebbe riconosciuta la condizione di dhimmi.


A differenza dell'AP, ad Hamas va riconosciuto il merito della trasparenza circe le reali ambizioni. Da quando è stata fondata, trent'anni fa - e malgrado le illusioni nutrite da alcuni occidentali - Hamas non ha mai modificato il suo obiettivo o il tono dei suoi proclami. L'AP invece sguazza nella sua ambiguità, inviando messaggi contrastanti al suo popolo e alla comunità internazionale. Nessuno davvero sa quale sia la strategia di Abbas nelle relazioni con Israele. Ma il vecchio leader dell'OLP sa come apparire diplomatico: lo fa quando si incontra con i politici occidentali. Ma quando si rivolge in arabo alla sua gente, diventa difficile distinguerne la retorica da quello di Ismail Haniyeh; leader di Hamas. Alcuni gerarchi di Abbas appaiono anche più estremisti di Hamas; tranne, quando parlano in inglese ai diplomatici occidentali: a quel punto, il miele scorre a fiumi. Non di rado l'Occidente è indotto a formarsi un'opinione, che risulta fuori luogo rispetto alle reali intenzioni dei palestinesi. I cui messaggi contraddittori ingenerano l'impressione che possano essere al contempo un partner per la pace e un nemico.
Una cosa è certa: dal punto di vista palestinese, non c'é possibilità di intesa. Dalla loro prospettiva, gli Stati Uniti non possono giocare un ruolo imparziale, in virtù dell'alleanza strategica fra USA e stato ebraico. I palestinesi hanno accusato tutte le amministrazione americane che si sono succedute negli ultimi quattro o cinque decenni, di essere dalla parte di Gerusalemme; salvo intascare in silenzio le centinaia di milioni di dollari di sovvenzioni americane. Ma qualunque cosa farà l'America, essi denunceranno sempre un presunto favore per Israele.

L'amministrazione Trump sta per imparare una dura lezione: se e quando questo piano di pace vedrà la luce, i palestinesi saranno i primi a rigettarlo, perché non incontra le loro richieste. Abbas sa bene che non può accettare nulla che non contempli il 100% delle promesse formulate.
Gli ultimi giorni ci hanno già fornito alcuni indizi. Ecco come si è espresso Nabil Abu Rudaineh, portavoce di Abbas: «gli americani hanno perso la loro capacità di agire da mediatore nella regione. Gli USA non possono più essere considerati uno sponsor per il processo di pace». E si tratta di un commento moderato, rispetto a quanto pronunciato da altri esponente dell'AP: Saab Erekat ha apertamente minacciato di cessare ogni collaborazione con Washington.
Naturalmente, nessuno prende sul serio queste minacce: tagliare i ponti con gli Stati Uniti sarebbe suicida per i palestinesi. Senza il supporto finanziario degli USA, l'autorità palestinese e lo stesso Erekat sarebbero finiti. Non si capisce se le parole di fuoco di Erekat contemplino anche la rinuncia al denaro dei contribuenti americani...
Queste dichiarazioni casomai vanno viste nel contesto della crescente animosità palestinese, che coincide con l'ostilità nei confronti dell'amministrazione Trump. Questo disappunto è tradotto in retorica di fuoco: i palestinesi ora accusano l'attuale amministrazione USA di cospirare nei loro confronti, con l'aiuto di alcuni stati arabi, che includono Egitto e Arabia Saudita.
I palestinesi hanno concluso che il piano di pace di Trump è da rigettare. Non è accoglibile perché non costringe Israele a concedere tutto ciò che i palestinesi desiderano. Trump così vivrà la stessa esperienza che Bill Clinton ha provato sulla sua pelle a Camp David 17 anni fa: all'epoca, con grande sconcerto dell'allora presidente USA, Yasser Arafat respinse un piano di piace straordinariamente conveniente, offerto dall'allora Primo Ministro Ehud Barak. Trump presto apprenderà che non basta concedere ai palestinesi il 99% delle loro richieste.

Fonte: Palestinians: If You Do Not Give Us Everything, We Cannot Trust You.
Su Gatestone Institute.

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